«Bibliotime», anno VI, numero 2 (luglio 2003)
E' interessante ritornare, nell'attuale contesto biblioteconomico, a una discussione terminologica finalizzata a definire, nella maniera più ampia possibile, la stagione bibliotecaria che ci troviamo a vivere. Non sono mancati, negli ultimi anni, i tentativi volti a cristallizzare in una formula, in un sintagma, in un'espressione onnicomprensiva il nuovo volto delle biblioteche: in particolare, un lusinghiero successo è arriso a locuzioni quali biblioteca digitale, biblioteca virtuale e, più di recente, biblioteca ibrida, a cui si sono aggiunti, con fortuna più o meno alterna, concetti quali biblioteca senza pareti, biblioteca elettronica, biblioteca multimediale, biblioteca globale, biblioteca logica, metabiblioteca; occorre infine registrare una new entry, vale a dire gateway library, introdotta per indicare un'idea di biblioteca intesa come portale o cancello verso il più vasto mondo dell'informazione.
Ma è indubbio che i termini che con più forza hanno contrassegnato questo nuovo scenario sono stati quelli di biblioteca virtuale e di biblioteca digitale. Per il primo è ormai d'obbligo richiamare la definizione di Kaye Gapen, secondo cui la biblioteca virtuale rappresenta la somma delle diverse raccolte documentarie, distribuite su tutto il pianeta e collegate fra loro da un insieme di reti telematiche in grado di annullare le distanze e di facilitare il reperimento dei documenti [1]. Si tratta di una denotazione da cui emerge con chiarezza l'idea di "accesso remoto" all'informazione che, come da più parti è stato sottolineato, rappresenta un vero e proprio capovolgimento di paradigma, dal momento che in base a tale visione è possibile rinunciare al "possesso" aprioristico e indiscriminato di risorse che solo ipoteticamente possono interessare l'utenza.
Di ben più difficile caratterizzazione è invece il concetto di biblioteca digitale. Anche in questo caso non sono mancati i tentativi di fornire definizioni che fossero in grado di specificare il significato della nozione, ma con esiti che non sempre sono apparsi soddisfacenti: ad esempio per Michael Lesk, che tra i primi si è cimentato con tale concetto, la biblioteca digitale è "una raccolta di informazioni sia digitalizzata che organizzata" [2]; in termini più ampi, ma non per questo meno generali, la Digital Libraries Federation la denota come un'organizzazione che fornisce "le risorse, compreso il personale specializzato, per selezionare, organizzare, dare l'accesso intellettuale, interpretare, distribuire, preservare l'integrità e assicurare la persistenza nel tempo delle collezioni digitali così che queste possano essere accessibili prontamente ed economicamente per una comunità definita o per un insieme di comunità" [3].
Siamo di fronte, con ogni evidenza, a un'idea che cerca di preservare la natura specificamente biblioteconomica di raccolte documentarie esistenti nel solo formato digitale; una conferma di tale visione viene dai proceedings ad un (non tanto recente) convegno sul tema, nei quali si ribadisce che "il concetto di biblioteca digitale non è equivalente a una mera collezione digitale coi relativi strumenti di gestione; è invece uno strumento di sviluppo per raggruppare collezioni, servizi e persone a supporto dell'intero ciclo di creazione, disseminazione, uso e conservazione di informazioni e conoscenze" [4].
Quello che emerge insomma è la necessità di non smarrire la bussola biblioteconomica, di non perdere quell'orientamento gestionale e organizzativo che da sempre è connaturato all'idea di biblioteca, e che rischia di essere messo in crisi dall'eccessiva "leggerezza semantica" del digitale e delle sue molteplici raffigurazioni.
Non è chiaro tuttavia come tutto questo possa realizzarsi: in altri termini, quali sono i criteri per cui la biblioteca digitale può effettivamente funzionare "more bibliothecario"? con quali strumenti di gestione essa è in grado di riprodurre i meccanismi organizzativi che per secoli hanno retto l'edificio bibliotecario? e in base a quali requisiti è possibile evitare la trasformazione dei bibliotecari in meri "web-master" esperti nell'allestimento e nella manutenzione di aggregati di risorse in formato digitale?
Un prima risposta a questi interrogativi la fornisce Bernd Dugall che, nel convegno delle Stelline dello scorso hanno, ha individuato una serie di "tappe" attraverso le quali si può sviluppare la transizione da quella che chiama "biblioteca classica" a una vera e propria biblioteca digitale; e tuttavia, nel discutere di affinità e differenze, l'autore afferma:
se contrapponiamo gli elementi della biblioteca classica e di quella digitale, possiamo infatti trovare in alcuni casi facilmente delle relazioni, però in altri questo non è possibile. Possiamo sostituire ad esempio il catalogo convenzionale con metadati, possiamo sostituire documenti a stampa con documenti digitali, ma per quanto riguarda la struttura organizzativa non siamo in grado di formulare nella biblioteca digitale un equivalente. [5]
E' un punto di vista, con ogni evidenza, che fa pensare alla biblioteca digitale come a una organizzazione soltanto "di superficie", mentre la struttura profonda non sarebbe interessata alle innovazioni insite nella natura digitale delle sue raccolte. E' un punto di vista peraltro che viene a rafforzare la "terza tesi", cioè quella che individua nella nozione di biblioteca ibrida la risposta più idonea agli interrogativi che pone l'attuale scenario delle biblioteche: una nozione che per Chris Rusbridge si estrinseca nella "combinazione di una biblioteca tradizionale (contenente cioè solo risorse cartacee) e di una biblioteca virtuale (che utilizza solo risorse digitali): una biblioteca insomma che mette insieme una pluralità di fonti informative, a stampa ed elettroniche, locali e remote, senza soluzione di continuità" [6].
Il concetto in realtà è assai meno banale di quanto la sua definizione possa far pensare [7], se si accetta che solo nella convivenza fra la consolidata struttura della biblioteca classica e l'innovativa realtà generata dalla biblioteca digitale si possono riconoscere i connotati più specifici dell'odierno contesto bibliotecario. Si tratta peraltro di una contesto in cui si assiste ad una intensificazione (oltre che a un'ovvia velocizzazione) dei servizi: servizi che appaiono necessariamente ibridi, perché basati sull'integrazione di procedure e supporti diversi, e che solo in quanto tali riescono a soddisfare le molteplici esigenze degli utenti.
E fra tali servizi, è indubbio che quelli legati alla fornitura "remota" dei documenti acquisiscano una rilevanza particolare: difatti sono proprio il prestito interbibliotecario e il document delivery a raffigurare in maniera evidente la dimensione ibrida della biblioteca, se è vero che essi combinano in un organico sistema di risposta agli utenti una serie di procedure e di supporti in cui coabitano, a parità di condizioni, le più avanzate potenzialità del digitale con le strutture documentarie più tradizionali. Un evidente esempio di questa capacità di integrazione operativa e funzionale è venuta dal convegno sul document delivery, tenutosi a Bologna il 28 maggio di quest'anno e di cui il presente numero di Bibliotime riporta un buon numero di interventi: un esempio che ci fa capire, se ancora ve ne fosse bisogno, come nella miriade di denominazioni che oggi le si assegnano il nome che meglio qualifica la biblioteca sia ancora una volta "servizio".
Michele Santoro
[1] D. Kaye Gapen, The virtual library: knowlwdge, society, and the librarian, in The virtual library. Vision and realities, edited by Laverna M. Saunders, Westport, Meckler, 1993, p. 1-14; al riguardo si veda anche The evolving virtual library II. Practical and philosphical perspectives, edited by Laverna M. Saunders, Medford, Information Today, 1999.
[2] Michael M. Lesk, Practical digital libraries: books, bytes and bucks, San Francisco, Kaufmann, 1997.
[3] Digital Libraries Federation, <http://www.si.umich.edu>; la citazione è desunta da Alberto Salarelli - Anna Maria Tammaro, La biblioteca digitale, Milano, Editrice Bibliografica, 2000. Interessante il dibattito (non solo terminologico) suscitato da un articolo di Jean-Claude Guédon, The digital library: an oxymoron?, "Bullettin of the Medical Library Association", 87 (1999), 1, p. 9-19, a cui rispondono, sullo stesso numero della rivista, Robert M. Braude - Samuel J. Wood, Virtual or actual: the term library is enough, p. 85-87; Lucrezia W. McClure - Edward G. Miner, Francis A. Countway, From the past: historical resources and the virtual library, p. 87-89.
[4] Alberto Rovelli, recensione a Successes and failures of digital libraries, edited by Susan Harum, Michael Twidale, Urbana-Champaign, Graduate School of Library and Information Science, University of Illinois, 2000, in "Bollettino AIB", 43 (2003) 1, p. 100, <http://www.aib.it/aib/boll/2003/03-1-099.htm>.
[5] Bernd Dugall, L'integrazione tra risorse elettroniche e risorse tradizionali: strategie e problemi aperti, in La biblioteca ibrida. Verso un servizio informativo integrato, a cura di Ornella Foglieni, Milano, Editrice Bibliografica, 2003, p. 80.
[6] Chris Rusbridge, Towards the hybrid library, "D-Lib Magazine", July/August 1998, <http://www.dlib.org/dlib/july98/rusbridge/07rusbridge.html>.
[7] Al riguardo si rinvia ai diversi interventi contenuti nel citato La biblioteca ibrida. Verso un servizio informativo integrato.
«Bibliotime», anno VI, numero 2 (luglio 2003)