La Riforma del MIBACT e il Decreto Cultura: alcune considerazioni sugli effetti diretti ed indiretti dei provvedimenti sugli istituti culturali in generale e sulle biblioteche in particolare
This essays meant to discuss the risks to Libraries and Culture posed by the D.P.C.M. 171/2014, the reform Act of the Italian MiBACT (Ministry of Cultural Heritage and Activities and Tourism). The paper concerns the effects that the Reform has on the Italian System of Governance of Culture, especially on Libraries and Integrated Cultural Networks. The essay closes with analyzing the regulatory compliance with the Constitution of the Italian Republic.
La recente pubblicazione del nuovo regolamento [1] che disciplina l'organizzazione funzionale del Ministero per i Beni Ambientali, Culturali e per il Turismo e delle sue articolazioni periferiche ha suscitato, come era lecito attendersi, diverse prese di posizione: le preoccupazioni, quando non le aperte critiche, sembrano prevalere sui commenti positivi, a differenza di quanto successo con il così detto Decreto Cultura [2], capace di raccogliere parziali consensi soprattutto per l'introduzione del credito d'imposta per le erogazioni liberali a sostegno della cultura (Art Bonus) [3].
La riforma del MiBACT, introdotta dal regolamento di cui al D.P.C.M. n. 171/2014, si prefigge di ridisegnare il corpo del ministero, comprese le sue articolazioni periferiche, sulla base di due classi vincolanti di istanze: quelle imposte dalla Spending Review circa il contenimento della spesa, e quelle della costituzione di sistemi integrati territoriali [4], teoricamente in grado di coniugare la maggiore efficacia dell'offerta con un contenimento della spesa, anche attraverso l'unificazione di centri di costo. Le obiezioni e i dubbi principali di carattere generale fino ad ora emersi nei commenti riguardano [5]:
a- In primo luogo l'aumento delle Direzioni Generali del MiBACT, che passano da otto a dodici [6], con un notevole appesantimento della struttura centrale del Ministero. Ancora meno accettati sono i provvedimenti che prevedono la soppressione tramite accorpamento di molte Soprintendenze archivistiche e il declassamento di istituti già dotati di autonomia dirigenziale. Non risultano chiari neppure i criteri che hanno portato a trasferire dal Segretariato Generale in nuove apposite Direzioni Generali le funzioni di organizzazione e bilancio, mentre la costituzione di una Direzione Generale specifica per la formazione ha senso solo nel caso in cui ciò faciliti anche lo sviluppo di competenze laterali comuni alle professionalità tecnico scientifiche dei Beni Culturali.
b- In secondo luogo è maldigerito il ruolo delle Direzioni Regionali, ritenute da Settis un inutile filtro burocratico [7], che vengono conservate come Segretariati Regionali dove ricollocare i funzionari di II fascia in uscita dalle strutture soppresse o declassate.
c- In terzo luogo, si rileva come la questione della dotazione di personale tecnico scientifico non venga affrontata, mancando ad oggi una politica di assunzioni anche solo a parziale compensazione dei pensionamenti [8]: tutto ciò non pregiudica solo il futuro dei luoghi della cultura, ma già adesso produce una marginalizzazione delle professioni tecnico scientifiche presenti, proporzionale al ridursi della consistenza numerica delle stesse. Ad ulteriore conferma di ciò il Consiglio Superiore e i Comitati Scientifici registrano la presenza di soli accademici, evidenziando ancora una volta un sostanziale disconoscimento dello spessore scientifico delle professioni attive nei luoghi della cultura.
d- In quarto luogo, a meno che l'Art Bonus non sortisca in tempi rapidi effetti tanto portentosi quanto poco probabili, la carenza ormai endemica di fondi incide direttamente su tutto il processo di gestione dei beni culturali, sia per quanto concerne la tutela che per quanto riguarda la valorizzazione.
e- In quinto luogo, da più parti si teme che la riforma intenda favorire i ruoli manageriali, o comunque di tipo economico-finanziario, rispetto alle professioni culturali tradizionali, che si percepiscono come svilite e marginalizzate. Tale timore non è del tutto infondato: istituti ed enti culturali sono indubbiamente caratterizzate da un altissima densità di conoscenza, cosa che le avvicina sotto questo profilo al così detto terziario avanzato [9], anche in virtù della sempre maggiore integrazione con l'Information Technology [10]. Tali organizzazioni, a parità di addetti, per know how e processi risultano particolarmente complesse, rispetto ad aziende di produzione (rapporto di cento da uno) e di servizio (rapporto di dieci ad uno). Tale complessità richiede un attento bilanciamento delle competenze tra quelle di tipo tecnico- scientifico e quelle di tipo amministrativo e gestionale: il punto di equilibrio tra know how tecnico-scientifico e amministrativo-gestionale identifica il know how manageriale delle organizzazioni della conoscenza. Dato che nella pratica ogni equilibrio trova se stesso attraverso la definizione dei rapporti di forza tra gli elementi che concorrono a comporlo, risulta evidente come, in una fase in cui il contenimento della spesa rappresenta il tema principale nell'azione di Governance della Pubblica Amministrazione, l'elemento amministrativo e gestionale rischi effettivamente di avere un peso preponderante rispetto a quello incarnato dalle professioni culturali tecnico scientifiche. Quanto più il punto di equilibrio risulti distante dal "core business" originario dell'organizzazione stessa, tanto più forte sarà la tendenza a cambiare quest'ultimo spostandolo in prossimità del punto di equilibrio stesso [11].
Il MiBACT [12] peraltro si caratterizza come un organismo statale decisamente complesso: ad esso sono ascritti in via principale i compiti di tutela, così come prescritto dall'art. 4 del Codice dei Beni Culturali [13], mentre le competenze in materia di valorizzazione (art. 7 del Codice) sono ascritte in via principale alle regioni, in regime di legislazione concorrente col Ministero e in coordinamento con gli altri Enti Locali [14].
Inoltre il MiBACT gestisce direttamente una cospicua parte dei Beni Culturali italiani, sia sotto il profilo della tutela che della valorizzazione. Le attività di tutela e valorizzazione dei Beni Culturali e la loro conseguente fruibilità hanno ovviamente ricadute rilevantissime, non solo su filiere di sviluppo economico, come quella del turismo o di alcune industrie creative, ma anche su motori di sviluppo sociale, dal welfare alla sanità, passando per la formazione e l'intrattenimento.
La riforma, come indicato dalla nota dell'AIB del 25 novembre 2014 [15], sembra penalizzare soprattutto le biblioteche, in primo luogo per ciò che riguarda la riduzione dei dirigenti di seconda fascia; in secondo luogo, il fatto che il taglio di undici dirigenti su venti per le biblioteche coincida con un aumento del numero dei dirigenti dei musei, delinea, secondo l'AIB, "un assetto gestionale in cui le biblioteche potrebbero trovarsi, per motivazioni storiche ma anche socio-culturali, malamente inserite in un sistema in cui i musei, o i poli museali, assumono la funzione di struttura di riferimento per tutti gli istituti culturali".
Tale assetto andrebbe pertanto a collidere con quanto previsto dal D.P.R. n. 3 del 1972 [16] e dall'art 47 del D.P.R. n. 616/1977 [17], che hanno assegnato le competenze delle vecchie Soprintendenze per i Beni Librari alle Regioni a Statuto Ordinario, e alla presenza di Poli Bibliotecari che raccolgono anche biblioteche di enti pubblici, di università e di organizzazioni private, che poco hanno a che spartire con i poli museali. Il timore pertanto è che, oltre alla perdita di autonomia scientifica e gestionale delle statali, le altre biblioteche subiscano, nell'ambito dei poli, il cambio di interlocutore istituzionale, da dirigente bibliotecario a dirigente museale, trovandosi in difficoltà a trattare con professionalità diverse da quella richieste dal proprio contesto operativo.
Ciò non toglie che reti con musei e sistemi museali siano anche auspicabili, ma lo sviluppo di queste deve avvenire attraverso un rapporto paritetico, basato sul mutuo rispetto delle peculiarità e competenze scientifiche di ognuna delle parti [18].
Si potrà obiettare che sotto il profilo formale la riforma riguardi direttamente solo il Ministero e le sue articolazioni periferiche: la norma difatti non è indirizzata alle strutture e agli istituti che fanno capo ad enti locali, alle università o ad organizzazioni private. Tuttavia, è proprio la disposizione di cui all'art. 34 comma 2 lettera b) [19] ad affidare ai dirigenti dei Poli Museali Regionali il ruolo di promotori di reti integrate di musei, comprendenti anche luoghi della cultura di diversa natura e con profili gestionali diversi da quelli statali.
Va dato atto che, in determinati contesti, l'idea di attribuire ai musei o ai poli museali il compito di coordinamento dei luoghi della cultura non rappresenti una trovata estemporanea, ma richiami precise esigenze. Questo è ad esempio il caso della città di Torino, dove il Polo Reale [20], che comprende anche la Biblioteca Reale, rappresenta probabilmente ad oggi il punto di riferimento italiano principale per la creazione di reti integrate tra diversi istituti culturali statali [21]; tanto più che il medesimo territorio ospita un'altra importante rete, formalizzata nella Fondazione Torino Musei [22], che raccoglie però quattro istituti di competenza comunale.
Pertanto l'intento della norma in questione sembrerebbe essere, oltre il consueto contenimento delle spese previsto dalla Spending Review, forse proprio quello di facilitare la costituzione di reti integrate, magari nella prospettiva dei Distretti Culturali Evoluti [23], attribuendo a priori un ruolo preminente all'istituzione museale forse perché ritenuta, rispetto ad archivi e biblioteche, maggiormente vocata al turismo.
Si rileva però come l'art 34 del D.P.C.M. 171/2014 sia troppo vago, perché, pur avendo individuato un soggetto promotore, trascura di disciplinarne gli attributi e i limiti [24]: di qui le contraddizioni e le illogicità, segnalate dall'AIB e da altre associazioni [25], per quanto concerne i rapporti con le reti bibliotecarie e la competenza delle regioni in tema di biblioteche, tutte riserve che potranno essere sciolte o confermate solo dopo l'emanazione dei decreti attuativi. Inoltre il fatto che la norma individui aprioristicamente il soggetto promotore senza prevedere l'incidenza, spesso fondamentale dei fattori ambientali e territoriali locali, rischia di ingabbiare le potenziali reti in modelli di Governance preconfezionati e di fatto poco integranti [26].
A complicare ulteriormente le cose si aggiunge anche la Legge Delrio [27], il provvedimento che ha trasformato le attuali province da enti esponenziali ad enti amministrativi di secondo livello: a differenza delle vecchie province, città metropolitane e nuove province non hanno tra le funzioni fondamentali quelle relative alla cultura e ai beni culturali. Comuni e Regioni possono facoltativamente trasferire ad esse tali competenze, cosa peraltro caldeggiata in una nota comune da ANCI e UPI [28].
La flessibilità statutaria riconosciuta alle nuove province, in quanto enti di area vasta, permette di svolgere le funzioni relative a cultura e beni culturali non solo facoltativamente, ma con modelli e processi che possono variare da un territorio ad un altro. Pertanto, all'incertezza che emerge dalla riforma ministeriale, si somma quella che scaturisce dalla riforma delle Province: il rischio dunque è che, ad un quadro normativo così lacunoso e contraddittorio, si aggiunga una liquefazione o una paralisi di reti e sistemi culturali integrati già operativi a cui sia venuto a mancare un sicuro riferimento istituzionale.
Le biblioteche rappresentano nell'ambito dei Beni Culturali un presidio di confine: biblioteche pubbliche e biblioteche scientifiche esistono non solo come luoghi della memoria e della conoscenza, ma anche come infrastrutture culturali in grado di disseminare significati e di mettere in contatto questi con la domanda del pubblico: cosa che ormai deve avvenire a prescindere dal tipo di vettore comunicativo su cui il significato stesso viaggia [29].
Pertanto, specialmente laddove la funzione di conservazione non sia prevalente, risulta evidente come la natura dei servizi bibliotecari, a differenza di altre tipologie di Beni Culturali, si caratterizzi per una forte prossimità alle filiere dell'istruzione, della formazione, della ricerca, del welfare o del tempo libero.
Lo stesso legislatore, nell'estensione del Codice, si è mostrato parzialmente consapevole di tale caratteristica, tant'è che nella disposizione di cui all'art. 10 comma 2 lettera c) del Codice stesso afferma che non tutti i beni librari sempre possano essere considerati beni culturali [30]: ciò naturalmente non significa che le biblioteche debbano essere considerate solo parzialmente luoghi della cultura, ma che la valenza culturale che le contraddistingue è sicuramente legata all'immaterialità del contenuto di un'opera e solo a seconda dei casi al relativo supporto, il cui valore dipende in realtà da fattori qualitativi, quantitativi e di reperibilità [31].
Se a tale rilievo, metodologicamente corretto, si aggiungono altri provvedimenti normativi, non ultimo il D.P.C.M. n. 171/ 2014, che riorganizza per la sesta volta in pochi anni il MiBACT, ci si può rendere conto di come il legislatore abbia oggettive difficoltà a concepire le biblioteche in modo diverso da luoghi dove semplicemente si conservano e si prestano i Beni Librari.
La legislazione italiana pertanto ignora due attributi professionali fondamentali delle biblioteche, ovvero il reference e l' information literacy. Ciò si traduce in una costante sottovalutazione dell'apporto che biblioteche e bibliotecari possono mettere in campo per accrescere il capitale sociale di un territorio, grazie all'interazione costante tra informazione e relazione.
Tale misconoscimento non consente al legislatore di individuare nella biblioteca una cinghia di trasmissione di significati e di valori sociali e scientifici in grado di attivare complessi eterogenei di benefici sul territorio di riferimento, realizzando pertanto uno svantaggio competitivo rispetto a quei paesi, specie anglosassoni, dove public libraries e bibliotecari stanno assumendo un ruolo importante finanche per lo sviluppo di pratiche innovative di lavoro, come ad esempio il coworking [32].
Il fatto, già ricordato, che il provvedimento di riorganizzazione in oggetto abbia come destinatari il Ministero e le sue articolazioni periferiche, ovvero, per quanto riguarda il mondo delle biblioteche, le due Nazionali Centrali, le quarantasei statali, l'ICCU e il Centro per il Libro, spiega in parte il mancato recepimento delle istanze sin qui segnalate, poiché l'associazione tra biblioteche statali e conservazione è per il legislatore assai forte, probabilmente più forte di quanto avvenga per la maggior parte delle biblioteche pubbliche di ente locale o di ente di formazione: non a caso il già citato comunicato AIB rivendica la vitalità delle biblioteche statali, dove rigore scientifico, reference ed information literacy costituiscono l'asse di trazione del servizio offerto al pubblico.
Il timore che nella cornice della riforma le politiche culturali assumano una funzione ancillare rispetto al turismo, con il rischio di un ulteriore ridimensionamento del ruolo e delle risorse delle biblioteche italiane, è la considerazione finale della già citata nota AIB [33]: difatti se per i musei quello dei turisti rappresenta indubbiamente un target importante, i diversi pubblici a cui biblioteche pubbliche, private o di università si rivolgono, raramente possono essere definiti come tali.
La questione dell'integrazione tra turismo e cultura [34], per quanto auspicabile, non può rappresentare l'asse principale di sviluppo delle politiche culturali: in primo luogo perché il D.L. Franceschini, e conseguentemente anche il D.P.C.M. 71/2014, non paiono tenere in debito conto che la cultura in linea di massima è un asse trasversale [35], in grado di operare sia sui motori di sviluppo economico, come il turismo (o come l'industria creativa), sia sui motori di sviluppo sociale, come il welfare e la sanità: i primi servono ad incrementare il reddito, i secondi incrementano il benessere.
Ne consegue che se vogliamo che la cultura sia effettivamente un asse trasversale di sviluppo efficace, essa deve essere messa in grado di fare sistema con entrambe le tipologie di motori. L'asse privilegiato col solo turismo può creare benefici a chi eroga l'offerta, come tour operators, attività ricettive, attività di intrattenimento e a chi ne è il destinatario, ovvero in genere il turista.
Si potrà obiettare, non a torto, che festival, concerti, rassegne e mostre locali vanno a vantaggio non solo di chi pratica turismo, ma anche di chi risiede abitualmente nel territorio dove questi vengono erogati: tuttavia, se la vocazione turistica di un territorio diventa un fattore discriminante per l'assegnazione di risorse economiche alle politiche culturali locali, risulta evidente come i luoghi del patrimonio diffuso, quindi privi di potenti attrattori culturali ed ambientali, rischino di dover tirare avanti con risorse sempre più scarne.
Ciò significherebbe che i cittadini dei territori meno turistici potrebbero subire una costante erosione, qualitativa e quantitativa, dei servizi culturali offerti. Va segnalato come, anche nell'ambito del marketing territoriale per i Beni Culturali, il fattore esperienziale richieda per lo sviluppo della domanda esterna, quindi anche turistica, come prerequisito lo sviluppo di quella interna. In altri termini si considera come più efficace l'offerta turistica che vede una partecipazione consapevole e relazionale di gran parte della popolazione residente e non solo quella degli stakeholders più coinvolti [36].
Le biblioteche, in particolare quelle pubbliche non di conservazione, si possono trovare pertanto nella condizione di affrontare una grande minaccia: sebbene esse svolgano, o possano svolgere, funzioni di sviluppo culturale, formativo, occupazionale e di welfare, i destinatari a cui esse si rivolgono sono cittadini [37] e non turisti: se il ruolo di destinatari principali dell'offerta culturale dei primi si affievolisce a vantaggio dei secondi, unitamente alla già ricordata non sovrapponibilità assoluta tra Beni Librari e Beni Culturali, risulta evidente come le prospettive di marginalizzazione e di subordinazione ad altri istituti delle biblioteche stesse diventino ancora più concrete, anche fuori dal recinto degli istituti gestiti direttamente dal MiBACT.
Alla cronica carenza di risorse che Stato ed Enti Locali possono e vogliono in questa fase destinare agli istituti culturali e alle biblioteche in particolare, corrisponde oggi l'assenza di una politica di redistribuzione, almeno parziale, degli introiti derivanti dalle attività turistiche (da ritenute fiscali sulle attività dell'indotto turistico, ad esempio) in favore degli istituti e degli enti culturali stessi, sebbene l'integrazione con la filiera turistica sia un'esplicita indicazione del legislatore.
Ne consegue che agli investimenti in campo culturale che avvantaggiano il turismo non corrisponda un rientro, per quanto parziale, da reinvestire in servizi culturali per la collettività: pertanto ciò significa che all'insieme dei cittadini di fatto vengono sottratte parte delle risorse necessarie a costruire l'offerta culturale ad essi destinata per favorire solo una parte di essi, guarda caso chi materialmente eroga l'offerta turistica e chi consuma.
Diventa pertanto evidente come il presupposto ideologico della norma in questione definisca, di fatto, il concetto di cittadinanza non più esclusivamente attraverso il riconoscimento e l'esercizio di diritti e doveri di fronte allo Stato, ma anche alla luce del rapporto tra la capacità di produrre e quella di consumare.
Sotto il profilo giuridico queste ultime considerazioni introducono, rispetto alle valutazioni dell'AIB, un nuovo tema, ovvero quello della coerenza dell'impianto della riforma con i principi costituzionali che sottendono il rapporto tra cultura e cittadinanza. Il fatto che l'art. 9 della Costituzione della Repubblica promuova "lo sviluppo della cultura, e la ricerca scientifica e tecnica", e che l'art. 3 si impegni "a rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana", indica indubitabilmente che lo sviluppo della cultura e lo sviluppo della persona umana sono principi tra loro sussidiari e che pertanto lo Stato sia tenuto a garantire e a tutelare l'accesso alla cultura a tutti i suoi cittadini [38].
Dato che i principi fondamentali della Costituzione Italiana hanno natura programmatica quanto precettiva, ne consegue che l'integrazione tra turismo e cultura può e deve realizzarsi solo se questa non va a costituire un ostacolo allo sviluppo della cultura stessa da un lato e al pieno sviluppo della persona dall'altro. La fruizione dei beni culturali è regolamentata dagli art. 102 e ss. del D.L. del 22 Gennaio 2004 n. 42. Pertanto qualora l'attuazione delle norme introdotte dal D.L. Franceschini si risolvessero in atti difformi dal dettato costituzionale, questi potrebbero venire impugnati davanti alla magistratura anche da enti esponenziali pubblici o privati in grado di rivendicare la tutela di interessi collettivi, eccependo la costituzionalità dell'atto.
Giannandrea Eroli, Jesi, e-mail: giannandrea.e@gmail.com
[1] D.P.C.M. 29 agosto 2014, n. 171.
[2] D.L. 31 maggio 2014, n. 83, convertito in L. 29 luglio 2014, n. 106; tale provvedimento e il già citato D.P.C.M. n. 171/2014 si ispirano in buona parte al lavoro esposto nella Relazione Finale del 31 ottobre 2013 della Commissione per il rilancio dei Beni Culturali e del Turismo e per la Riforma del Ministero in base alla disciplina per la revisione della spesa istituita dal predecessore del Ministro Franceschini, il Ministro Bray. Tra le voci critiche sul Decreto Cultura si ricordano: Salvatore Settis, Se la riforma delle Soprintendenze crea burocrazia e disfunzioni ", "La Repubblica", 17 ottobre 2014, e La riforma Franceschini e lo sblocca Italia , Associazione Ranuccio Bianchi Bandinelli, 23 settembre 2014.
[3] Art. 1 e Art. 2 del D.L. 31 maggio 2014, n. 83, convertito in L. 29 luglio 2014, n. 106. È indubbio che la detrazione fiscale per credito d'imposta per le erogazioni liberali in favore della cultura rappresenti per questo paese una novità, in linea di principio positiva. Tuttavia occorre segnalare come da più parti si siano evidenziate alcune criticità nel provvedimento: come da Confcultura, circa la reale convenienza dell'Art Bonus per imprese e persone fisiche (tra gli altri: Antonello Cerchi, L'Art Bonus, quello sconto piccolo piccolo , apparso sul Sole 24; Simone Sassu, Art Bonus: le critiche dal Presidente di Confcultura, "Quotidiano Arte.it". Oppure sull'esclusione di alcuni importanti teatri autonomi dai benefici del provvedimento (cfr. tra gli altri: Federculture: l'Art Bonus alle Fondazioni Liriche non premia le realtà virtuose , e Anna Bandettini, Art Bonus, poco "bonus" per il teatro, "La Repubblica", 17 dicembre 2014). Ciò nonostante alcuni importanti risultati si stanno raccogliendo: Unicredit ad esempio finanzierà attraverso l'Art Bonus il restauro dell'Arena di Verona , mentre il primo ente pubblico italiano ad ottenere un'erogazione liberale grazie alla nuova disciplina è stato il Comune di Jesi, che ha avviato il restauro della deposizione di Lorenzo Lotto grazie al contributo di Caterpillar (Ansa). Per una trattazione dal punto di vista fiscale dell'argomento si segnala Antonella Donati, Art Bonus, Turismo e Agricoltura, Rimini, Maggioli, 2014.
[4] Tali istanze si possono desumere dalle disposizioni del regolamento: per ciò che riguarda il contenimento della spesa mancano riferimenti e motivazioni sui criteri di riduzione dei centri di costo, mentre l'intento di creare sistemi integrati si desume proprio dalla centralità che il provvedimento riconosce ai Poli Museali (Art. 34).
[5] I dubbi e le critiche avanzate nei confronti del D.P.C.M. 171/2014 sono numerosi quanto eterogenei: i cinque punti esposti di carattere generale prendono in buona parte spunto dai rilievi, ben dieci, mossi nell'articolo di Edek Osser, Paura di cambiare: caro ministro ascoltaci, "Giornale dell'Arte", novembre 2014, n. 357, da un consistente gruppo di professionisti. Tra chi ha avanzato critiche e dubbi occorre segnalare quanto pubblicato dall'Associazione Ranuccio Bianchi Bandinelli: in primo luogo "Caro signor Ministro…" Dieci domande a Dario Franceschini sulla riforma del MiBACT , Associazione Ranuccio Bianchi Bandinelli, 8 dicembre 2014, a cui il Ministro ha replicato a stretto giro, replica pubblicata dall'Associazione il 13 dicembre 2014 Il Ministro Franceschini risponde alle dieci domande sulla riforma del MiBACT . L'Associazione ha poi pubblicato una contro-replica il 17 dicembre Caro Ministro, grazie, ma le sue risposte non convincono (di ABB) . Includendo anche il Decreto Cultura, risultano particolarmente incisivi gli interventi di Salvatore Settis e ancora una volta dell'Associazione Ranuccio Bianchi Bandinelli, rispettivamente: Se la riforma delle Soprintendenze crea burocrazia e disfunsioni , e La riforma Franceschini e lo sblocca Italia .
[6] Le Direzioni Generali antecedenti il D.P.C.M. n. 71/2014 erano: per il Paesaggio, le Belle Arti, l'Architettura e l'Arte Contemporanea; per le Antichità; per le Biblioteche, gli Istituti Culturali e il Diritto d'Autore; per gli Archivi; per il Cinema; per lo Spettacolo dal vivo; per l'Organizzazione, gli Affari generali, l'Innovazione, il Bilancio e il Personale; per la Valorizzazione del Patrimonio Culturale.
[7] Salvatore Settis, cit.
[8] L'Art. 8 del Decreto Cultura (D.L. 83/2014) intende favorire "… l'occupazione presso gli istituti e i luoghi della cultura di appartenenza pubblica" attraverso rapporti di lavoro a tempo determinato, accessibili a professionisti al massimo quarantenni, individuati attraverso apposita procedura selettiva. Inoltre, secondo quanto confermato dal Ministro Franceschini a fronte delle obbiezioni dell'Associazione Ranuccio Bianchi Bandinelli, l'utilizzo di duemila giovani del Servizio Civile Nazionale e dei mille giovani tirocinanti del Fondo "1000 giovani per la cultura" rappresenterebbe una tipologia di "… iniziative tese a formare e potenziare professionalità, in attesa di nuovi concorsi pubblici per selezionare i più capaci e meritevoli." La "lodevole" intenzione di cui al sopracitato art 8 del D.L. Cultura pertanto non trova al momento altra conferma, mentre i tipi di rapporto prefigurati dal provvedimento, tutti a tempo determinato, unitamente alla discriminante dei requisiti anagrafici, fanno rilevare uno slittamento dei processi di assunzione verso concezioni di tipo privatistico fondate sulla precarizzazione, la cui compatibilità giuridica con il settore pubblico non è per nulla scontata. Tale slittamento è ancor più confermato a fronte di un sempre più largo utilizzo di volontari o tirocinanti in attesa di futuri concorsi pubblici.
[9] L'introduzione nella tassonomia aziendale per settori del terzo settore avanzato o del settore quaternario si è resa necessaria a causa dell'affermarsi delle aziende dell'ITC e dei nuovi media, organizzazioni che per l'appunto richiedevano (e richiedono tuttora) una densità di conoscenza superiore ai settori tradizionali. Dato che tale densità era riscontrabile anche fuori dall'ITC e dai nuovi media, si attribuiscono al terziario avanzato tutte le tipologie di attività knowledge based, come la consulenza, la formazione, la ricerca e non ultime anche la Pubblica Amministrazione, la cultura e le arti. In merito si veda Paolo Ricci, Introduzione all'Economia Aziendale, Milano, Giuffré, 2007, p. 22; Charles Leadbeater, Vivere d'aria, Roma, Fazi Editore, 2000, p. 228 e ss.; Manuale di economia e gestione aziendale, a cura di Gianfranco Balestri, Milano, Hoepli, 2005, p. 3; Britt Marie Ahrnell - Monica Nicou, Il marketing dell'azienda di know how. Come sviluppare fiducia, rapporti e competenza, 2. ed., Milano, Franco Angeli, 1999.
[10] Sulla convergenza tecnologica nei Beni culturali v. Luciana Lazzaretti,La città d'arte come unità di analisi per lo strategic management. Dal governo della complessità al governo nell'evoluzione, in Rivista Geografica Italiana, anno 1997, volume 104, fascicolo 4 p. 673.
[11] Come si vedrà più avanti, tale dinamica è già in essere: l'unica contromisura possibile per le professioni culturali tecniche e scientifiche è quella di sviluppare competenze laterali di tipo economico-gestionale al fine di occupare i vuoti di competenze che le riforme tendono a creare. In questo modo forse si potrà mantenere il baricentro delle organizzazioni culturali sui servizi verso la collettività dei cittadini.
[12] Com'è noto, il primo Ministero per i Beni Culturali ed Ambientali nacque nel 1974 durante il IV Governo Moro: scorporato dal Ministero della Pubblica Istruzione ebbe come primo Ministro Giovanni Spadolini. In realtà le premesse istituzionali alla creazione di questo nuovo dicastero erano contenute già dal 1964 nelle Dichiarazioni di Principio e nelle Raccomandazioni che concludevano il lavoro della Commissione Franceschini sulla consistenza, lo stato di salute, la tutela e la valorizzazione del patrimonio culturale. Nel 1998 venne istituito il Ministero per i Beni e le Attività Culturali, che, oltre a svolgere tutte le funzioni del precedente dicastero, aveva competenza anche in materia di spettacolo e sport. Al secondo Governo Prodi (2006) si deve il primo accostamento tra l'allora Ministero per i Beni e le Attività culturali al Turismo: il Dipartimento per lo sviluppo e la competitività del turismo era un organismo dipendente dalla Presidenza del Consiglio dei ministri, ma era affidato al vice Premier nonché Ministro per i beni e le attività culturali di allora, Francesco Rutelli. Lo sport viceversa veniva sottratto dalle competenze del MiBAC per essere assegnato al nuovo Dipartimento per le attività giovanili e lo sport, anche questo dipendente dalla Presidenza del Consiglio. Con il Governo Monti (2011), questi due dipartimenti confluirono nel Dipartimento per gli affari regionali, il turismo e lo sport: solo nel 2013, con il Governo Letta, furono definitivamente affidate al ministero anche le competenze sul turismo, cosa che portò con sé anche l'attuale denominazione del dicastero.
[13] L'art. 4, "Funzioni dello Stato in materia di tutela del patrimonio culturale" del D.L. 22 gennaio 2004, n. 42 recita:
"1. Al fine di garantire l'esercizio unitario delle funzioni di tutela, ai sensi dell'articolo 118 della Costituzione, le funzioni stesse sono attribuite
al Ministero per i beni e le attività culturali, di seguito denominato «Ministero», che le esercita direttamente o ne può conferire l'esercizio alle
regioni, tramite forme di intesa e coordinamento ai sensi dell'articolo 5, commi 3 e 4. Sono fatte salve le funzioni già conferite alle regioni ai sensi
dei commi 2 e 6 dell'articolo 5 medesimo. 2. Il Ministero esercita le funzioni di tutela sui beni culturali di appartenenza statale anche se in consegna o
in uso ad amministrazioni o soggetti diversi dal Ministero".
[14] Art. 7, "Funzioni e compiti in materia di valorizzazione del patrimonio culturale", commi 1 e 2 del D.L. 42/2004: "1. Il presente codice fissa i principi fondamentali in materia di valorizzazione del patrimonio culturale. Nel rispetto di tali principi le regioni esercitano la propria potestà legislativa. 2. Il Ministero, le regioni e gli altri enti pubblici territoriali perseguono il coordinamento, l'armonizzazione e l'integrazione delle attività di valorizzazione dei beni pubblici."
[15] Comunicato AIB a firma della Presidente Enrica Manenti del 25/11/2014: Riforma MiBACT: confermato il ruolo di cenerentole delle biblioteche italiane . La posizione espressa dall'AIB nel comunicato di cui sopra non nasce da un semplice approccio critico alla riorganizzazione del Ministero, ma ha le sue radici profonde in una recente proposta (2013) che l'Associazione aveva avanzato al predecessore del Ministro Franceschini, ovvero il Ministro Bray. Tale proposta si inseriva in quel contesto di studio sulla riorganizzazione dell'Ente Ministeriale stesso e dei Beni Culturali in generale portato avanti dalla Commissione per il rilancio dei Beni Culturali e del Turismo e per la Riforma del Ministero in base alla disciplina per la revisione della spesa (di cui si è già parlato alla nota 2), e prevedeva tra le altre cose l'unificazione delle due Biblioteche Nazionali di Firenze e Roma attraverso l'istituzione della Biblioteca Nazionale d'Italia.
[16] Artt. 7 – 10 del D.P.R. 14 gennaio 1972, n. 3.
[17] L'art. 47 comma 2 del D.P.R. n. 616/1977 così recita: "Sono comprese tra le funzioni trasferite alle regioni le funzioni esercitate da organi centrali e periferici dello Stato in ordine alle biblioteche popolari, alle biblioteche del contadino nelle zone di riforma, ai centri bibliotecari di educazione permanente nonché i compiti esercitati dal servizio nazionale di lettura. Il personale ed i beni in dotazione di tali servizi ed uffici sono trasferiti ai comuni secondo le modalità previste dalla legge regionale."
[18] Cosa che per altro è alla base del protocollo MAB, per ora l'unico progetto su scala nazionale che ha l'ambizione di creare coordinamenti locali stabili tra musei, archivi e biblioteche. Per quanto riguarda il ruolo delle biblioteche pubbliche si rimanda a Anna Galluzzi , Biblioteche pubbliche tra crisi del welfare e beni comuni della conoscenza. Rischi e opportunità , Bibliotime, 14 (2011), 3.
[19] L'Art 34, comma 2, lettera b) del D.P.C.M. 171/ 2014 afferma che il direttore del Polo Museale Regionale "promuove la costituzione di un sistema museale regionale integrato, favorendo la creazione di poli museali comprendenti gli istituti e luoghi della cultura statali e quelli delle amministrazioni pubbliche presenti nel territorio di competenza, nonché di altri soggetti pubblici e privati".
[20] Il Polo Reale di Torino comprende il Palazzo Reale, i Giardini Reali, la Biblioteca Reale, l'Armeria Reale, la Galleria Sabauda e il Museo Archeologico. Progettato sin dal 2004, il Polo Reale è stato completato il 4 dicembre 2014 con l'inaugurazione della nuova Galleria Sabauda. Cfr. Mario Turetta, Il Polo Reale di Torino. L'idea, il progetto, i lavori (2005-2014), Milano, Silvana Editore,2014.
[21] Sulla città di Torino come laboratorio culturale si veda Gran Torino. Eventi, Turismo, Cultura, Economia, a cura di Piervincenzo Bondonio e Chito Guala, Roma, Carocci, 2012.
[22] La Fondazione Torino Musei è nata il 26 luglio 2002, in virtù delle disposizioni di cui all'art. 35 della L. n. 448/2001 che consentivano agli enti locali di costituire fondazioni a cui affidare direttamente servizi culturali. La Fondazione pertanto gestisce il Museo di Palazzo Madama, la Galleria d'Arte Moderna, il Museo di Arti Orientali e il Borgo Medievale.
[23] Sui Distretti Culturali Evoluti v. Organizzare i distretti culturali evoluti, a cura di Alberto Francesconi e Gabriele Ciccarelli, Milano, Franco Angeli, 2013; Alessandro Hinna - Pasquale Seddio, Imprese, risorse e sviluppo: ipotesi di dibattito intorno ai distretti culturali, in Gian Paolo Barbetta - Marco Cammelli - Stefano Della Torre, Distretti culturali: dalla teoria alla pratica, Bologna, Mulino, 2013; Musei e Patrimonio in Rete. Dai Sistemi Museali al distretto Culturale Evoluto", a cura di Lucia Cataldo, Milano, Hoepli, 2013.
[24] Per il testo dell'art. 34, comma 2, lettera b) del D.C.P.M. 171/2014 v. nota 15.
[25] Oltre alle già citate nette prese di posizione dell'Associazione Bianchi Bandinelli, occorre ricordare la lettera scritta dalle associazioni di storici SISMED, SISEM, SISSCO e SIS al Ministro Franceschini in difesa dell'autonomia di archivi e biblioteche.
[26] La costruzione di reti e sistemi integrati non può eludere la questione del rapporto con il proprio territorio di riferimento. Tale rapporto sarà relativo sia alla rete o al sistema nel suo insieme, sia ai singoli soggetti che ne fanno parte: l'analisi di contesto che deve precedere qualsiasi iniziativa progettuale si dovrà pertanto focalizzare in buona parte sulla definizione di tale rapporto e sulla segmentazione della domanda dei pubblici reali e potenziali locali. Si tratta pertanto di individuare l'insieme di relazioni verticali e orizzontali che permettono di disegnare la fisionomia delle reti. Occorre tener presente che un sistema integrato non è rappresentabile come una semplice rete, ma può presupporre la coesistenza all'interno o a latere di una struttura di diverse reti, sia corte che lunghe. Se si tiene conto di ciò risulta evidente che le differenze che le varie identità territoriali restituiscono non sono riducibili ad uno schema di carattere normativo imposto come valido per tutti a maggior ragione quando la dimensione fisica reale del territorio in oggetto non coincide con quella amministrativa.
[27] Legge del 7 aprile 2014 n. 56.
[28] ANCI ed UPI, L'attuazione della Legge 56/14: il riordino delle provincie e delle città metropolitane e la valorizzazione dei beni culturali , Torino, 2014.
[29] Giannandrea Eroli - Tommaso Paiano,Le nuove biblioteche da luoghi di partecipazione, scambio e inclusione sociale a strumenti per lo sviluppo territoriale", in " Territori, città, imprese: smart o accoglienti?" a cura di Gabriele Gabrielli e Andrea Granelli, Milano, Franco Angeli, 2014, p. 119; Madel Crasta, Biblioteche, luoghi e progettualità culturale, in Books seems to me a pestilent things, Varo Vecchiarelli Editore, 2011, p. 571.
[30] L'Art. 10, "Beni Cultuali", comma 2 lettera c) del D.L. 42/2004 dichiara che si devono considerare Beni Culturali: "le raccolte librarie delle biblioteche dello Stato, delle regioni, degli altri enti pubblici territoriali, nonché di ogni altro ente e istituto pubblico, ad eccezione delle raccolte che assolvono alle funzioni delle biblioteche indicate all'articolo 47, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616, e di quelle ad esse assimilabili". D.P.R. 1977/616
[31] Ad esempio, se il valore culturale immateriale dei Canti di Giacomo Leopardi è altissimo, di solito non lo è altrettanto per i supporti che li ospitano: ciò si determina nella misura della loro disponibilità, intesa come rapporto tra quantità e reperibilità. Pertanto il valore dei manoscritti originali leopardiani è altissimo, mentre quello dell'edizione del 2014 dei Canti della Newton Compton è bassissimo.
[32] Sul coworkig in biblioteca cfr. Tommaso Paiano, " Appunti di un bibliotecario aspirante coworker", in "Vedi Anche. Notiziario della Sezione Ligure dell'Associazione Italiana Biblioteche", 24 (2014), 2. Si rinvia inoltre all'articolo dello stesso autore pubblicato sul presente numero di Bibliotime, http://……….
[33] Comunicato AIB del 25/11/2014, cit. " L'impressione complessiva di questa riforma è quella che i beni culturali servono al turismo e all'indotto, per cui i beni librari diventano immediatamente marginali e inutilmente ingombranti, mentre in altri paesi sono considerati una risorsa per la crescita ".
[34] Sulla questione del rapporto tra Cultura e Turismo v. Annalisa Cicerchia, Il bellissimo vecchio: argomenti per una geografia del patrimonio culturale, Milano, Franco Angeli, 2. ristampa, 2008. Tale tema emerge a partire dagli anni '80 del XX secolo nel momento in cui si iniziano a concepire le politiche culturali come strumenti idonei allo sviluppo economico e quindi anche come leva occupazionale, soprattutto a vantaggio dei cosiddetti lavoratori della conoscenza: fu il Ministero del Lavoro per il progetto sui giacimenti culturali ad investire circa 600 miliardi per assumere circa 10.000 giovani incaricati di eseguire una catalogazione straordinaria di tutto il patrimonio culturale italiano. Il tutto avvenne senza il coinvolgimento fattivo del Ministero dei Beni Culturali, cosa che portò inevitabilmente al fallimento del progetto, stante la valenza meramente assistenzialista dello stesso: gli assunti furono 3800, il lavoro di catalogazione restò ben lontano dall'essere ultimato (Annalisa Cicerchia, cit., p. 27-28, nota 15).
[35] Tale definizione compare nel Rapporto Marche +20. Sviluppo senza fratture, a cura di Pietro Alessandrini, Regione Marche, 2014, p. 24. La letteratura circa il rapporto tra Economia e Cultura e l'evoluzione dello stesso è molto consistente: per non appesantire ulteriormente la lettura si rimanda a Walter Santagata, Economia della Cultura in Enciclopedia Treccani – XXI Secolo ; Walter Santagata - Giovanna Segre - Michele Trimarchi, Economia della cultura: la prospettiva italiana, in Economia della Cultura, Il Mulino, 4 (2007), p. 409-420; Mara Cerquetti. Dall'economia della cultura al management per il patrimonio culturale: presupposti di lavoro e ricerca in Il Capitale culturale. Studies on the Value of Cultural Heritage, n. 1, Macerata, EUM, 2010.
[36] Sul Marketing territoriale v. Fabio Severino, Economia e marketing per la cultura, Franco Angeli, Milano, 2011; Matteo G. Caroli, Il marketing territoriale: idee ed esperienze nelle regioni italiane, Franco Angeli, Milano, 2011.
[37] V. anche il Manifesto delle Biblioteche Pubbliche, UNESCO, 1994.
[38] L'attenzione del legislatore italiano nei confronti dei Beni Culturali non inizia con l'emanazione della Carta Costituzionale Repubblicana, segnatamente agli artt. 9, 117 e 118: la prima legge che l'Italia unita promulgò in materia di Beni Culturali fu la Legge Nasi n. 185/del 1902 a cui seguirono, tra il 1909 e il 1913, la Legge Rosadi n.364/1909, la 688/1912 e il Regolamento di esecuzione del 1913, che sopravvisse fino all'entrata in vigore del Testo Unico del 1999. Nel 1939 vennero promulgate due leggi fondamentali, la L. n.1089/1939 sulla tutela delle cose di interesse artistico e storico, e la L. 14097/1939 sulla protezione delle bellezze naturali.