«Bibliotime», anno IV, numero 3 (novembre 2001)
Internet no limits? [*]
Il bibliotecario si muove in uno spazio informativo, intermediando fra la domanda informativa degli utenti e l'offerta informativa del docuverso. Le uniche distinzioni rilevanti fra utenti e fra documenti, dal punto di vista professionale, devono limitarsi a questo ambito.
Se non si vogliono legare troppo strettamente le biblioteche al destino del libro a stampa, abbandonando ad altre professioni la gestione documentaria di tutti gli altri media, si dovranno applicare in tutti gli aspetti della vita della biblioteca criteri neutrali rispetto al tipo di supporto in cui di volta in volta si incarnano le informazioni, facendo leva esclusivamente sulle differenze intercorrenti fra le tipologie di informazione cercate e sull'uso che se ne intende fare da parte degli utenti.
Con Internet entra in biblioteca anche una utenza virtuale remota, attraverso le richieste di informazioni via posta elettronica e la consultazione remota dell'OPAC o del sito Web. Alcuni di questi utenti sono remoti solo temporaneamente, altri non metteranno invece mai piede nella nostra biblioteca, ma tutti indistintamente dovranno essere trattati dai bibliotecari con la stessa attenzione abitualmente rivolta agli utenti "in carne ed ossa".
Nella progettazione del Web e dell'OPAC si dovrà fare attenzione a evitare espressioni sibilline per chi non ha consuetudine con i nostri usi, costumi e ambienti, tradurre le informazioni principali anche in inglese e inserire la possibilità di inviare richieste di chiarimento via e-mail. Se, a causa delle richieste di informazioni, l'utenza remota rischiasse di assorbire una troppo consistente quota di tempo dello staff, che inevitabilmente verrà sottratta in un modo o nell'altro all'utenza locale, si dovrà semplicemente equiparare tale problema a quello che probabilmente è già stato affrontato (o comunque avrebbe dovuto esserlo) per l'utenza epistolare (cartacea) e telefonica, individuando un metodo condiviso dall'intero staff per suddividere equanimamente il tempo a disposizione dell'utenza.
Rispetto alle tradizionali richieste di informazioni provenienti da utenti remoti, quelle giunte per posta elettronica hanno alcuni vantaggi: non sono intrusive e pressanti come quelle telefoniche (possono essere evase in un momento di calma senza snobbare l'utente in carne e ossa, si possono più agevolmente smistare ai colleghi più specializzati, possono essere soddisfatte con risposte standard già predisposte, se ne può tenere più facilmente un archivio), nè di difficile interpretazione come spesso quelle cartacee (o meglio, lo sono ugualmente, ma è banale chiedere un immediato chiarimento).
Questi vantaggi sono però tali anche per l'utenza, ed è prevedibile che la maggiore disinvoltura con cui si spedisce un e-mail (magari multiplo) rispetto a quella con cui si invia una lettera o si tenta una telefonata porti in futuro a un notevole incremento di questo genere di richieste. Anche in questo caso la maggiore equanimità (fra utenti che impiegano differenti tecnologie da un lato e fra utenti locali e remoti dall'altro) si ottiene stabilendo in generale quale standard di risposta a richieste remote possiamo permetterci e poi cercando di farlo rispettare rigorosamente da tutto lo staff (quello addetto al reference ma anche quello che intercetta casualmente una telefonata) nei confronti di tutti gli utenti, indipendentemente dalla tecnologia utilizzata per contattarci.
Nell'ambito della parte cartacea del docuverso è ben assodato che l'intermediazione effettuata dal bibliotecario fra utente e docuverso debba costituire una possibilità e non un obbligo per l'utente, che può anche scegliere di rinunciare alla mediazione catalografica, bibliografica e del reference service per avventurarsi "a proprio rischio e pericolo" nei meandri dello "scaffale aperto", seguendo la serendipità di liberi percorsi associativi.
In ambito elettronico invece, a causa delle difficoltà di interrogazione e dei costi legati al tempo d'uso delle banche dati commerciali online, che hanno costituito - insieme all'opac locale - la prima fonte informativa elettronica che si è affacciata in biblioteca, è invalso l'uso di prevedere una intermediazione obbligatoria al momento dell'uso, accompagnando, assistendo e talvolta sostituendo l'utente "alla tastiera".
Tale forma di assistenza obbligatoria è attualmente praticamente scomparsa del tutto per quanto riguarda l'interrogazione dell'opac locale, e permane invece quasi costantemente per quanto riguarda le banche dati online tariffate a tempo. Rispetto a cd-rom e Internet invece c'è nella realtà delle biblioteche italiane una notevole oscillazione, che va dal self-service più estremo (privo talvolta perfino della possibilità di assistenza a richiesta) fino alla riproposizione meccanicamente acritica del modello di mediazione "forte" delle banche dati commerciali.
Bisognerebbe invece sforzarsi di valutare questo genere di scelte non in base al tipo di supporto fisico e neanche in base ai costi delle fonti, ma giudicando come, nella specificità di ciascuna biblioteca e compatibilmente con le risorse disponibili e gli obiettivi generali della biblioteca stessa, può essere reso massimamente efficace l'incontro fra domanda e offerta informativa.
Analoghe considerazioni possono essere fatte per quanto riguarda la tariffazione delle fonti informative elettroniche, che pagano lo scotto di essere comparse in un periodo storico di crescente scarsità di risorse e quindi di essere più facilmente sottoposte a qualche forma di rimborso monetario da parte dell'utenza, facilitato anche dalla semplicità di individuazione dei cosiddetti "costi vivi" costituiti dagli scatti telefonici per le connessioni a Internet o dalla tariffa che a sua volta la biblioteca dovrà corrispondere all'host per la consultazione delle banche dati commerciali online.
Quando, per una determinata biblioteca, diventa indispensabile, per poter continuare ad erogare servizi, recuperare dagli utenti una parte delle spese, non è in realtà stabilito a priori che la conseguente tariffazione debba necessariamente rivolgersi agli ultimi arrivati, ovvero ai media elettronici, i cui "costi vivi" possono forse essere più facilmente calcolabili ma non sono di natura diversa rispetto a quelli sostenuti per mettere a disposizione degli utenti documenti più tradizionali.
Ciascuna biblioteca (o gruppo omogeneo di biblioteche) piuttosto, alla luce dei propri obiettivi istituzionali, dovrà stabilire quali servizi andranno considerati fondamentali (e quindi gratuiti) e quali accessori (e quindi eventualmente tariffabili), cercando di individuare la linea di confine in base alle tipologie di utenti più o meno "bisognosi" e di ricerche più o meno complesse.
Se il numero delle postazioni multimediali offerte al pubblico è troppo esiguo rispetto alla richiesta, occorrerà definire dei criteri di permanenza e alternanza degli utenti al computer e le modalità per farli rispettare. In una public library tali criteri non dovranno mai essere legati alla maggiore o minore "rilevanza culturale" dei documenti da consultare e delle ricerche da effettuare, in quanto ogni necessità o curiosità informativa dei cittadini è ugualmente degna di attenzione. Si potranno però privilegiare, in regime di scarsità di risorse, quelle fonti informative che possono essere utilizzate solo in loco e non altrove (opac locale, cd-rom non prestabili, banche dati ad accesso solo locale, ecc.).
Si raccomanda, nel caso di individuazione di un "tempo massimo" di uso, che tale tempo non sia calcolato a priori, in maniera astratta, ma a posteriori, osservando l'effettivo uso delle postazioni da parte degli utenti e l'eventuale creazione e smaltimento delle code di attesa. Meglio sarebbe individuare piuttosto un "tempo minimo" che l'utente ha diritto ad impiegare come meglio crede, oltrepassato il quale potranno avere la precedenza, in caso di coda, gli utenti che devono consultare fonti informative "privilegiate". Ma, se coda non c'è, non si vede il motivo (specie con le nuove tariffe "fisse" per la connessione telefonica a internet) per interrompere comunque l'uso della postazione.
La dislocazione delle postazioni al pubblico va scelta con cura. Se le postazioni sono troppo isolate si rischiano, da parte degli utenti abbandonati a se stessi, usi impropri, manomissioni, monopolizzazioni e scarsi risultati nella ricerca. D'altronde una collocazione presso la sala di consultazione o altro luogo centrale e ben presidiato rischia, in assenza di personale appositamente dedicato a tale tipo di assistenza, di distogliere lo staff dal proprio usuale lavoro.
Delicata è anche la scelta relativa all'eventuale dotazione di una stampante per ogni (o almeno per alcune) postazioni. In linea di massima sarebbe bene evitare che l'utente debba appuntarsi a mano i risultati - spesso cospicui - delle proprie ricerche, ma d'altronde i costi e i carichi di lavoro per acquisto, manutenzione e consumo (soprattutto se non controllato e soggetto ad abusi) di numerose stampanti sono piuttosto impegnativi. Andrebbe incoraggiato l'uso di floppy (possibilmente venduti vergini in biblioteca, per prevenire reciproci contagi da virus informatici) per memorizzare i dati nell'originario formato elettronico e magari far utilizzare la stampante esclusivamente per output esigui, riservandola alle sole postazioni controllate dallo staff.
Se si accetta che la biblioteca pubblica sia il luogo dell'incontro e della mediazione documentaria fra ogni genere di bisogno informativo di tutte le tipologie di cittadini e la totalità dell'offerta informativa rappresentata dal docuverso (cfr. Manifesto UNESCO per le biblioteche pubbliche [1]), ne discendono in parallelo due corollari: da una parte nessun contenuto informativo deve essere censurato dai bibliotecari; dall'altra non fa parte della mission della public library fornire servizi al cittadino che, per quanto graditi, non si configurino come intermediazione rispetto a una qualche forma di documentazione di tipo "pubblico", ovvero "pubblicato".
Di conseguenza si raccomanda che, nella stesura dei regolamenti per l'uso di Internet da parte del pubblico, si escluda, da una parte la possibilità, da parte dei bibliotecari, di introdurre qualsiasi sorta di filtro che impedisca l'accesso degli utenti all'intera Internet, e dall'altra, la possibilità per gli utenti di utilizzare le postazioni multimediali della biblioteca per usi di Internet di tipo non-documentario (posta elettronica, chat, acquisti online, giochi telematici, iscrizioni agli esami universitari, pubblicazione o scambio di file, ecc.).
E' importante che questa seconda restrizione venga formalizata in un regolamento ampiamente pubblicizzato, in modo che, anche se tali usi verranno tollerati in momenti di scarsa affluenza di pubblico, essi possano essere facilmente interrotti quando un utente necessita della postazione per usi di tipo più tipicamente bibliotecari. Le biblioteche pubbliche maggiormente dotate di computer e di personale potranno anche valutare la possibilità di mettere a disposizione del pubblico una o più postazioni Internet regolamentate diversamente (e magari finanziate con fondi comunali diversi), destinate ad un uso meno strettamente bibliotecario e magari piazzate nell'atrio della biblioteca o addirittura fuori di essa.
Per quanto riguarda invece l'accesso a Internet di ragazzi di età inferiore a 14 anni, l'uso di filtri (comunque tecnicamente di scarsa efficacia) sarà accettabile solo su eventuali postazioni loro riservate e collocate all'interno di una apposita "sezione ragazzi" della biblioteca. Se proprio si ritenesse indispensabile tutelarsi rispetto a eventuali rimostranze dei genitori, si potrebbe prendere in esame l'obbligo di una "liberatoria" in cui il genitore autorizza il figlio ad accedere a tutti i documenti posseduti o resi accessibili dalla biblioteca, sebbene questa misura possa entrare in conflitto con la vocazione "universale" della public library, riducendo di fatto la par condicio fra gli utenti più giovani.
L'alfabetizzazione informatica è all'ordine del giorno per la nostra professione perchè ormai indispensabile in ugual modo a utenti e addetti ai lavori per poter utilizzare le enormi masse di dati in formato elettronico oggi disponibili, ma è anche un obiettivo da raggiungere per tutti, perchè senza di essa non si accede alle reti telematiche, dove si esercitano i diritti e i doveri della cittadinanza del futuro. Ma un livello minimo di conoscenza delle tecniche di utilizzo dei computer e delle reti non basta nè a noi, nè ai nostri utenti, nè più in generale al cittadino. Tale alfabetizzazione, che non deve essere impartita da bibliotecari e documentalisti ma ad altri soggetti (scuola, università, ecc.) è solo una premessa, per quanto indispensabile.
Per poter fruire pienamente dei propri diritti di cittadino dell'odierna società dell'informazione, sempre più innervata dalle reti telematiche, non basta saper smanettare sul computer, non basta poter accedere fisicamente a Internet, proprio così come prima non bastava saper semplicemente leggere e scrivere. Alle reti bisogna accedere consapevolmente, sapendo cioè cosa cerchiamo, come cercarlo, come valutarlo e come utilizzarlo. Le reti sono, dal punto di vista logico, un puro spazio informativo, che rende prioritario per chi vuole abitarlo, al di là di una banale alfabetizzazione informatica, impossessarsi quanto prima di una alfabetizzazione informativa, erede della più ristretta alfabetizzazione bibliografica, a sua volta nata come estensione del concetto di istruzione all'uso della biblioteca, intesa come "macchina informativa" complessiva; tutti concetti - questi sì - di nostra competenza e nel cui insegnamento saremo sempre più coinvolti.
Alla base della alfabetizzazione informativa c'è comunque prima di tutto e al di là delle varie definizioni la stessa idea che fondava l'alfabetizzazione bibliografica, ovvero sapere che per trovare delle informazioni occorre che qualcuno le abbia prima ordinate in qualche modo e che conoscere tale logica è fondamentale anche per chi poi dovrà ricercarle. Il passo successivo è iniziare ad esplorare almeno i principali metodi utilizzati a questo fine, senza illudersi che la mera potenza di calcolo dei cosiddetti motori di ricerca o dei futuri marchingegni informatici che li sostituiranno possa esimerci dall'affrontare faticosamente in proprio tale compito.
Ogni giorno giovani che sono passati intatti da anni di scuola senza essere mai stati sfiorati, se non marginalmente, dal problema della differenza fra un ordinamento alfabetico e uno sistematico, lo affrontano, magari inconsapevolmente e grossolanamente, interrogando Yahoo o Altavista. Non dobbiamo perdere questa occasione per eccesso di paternalismo (perdendo tempo a spiegare come si formatta un floppy o si impugna il mouse) o per difetto di apertura mentale (snobbando Internet e la multimedialità come una moda effimera), ma si dovrà invece a tutti costi approfittare di questo momento di curiosità per ciò di cui da sempre (sotto forme appena diverse) le biblioteche si occupano per fornire una istruzione che potrà poi essere spesa anche sui più tradizionali strumenti cartacei.
Quindi, l'istruzione che le biblioteche pubbliche dovranno impartire ai propri utenti sarà informativa e non informatica. Pochi cenni di informatica saranno talvolta indispensabili, ma se ne dovrà sempre rammentare il carattere propedeutico. Tale istruzione dovrà essere affidata, in quanto momento centrale del rapporto con l'utenza, a bibliotecari scelti fra i più professionalmente preparati, non solo sul fronte multimediale ma anche su quello della conoscenza dela collezione "tradizionale" della biblioteca e dei suoi strumenti di reference. Grave errore sarebbe affidare solo a giovani e precari obiettori scarsamente integrati nella biblioteca questo compito, solo perchè magari sanno "smanettare" sui computer più del personale stabile.
L'alfabetizzazione informatica degli utenti non è un compito specifico delle biblioteche pubbliche, specie se piccole, dotate di scarse risorse economiche e umane e quindi già in difficoltà nell'espletare le loro funzioni più proprie. Se, però, esistono risorse supplementari per oltrepassare i limiti dei servizi strettamente bibliotecari, allora si potrà ipotizzare (meglio se in stretta collaborazione e con forme di condivisione delle risorse con scuole, università, associazioni culturali, ecc.) un ruolo attivo delle biblioteche più sviluppate anche sul fronte della l'alfabetizzazione informatica, oltre che su quello, che gli è connaturato, della alfabetizzazione informativa.
Strettamente collegato all'organizzazione di momenti formativi di questo tipo in biblioteca sarà la predisposizione di postazioni (o addirittura salette riservate) messe a disposizione del pubblico (con la relativa assistenza tecnica) in determinati orari (prenotabili) e con la possibilità di mantenere in memoria quanto prodotto o recuperato dagli utenti stessi, per fornire tutta quella gamma di servizi di tipo mediatico, culturale, educativo e comunicativo che non fanno parte delle funzioni tipiche della biblioteca ma che sempre più spesso appaiono naturalmente contigui ad essi, come ad esempio la posta elettronica, le chat, gli acquisti online, i giochi telematici, le iscrizioni agli esami universitari, la pubblicazione o lo scambio di file, l'elaborazione della tesi di laurea e di altri documenti, la teledidattica, l'autoistruzione, ecc.
Riccardo Ridi - Università degli studi di Venezia, e-mail: ridi@aib.it
Note
[1] Manifesto Unesco per le biblioteche pubbliche, traduzione di Maria Teresa Natale, "AIB notizie", 7 (1995), n. 5, p. 12, oppure <http://www.aib.it/aib/commiss/unesco.htm> (Public library manifesto, "IFLA journal", 21 (1995), n. 1, p. 66-67, oppure <http://www.unesco.org/webworld/libmanif/libraman.htm>).
«Bibliotime», anno IV, numero 3 (novembre 2001)