«Bibliotime», anno IV, numero 3 (novembre 2001)
Biblioteche verticali [*]
Da più parti si afferma che l'avvento delle nuove tecnologie sta innescando profondi cambiamenti in tutte le sfere dell'attività umana: lavoro, tempo libero, formazione, cultura, linguaggio, identità culturale; come scrivono Fabio Ciotti e Gino Roncaglia,
quella prodotta dalle tecnologie del digitale, dai nuovi media, dagli sviluppi dell'informatica e della telematica, non è una moda, ma una vera e propria rivoluzione. Una rivoluzione che riguarda innanzitutto [...] il modo di produrre, elaborare, raccogliere, scambiare informazione [1].
E' dunque la dimensione informativa a connotare profondamente la realtà contemporanea, anche se è opportuno guardarsi dalle semplificazioni eccessive, dal momento che, come c'insegna Robert Darnton, "ogni epoca è stata epoca di informazione, ciascuna a suo modo, e gli eventi hanno sempre avuto impressa la foggia dei sistemi di comunicazione vigenti" [2].
Fatta salva la prospettiva storica, ci sembra però fuor di dubbio che la quantità di dati, di messaggi, di notizie attualmente circolanti nei più diversi formati caratterizzi decisamente il la realtà contemporanea, assegnandole una serie di connotazioni peculiari ed inedite [3]. E, se si vuole, un approfondimento di questo discorso può partire proprio dal concetto di informazione e dalle numerose e spesso pittoresche espressioni a cui tale concetto dà origine; consideriamone alcune:
Si tratta, come si può vedere, di immagini totalmente negative, che mettono in luce la trepidazione e il timore che tale prospettiva suscita in noi. Ci troviamo dunque a vivere nell'epoca dell'angoscia da informazione? in che misura le nuove tecnologie contribuiscono ad accrescere il senso di soffocamento originato dall'eccesso informativo? dobbiamo forse guardare a quella che finora, in modo fin troppo ottimistico, è stata chiamata la società dell'informazione, per scoprire invece che si tratta di un'entità pericolosa, negativa, opprimente?
Per rispondere a questi interrogativi è forse opportuno fare chiarezza sul concetto - fin troppo inflazionato - di società dell'informazione e scoprire che non è per nulla un'acquisizione recente, ma che risale almeno alla fine degli anni Cinquanta, quando il termine compare per la prima volta negli studi di Fritz Machlup su quei settori dell'economia americana coinvolti nella "produzione e distribuzione della conoscenza" [4]; negli anni Settanta poi la nozione viene ripresa dal sociologo Daniel Bell ed efficacemente volgarizzata da autori quali Alvin Toffler e John Naisbitt, che ne danno una formulazione ampia e convincente [5].
Così il concetto di società dell'informazione si sviluppa da un lato sulla scorta della teoria matematica dell'informazione di Claude Shannon e della cibernetica di Norbert Wiener (entrambe risalenti al 1948), dall'altro in seguito alle idee sulla "società postindustriale" elaborate dallo stesso Bell nei primi anni Settanta: tutte teorie per le quali l'informazione assume un ruolo centrale, diventando il perno intorno a cui ruotano sia i fenomeni del mondo fisico sia i fatti della realtà economica e sociale.
Siamo peraltro in una fase in cui fa la sua comparsa un nuovo e potentissimo strumento tecnologico, il computer; ed è proprio il nesso fra tecnologia informatica e ruolo dell'informazione a venire esaltato dai primi teorici della società dell'informazione: difatti, se Daniel Bell si dice convinto che "la conoscenza e l'informazione stanno diventando la risorsa strategica e l'agente di trasformazione della società postindustriale [...] proprio come la combinazione di energia, materie prime e tecnologia meccanica è stata il motore dello sviluppo della società industriale", è John Naisbitt a rilevare come "la tecnologia dei computer è per l'era dell'informazione quello che la meccanizzazione è stata per la rivoluzione industriale" [6].
Così la società dell'informazione, sostenuta da questa fondamentale innovazione tecnologica, si caratterizza per la presenza di un nuovo tipo di merce, l'informazione appunto [7], ed appare sempre più definita "da modi di produzione che pongono al centro i processi informativi, da una distribuzione dell'occupazione che privilegia nuovi settori rispetto a quelli precedenti, i settori del ternario avanzato, del quaternario o addirittura del quinario" [8].
Tuttavia il nesso fra tecnologia del computer e nuova realtà informativa rimarrebbe monco se ad esso non fosse associata una terza, fondamentale componente rappresentata dalla comunicazione [9] e dalle sue strategie volte a estendere sempre più la gamma dei "bersagli" da raggiungere per poter stringere il pianeta in un'unica, immensa rete comunicativa.
Una precisa consapevolezza di questa prospettiva si comincia ad avere con il lancio dei primi satelliti per telecomunicazioni, se è vero, come ha scritto John Naisbitt, che "l'importanza reale dello Sputnik non è quella di aver dato inizio all'era spaziale ma di aver introdotto l'epoca delle comunicazioni planetarie via satellite"; e tuttavia le potenzialità maggiori si dispiegano quando si arriva all'integrazione di strumenti e tecnologie diverse: per dirla con Krishan Kumar, "la combinazione di satelliti, televisione, telefono, cavi a fibre ottiche e computer microelettronici ha catturato il mondo in una rete di conoscenze unitaria" [10].
Si tratta, con ogni evidenza, di una realtà comunicativa che oggi ci appare estremamente familiare, e che permette al nostro discorso di fare un salto di oltre vent'anni per giungere alla situazione attuale, nella quale l'integrazione sempre più stretta fra informatica e telecomunicazioni ha dato vita ad una dimensione informativa non solo dilatata e globale ma multipla, sfaccettata, composita, in grado di incidere in modo significativo sulla sfera personale e sociale. Difatti, come ha rilevato Giovanni Bechelloni,
per la prima volta - a seguito del crescente successo di Internet e del digitale [...] - un numero crescente di soggetti pubblici e privati, di attori sociali individuali e collettivi, percepisce l'importanza, per non dire la centralità, delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione e del rapporto di interdipendenza che esse hanno con l'intera struttura sociale: con le sue istituzioni e culture, con i suoi simboli e valori. In altre parole cresce in modo esponenziale il numero di coloro che si rendono conto che tutti noi esseri umani abitanti del pianeta terra entriamo nella vita, ci socializziamo, lavoriamo e viviamo in un ambiente multimediale: in un ambiente costituito non solo dalla natura e dalla storia, dalle contingenze e dal caso, dalla socialità umana con la quale intrecciamo la nostra esistenza, ma anche e sempre di più da un ambiente costituito da un mondo simbolico fatto di immagini e di parole, di suoni e di rumori, costruiti e veicolati da un numero crescente di media - vecchi e nuovi - sempre più interconnessi tra loro [11].
Una descrizione, come si vede, estremamente accurata e calzante, all'interno della quale viene isolato l'interessante concetto di ambiente multimediale: un concetto che può essere assai utile ai fini del nostro discorso, se in esso individuiamo lo scenario ideale in cui collocare un'immagine della biblioteca intesa non tanto come argine al dilagare caotico e indiscriminato dell'informazione, quanto come un luogo - fisico o concettuale - in cui è possibile dar vita a un "ordine comunicativo" di tipo nuovo, cioè volto a una diversa organizzazione, gestione e trasmissione delle conoscenze.
In un senso più specificamente tecnico, è allora possibile dire che l'ambiente multimediale delle biblioteche è quello in cui non solo si ha una compresenza di risorse distribuite su supporti diversi, ma nel quale ogni strategia di recupero e di trattamento dell'informazione viene piegata ai nuovi e più sofisticati bisogni degli utenti: cosa che, con ogni evidenza, corrisponde ad una visione "orientata all'accesso", ossia al riconoscimento e all'uso di risorse disponibili altrove, piuttosto che all'accrescimento massiccio dei propri patrimoni in attesa che gli utenti ne facciano richiesta [12].
E' ovvio che, in un ambiente siffatto, la biblioteca debba conoscere con sufficiente precisione la propria utenza, gli specifici bisogni informativi e le modalità con cui si ricerca e si usa l'informazione; su tali basi, la biblioteca può allora definire i criteri con cui soddisfare tali bisogni, e di conseguenza orientare le proprie raccolte - sempre più ibride o, se si vuole, "multimediali" - al fine di soddisfare le esigenze più disparate.
Ma parlare di ambiente multimediale per le biblioteche suggerisce anche un'altra idea, in grado di richiamare, per così dire, più le connotazioni del sostantivo che le denotazioni dell'aggettivo: e cioè il ruolo che uno specifico "ambiente" - fisico o concettuale che sia - può giocare nell'espressione di un carattere, nell'estrinsecazione di un valore, nella rappresentazione di una peculiarità.
Per identificare questi aspetti, di natura squisitamente culturale e sociale, possiamo rifarci all'importante opera del sociologo americano Joshua Meyrowitz intitolata Oltre il senso del luogo [13]. In essa l'autore, nel rilevare l'incidenza delle tecnologie elettroniche sui modi di percepire e interpretare la realtà da parte di larghe fasce della popolazione adulta degli Stati Uniti, dimostra come queste tecnologie [14] abbiano a tal punto cancellato le distanze ed annullato gli spazi che separano gli individui e i luoghi fisici da portare l'uomo contemporaneo a rielaborare totalmente i propri modelli di interazione sociale, proiettandolo appunto in una prospettiva che va al di là del senso stesso del luogo.
Sono dunque i nuovi media a trasformare radicalmente l'organizzazione spazio-temporale, se è vero, come scrive Meyrowitz, che essi
distruggono le caratteristiche del luogo e dello spazio e rendono i luoghi un tempo privati più accessibili al mondo esterno, e dunque più pubblici [...]. Attraverso questi media, tutto ciò che accade quasi ovunque può capitare ovunque noi ci troviamo. Ma se siamo ovunque, non siamo neppure in un posto particolare [15].
Ma a quest'idea di dislocazione spazio-temporale Meyrowitz associa un'altra fondamentale immagine, quella dei "cacciatori e raccoglitori dell'era informatica" [16]: per lo studioso infatti molte caratteristiche della nostra epoca "assomigliano alle forme sociali e politiche più primitive: le società dei 'raccoglitori' dei frutti spontanei della terra". Gli antichi popoli nomadi, con il loro rapporto di scarsa fedeltà con il territorio, presentano dunque un modello di organizzazione sociale assai simile all'attuale, essendo caratterizzati da rapporti sociali non coercitivi e da un tipo di apprendimento non lineare, acronologico e non gerarchizzato, tutti elementi, secondo Meyrowitz, in base ai quali possiamo definirci "cacciatori e raccoglitori dell'era informatica":
al contrario delle generazioni precedenti, noi non dipendiamo dal luogo fisico come determinante principale per l'accesso agli individui e alle informazioni [...]. L'attuale livello tecnologico avanzato ci permette di cacciare e di raccogliere informazioni anziché cibo [17].
E' un'idea, quella di Meyrowitz, che presenta singolari affinità con quanto ha osservato di recente Domenico Bogliolo il quale, in una prospettiva specificamente bibliotecaria, non solo riconosce la realtà squisitamente fisica e istituzionale delle biblioteche, ma ne individua anche una dimensione "extra-spaziale [...], quasi da cultura nomade, non legata al possesso né alla divisione del lavoro" [18].
L'autore immagina infatti uno scardinamento di quei "depositi stabili" dell'informazione che da sempre sono state le biblioteche, un'apertura, per riprendere la sua metafora, di questi "granai" per affidarne il contenuto "ai singoli sudditi affinché lo custodiscano presso di sé, lo facciano germogliare e ne re-distribuiscano il seme a tutta la comunità tutta insieme": una situazione insomma che modifica decisamente l'idea di biblioteca, trasformandola
da spazio concentrato a spazio diffuso, da contenitore di libri 'sul mondo', luogo chiuso accedendo al quale si accede a ciò che vi è conservato, a luogo attraverso il quale si accede al libro 'del mondo', luogo aperto che mette in contatto diretto con la realtà. Gli anglosassoni hanno sintetizzato questa trasformazione modificando l'immagine del lavoro del bibliotecario: da 'gatekeeper' a 'gateway'; da guardiano, portiere, custode o bidello dei libri, a luogo di passaggio, porta, breccia, sentiero verso il mondo. Forse si tratterebbe, in questo caso, di una rivincita dello spazio (in quella particolarissima connotazione dell'indifferenza dello spazio tipica delle culture nomadi e orali) contro il tempo, contro le stratificazioni storiche o archeologiche, contro la filologia e il principio di organizzazione, contro la gerarchia.
L'analisi di Bogliolo inserisce dunque la realtà bibliotecaria in una dimensione caratterizzata da stringenti e problematiche antinomie: società della comunicazione vs società dell'informazione [19], senso del luogo vs dislocazione spazio-temporale; territorialità vs reticolarità; solidità e stanzialità delle conoscenze vs nomadismo gnoseologico e culturale.
Ora, se vi è una tipologia di biblioteca che più di ogni altra sembra ripercorrere il sentiero fin qui seguito, questa è la biblioteca pubblica, caratterizzata dall'intima aderenza al territorio così come dall'indeterminata espansività della sua utenza; dalla necessità di essere centro strutturato di documentazione e contemporaneamente perno della catena di comunicazione locale; dall'esigenza di riconoscersi come luogo fisico e sociale di trasmissione informativa e al tempo stesso centro logico e virtuale di organizzazione delle conoscenze.
Se, come crediamo, tale ipotesi ha un suo fondamento, è allora possibile riformulare il ruolo delle biblioteche pubbliche nell'attuale contesto socioculturale, un ruolo che, a parere di Malabika Das, si esplica in sette funzioni essenziali: l'archiviazione della conoscenze, la conservazione e il mantenimento della cultura, la disseminazione del sapere e la sua condivisione, il recupero dell'informazione, l'istruzione e l'interazione sociale [20]. Ciascuna di queste funzioni offre ad un pubblico per sua natura generico e indifferenziato l'opportunità di riconoscere le biblioteche come parte integrante di una società in cui l'accesso alle informazioni è fortemente atteso e richiesto; e questo spiega perché le biblioteche pubbliche focalizzino la loro azione sulla "fornitura di un luogo" - non solo fisico, come si è visto - che sia finalizzato alla comunicazione, all'interazione ed allo scambio delle informazioni e delle conoscenze.
Questa ricchezza e pluralità di prospettive mostra, se ancora ve ne fosse bisogno, come sia limitativo considerare le biblioteche pubbliche come mere strutture "di base", in grado di soddisfare in maniera semplice ed approssimativa le esigenze più elementari degli utenti: per contro, esse appaiono sempre più "verticali", poste cioè al vertice della piramide informativa, vere e proprie punte di diamante nella diffusione sul territorio di un tipo di informazione aggiornata, vantaggiosa e pertinente. In questa maniera non solo si estende la gamma dei possibili bersagli che l'azione comunicativo-informazionale delle biblioteche pubbliche è in grado di raggiungere, ma si consolida sempre più quel ruolo di "servizio agli altri" che è la vera ragion d'essere di ogni biblioteca.
Michele Santoro, Biblioteca del Dipartimento di Scienze Economiche - Università di Bologna, e-mail: santoro@spbo.unibo.it
Note
[1] Fabio Ciotti, Gino Roncaglia, Il mondo digitale. Introduzione ai nuovi media. Roma-Bari, Laterza, 2000, p. V.
[2] Robert Darnton, Parigi: alle origini di Internet (I), "La Rivista dei Libri", 11 (2001) 2, p. 13.
[3] Cfr. al riguardo Richard E. Rubin, Foundations of library and information science. New York, Neal-Schuman, 1998.
[4] Fritz Machlup, The production and distribution of knowledge in the United States. Princeton, Princeton University Press, 1962; Id., Knowledge: its creation, distribution, and economic significance, vol. 1. Princeton, Princeton University Press, 1980.
[5] Alvin Toffler, Lo choc del futuro. Milano, Sperling & Kupfer, 1988; Id., La terza ondata. Milano, Cde, 1987; John J. Naisbitt, Megatrends. Le dieci nuove tendenze che trasformeranno la nostra vita. Milano, Sperling & Kupfer, 1984; Id., Megatrends 2000. Milano, Rizzoli, 1990.
[6] Daniel Bell, The social framework of information society, in The microelectronic revolution, edited by T. Forester. Oxford, Balckwell, 1980; John J. Naisbitt, Megatrends. Le dieci nuove tendenze che trasformeranno la nostra vita, cit. (le citazioni sono desunte da Krishan Kumar, Le nuove teorie del mondo contemporaneo. Dalla società postindustriale alla società postmoderna. Torino, Einaudi, 2000, p. 13).
[7] In particolare, è Daniel Bell che apre prospettive che paiono riguardare assai da vicino il mondo della documentazione e delle biblioteche; lo studioso infatti non solo ritiene che il concetto di informazione includa "la raccolta, la trasmissione e il trattamento dei dati" - con una visione quindi assai vicina a quella che definiremmo bibliotecaria o documentale - ma divide l'informazione stessa in tre categorie: la registrazione (schede di paga, sicurezza sociale, operazioni bancarie, crediti...); i programmi (prenotazioni di viaggi aerei, piani di produzione, analisi d'inventario...); e infine le biblioteche e la demografia (rassegne, sondaggi, studi di mercato, risultati elettorali...); cfr. Armand Mattelart, L'age de l'information.Genèse d'une appelation non contrôlée, "Reseaux", 101 (2000), p. 21-52.
[8] Chiara Ottaviano, Prefazione all'edizione italiana, in James R. Beniger, Le origini della società dell'informazione. La rivoluzione del controllo. Torino, Utet Libreria, 1995, p. XI.
[9] Sono stati messi in luce i "significati profondamente diversi che possono assumere, nella pratica linguistica quotidiana, le parole informazione e comunicazione usate al singolare e al plurale: 'informazioni per gli utenti' e 'comunicazioni di servizio'" (Giovanni Bechelloni, Comunicazione e media, "L'informazione bibliografica", 26 (2000) 3, p. 327).
[10] Krishan Kumar, cit., p. 14.
[11] Giovanni Bechelloni, cit., p. 327.
[12] Al riguardo cfr. Michele Santoro, Biblioteche domani: il mutamento delle prospettive bibliotecarie all'alba del terzo millennio, "Bollettino AIB", 38 (1998) 3, p. 303-324, <http://www.aib.it/aib/boll/1998/98-3-303.htm>.
[13] Joshua Meyrowitz, Oltre il senso del luogo. Come i media elettronici influenzano il comportamento sociale. Bologna, Baskerville, 1995.
[14] Meyrowitz in realtà si concentra sugli effetti di media che oggi definiremmo tradizionali, quali la televisione e la radio, piuttosto che dei nuovi media digitali, per quanto la rilevanza del suo studio si possa estendere senz'altro all'attuale dimensione tecnologica.
[15] Joshua Meyrowitz, cit., p. 205 (citazione leggermente modificata).
[16] Ibid., p. 520-525.
[17] Ibid., p. 524.
[18] Domenico Bogliolo, Lo spazio "non fisico" della biblioteca, "Bibliotime", 3 (2000) 3, <http://www.spbo.unibo.it/bibliotime/num-iii-3/bogliolo.htm>.
[19] E' Giovanni Bechelloni che propone di definire l'attuale società come "società della comunicazione" piuttosto che "dell'informazione"; quest'ultima infatti "sarebbe una risposta debole, sorretta dalla stampella tecnologica, alla crisi della modernizzazione; una risposta al servizio di una forte ragione strumentale incapace, per definizione, di comprendere e gestire la complessità. Mentre la 'società della comunicazione' potrebbe essere una risposta forte, capace di attivare i dispositivi cognitivi e simbolici per comprendere e gestire la complessità" (Giovanni Bechelloni, cit., p. 328).
[20] Malabika Das, Public libraries and community networks: linking futures together?, "Ariadne", 22 (1999), <http://www.ariadne.ac.uk/issue22/das/intro.html>.
«Bibliotime», anno IV, numero 3 (novembre 2001)