«Bibliotime», anno III, numero 2 (luglio 2000)
Paola Gargiulo
Il nuovo ruolo dell'autore
nella comunicazione scientifica
Introduzione
Il sistema formale della comunicazione scientifica si è sviluppato per rispondere ai bisogni dei ricercatori, bisogni che potremmo così riassumere:
Nel caso della comunicazione scientifica, l'avvento dell'era elettronica, lo sviluppo delle reti, la creazione di prodotti elettronici concepiti per un uso diretto da parte dell'utente finale, permettono a quest'ultimo di poter comunicare elettronicamente con il mondo in maniera diretta, senza alcuna intermediazione da parte di comitati editoriali. Questa possibilità ci riporta a fome di circolazione della scienza come ai tempi di Galilei, quando gli scienziati comunicavano i risultati delle loro ricerche e delle loro scoperte attraverso la pubblicazione di opere che non erano state preventivamente valutate da altri scienziati, e la cui analisi critica veniva esercitata solo dopo la pubblicazione dell'opera.[2]
Nonostante queste nuove possibilità offerte dalla tecnologia, i costi di produzione e di distribuzione dell'informazione scientifica non si sono abbassati, né tendono a farlo, e ciò non dipende per nulla dalla tecnologia, bensì da un insieme di fattori diversi, tra i quali gli interessi economici e di profitto di gruppi editoriali scientifici, nonché dall'intreccio di questi interessi con quelli accademici (il fenomeno del publish or perish, l'impact factor, ecc.).
Si sta dunque profilando un nuovo scenario in cui gli autori possono ricoprire un ruolo del tutto inedito di autori/editori e contribuire notevolmente, nel medesimo tempo, alla creazione di nuovi sistemi di circolazione dell'informazione scientifica che non siano totalmente controllati dall' editoria scientifica commerciale e dalle sue politiche di prezzi, ma che invece vedano forme pluralistiche di produzione, distribuzione e accesso nelle quali siano garantite la qualità e la scientificità, e i costi siano contenuti.
Lo scopo di questo intervento è quello di sensibilizzare gli
autori, ma anche i bibliotecari, su quanto sta avvenendo nel mondo della
comunicazione scientifica, perché entrambi contribuiscano a delineare
un sistema più equo e più vantaggioso per la comunità
scientifica stessa.
L'impatto delle nuove tecnologie
L'ipertestualità, la multimedialità, la comunicazione interattiva in tempo reale di parole, concetti, immagini, suoni stanno modificando le forme e i contenuti della comunicazione, della scrittura e della lettura.
Lo sviluppo delle telecomunicazioni e delle tecnologie connesse con Internet hanno velocizzato alcune modalità di comunicazione diretta tradizionali, come la posta divenuta elettronica, ma hanno creato forme nuove di comunicazione interattiva multipersonale come il chatting, gli hyperforum, le videoteleconferenze, che permettono di stabilire contatti, scambi immediati, i cui contenuti possono essere illimitati sia dal punto di vista del formato (testo, grafici, diagrammi, suoni, immagini, filmati ecc) sia da quello più propriamente contenutistico.
Queste modalità di comunicazione diretta sono incoraggiate dalle aziende che operano nella tecnologia dell'informazione e che guardano con crescente interesse al mercato degli utenti finali, creando prodotti facili e intuitivi, ma che nascondono complesse e sofisticate applicazioni. Insomma, possiamo dire che nell'evoluzione del mercato della tecnologia diretta all'utente (consumer market technology) si va nella direzione di un sempre maggiore controllo da parte dell'individuo nella creazione del proprio "luogo di informazione" (information environment).
Nella comunità scientifica, cioè la prima comunità che ha utilizzato le reti per scambiare informazioni, testi, dati, le conseguenze di queste innovazioni sono ormai evidenti, anche se in alcuni ambiti disciplinari lo sono in maniera più massiccia che in altri.
La comunicazione diretta in ambito scientifico significa la possibilità di comunicare con i propri colleghi senza la mediazione di comitati editoriali e dei giudizi dei pari (peer review) e posporre l' intermediazione ad un momento successivo. Si è andata infatti affermando ormai da una decina di anni (prima nell'ambito della fisica nucleare e poi si è lentamente estesa in altre discipline come l'astrofisica, la matematica, l'astronomia, la chimica, le scienze sociali ed adesso anche nella medicina), la creazione di server di preprint, cioé di macchine - ma potremmo definirli "luoghi" - dove i contributi, inviati direttamente dagli autori, vengono archiviati per essere messi a disposizione della comunità, in linea e gratuitamente, prima di essere pubblicati. Incominciano ad essere presenti in questi archivi anche contributi già pubblicati o comunque sottoposti a giudizio e accettati (refereed), e pertanto oggi vengono chiamati sempre più spesso anche server di e-print.
La finalità dei preprint è appunto quella di rendere disponibile in tempi brevi le ricerche o i risultati al fine di favorirne la conoscenza da parte degli altri membri della comunità e quindi l'analisi critica, lo scambio di opinioni e di giudizi [3].
Pur non essendo sottoposti al meccanismo del peer review, in generale i preprint, prima di essere messi a disposizione della comunità, sono filtrati dai gestori del servizio e pertanto sono validati prima della loro messa a disposizione sul server. Una volta disponibili sul server sono sottoposti ad un controllo di qualità esercitato dalla stessa comunità dei pari, ma senza le lungaggini che il meccanismo del peer reviewing comporta. All'autore viene inoltre chiesto l'inserimento di informazioni catalografiche relative al proprio documento (autore, titolo, parole chiave, abstract ecc) e di metadati che ne permettano l'identificazione e il reperimento più facilmente e dinamicamente. L'autore quindi diventa il primo catalogatore e indicizzatore del proprio documento.
Gli hyperforum costituiscono un'altra modalità di comunicazione tra esperti che attraverso dibattiti e/o conferenze in rete o pubblicazioni si scambiano dati, informazioni, risultati.
Nel mondo del web ne esistono migliaia, ma ci sono progetti nuovi e complessi come quello del California Institute of Technology, che mirano alla costituzione di uno Scholar's Forum, cioè di archivi permanenti di contributi validati scientificamente, pre-print, reprint, atti di conferenze, ma anche di interventi svolti negli hyperforum archiviati mantenendo la struttura del threaded discourse. Questa iniziativa intende far circolare e preservare anche quella parte di conoscenza scientifica che passa attraverso canali non formalizzati, che forse non arriverebbe mai a una rivista scientifica pur essendo, magari, di notevole interesse, permettondone l'accesso attraverso l'utilizzo delle tecnologie dell'informazione più avanzate e favorendone la sua eventuale e successiva pubblicazione su riviste peer reviewed. Il progetto si basa sull'alleanza trilaterale di consorzi di universita, società professionali e autori.[4]
L'autore è anche editore di se stesso non solo nel momento in cui diffonde attraverso un server di preprint/e-print i propri contributi, ma anche quando crea pagine web personali sulle quali riporta i propri scritti, non ancora pubblicati o già pubblicati altrove. Di fatto, oggi i server di self -archiving possono essere non solo gestiti da enti o da fornitori di servizi, ma creati sulle loro stesse macchine dagli autori dopo aver registrato presso l'autorità competente il proprio dominio. Tramite Internet, gli autori possono mettere a disposizione dell'intera comunità scientifica i propri contributi, utilizzando software gratuiti compatibili con gli standard definiti nell'Open Archives Initiative, presentata a Santa Fe (New Mexico) nell'ottobre scorso. [5]
L'iniziativa degli open archives intende appunto rendere interoperabili archivi diversi di self- archiving; permettondone l'accesso tramite Internet attraverso i diversi fornitori di servizi (motori di ricerca), utilizzando standard, protocolli, in modo che gli utenti finali possano scoprire e reperire in tempi brevi i documenti presenti su archivi diversi e accessibili gratuitamente. Agli standard definiti nella convenzione di Santa Fe si stanno adeguando tutti i server di preprint/e-print esistenti e su di essa si baseranno quelli futuri in quanto la convenzione di Santa Fe si basa su una tecnologia aperta.
La direzione è senza dubbio quella di favorire la diffusione dei documenti in rete, la possibilità del loro recupero in maniera efficiente, di garantire un controllo sulla loro qualità. Viene infatti richiesto che gli archivi ricorrano a forme di validazione dell'informazione scientifica messa in rete e nello stesso tempo tutelino il diritto d'autore.
Gli editori commerciali hanno attualmente politiche diverse rispetto alla diffusione di articoli, già pubblicati sulle loro riviste, sugli archivi di preprint/e-print o su pagine web personali dell'autore o sul server dell'ente di appartenenza dell'autore.
Vi sono editori che non richiedono l'autorizzazione per la diffusione dell'articolo sulle pagine web personali dell'autore, ma non autorizzano la pubblicazione su server di e-prints. In questo momento la situazione è piuttosto confusa, e le potenzialità della diffusione elettronica creano molto incertezza.
D'altronde va osservato che in un'epoca in cui l'istruzione superiore
a distanza sta assumendo - ed è destinata ad assumere - un ruolo sempre maggiore nell'istruzione universitaria e in quella
permanente come richiede la learning society, le modalità
di accesso e di distribuzione diventano rilevanti. Dal
punto di vista dell'autore, chiedere ogni volta agli editori l'autorizzazione
per poter riutilizzare a fini didattici o di ricerca quanto da lui
pubblicato sulle loro riviste, può essere alquanto oneroso per l'autore
stesso in termini di tempo impiegato, di iter burocratici da seguire e
in alcuni casi anche di costi economici da sostenere.
La comunicazione disintermediata
La comunicazione disintermediata presenta sicuramente dei vantaggi ma nello stesso tempo pone alcuni problemi.Esaminiamo brevemente entrambi.
I vantaggi:
I problemi:
Che cosa vogliono gli autori
Ma qual è la posizione dell'autore in questo contesto? Uno studio effettuato nel Regno Unito [7] riporta che l'autore è interessato a:
Secondo questa indagine, le motivazioni per le quali gli autori pubblicano sono individuabili, nell'ordine, nel bisogno di:
L'assenza di interesse da parte dell'autore per le dinamiche economiche
del mercato editoriale attuale e le fatali conseguenze di quest'ultime
per le biblioteche universitarie, insieme con il meccanismo perverso del
publish
or perish (la necessità degli autori, in particolar modo nel
mondo anglosassone, di pubblicare il più possibile per avanzare
nella carriera accademica), nonché l'uso restrittivo delle
risorse elettroniche a cui sono obbligate le università
da alcuni contratti imposti dagli editori, hanno creato una situazione
veramente preoccupante.[8]
Proposte e iniziative
Di fronte a questa situazione, particolarmente negli Stati Uniti e nel Regno Unito, sono state prese una serie di iniziative da parte di associazioni di università e di biblioteche universitarie, da singoli direttori di riviste, da comitati editoriali, in alcuni casi anche in collaborazione con società professionali e con qualche editore commerciale. Lo scopo è di promuovere forme alternative di produzione e di circolazione dell'informazione scientifica, tecnologicamente avanzate, a prezzi modici, ma nel rispetto della qualità e della tutela della proprietà intellettuale.[9]
Ci sono poi alcuni scienziati quali Stevan Harnad, che sostengono (e che si battono) affinché i contributi pubblicati su refereed journals possano circolare in rete gratuitamente attraverso modalità di self-archiving come stabilite nella convenzione sugli open archives di Santa Fe, sostenendo che l'obbiettivo degli scienziati è di diffondere il più possibile i risultati di ricerche finanziate da enti non a scopo di lucro, descritte in forma di articolo da studiosi che non ricevono alcun compenso, mentre sulla pubblicazione lucra l'editore commerciale. Harnad auspica la coesistenza dell'editore commerciale (con le sue politiche commerciali sugli abbonamenti, licenze sito, pay per view ecc.) con la circolazione gratuita dei singoli articoli, in forme di self-archiving.[10]
In questa direzione va anche la proposta fatta qualche anno fa del rettore dell'università del Kansas, David Schuelnberger, di creare un archivio nazionale elettronico dove siano immagazzinati, gestiti e resi accessibili gratuitamente, dopo un certo periodo di tempo dalla loro pubblicazione, tutti gli articoli usciti su riviste peer reviewed scientifiche (qui intese come specialistiche, per gli addetti ai lavori e relative a diverse aree disciplinari) e redatti da autori statunitensi. [11]
Secondo l'indagine, gli autori (68%) sono in generale soddisfatti
delle modalità correnti di pubblicazione, trovano accettabili le
condizioni poste dagli editori nel 57% dei casi, ma un crescente numero
di autori (61%) è favorevole alla ritenzione dei diritti economici
da parte dell'autore. Questa posizione è oggetto di un acceso dibattito
attualmente in corso, in particolare, negli Stati Uniti e nel Regno Unito,
tra bibliotecari, organi di governo delle università, editori e
autori. [12]
Il dibattito sulla ritenzione dei diritti economici da parte dell'autore
Il problema del diritto d'autore e del suo sfruttamento è stato posto per primi dai bibliotecari universitari negli Stati Uniti. Di fronte alla cosiddetta "crisi dei periodici" e alle restrizioni imposte dalle licenze d'uso alla circolazione e alla disseminazione dell'informazione scientifica, le biblioteche hanno sollevato l'annosa questione.
Le università non dovevano rimanere più penalizzate nell'accesso e nella circolazione di materiale prodotto dai propri docenti/ricercatori, per la cui elaborazione avevano già pagato attraverso i propri fondi di ricerca; andavano trovate nuove soluzioni sia per equilibrare un mercato che vedeva, da un lato, pochi grossi editori commerciali in condizione di semimonopolio e con alti margini di profitto e, dall'altro, biblioteche con budget sempre più ridotti e impossibilitate a sostenere i costi, e sia per sfruttare al meglio le opportunità che la rivoluzione tecnologica offre alla comunità scientifica.
Attualmente, la maggior parte dei contratti che gli autori firmano con gli editori preve che lo sfruttamento dei diritti economici contenuti nel diritto d'autore sia trasferito all'editore attraverso l'assegnazione di tale diritto (copyright transfer/assignment), mentre in altri casi, pur restando i diritti all'autore, questi vengono concessi in esclusiva all'editore.
Una tale situazione entra in conflitto con le potenzialità di comunicazione e di circolazione che lo sviluppo delle reti e delle tecnologie permettono, coltre che con le esigenze della comunità scientifica di far circolare il più possibile senza fini di lucro i risultati delle proprie ricerche.
Le posizioni dei due fronti, l'uno rappresentato dai bibliotecari, dalle università e dagli autori più sensibili a queste tematiche, l'altro dagli editori, sono differenti. Proviamo a riassumerle brevemente.
Gli editori giustificano la necessità del trasferimento del copyright (tutela, diritti d'uso) ad essi stessi per ragioni economiche (in quanto hanno investito nella pubblicazione, nel lavoro editoriale, nel peer reviewing, nei servizi a valore aggiunto) e per l'esperienza che hanno nella protezione del copyright e, in particolare, nel contesto digitale. Ritengono inoltre di offrire alcuni vantaggi all'autore: il non assumersi alcuna responsabilità, una maggiore protezione contro il plagio e la pirateria, la gestione amministrativa dei diritti (è più facile reperire l'editore che non l'autore per richiesta di autorizzazione, traduzione in altre lingue ecc.). Va anche detto che alcuni editori hanno posizioni meno rigide e riservano un numero crescente di diritti all'autore.
Le università, i bibliotecari e gli autori ritengono invece che nell'era elettronica sia necessaria una maggiore flessibilità, e che l'autore e la comunità debbano potersi avvantaggiare delle nuove forme di comunicazione e favorirne lo sviluppo. Vanno quindi studiati contratti che prevedano la ritenzione dei diritti da parte dell'autore e la concessione di una licenza non esclusiva all'editore, oppure che i diritti siano trasferiti all'editore, ma che l'autore preservi, nel medesimo tempo, alcuni diritti d'uso. Gli autori vogliono che i tempi e gli oneri amministrativi legati al repurposing, siano eliminati, che i propri articoli possano apparire in versione elettronica su pagine web personali, sul server dell'ente di appartenenza, su server di e-print ecc. [13]
In questo momento, alcuni editori e associazioni di società professionali incominciano a venire incontro alle richieste degli autori e dai bibliotecari. Ad esempio, i contratti dell'American Mathematical Society, dell'American Physisical Society, del British Journal of Medicine, e il modello di contratto proposto dall' ALPSP (The Association of Learned and Professional Society Publishers) nel Regno Unito, recepiscono queste richieste e conciliano le due esigenze: commerciali degli editori e scientifiche degli autori. [14]
Altri editori sono ben più rigidi. Oggi, ad esempio, un numero crescente di editori accetta di pubblicare articoli che siano stati archiviati come pre-print, ma ve ne sono altri che tuttora si rifiutano di pubblicare tali articoli e chiedono che nel contratto venga espressamente dichiarato che l'articolo non è apparso mai prima in nessuna forma, oppure non permettono di far comparire l'articolo già pubblicato su server di e-print.
Già da un paio di anni è nata una campagna internazionale di sensibilizzazione tra gli scienziati per la libertà di distribuzione dei lavori scientifici:
Le posizioni degli editori più rigidi sono destinate ad essere perdenti; saranno vincenti solo quelle posizioni che equilibrano le diverse esigenze.
Il ruolo delle biblioteche
E' importante che anche i bibliotecari si impegnino nel
I nostri autori, orgogliosi di poter pubblicare su prestigiose riviste internazionali, non si pongono il problema delle conseguenze del loro contratto fino a quando si rendono conto che non possono più accedere in rete agli articoli di loro interesse, e ne chiedono al/la bibliotecario/a le ragioni.[16]
Inoltre, è con ritardo che le università italiane si confrontano con l'impact factor, proprio adesso quando nei paesi anglosassoni questo è oggetto di ripensamento e di notevole ridimensionamento per gli effetti perversi che il publish or perish ha avuto nella produzione dei lavori scientifici e sulla didattica, favorendo una crescita abnorme di testate e di profitti degli editori. [17]
Le università italiane non sembrano ancora essere molto sensibili alla loro funzione di produttori di informazione e di conoscenza e, se non in pochissimi casi, non approfittano in maniera coordinata e sistematica delle nuove forme di comunicazione che l'era digitale offre, e nemmeno favoriscono la nascita di forme nuove di accesso e di condivisione delle risorse informative elettroniche.
L'iniziativa Create a Change dell'Association of Research Libraries, vede i bibliotecari universitari impegnati in primo piano nella campagna di sensibilizzazione, ma anche progettazione di modelli nuovi di produzione e di circolazione dell'informazione, oltre che di nuovi prodotti. Nella creazione dei vari archivi gratuiti o accessibili a costi limitati, gestiti da università o da consorzi di università o dalla collaborazione di università e di società professionali (come nel caso di HighWire), il contributo professionale dei bibliotecari è stato ed è determinanante.
Credo che anche in Italia i bibliotecari debbano esercitare pressione e dare il loro contributo umano e professionale perché l' accesso, la gestione, l' archiviazione dell'informazione scientifica rispondano ai bisogni della didattica e della ricerca fornendo servizi adeguati alle sfide del XXI secolo.
Paola Gargiulo, Servizio Automazione Biblioteche - C.A.S.P.U.R, Roma, e-mail: gargiulo@caspur.it))
Note
[1] A questo proposito, sono interessanti le pagine dedicate alla scholarly communication sul sito dell'ARL (Association of Research Libraries) e in particolare l'iniziativa Create Change, tesa a dare un contributo nella creazione di sistemi di comunicazione scientifica alternativi a quelli dominati dagli editori scientifici commerciali e dalle loro "asfittiche" politiche di prezzi; cfr. <http://www.arl.org/create/librarians/issues/quick.html>.
[2] Pietro Greco, La scienza on line circola come ai tempi di Galileo Galilei, "TelÈma", 17/18 (1999), <http://WWW.fub.it/telema/TELEMA18/Greco18.html>.
[3] Rimandiamo, per una più estesa trattazione in italiano sull'argomento, all'intervento presentato al XLV Convegno AIB, Roma 16-19 maggio 1999, da Tullio Basaglia, Come cambiano le pubblicazioni scientifiche in rete. Evoluzione e problemi della comunicazione scientifica in forma elettronica, <http://www.aib.it/aib/congr/co99basaglia.htm>, e all'intervento presentato al Convegno di Studio "I periodici elettronici: nuova fronteria o terra promessa", Bologna 28 febbraio 2000, da Antonella De Robbio, Evoluzione e rivoluzione dei periodici elettronici, "Bibliotime", 3 (2000), 1, <http://www.spbo.unibo.it/bibliotime/num-iii-1/derobbio.htm>.
[4] Anne M. Buck, Richard C. Flagan, Betsy Coles, Scholar's Forum: a new model for scholarly communication, <http://library.caltech.edu/publications/ScholarsForum/>.
[5] Per saperne di più vedi <http://www.openarchives.org/>.
[6] Rimandiamo, a questo proposito, al citato intervento di Antonella De Robbio, nel quale si fa riferimento alla condizione di notevole svantaggio in cui si trovano gli scienziati che vivono nei paesi in via di sviluppo.
[7] A questo proposito è interessante la ricerca commissionata dall'ALPSP (Association of Learned and Society Publishers) dal titolo What authors want: the ALPSP research study on the motivations and concerns of contributors to learned journals,curata da Alma Swan & Sheridan Brown, Key Perspectives Ltd, pubblicata nel maggio 1999. Una breve presentazione dei risultati della ricerca è disponibile in rete, <http://www.alpsp.org.uk/pubs.htm>.
[8] Association of Research Libraries, Association of American Universities, Peer Higher Education Round Table, To publish or to perish, "Policy Perspectives", 7, (1998) 4, <http://www.arl.org/scomm/pew/pewrept.html>.
[9] Sono molte le iniziative in questo ambito, tra queste citiamo: HighWire, <http://intl.highwire.org/>; SPARC, Scholarly Publishing Academic Resource Coalition, <http://www.arl.org/sparc>; la sopracitatata iniziativa Create a Change; BiONE <chttp://www.BioOne.org/>.
[10] Stevan Harnad, For whom the gate tolls? Free the online-onlyrefereed Literature, (1998), American Scientist Forum, <http://amsci-forum.amsci.org/archives/september98-forum.html>, oppure <http://www.cogsci.soton.ac.uk/~harnad/amlet.html>; Stevan Harnad, Free at last: the future of peer-reviewed journals, "D-lib Magazine" 5 (1999) 12, <http://www.dlib.org/dlib/december99/12harnad.html>.
[11] NEAR - National Electronic Article Repository <http://www.arl.org/scomm/near.html>.
[12] Stevan Bachrach, R. Stephen Berry, Martin Blume et al., Who should own scientific papers?, "Science", 281, 4 September 1998, p. 1459 <http://www.library.yale.edu/~llicense/POLICYF.HTM>; Scott Bennett, Authors' right, "The Journal of Electronic Publishing", 5 (1999) 2 <http://www.press.umich.edu/jep/05-02/bennett.html>; Scott Bennett, Position paper on Yale University copyright policy, <http://www.library.yale.edu/~llicense/bennett.html>; Stanley Chodorow, The Faculty, the University, and Intellectual property, "The Journal of Electronic Publishing", 3 (March 1998) <http://www.press.umich.edu/jep/03-03/chodorow.html>; William Strong, Copyright in time of change, "The Journal of Electronic Publishing", 4 (1999) 3, <http://www.press.umich.edu/jep/04-03/strong.html>.
[13] Esempi di contratti degli autori sono disponibili sotto la voce "Authors' Licenses" sul sito Liblicense, <http://www.library.yale.edu/~llicense/index.shtml>.
[14] Alcuni di questi contratti, pochi per ora, riconoscono la ritenzione dei diritti economici da parte dell'autore, ma concedono agli editori i diritti esclusivi di prima pubblicazione e una licenza non esclusiva per gli altri usi (traduzioni in altre lingue, pubblicazioni in altri paesi; altri, per ora la maggior parte, invece prevedono che i diritti economici rimangano all'editore, ma vengono concessi alcuni diritti d'uso all'autore (la pubblicazione dell'articolo su pagine web personali, su quelle dell'ente di appartenenza, su server di self-archving, riutilizzo dell'articolo per corsi, ecc.). Ad esempio, l'American Physical Society concede agli autori i diritti d'uso per diversi casi di repurposing (insegnamento, messa in rete su pagine web personali e su server di e-print). Il contratto per gli autori dell'APS è disponibile presso <ftp://aps.org/pub/jrnls/copy_trns fr.asc>; il modello di licenza proposto dal ALPSPè a: <http://www.alpsp.org.uk/copyrght.htm>.
[15] Campaign for the Freedom of Distribution of Scientific Work <http://ethology.zool.su.se/freescience/>.
[16] A dire il vero nel XLV Convegno AIB, Roma 16-19 maggio 1999, <http://www.aib.it/aib/congr/co99index.htm>, nella sessione Come cambiano le pubblicazioni scientifiche in rete. Evoluzione e problemi della comunicazione scientifica in forma elettronica, si è discusso di questi problemi, in particolare, nell'intervento di Derek Jones, Editoria scientifica: il ruolo di autori, case editrici, biblioteche e lettori. Non siamo a conoscenza però di altre iniziative sul ruolo degli autori. Un discorso a parte meritano le iniziative dell'Università di Firenze e del Politecnico di Torino sull'editoria universitaria, ma esulano da questo intervento.
[17] Negli Stati Uniti, per scardinare le logiche "perverse" dell'impact factor e del publish-or-perish, l'Association of Research Libraries, l'Association of American Universities, e il Peer Higher Education Round Table si sono fatti promotori dell' iniziativa per separare la pubblicazione degli articoli dalla valutazione (decoupling publication from peer-reviewing), e di ridimensionare l'importanza dell'impact factor nel processo di valutazione a favore di altri aspetti. Vedi l'articolo citato in nota [8].
«Bibliotime», anno III, numero 2 (luglio 2000)