«Bibliotime», anno XV, numero 1 (marzo 2012)
L'intenso dibattito sviluppatosi negli ultimi anni intorno all'accesso aperto – e a cui il presente numero di Bibliotime contribuisce ancora una volta grazie al rilevante articolo di Annamaria Gotti sui repositories istituzionali italiani – ha forse fatto passare in secondo piano uno degli aspetti più significativi dell'intero discorso, e cioè che tutto il processo che porta all'open access si fonda su un'intrinseca, consustanziale "documentalità" dei suoi prodotti, i quali nascono, si sviluppano e si perfezionano proprio a partire dall'intenzione degli autori a realizzare materiali squisitamente documentari, quali articoli scientifici e rapporti di ricerca, ma anche slide di presentazione ai convegni, statistiche, software, e così via.
Ma se non vi sono dubbi sul fatto che repositories e open archives contengano entità nativamente documentali, è discussione aperta sull'effettiva documentalità di una serie di altri materiali, che siano o meno artefatti dell'ingegno umano. L'attuale numero di Bibliotime ospita un vivace scambio di opinioni su questo tema, a partire dal contributo di Riccardo Ridi, che effettua un'ampia disanima sulla "intenzionalità" o "non intenzionalità" dei materiali documentari attraverso un approccio che egli stesso definisce relativistico: è evidente infatti che non sempre (e non facilmente) si riesce a distinguere fra documenti che nativamente appaiono tali ed entità che sono nate per altri scopi e che solo in seguito hanno assunto un preciso valore documentario. E nell'accurato lavoro di enumerazione effettuato dall'autore, forse non è un caso se sia considerato documento anche l'ormai famosa lista della spesa, diventata a suo modo paradigmatica di ciò che sarebbe potuto entrare a pieno titolo in quell'immenso ipertesto globale che è lo Xanadu di Ted Nelson.
Anche Alberto Salarelli conviene sulla "contraddizione solo apparente" fra la documentazione nativa e quella potenziale, sottolineando come spesso il passaggio alla dimensione intenzionale si verifica nel momento in cui ci si trova di fronte ad "un più ampio riconoscimento collettivo", quando cioè si manifesta una chiara transizione da una prospettiva tipicamente individuale ad una più vasta e complessiva.
E se Paola Rescigno enfatizza la "potenza costitutiva dei luoghi" deputati a raccogliere e conservare una serie di oggetti nativamente non documentari, ma che proprio in virtù di quella collocazione acquisiscono una precisa documentalità, è Claudio Gnoli a ribadire l'importanza dell'aggregazione di una serie di oggetti in una raccolta: a cominciare proprio dalla biblioteca, il cui curatore assume una funzione realmente "autoriale" nel momento in cui riesce ad esprimere se stesso attraverso l'intera raccolta. Ma per Gnoli il "contesto della collezione" presenta anche un preciso ruolo gnoseologico, in quanto viene a costituire una delle possibili "dimensioni della conoscenza", qualcosa di riconducibile al Mondo 3 teorizzato da Popper, in grado di vivere, com'è noto, "una vera e propria esistenza indipendente": una visione che sembra rafforzare il versante intenzionale e nativo di una vasta gamma di materiali, la cui documentalità appare evidente proprio grazie al reciproco rapporto che s'instaura fra gli oggetti di una collezione.
Michele Santoro
«Bibliotime», anno XV, numero 1 (marzo 2012)