«Bibliotime», anno III, numero 3 (novembre 2000)


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Domenico Bogliolo

Lo spazio "non fisico" della biblioteca



Liber scriptus proferetur
In quo totum continetur
Unde mundus judicetur

Dies Irae

Si sa che le biblioteche sono degli oggetti materiali, oltre che delle istituzioni. In quanto oggetti materiali, possiedono uno spazio e, viceversa, appartengono a uno spazio (superfici, masse, volumi); sono collocate in un certo luogo, sono denotate da un indirizzo civico, eccetera. Volendo spingerci oltre, potremmo anche dire che, nel medesimo modo, biblioteche e tempo stiano nel medesimo doppio rapporto. Ma, come c'è un'intemporalità (o atemporalità) delle biblioteche, viste come una delle istituzioni maggiormente permanenti e più stabili della nostra cultura e società, così c'è una dimensione extra-spaziale delle biblioteche, quasi da cultura nomade, non legata al possesso né alla divisione del lavoro.

Le culture nomadi, si sa, non hanno biblioteche: basta loro la tradizione orale; perché nascano e si affermino le biblioteche è necessaria la cultura stanziale, agricola e, poi, industriale. In questo modo di produzione (che è quello nostro) la cultura, ormai scritta, oggettivata nella scrittura, si deposita come un qualche cosa che non appartiene, tanto, all'individuo quanto, maggiormente, alla società: è per questo che c'è bisogno dell'organizzazione di una catena di "depositi" stabili della cultura, delle norme e delle tradizioni, come in un granaio, in un magazzino delle idee ben conservato e ben protetto: appunto, le biblioteche.

Ma che cosa succederebbe se, all'improvviso, questo granaio venisse aperto e scardinato, demolito, e tutto il grano fosse affidato ai singoli sudditi, perché lo custodiscano presso di sé, lo facciano germogliare e ne re-distribuiscano il seme a tutta la comunità tutta insieme?

Se tutti sono bibliotecarî, nessuno lo è più, e viceversa. Non esisterebbero più biblioteche, intese come raccolta di scritti, "separati dal mondo", che hanno per argomento ciò che si dice "sul mondo". Si tratterebbe, al meno, di una trasformazione della biblioteca: da spazio concentrato a spazio diffuso, da contenitore di libri "sul mondo", luogo chiuso accedendo al quale si accede a ciò che vi è conservato, a luogo attraverso il quale si accede al libro "del mondo", luogo aperto che mette in contatto diretto con la realtà. Gli anglosassoni hanno sintetizzato questa trasformazione modificando l'immagine del lavoro del bibliotecario: da "gatekeeper" a "gateway"; da guardiano, portiere, custode o bidello dei libri, a luogo di passaggio, porta, breccia, sentiero verso il mondo. Forse si tratterebbe, in questo caso, di una rivincita dello spazio (in quella particolarissima connotazione dell'indifferenza dello spazio tipica delle culture nomadi e orali) contro il tempo, contro le stratificazioni storiche o archeologiche, contro la filologia e il principio di organizzazione, contro la gerarchia. La rivincita di Abele contro Caino, del nomade (il pastore, lo spazio) contro lo stabile (il contadino,  il tempo).

È chiaro che parliamo per metafore, del mondo del "come se", e che stiamo cercando di capire quali siano le categorie psicologiche, ma anche ontologiche, che sottendono a determinate forme di organizzazione sociale della conoscenza e della cultura.

Circa una ventina di anni fa, Hans Blumenberg ha pubblicato, per nostra fortuna, un libro che probabilmente molti ricorderanno, tradotto in italiano per i tipi del Mulino: "La leggibilità del mondo". In quell'opera Blumenberg si chiedeva che cosa significasse, per la storia della cultura, la pretesa metaforica di interpretare i fenomeni e, diceva, "sillabare la realtà", come se fosse esposta in un libro. Ne uscì una storia delle metafore del libro connesse con l'interpretazione del mondo, o delle metafore del mondo visto come un libro.

Blumenberg chiama a testimone Galilei, quando questi affermava che "il gran libro della Natura" è scritto in forma matematica, e indica, in ciò, la medesima fiducia nell'interpretazione che, oggi, abbiamo della leggibilità della struttura del codice genetico, per esempio. Un altro genere di libro che è metafora del mondo è quello scritto o rivelato direttamente da Dio: la Bibbia, il Corano, lo Zend-Avesta, o comunque il fondamento assoluto di qualsiasi "religione del libro". C'è, infine, un "terzo libro", quello laico, scritto dall'Uomo, che risulta dalla sommatoria di tutti gli oggetti che appartengono, per dirla ancóra con Galilei, al "mondo di carta".

Abbiamo tutti presente, credo, il ritratto del bibliotecario dipinto da Arcimboldo, tutto composto da libri. Sulla scorta del Blumenberg, possiamo allora dire, adesso, che quel quadro raffigura non tanto il Bibliotecario -intitolazione, tra l'altro, che non mi è mai piaciuta-, quanto l'Uomo stesso che, a parte i risultati della pura speculazione (che di solito è comunicata, non a caso, in forma orale), conosce se stesso solo per quanto "si descrive". O "si scrive". Insomma, è la coincidenza dell'Uomo con il Bibliotecario.

Il libro della natura andrebbe così a coincidere totalmente con il mondo dei libri (con buona pace di Propp) se, parafrasando Hegel, osassimo affermare che, nel mondo dell'elettronica, "tutto ciò che è virtuale è reale" e, viceversa, che la realtà vera è solo quella virtuale. Qui la natura coincide con l'Uomo. Nel mondo del calcolatore, l'umano che ha la password di root (cioè, chi amministra il sistema), ha il medesimo potere di un Dio: creare, modificare e distruggere mondi, un po' come uno Shiva danzante le cui evoluzioni non siano ininfluenti per i vari Indici Dow Jones delle Borse del mondo...

Intendiamoci: dal punto di vista di una sana e corretta ontologia, sto dicendo delle assurdità e anzi delle mere stupidaggini, per usare un eufemismo... Ma ci rendiamo tutti conto, chi con entusiasmo chi con angoscia, che le cose, paradossalmente, stanno procedendo proprio in questa direzione.

Internet tende a trasformare il mondo "esterno" in un libro, cioè a dargli la medesima validità ontologica che ha il mondo "interno": il mondo dell'uomo (o il mondo del libro) coincide con il libro della natura, perché è il mondo della natura che si è ristretto a coincidere con il mondo dell'uomo. Con indubbia felicità di Vico che ora potrebbe finalmente protestare: «Ve l'avevo ben detto io che l'uomo conosce solo ciò che costruisce!»

Non varrebbe più, allora, il detto di Thomas Mann nel Doktor Faustus, che "la natura è fondamentalmente illetterata"; semplicemente, succede che questo mondo del libro (o, se si preferisce, dell'uomo), che si è dilatato a coprire, virtualmente, tutta la realtà, è anch'esso scritto "per enigmi" come notava Galilei, esattamente come quell'altro.

Ci sarebbe molto da dire, a questo punto, sul supponibile ritorno d'attualità degli indici semantici oggettivi "del mondo" alla Leibnitz o alla Lullo, alla Giordano Bruno o alla Giulio Camillo, nel momento in cui la realtà "esterna" tende a coincidere, come abbiamo ipotizzato, con il mondo dell'Uomo e del Libro. In attesa di un nuovo Ranganathan o, almeno, di un Alfredo Serrai della situazione, non ci resta che prepararci per bene, come non mai prima d'ora, a costruire e a verificare il "catalogo del mondo", a costruire e a validare le norme per l'indicizzazione della realtà, affinché gli "enigmi" nei quali questo mondo è scritto (che sono precisamente "il caos dell'Universo", e che coincide, ora, con quanto scritto dagli uomini) siano il più possibile coerenti e consustanziali con le nostre categorie di descrizione della realtà. Non saranno ovviamente gli informatici a risolvere il problema: saranno i filosofi, o quella particolare categoria di filosofi (o architetti, come qualcun altro preferisce) che sono i bibliotecarî.

Nel momento in cui si costruiscono nuove biblioteche (cosa che, lo vediamo, sta avvenendo in tutto il mondo, con un ritmo e uno sforzo progettuale inediti o inusitati), non ci si deve dimenticare di progettare, così, anche i quattro spazi "non fisici" delle biblioteche:

  1. lo spazio linguistico: cioè la biblioteca come luogo dove avvengono le operazioni di codifica, decodifica e interpretazione delle rappresentazioni simboliche valide per entrambi i mondi, ormai coincidenti, dell'Uomo e della Natura;
  2. lo spazio energetico: cioè la biblioteca come luogo nel quale i servizi genericamente di reference o di documentazione (ma potremmo elencare ibridazioni da biblioteca elettronica, virtuale, digitale, cognitiva) sono preminenti su quelli dell'ordinamento e della conservazione;
  3. lo spazio sociale: cioè la biblioteca come luogo d'incontro delle persone, sia all'interno del suo di solito caldo e accogliente spazio fisico, sia consentendo la possibilità agli utenti reali di entrare in contatto con i loro se stessi virtuali, che si manifestano (e, sono tentato di dire: "vivono") nella Rete;
  4. lo spazio culturale: cioè la biblioteca come luogo d'incontro delle idee in quanto tali, idee del mondo e, opera mundi, orfane degli autori e degli scrittori che pur le hanno concretizzate, se si consoliderà l'auspicata tendenza anti-copyright di Internet.
Creando una nuova biblioteca o riformandone una già esistente, è importante astrarre dalle sue possibili e ottimizzabili strategie gestionali, per porre con forza l'accento sulle sue nuove responsabilità nei confronti non solo dell'utenza reale e potenziale, ma anche nei confronti di tutta la realtà nel suo insieme: quella del mondo della natura, del mondo dell'uomo e del mondo del libro.

In sostanza, non si tratta solo di accedere intelligentemente ad Internet per dare al pubblico nuovi servizî ibridi: si tratta, in più, di contribuire, proprio in quanto biblioteca, alla "leggibilità" di questo mondo virtuale che diviene, mi sembra inevitabilmente e, direi, proprio per la forza cogente delle cose, sempre più totalizzante.

Non resta, a questo punto, che richiamare l'attenzione sulla citazione epigrafata di alcuni versi del Dies Irae. Questo libro, adesso, possiamo dire di conoscerlo già, e senza attendere l'apocalisse. E, naturalmente, senza temerla, perché sappiamo che i bibliotecarî hanno, virtualmente (parola da prendere, qui, in entrambi i significati), gli strumenti necessarî per risolverne gli "enigmi" e, quindi, "giudicare" il mondo.
 

Domenico Bogliolo, CICS, Centro interdipartimentale per il calcolo scientifico - Università degli studî di Roma "La Sapienza", e-mail: domenico.bogliolo@uniroma1.it



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