«Bibliotime», anno XI, numero 3 (novembre 2008)
Non è da oggi che la comunità professionale si domanda se le innovazioni che hanno trasformato il volto delle biblioteche siano da ascrivere in toto alle nuove tecnologie, oppure se queste ultime non vadano considerate essenzialmente come un'infrastruttura, in grado di apportare un'indubbia serie di vantaggi, ma non di sovvertire l'identità, il ruolo e la funzione delle biblioteche stesse.
Tale dibattito ha subito un'accelerazione negli ultimi anni, cioè da quando si è cominciato a parlare di Web 2.0 e del suo corrispondente bibliotecario, denominato non a caso Library 2.0. In entrambi questi ambiti infatti le tecnologie hanno un peso determinante, per quanto appaiano - per dir così - trasparenti e quasi impercettibili all'utente finale, essendo volte a garantire una partecipazione ampia, amichevole e socialmente condivisa alle attività della rete.
Ma se tale dimensione ha un suo fondamento - oltre che una sua ratio - nell'ambiente vasto e indifferenziato del web, si può dire lo stesso per un microcosmo così specifico e professionalmente caratterizzato com'è quello delle biblioteche? Difatti, sono in molti a chiedersi se l'espressione "2.0" stia davvero a denotare una cesura, un cambiamento radicale rispetto a una condizione (storica, concettuale e professionale) in cui finora si è situato il mondo bibliotecario, o se non si tratti piuttosto di una mimesi, un po' giornalistica e frettolosa, di un'etichetta apposta ad un ambito assai diverso qual è quello del web, e trasferita alle biblioteche al solo scopo di richiamare l'idea di una svolta in corso.
L'attuale stato della discussione non consente di dare risposte certe, come ha mostrato il recente convegno veneziano, in cui queste tematiche sono state affrontate alla luce di prospettive diverse e talora divergenti, offrendo una quantità di stimoli, proposte e suggerimenti, ma senza ovviamente pervenire a indicazioni definitive.
E se la realtà delle biblioteche è influenzata da questa eterna diatesi fra continuità e rinnovamento, è indubbio che i prodotti della riflessione biblioteconomica risentano fortemente di tale condizione: una conferma viene dal presente numero di Bibliotime che, oltre al tema della Library 2.0, si sofferma su quei veri e propri nodi strategici della professione che Riccardo Ridi individua nell'indicizzazione e nel reference, ed esamina al tempo stesso una serie di elementi decisamente innovativi ed inediti. Difatti, ad indagini "tradizionalmente" bibliotecarie qual è quella di Arianna Buson e Manuela Marchesan sulle linee guida per la catalogazione del corredo grafico e promozionale del cinema, si affiancano contributi su tematiche lontane dalle convenzionali routines, ad esempio quando Virginia Gentilini discute di forme di reference non bibliotecario e della loro utilità ai fini dell'informazione e della ricerca. E se prosegue l'analisi avviata da Anna Galluzzi nello scorso numero e volta all'esplorazione di biblioteche "fisiche" di rilevante impatto per il territorio, non manca un'inchiesta sulle biblioteche digitali e sulle loro capacità organizzative e gestionali.
Una serie di argomenti che confermano la vivacità del dibattito in corso, e che ci auguriamo possano riscuotere l'interesse dell'intera comunità professionale.
Michele Santoro
«Bibliotime», anno XI, numero 3 (novembre 2008)