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"17. Seminario Angela Vinay"
bibliotECONOMIA
conservare il futuro

Presentazione del seminario

Chiara Rabitti, Direttore della Fondazione Querini Stampalia


Benvenuti a tutti. Come sempre prendo la parola per prima, riprendendo per così dire il filo conduttore del Seminario Vinay: quindi benvenuti, e grazie di essere qui. Ringrazio innanzitutto i diversi enti che anche questa volta hanno voluto condividere la titolarità del Seminario con la Querini, e in particolare il Ministero per i Beni e le Attività Culturali, che se è stato presente fin dai primi Seminari attraverso l'Istituto Centrale per il Catalogo Unico, quest'anno è rappresentato anche da due sue Direzioni: la Direzione Generale per l'innovazione tecnologica e la promozione - e quindi l'Osservatorio Tecnologico per i Beni e le Attività Culturali - e la Direzione Regionale per i Beni culturali e paesaggistici del Veneto; ringrazio la Regione del Veneto, la Provincia e il Comune di Venezia, l'Università Ca' Foscari, la Fondazione di Venezia, l'Archivio Storico delle Arti Contemporanee della Fondazione La Biennale di Venezia, la sezione Veneto dell'Associazione Italiana Biblioteche: tanti enti diversi per natura, funzioni, livelli d'intervento e competenze, ma che convergono nell'interesse verso i temi di questi incontri. E ringrazio quanti, in rappresentanza di questi enti o a titolo personale, interverranno durante queste giornate, e anche quelli che pur non potendo essere presenti, hanno collaborato al percorso che mi ha portato a questo seminario; tra questi posso citare Tullio De Mauro, da cui aveva preso lo spunto il Seminario dell'anno passato e che, scusandosi di non poter partecipare nemmeno a questa edizione, mi ha comunque fornito preziosi consigli e suggerimenti sul tema proposto; e anche Salvatore Settis che, come già avete potuto rilevare dal testo che accompagna il programma, ha offerto l'occasione e la traccia per le riflessioni di quest'anno.
E infine ringrazio naturalmente tutto il personale della Querini che, in diverse forme e secondo le diverse competenze, ha collaborato alla realizzazione del 17. Seminario Vinay anche sperimentando una modalità di lavoro trasversale e di squadra, difficile certo, ma che credo potrà dare i suoi frutti nella nostra attività istituzionale.

Il testo cui ho fatto cenno illustra il percorso e la prospettiva di questo Seminario. Non starò a rileggerlo perché tutti lo avete in mano, ed è stato steso per voi, come per chi non è presente fin dall'apertura dei lavori (o non ha potuto accogliere il nostro invito a parteciparvi), come una semplice proposta, un punto di riferimento e di partenza.
Il mio compito è qui di collegare le riflessioni suggerite da quel testo a quelle su cui ci siamo lasciati un anno fa: in ciò mi aiutano gli atti del Seminario dell'anno scorso che -credo sia la prima volta- sono stati pronti e disponibili qualche giorno prima del nuovo Seminario, anziché arrivare a lavori avviati come purtroppo è avvenuto in passato. Si tratta in realtà di una pubblicazione che da bibliotecario riconosco come un falso bibliografico, in quanto si presenta ancora a cura di Chiara Rabitti mentre è stata curato da Cristina Celegon, che colgo l'occasione per ringraziare e a cui passo d'ora in poi ufficialmente il testimone.

Quindi riprendiamo dove ci eravamo lasciati l'anno scorso, quando Busetto, in conclusione del suo intervento che era l'ultimo del 2005, diceva: "Bisognerebbe riprendere questi lavori da dove sono arrivati ora e scendere con un'analisi più specifica in ognuna della questioni che qui sono state prospettate."
Essendo difficile andare a scendere in ognuna delle questioni, proviamo dunque a coglierne alcune che rappresentano i punti critici, i nodi principali emersi l'anno scorso, e che possono secondo me ricondursi a tre aspetti della qualità: la qualità delle risorse, la qualità della cultura, la qualità degli operatori.

Sulla qualità delle risorse si era discusso, peraltro con pareri e dati discordanti, in merito a una contrazione del finanziamento pubblico e, specularmente, a un incremento del finanziamento privato alla cultura: finanziamento privato che tuttavia, come qualcuno faceva rilevare, in realtà non è in molti casi rivolto all'interesse pubblico, ma solo all'interesse strettamente privato.
Quello che risultava evidente era soprattutto che questi finanziamenti, comunque ripartiti da parte pubblica o privata, si stavano spostando progressivamente, orientandosi verso gli eventi, le attività effimere, le offerte per il tempo libero o per il turismo più che verso la struttura culturale portante, più verso i progetti straordinari che verso l'ordinaria e quotidiana gestione.
A questa stessa considerazione si collegavano secondo me la riflessioni sulla qualità della cultura: si osservava infatti una crisi del modello umanistico della cultura e delle istituzioni culturali, prendendo atto di un calo dei lettori e delle letture. Ed è interessante osservare come questo dato emergesse dalla convergenza di voci che appartengono a mondi diversi: l'editore, il libraio, il bibliotecario, persone cioè che vedono il libro, il lettore e la lettura sotto prospettive differenti e con obiettivi e interessi distinti.
Questa crisi del modello umanistico veniva attribuita a cause diverse: tra queste quello che qualcuno ha definito lo sgretolamento dell'università, la dequalificazione della scuola, la mancanza di una solida formazione di base. Il problema della qualità degli operatori risultava di conseguenza un ulteriore punto critico destinato a generare un deprimente circolo vizioso.

Si è parlato dunque della diffusa disistima delle professioni culturali e dell' autoreferenzialità degli operatori del settore, lamentando d'altra parte lo scarso ricambio delle risorse umane, con la impossibilità in molti casi di trasmettere quel patrimonio di conoscenza e di passione che è linfa vitale per chi lavora nel mondo dei beni culturali.
Non a caso, e penso che ne avremo conferma nel pomeriggio, le conferenze, i convegni, i seminari autunnali delle associazioni degli operatori del nostro settore, sia l'ICOM che l'ANAI e la stessa AIB, si rivolgono tutti al tema della professione, ponendo in questa direzione una attenzione rinnovata e specifica.

Ma tornando ai temi emersi nel 16. Seminario, colti tra molti altri come passaggi critici funzionali alla riflessione di oggi, vorrei riprendere dalle relazioni alcuni brani che più direttamente mi hanno suggerito il percorso da un anno all'altro.
Diceva Marino Cortese: "Un'Italia molto più povera di quella di oggi ha costruito questi sistemi di trasmissione della cultura, li ha adeguati nel tempo, ha prodotto e mantenuto importanti livelli di servizio e di qualità; sarebbe davvero assurdo, per non dire incivile, che un'Italia opulenta non fosse in grado di trovare le relativamente modeste risorse necessarie a garantire la continuazione di questa storia". Quindi la necessità di proseguire un lavoro fatto da un'Italia più povera, che questa Italia più ricca deve in qualche maniera assumere come responsabilità e portare avanti, portare verso il futuro.
Cesare De Michelis affermava: "Io sono tra coloro che guardano indietro con sempre crescente nostalgia, e guardano avanti con sempre crescente titubanza e perplessità." Quindi una certa incertezza nel guardare il futuro; peraltro, continuava De Michelis: "Il modello organizzativo ottocentesco, o del primo Novecento, sul quale abbiamo organizzato musei, università, scuole, biblioteche, enti lirici, teatri stabili e chi più ne ha più ne metta, è esploso."
E Angelo Tabaro diceva: "A nostro avviso, l'esigenza principale adesso è di mettere a disposizione della società un patrimonio che non si trova nelle bancarelle e nelle edicole, un patrimonio da conservare e tutelare per le generazioni future". Ecco dunque che si fa avanti l'idea del conservare il futuro.
Sosteneva Gian Bruno Ravenni: "L'esperienza della biblioteche avrebbe molto da insegnare (...) nessun altro settore ha così profondamente messo al centro della propria riflessione e delle proprie pratiche, il tema dei servizi all'utenza e dell'innovazione tecnologica quale strumento per renderli più efficaci." Ed ecco allora il significato e il peso dell'innovazione e della tecnologia, che devono però essere sostanziate da una solida struttura culturale, come confermava Pier Francesco Ghetti: "Università, Accademie, Fondazioni Culturali, Biblioteche hanno forse bisogno di ripensare i loro ruoli e il modo di funzionare all'interno della società attuale. Ma è solo intorno ad esse, attorno al sapere accumulato, attorno al patrimonio umano che in esse si è formato e lavora, che è pensabile la costruzione di un nuovo Rinascimento per la società post tecnologica".
Federico Acerboni ricordava che l'azione di un'organizzazione culturale si sviluppa certamente su di un arco temporale di lungo o medio periodo; e Carlo Federici citava Claudia Lux, nuovo presidente eletto dell' IFLA, che parlava della "necessità di elaborare una visione della biblioteca in grado di guardare almeno dieci anni avanti, concordando gli obbiettivi di sviluppo con i diversi giocatori in campo: gli utenti, i politici, gli amministratori".
"La cultura", ci faceva osservare Domenico Luciani, "è tale se è promossa pensando agli altri e pensando al futuro, non pensando a sé e all'oggi". Bisogna quindi lavorare per il domani, perché il nostro compito è proprio quello di conservare il futuro.
E infine mi piace ricordare quello che ci faceva presente ancora Gian Bruno Ravenni, citando l'Art. 9 della Costituzione: "La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica". Ecco dunque gli elementi che sono andati a confluire nell'idea di questo Seminario, conservare il futuro, mettendo insieme la cultura della conservazione e cultura dell'innovazione: conservare non solo per contemplare, ma per sviluppare e per produrre nuova cultura; non solo conservare gli oggetti, i prodotti della cultura passata, ma mantenere, tramandare e sviluppare la grammatica generativa della cultura, che ci consente effettivamente di conservare la possibilità stessa di un futuro.

Mi ha colpito la coincidenza di queste riflessioni con il motto conservare il futuro, che è il nome di un progetto di arte contemporanea che la Fondazione sta portando avanti da qualche anno, ora anche con il sostegno della Regione del Veneto. E di conseguenza mi è sembrato interessante far emergere come il lavoro degli operatori culturali di ogni settore debba integrarsi in una prospettiva unica, comune e trasversale: così uno stesso titolo può felicemente identificare sia un progetto di arte contemporanea che questa 17. edizione dei Seminari Vinay, divenuti no dei momenti forti dell'attività istituzionale della Fondazione.
Conservare il futuro è infatti da sempre la vocazione di archivi, musei, biblioteche, istituti culturali.
Il 17. Seminario Vinay nasce quindi da queste riflessioni, con la struttura che è ormai consueta: la prima sessione istituzionale, con la partecipazione degli enti che a diverso titolo e con diverse competenze lavorano su questi temi e si riconoscono in questa prospettiva di lavoro; il pomeriggio dedicato ad aspetti più tecnici, se così è possibile definirli, del modo di lavorare per conservare il futuro. Parleremo quindi dell'innovazione, degli strumenti tecnologici a servizio della cultura e del Portale della Cultura Italiana, che dopo il più specifico incontro di maggio andremo oggi a riconsiderare per inserirlo in una prospettiva più ampia; e cercheremo di approfondire anche gli scenari della crescita professionale e della collaborazione interistituzionale, mettendo intorno al tavolo i rappresentanti di associazioni, musei, archivi, biblioteche, istituti culturali; affronteremo infine i temi dell'innovazione generale del quadro normativo, del deposito legale, della sperimentazione metodologica dell'approccio sia alla documentazione da gestire, sia al pubblico da servire per conservare il futuro.
Domani la Tavola Rotonda riunirà come sempre personalità di diversa provenienza, formazione, settore di attività e le farà confrontare sulla domanda "Consumare il presente o conservare il futuro?", proponendo di gestire una contrapposizione davvero delicata, vera o falsa che sia.
La domanda dell'anno scorso era "Ricchi e stupidi per quante generazioni?", e Guerrini concludeva il suo intervento a quella Tavola Rotonda dicendo: "Possiamo anche rispondere che saremo poveri e stupidi per sempre, anche se facessimo passare solo una generazione".

Riprendendo dunque il nostro discorso ad un anno di distanza - non è passata una generazione, ma è passato un anno- una nuova domanda nasce spontanea: "Siamo ancora così ricchi e così stupidi?" Forse siamo un po' più poveri e cerchiamo di essere un po' meno stupidi, ricordando peraltro, come bene ebbe a dire Adriano La Regina, che "la sciocchezza e la saggezza non sono appannaggio esclusivo di alcuna parte politica".
Conserviamo il futuro dunque: il futuro è movimento, ricerca e innovazione, non solo tecnologica ma anche e soprattutto culturale, è la cultura stessa. E Giulio Carlo Argan ci ha insegnato che "la cultura è un affare di Stato, cemento dell'unità nazionale e bene comune".
Su quest'ultima impegnativa citazione concludo e passo la parola a Marco Paoli, direttore dell'Istituto Centrale del Catalogo Unico delle biblioteche italiane e per le informazioni bibliografiche, che nella tradizione dei Seminari Vinay presiederà i nostri lavori.


Copyright AIB 2007-08, ultimo aggiornamento 2007-09-15 a cura di Marcello Busato e Giovanna Frigimelica
URL: http://www.aib.it/aib/sezioni/veneto/vinay17/rabitti06a.htm


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