«Bibliotime», anno III, numero 1 (marzo 2000)
Qualche riflessione su FRBR
Oggetto di questa breve nota sono alcune riflessioni che hanno tratto spunto dal seminario di presentazione del rapporto IFLA sui requisiti funzionali delle registrazioni bibliografiche (Functional Requirements for Bibliographic Records, correntemente abbreviato in FRBR), svoltosi a Firenze nei giorni 27 e 28 gennaio 2000 ed organizzato dalla Sezione Toscana e dal Gruppo Catalogazione dell'Associazione Italiana Biblioteche, del quale sono già in larga parte disponibili gli atti a partire dall'indirizzo <http://www.aib.it/aib/sezioni/toscana/conf/cfrbr.htm>.
Il FRBR Final Report, disponibile in rete in versione originale all'indirizzo <http://www.ifla.org/VII/s13/frbr/frbr.pdf> e recentemente tradotto in italiano a cura dell'ICCU, espone le conclusioni cui è giunto il lavoro del Gruppo di studio che nel 1991 aveva ricevuto dall'IFLA l'incarico di definire i requisiti funzionali delle registrazioni bibliografiche.
Focalizzato sulla singola registrazione piuttosto che sulla struttura del catalogo, il rapporto persegue una "rifondazione" su basi teoriche (che prescinda quindi dai codici catalografici correnti) della definizione delle funzioni primarie richieste alle registrazioni bibliografiche (trovare, identificare, selezionare e ottenere), applicando al record bibliografico il modello di analisi entità-relazioni, tipico del disegno logico e della progettazione delle basi di dati relazionali. Esso si pone inoltre lo scopo, eminentemente pratico, di definire un livello base di funzionalità, e dei requisiti base dei dati, per le registrazioni create dalle agenzie bibliografiche nazionali (BLNBR), finalizzato a produrre risparmi e ad agevolare il riuso dei record al di là delle barriere nazionali.
Sebbene quest'ultimo intento sia probabilmente quello che ha ricevuto più attenta considerazione a livello internazionale per i suoi risvolti immediatamente applicativi, e benché di sicuro rilievo metodologico sia la determinazione di assumere come punto di partenza le funzioni svolte dalla registrazione bibliografica (relativamente ai diversi media, le diverse applicazioni e le diverse necessità dell'utente), l'aspetto che si è immediatamente imposto come più stimolante nel corso della presentazione di Firenze è il modello di analisi utilizzato, cioè il modello entità-relazioni orientato agli oggetti.
Di fronte ad una impalcatura così complessa - ma anche "ospitale" e "ordinatrice" -, sorge spontanea la tentazione di misurare le possibili sovrapposizioni del modello con le prassi correnti di catalogazione. Ed ecco che l'entusiasmo per la chiara distinzione tra le quattro entità del primo tipo [1] si scontra con la difficoltà di tracciare i confini tra entità in quello che effettivamente è un continuum (fin quando si può parlare di altra espressione di un'opera e quando si passa a parlare di altra opera?); di selezionare le relazioni bibliograficamente pertinenti e necessarie in un reticolo di relazioni fittissime e multidirezionali; di ridefinire, dopo l'analisi teorica, dei confini realistici tra descrizione bibliografica e descrizione filologico-letteraria (l'edizione in senso filologico configura una distinzione di espressione, mentre l'edizione in senso puramente tipografico configura una distinzione di manifestazione?); infine, di esplicitare il livello a cui tale rigorosa analisi dell'universo bibliografico può esprimersi nella concreta struttura (e quale struttura?) del record bibliografico.
Molti di questi elementi, assieme a numerosi altri, sono opportunamente e acutamente messi in rilievo nelle approfondite Osservazioni su Functional requirements for bibliographic records: final report, a cura del Gruppo di studio sulla catalogazione dell'AIB, recentemente comparse nel "Bollettino AIB" (v. 38 (1999), n.3, p. 303-311), di cui si raccomanda la lettura.
Un altro aspetto su cui vorremmo soffermarci è la percezione, provata da molti catalogatori italiani di fronte al Rapporto, di non trovarsi tanto davanti a qualcosa di assolutamente nuovo, come forse troppo si è enfatizzato nel corso della presentazione, quanto di fronte ad una sistematizzazione effettuata con consapevolezza, lucidità e padronanza di strumenti.
Per prima cosa, se è vero che l'analisi delle entità del primo tipo si fonda su quel ben preciso filone internazionale di studi catalografici (di cui sono stati esponenti rappresentativi i molto citati Lubetzky e Domanovszky) che, di fronte ai codici prescrittivi di catalogazione nati dai principi di Parigi e alla famiglia delle ISBD, ha continuato a manifestare insoddisfazione e a reclamare un approccio teoricamente più rigoroso che riconoscesse la multidimensionalità dell'oggetto della catalogazione, è pur vero che tale filone ha avuto autorevoli portavoce anche in Italia: si pensi alle precoci considerazioni di Alfredo Serrai, forse troppo frettolosomanente nominato in queste giornate, sulla necessità di un catalogo che fosse anche di "opere" e non solo di "edizioni", ma anche ad interventi di Alberto Petrucciani sulla inadeguatezza, per la gestione dei grandi cataloghi cooperativi elettronici, delle attuali regole, che non consentono una accurata descrizione dei vari oggetti della catalogazione.
Ma, soprattutto, molti bibliotecari hanno riconosciuto come familiare nelle pagine (cartacee o virtuali che fossero) del rapporto proprio il modello di analisi entità-relazioni, che consiste sostanzialmente nell'individuare le entità in gioco in una certa realtà, e le relazioni che tra esse intercorrono; tale modello infatti ha ormai una lunga vita, nel corso della quale è già stato ampiamente applicato proprio all'universo bibliografico. Si tratta di un modello che ha avuto particolare fortuna nell'ambito della progettazione di basi di dati, e non per caso la maggior parte dei software di gestione di cataloghi elettronici, dal pionieristico ATLAS ai vari gestionali dell'alveo SBN o ad esso ispirati, sono costruiti su database relazionali, cioè per l'appunto basati sul modello di analisi entità-relazione.
Non si vuol dire con ciò che "tutto era già stato fatto": spesso tali analisi non sono state svolte direttamente o del tutto consapevolmente dai bibliotecari; e comunque mai si sono proposte di analizzare direttamente e nella sua totalità l'universo bibliografico ma piuttosto quel modello di esso già filtrato dai codici di catalogazione in uso.
Resta però il fatto che ogni catalogatore che usi un database relazionale, pratica giornalmente la distinzione tra entità almeno del secondo e terzo tipo e ne "maneggia" le reciproche relazioni (i familiari legami).
Queste considerazioni, lungi dal togliere alcunché al merito del Rapporto e dello studio sotteso, ne esaltano il ruolo di leva di emancipazione dei bibliotecari nell'impadronirsi a pieno di uno strumento potente finora in qualche modo "subito", nonché di fondazione epistemologica insita nella proposizione di una nuova, potente, rigorosa ed aggiornata terminologia.
Ci sembra perciò opportuno cercare di riconoscere alcune familiarità tra percorsi puramente applicativi e nuovi percorsi teorici, a dimostrazione di come in qualche modo l'appropriazione bibliotecaria del metodo entità-relazioni si inserisca in un cammino già iniziato, e a conforto della effettiva praticabilità della teoria.
Possiamo così constatare come, nei fatti (o meglio: nelle basi di dati relazionali e nella conseguente prassi catalografica), la trasformazione della scheda "piatta" delle RICA in un'intersezione di relazioni tra archivi di diverse entità (autori, titoli, descrizioni, soggetti etc.) sia già avvenuta, si oserebbe dire senza grossi traumi, semplicemente attraverso un'interpretazione ed un'integrazione di essa.
Naturalmente, limitandosi a perseguire una gestione ottimizzata dal punto di vista logico dei codici di catalogazione in uso, le basi di dati relazionali non hanno affrontato l'aspetto più complesso, innovativo, e potenzialmente controverso, dell'analisi FRBR: la rappresentazione delle entità del gruppo uno; ma non mancano di dare utili suggerimenti, anche perché, se già esiste un universo di relazioni, più facile risulta inserirne altre, una volta che ne sia riconosciuta l'utilità. Condividiamo appieno, a questo proposito, le Osservazioni del Gruppo di studio dell'AIB: sembra opportuno che le entità del primo tipo vengano rappresentate con modalità relazionali, cioè come entità a sé stanti tra loro collegate, cosa che nel rapporto non è espressa con sufficiente chiarezza.
Ci sembra comunque imprescindibile una accurata definizione delle circostanze in cui è effettivamente necessario, per l'espletamento delle funzioni utenziali, distinguere le varie entità del gruppo uno: non si può certo ignorare che nell'universo del libro stampato siano ancora dominanti i casi di coincidenza di opera, espressione e manifestazione. Sarà perciò necessario decidere se e come rappresentare l'entità astratta "opera", cominciando con l'interpretare alla luce della nuova consapevolezza teorica le semplici pratiche correnti, per scoprire che, tra la registrazione autonoma in una base relazionale del titolo uniforme con i suoi legami alle varie edizioni, e la registrazione di un'opera in relazione con le sue espressioni, il passo è breve.
Ragionare su FRBR e basi di dati relazionali seguendo il filo delle sopra rilevate familiarità, ci conduce infine ad alcune riflessioni sui formati MARC.
Come sappiamo, i formati MARC non sono nati nell'ambito della standardizzazione catalografica ma in ambito più squisitamente informatico, quasi un prodotto "secondario", elaborato allo scopo di comunicare dati bibliografici. Dunque, semplificando, possiamo così ripercorrere il cammino dell'informatizzazione catalografica: dei cataloghi cartacei e delle norme di catalogazione sono state fatte inizialmente "rudimentali" analisi in temini di entità-relazioni per ragioni puramente implementative; da ciò sono derivate le basi dati relazionali, in cui la scheda bibliografica si genera all'intersezione di un reticolo di relazioni; i formati MARC sono nati, logicamente a posteriori, come formati di scambio (esportazione o importazione dei dati): essi si sono posti programmaticamente la funzione non di modellizzare l'universo bibliografico ma di fotografare staticamente, "schiacciare", la realtà multidimensionale del record bibliografico relazionale per poterlo "trasportare", allo stesso modo in cui ingegneri ed architetti utilizzano disegni prospettici per avere rappresentazioni bidimensionali, più facilmente "portabili", di una costruzione tridimensionale.
Il modo per ridurre il numero di dimensioni è quello di "moltiplicare le visioni", cioè di ripetere il dato: così nei disegni prospettici di una casa, la stessa porta dovrà comparire almeno due volte affinché ne siano determinate esattamente la posizione e le dimensioni: in pianta e sul prospetto della facciata.
Il record MARC è dunque un record "piatto", perciò altamente ripetitivo (che non vuol dire ovviamente ridondante, o meglio, non rispetto a "se stesso"), che serve per contenere tutta l'informazione in sequenza lineare: questo è funzionale al "trasporto" di un'informazione "congelata" da uno ad un altro ambiente "vitale" (cioè, tipicamente, relazionale), dove cioè ogni entità compaia una volta sola ed il sistema (i meccanismi del software) provveda a gestirne dinamicamente i legami, le relazioni.
In questa prospettiva non ci risulta del tutto perspicua la proposta di riesame del record MARC secondo il modello entità-relazioni disegnato dal Rapporto. Se si tratta semplicemente di arricchire il formato di scambio in modo tale che possa continuare a svolgere la propria funzione comunicativa recependo le nuove complessità di registrazioni bibliografiche rappresentative delle relazioni fra oggetti analizzate da FRBR, allora la ristrutturazione di MARC è certamente opportuna. Se invece la proposta di rivisitazione si inserisce nella recente tendenza ad interpretare il formato MARC come un vero e proprio formato di catalogazione, non possiamo non rilevare un'incongruenza tra gli sviluppi della teoria catalografica che il Rapporto rappresenta e tali tendenze, che hanno recentemente condotto addirittura alla implementazione di "schede" MARC come base catalografica in alcuni diffusi software commerciali, col risultato di un ritorno a quell'appiattimento del record bibliografico a suo tempo superato proprio dai database relazionali.
E' chiaro che anche in sistemi di questo genere è possibile recuperare la multidimensionalità dell'universo bibliografico ed il trattamento delle varie entità (lo si realizza, ad esempio, attraverso l'implementazione di appositi controlli tramite authority files), ma non si riesce ad evitare un'impressione, se non di involuzione, per lo meno di tortuoso andirivieni, a causa forse di una troppo corta memoria di una storia, quella dell'automazione dei cataloghi, tutto sommato ancora breve.
Cinzia Bucchioni, Biblioteca del Dipartimento di Anglistica - Università di Pisa, e-mail: bucchioni@angl.unipi.it
Serafina Spinelli, Area della Biosfera - Università di Bologna, e-mail: spinelli@mail.cib.unibo.it
Note
[1] Lo studio ha individuato tre categorie di entità coinvolte nella descrizione bibliografica:
a. opera: entità astratta, costituita da una creazione artistica o intellettuale;
b. espressione: la realizzazione di un'opera (versione teatrale piuttosto che cinematografica), quella che viene usualmente protetta dal copyright;
c. manifestazione: oggettivazione fisica di un'espressione, ciò che dell'espressione viene pubblicato e distribuito; individua un insieme di oggetti fisici con identiche caratteristiche fisiche e intellettuali;
d. esemplare: il singolo oggetto fisico.
«Bibliotime», anno III, numero 1 (marzo 2000)