«Bibliotime», anno II, numero 3 (novembre 1999)
Comunicazione e marketing della biblioteca
Di Domenico Giovanni, Rosco Michele, Comunicazione e marketing della biblioteca. Un nuovo approccio alla gestione dei servizi. Milano, Editrice Bibliografica, 1998. 160 p. (Bibliografia e biblioteconomia; 52).
Il volume, di piacevole lettura, nasce dalla collaborazione tra uno studioso di biblioteconomia ed un aziendalista e, evitando quasi sempre l'impressione di superficialità che affligge molta letteratura biblioteconomica su queste tematiche, attinge nell'esemplificazione e nei riferimenti una certa concretezza. Si struttura in quattro capitoli, dei quali il primo e il quarto sono opera di Rosco ed il secondo ed il terzo di Di Domenico (quest'ultimo in gran parte ripreso dall'articolo Progettare la User Satisfaction. Come la biblioteca efficace gestisce gli aspetti immateriali del servizio, "Biblioteche Oggi", 14 (1996), 9, p. 52-56).
1. Quale marketing per la biblioteca
Nella prima parte della trattazione, viene posta la centralità del marketing in un contesto competitivo avanzato, in cui gli utenti si caratterizzino per esigenze più sofisticate del semplice soddisfacimento di bisogni di base e si trovino in una posizione contrattuale forte. Scopo del marketing è acquisire e conservare clienti in un contesto mutevole e competitivo, sviluppando la capacità di rispondere al "bisogno" primario del cliente ed anche ai "desideri" accessori che lo accompagnano.
Preliminare quindi è un'analisi dei bisogni dell'utenza: ad esempio all'interno del bisogno di informazioni vengono individuati tre livelli, proposti come griglia per l'analisi dei servizi di biblioteca:
Il marketing prende dunque le mosse da una chiara definizione del mercato nelle due componenti attuale e potenziale; è proprio questo orientamento alla potenzialità che fa della definizione del mercato un programma e che costituisce la modernità epistemologica del marketing in quanto osservazione capace di modificare il suo oggetto. Passo successivo è la segmentazione del mercato sulla base dell'analogia dei bisogni: del target di mercato, cioè di quella parte di utenti a cui intende rivolgersi la politica della biblioteca, vanno conosciuti nel dettaglio bisogni e modello di utilizzo, quest'ultimo analizzabile nelle seguenti fasi:
Viene poi riproposta la tradizionale scomposizione del marketing mix (o leve di marketing, le classiche 4 P), pur nella consapevolezza che si tratta di elementi strettamente interdipendenti in un processo altamente integrato:
(a) prodotto / (b) promozione / (c) prezzo / (d) piazza (di vendita).
a. Il prodotto deve essere tale da soddisfare il bisogno del cliente, ed è analizzabile a più livelli:
In particolare i servizi, rispetto agli altri prodotti, hanno una specificità legata alla necessaria contestualità di produzione e consumo ed alla conseguente centralità del fattore umano, sia sul versante del personale del front office, sia su quello del cliente, la cui collaborazione è indispensabile alla qualità del servizio stesso e va scientemente promossa e perseguita. In altre parole, nei servizi la qualità della relazione è fattore diretto di soddisfazione, dal che consegue che tutto il personale, in quanto portatore di immagine, risulta in qualche modo coinvolto in attività di marketing; il personale può dunque essere considerato la quinta P del marketing mix.
b. La promozione si attua non solo in maniera strutturata bensì anche involontariamente: il marketing ha il compito di curare la coerenza e l'univocità dei messaggi di immagine e comunicazione tanto verso l'esterno quanto verso l'interno, il che presuppone, per quanto detto sopra, il coinvolgimento di tutto il personale sulla base della chiarezza e della condivisione di obiettivi e missione. Particolarmente adatto a servizi culturali avanzati appare il marketing diretto, cioè il messaggio ad personam; vengono perciò riassunte le caratteristiche di una buona lettera di marketing (brevità, personalizzazione, linguaggio semplice e diretto, in incipit un vantaggio per l'utente, di seguito l'esposizione dei punti forti della proposta).
c. Il prezzo secondo la teoria classica è un valore monetario compreso tra i due estremi del costo di produzione, che va coperto, e del valore per il cliente. In realtà questo secondo termine è difficilissimo da valutare per quanto riguarda l'informazione (ricerche effettuate da operatori commerciali del settore hanno rilevato l'estrema difficoltà di vendere informazioni che si collochino in fasi iniziali del processo decisionale).
d. La piazza, ovvero il momento della vendita, riporta alle precedenti considerazioni sulla centralità delle relazioni nei servizi; qui entra in gioco la capacità del personale di contatto (attitudini psicologiche, flessibilità) di comprendere l'interlocutore e i suoi bisogni, e di saper presentare il prodotto come capace di soddisfarli. Molti studi hanno verificato come nella decisione di acquisto entrino, oltre a fattori razionali, anche e soprattutto fattori emotivi, e questo non solo per gli individui ma anche per le organizzazioni; vengono dunque indicati, come direzione di approfondimento per le biblioteche che si sono volte al nuovo settore della business information, gli studi sui processi decisionali nelle organizzazioni (come scegliere l'organizzazione con la giusta cultura - priorità - ed in essa le persone disponibili e con peso politico sufficiente da sostenere l'acquisto, etc.).
E' dunque evidente che ogni azione di marketing necessita di un adeguato sistema informativo che sia di supporto ad un'analisi dettagliata, che fondi la stesura di piani organici, che permetta alla fine di misurare gli obiettivi conseguiti e di mettere a punto correzioni di rotta.
2. La Biblioteca comunica se stessa.
La comunicazione, tradizionalmente connaturata alla biblioteca, viene reinterpretata alla luce delle teorie comunicative elaborate negli anni Sessanta, in particolare dalla Scuola di Palo Alto (USA). Premesso che a chi scrive non convince l'utilizzazione eccessivamente libera ed idiosincratica di terminologia e categorie linguistiche consolidate, emergono chiaramente in questa parte della trattazione i capisaldi della teoria comunicazionale:
Da queste premesse possono trarsi alcune ovvie e meno ovvie considerazioni:
a. essendo la comunicazione efficace solo se a due vie, è necessario partire dal linguaggio e dai bisogni dell'interlocutore ed ascoltare attentamente i segnali di ritorno, abbandonando quindi la comunicazione burocratica unidirezionale, che detta regole unilaterali, ed apprendendo la negoziazione, che è modalità comunicativa tesa ad evitare i conflitti ed a cercare la soddisfazione di tutte le parti coinvolte, nella quale le modalità relazionali hanno lo stesso peso dei contenuti. Per quanto riguarda una biblioteca, in pratica, si pensi ad attività sistematiche di gestione di desiderata e reclami, ad uffici per le relazioni col pubblico; agli svariati modi per coinvolgere gli utenti (sondaggi di opinione, focus group); a tutte le ricerche sulla domanda, sull'utilizzazione dei servizi (relativamente alle modalità, con dati quantitativi, ed alle motivazioni, con dati qualitativi raccolti ad hoc); alle ricerche sul mercato potenziale, sui bisogni (mancanze) e i desideri (investimenti dell'animo sulla capacità delle cose di dare benessere) che lo informano; alle ricerche, peraltro molto delicate, sulle reazioni degli utenti a fattori nuovi introdotti di volta in volta, etc.;
b. essendo la comunicazione la linfa vitale di ogni organizzazione, si parla di comunicazione organizzativa intendendo con ciò tutte le iniziative di comunicazione per la gestione, la sopravvivenza, lo sviluppo di un'organizzazione, rivolte sia al pubblico interno che al pubblico esterno, le quali consentano agli individui di conoscere l'organizzazione, la sua attività, la sua evoluzione, la sua cultura e, soprattutto, di conoscere e di partecipare ai processi decisionali; essa si fonda su criteri di trasparenza, visibilità e responsabilità sociale, ed è caratterizzata dalla rilevanza che assumono i processi comunicativi in sé, accanto ai contenuti. Rientra in quest'ottica la Stakeholder theory, che considera i singoli elementi che compongono o che interagiscono con l'azienda non come esecutori di funzioni ma come portatori di interessi, in quanto tali inseriti nei flussi comunicativi. La comunicazione organizzativa richiede dunque strategie coerenti ed adeguate ad ogni segmento di pubblico: verso l'esterno è necessaria l'attività di promozione, per rendere stabile e riconoscibile l'identità dell'azienda; verso l'interno è necessario raccogliere ed organizzare il consenso attorno ai progetti. Schematicamente, si possono riconoscere alcuni obiettivi comunicativi, che assumo significati diversi a seconda dei destinatari (utenti o personale):
UTENTI |
PERSONALE |
informare: sui servizi, le metodologie di erogazione: deve essere un'azione costante e tempestiva, tesa a valorizzare l'offerta e ad abbassare le soglie d'incertezza dell'utente |
informare: sulle politiche e gli obiettivi aziendali, sui progetti in atto e sui processi decisionali in corso |
formare: con l'addestramento puntuale, ma anche come esperienza permanente, che ha nella biblioteca una sede privilegiata, per la costruzione di un soggetto maturo capace di analisi, coscienza, intenzionalità |
formare: processo permanente di fondamentale importanza, sia a livello tecnico che relazionale |
convincere: soprattutto i fruitori potenziali con campagne di promozione periodiche e non episodiche, mai velleitarie |
convincere: attraverso una leadership aperta e motivante, anche con l'uso di incentivi |
accreditarsi: oltre che con servizi efficaci, con un'attenta cura dell'immagine che conferisca valore all'Istituzione in sé: a tal fine è utile una comunicazione che ponga fortemente l'identità dell'Istituzione, per esempio una rivista aziendale |
accreditarsi: sviluppare la cultura dell'azienda in tutta l'organizzazione, il che è possibile solo attraverso comportamenti chiari e corretti della dirigenza |
orientare: perché la fruizione sia ottimale, efficiente ma anche responsabile, basata sul senso di appartenenza |
orientare: le energie della persona verso i valori comuni |
c. le diverse tipologie comunicative sono parti di un unico processo (comunicazione globale), ma la dinamicità e la complessità ambientale consigliano di integrare forme, strumenti e contenuti, magari ideando un modulo che integri in un percorso coerente, secondo criteri di continuità, chiarezza, realismo e condivisione, la comunicazione implicita e quella esplicita, e le diverse tipologie (quella di marketing, quella organizzativa, quella interna). I messaggi impliciti vengono dalla realtà della biblioteca stessa: i suoi servizi; le sue raccolte con le loro dimensioni, organicità, collocazione, percorsi di ricerca praticabili; gli spazi, gli arredi e le tecnologie presenti come indici della capacità di investimento ed innovazione; il comportamento del personale. La comunicazione esplicita può avvalersi delle tecniche messe a punto dalla pubblicità ed ormai mature (si pensi al percorso che dall'originaria réclame, essenzialmente segnalazione dell'esistenza del prodotto, ha portato all'advertising, teso alla dimostrazione della rispondenza del prodotto ai bisogni del cliente attraverso un messaggio che comincia ad acquisire una certa autonomia dal prodotto, fino all'attuale publicity, che punta tutto sulla visualizzazione del contesto ambientale dell'utilizzo del prodotto facendo leva sugli aspetti simbolici e di appartenenza).
Per una buona gestione delle public relations, il manager deve essere capace di integrare competenze linguistiche, psicologiche, sociologiche e tecniche audiovisive, grafiche, informatiche; deve avere fiducia in sé e nella causa rappresentata, ma saper rispettare l'interlocutore.
Come esempio di campagna di comunicazione riuscita è portata quella della biblioteca comunale di Imola, che integra una grafica accattivante, un logo riconoscibile, uno slogan efficace costruito con un uso sapientemente ambiguo del linguaggio.
Chiudono il capitolo alcune considerazioni molto pratiche a proposito della forma di comunicazione più tradizionalmente praticata in biblioteca, quella scritta, per la quale si ricorda la necessità di modellare i messaggi non sulla struttura degli uffici ma sulle domande degli utenti, di utilizzare un linguaggio "democratico" cioè fattuale e non tecnico o gergale né ambiguo, impiegando di preferenza frasi brevi e paratattiche, verbi alla forma attiva, lessico familiare; di focalizzare gli elementi concreti del "che cosa", "quando", "dove", "perché"; di indicare sempre le responsabilità. Si consiglia, a garanzia di coerenza, di pianificare il lavoro, partendo da uno schema per punti da dettagliare successivamente.
Poiché una politica di comunicazione sistematica ha costi rilevanti, che configurandosi come un investimento sul medio-lungo periodo sono continuamente a rischio di tagli, è necessario applicare ad essa tutte le modalità e le tecniche di una gestione efficiente e corretta, a partire da una programmazione dettagliata:
3. User satisfaction in Biblioteca
La soddisfazione dell'utente è l'obiettivo della biblioteca orientata all'efficacia e poggia su un'alta qualità del portafoglio di servizi e su un'alta qualità delle transazioni; infatti non basta che l'utente riceva ciò che cercava perché resti veramente soddisfatto, e questo perché in un servizio entrano fattori quali l'intangibilità della prestazione e la simultaneità di produzione e consumo, che ne fanno anche un'esperienza di contatto, coinvolgendo il sistema erogatore (front office + back office), l'ambiente (ivi inclusi gli altri utenti), e l'utente, la cui partecipazione e collaborazione è assolutamente necessaria.
In questa prospettiva una corretta selezione e formazione del personale di contatto è necessità primaria. Bisogna perseguire una formazione al contatto che eviti gli errori di atteggiamenti improvvisati e spontanei, quali:
Uno stile di contatto efficace implica la consapevolezza del fatto che la soddisfazione dell'utente è risorsa fondamentale e che la buona accoglienza non è un accessorio ma una necessità strategica; si fonda su modalità uniformi e costanti, caratterizzate da:
L'utente è soddisfatto quando con un sacrificio modesto ottiene una prestazione elevata; bisogna accettare il concetto che la qualità come capacità di soddisfare è una percezione dell'utente, un valore soggettivo che non esiste se non viene percepito; e perché le percezioni dell'utente siano pienamente favorevoli è necessario, oltre a fornire un buon prodotto, eliminare incertezze ed imbarazzi. La qualità percepita dipende peraltro anche dalla qualità attesa, la quale è parzialmente funzione dell'immagine comunicata, che perciò non deve mai essere millantatoria.
La user satisfaction deve concretizzarsi in un progetto della biblioteca, per la cui gestione è auspicata la costituzione di un gruppo di lavoro ad hoc, che si basi su rilevazioni (misurazioni) metodiche e regolari e che si articoli in fasi, come ogni progetto:
Si evidenzia come per valutare compiutamente l'efficacia e la qualità di una biblioteca non bastino i dati interni misurabili (quantitativi) ma sia auspicabile affiancare indagini qualitative, appositamente sviluppate per rilevare la user satisfaction, di cui vengono presentati due modelli:
1. CIT (Critical Incident Technique), basata su un questionario da sottoporre ad un campione di utenti, con quattro domande a risposta libera:
Le narrazioni devono essere esaminate e classificate secondo caratteristiche comuni. Di solito queste indagini rivelano quanta incidenza abbiano i comportamenti inattesi del personale e permettono di individuare i punti di forza e di debolezza del sistema senza dover decidere in via preliminare gli elementi da indagare.
2. Indagine mirata alla rilevazione contestuale e distinta delle aspettative e delle percezioni dell'utente rispetto ai vari servizi e ai vari aspetti di un servizio, basata su due questionari, da sottoporre ad un campione di utenti e poi al personale, dei quali il primo appura la rilevanza relativa di ogni singolo elemento del servizio (chiedendo all'intervistato di distribuire tra i vari aspetti del servizio un totale di 100 punti) mentre il secondo riferisce gli stessi elementi alla biblioteca in esame indagando il grado di soddisfazione attraverso un punteggio su scala pentenaria (l'idea di fondo non è molto distante dalla tecnica SERVQUAL, che affronta una serie di asserzioni del tipo "la biblioteca ottimale è luminosa" con altre del tipo "la mia soddisfazione sull'illuminazione della biblioteca X è pari a" 1, 2, 3, 4, 5) [1].
Si tratta di un metodo facile che non richiede l'intervento di professionisti, può essere inviato anche per posta, è facilmente ripetibile; richiede però un campione ampio ed un buon modello di analisi. A volte può essere utile segmentare l'utenza ed in tal caso bisogna raccogliere nel questionario anche i dati personali necessari.
Il capitolo si chiude presentando un'altra tecnica manageriale nata nell'alveo degli studi sulla qualità, il benchmarking, che consiste nel confronto con altre realtà che siano eccellenti in qualche aspetto e si basa sull'individuazione di modelli gestionali e processi operativi vincenti ovunque si trovino.
Il benchmarking, come attività sistematica e non occasionale, è così scomponibile:
Il cuore di tutto il processo è ancora la valutazione, che può riservare delle sorprese rispetto alle attività di misurazione della user satisfaction. Ne sono oggetto sia prodotti e servizi che soluzioni organizzative e metodologie, si indaga quindi non solo "che cosa" viene offerto sul mercato, ma anche "come" (si noti peraltro come, nonostante la tradizione cooperativa delle biblioteche, pochissime realtà si scambino informazioni sulle prassi organizzative).
Non ci sono limiti settoriali: si parla di benchmarking interno (con sè stessi attraverso il tempo); di settore; best in class (transettoriale, applicabile alle problematiche comuni a settori diversi quali la gestione di code o attese etc.). Le organizzazioni di riferimento devono essere eccellenti, all'avanguardia nelle funzioni analizzate; le informazioni utili vanno attinte attraverso qualsiasi fonte (pubblicità, banche dati, associazioni professionali, esperti, utenti, dipendenti, fornitori) secondo una gerarchia di affidabilità e previo riscontro; verso gli interlocutori diretti è ovviamente necessario il massimo di lealtà e chiarezza
Anche per il benchmarking è auspicabile la costituzione di un gruppo di lavoro ad hoc, con un capo progetto che scelga il gruppo, pianifichi, coordini, negozi con la direzione sulle modalità, relazioni i risultati.
4. Da manager a leader: il bibliotecario come agente del cambiamento
Il cambiamento nella nostra epoca è fisiologico e continuo, non più episodico ed accidentale, e questa è in qualche modo una novità per tutto il panorama socio-economico: il mercato globale e la competitività crescente richiedono che ogni azienda sia in grado di adeguarsi in fretta, anzi di anticipare le opportunità. E' necessario peraltro che questa capacità di adeguamento coinvolga tutto il contesto ambientale, inclusi i servizi pubblici, le infrastrutture, la pubblica amministrazione; tutto il "sistema" insomma in cui la singola azienda è inserita, pena un sicuro svantaggio competitivo.
Queste nuove modalità richiedono dovunque personale capace di, e disponibile a, affrontare il cambiamento, che abbia la competenza e le motivazioni per confrontarsi con sempre nuovi obiettivi - e infatti nei paesi sviluppati la competizione non si gioca più sul costo della manodopera ma sul know-how, sul fattore umano inteso qualitativamente -; ciò di cui c'è bisogno va oltre il saper fare tecnico, è cultura nel senso di capacità di innovare, riconvertirsi, trovare riferimenti, collegare passato e presente e progettare il futuro (non del tutto paradossalmente si può affermare che il made in Italy ha valore anche perché tra i nostri antenati ci sono Leonardo e Michelangelo, e questo sia a livello di immagine che di gusto).
In una visione che non sia miope, dunque, oggi più che mai assumono rilievo, anche economico, la cultura e la formazione
La biblioteca, se da un lato è investita da questa necessità di rinnovamento come ogni altro servizio pubblico, dall'altro è chiamata in causa in modo particolare per la sua specificità di ente di cultura, di conservatorio e laboratorio di conoscenza, che ne fa soggetto privilegiato nell'ambito delle nuove necessità di formazione ed autoformazione continua. La biblioteca è dunque nella posizione di poter ridefinire il proprio spazio in questo cangiante panorama; ma questo solo a patto di saper innovare l'organizzazione interna.
Per inserirsi e sopravvivere in un contesto turbolento, le organizzazioni devono essere fortemente orientate al contesto, dunque flessibili: si parla di learning organizations riferendosi al processo di apprendimento di cui l'organizzazione deve essere capace in tempi rapidi. Per far ciò c'è bisogno di semplificare le procedure, appiattire le gerarchie, velocizzare i flussi comunicativi, avvicinare processi decisionali ed attuativi; e ci vuole personale che sia in grado di mettersi in discussione e di prendere decisioni, che ad una solida competenza tecnico-specialistica unisca quella gestionale-comunicativa: infatti in questo contesto le attività politiche tendono a distribuirsi, ed a tutti è richiesta la capacità di comunicare all'esterno e all'interno, di negoziare, di risolvere i conflitti senza ricorrere alla gerarchia. C'è dunque bisogno di nuove organizzazioni del lavoro che non fissino rigidamente ruoli e compiti (un buon modello è il lavoro di gruppo, che implica autocoordinamento).
L'efficienza e l'efficacia organizzativa dipendono eminentemente dalla motivazione del lavoratore, la quale è strettamente legata all'organizzazione del lavoro, allo stile di leadership, alla sua coerenza verso gli obiettivi. E' infatti entrato in crisi il modello taylorista, caratterizzato da forte gerarchia, controllo accentrato, comunicazione verticale, netta separazione tra decisori ed esecutori, tra tecnici e politici, che vede come unica forma di motivazione del personale quella economica.
Purtroppo la pubblica amministrazione in Italia è in gran parte formalmente ferma a questo modello, che negli Stati Uniti già negli anni Trenta è stato messo in discussione dalla scuola delle Human Relations, la quale ha sottolineato la necessità, per una vera efficienza nel lavoro, della motivazione socio-psicologica, dando rilievo ad uno stile di leadership che valorizzi il collaboratore. I successivi studi di Maslow sulla motivazione umana sono andati oltre legando la motivazione alla qualità del compito, allo spazio decisionale, all'esperienza di un lavoro significativo.
Questi studi, oltremodo interessanti a livello di analisi, restano però molto ideologici, parziali, perché nel concreto in ogni persona agiscono diverse motivazioni, in equilibrio variabile a seconda della personalità e del momento esistenziale. Il buon leader è dunque quello situazionale-trasformazionale, che alle classiche virtù manageriali dell'interesse per la produzione e dell'orientamento alle persone, aggiunge la capacità di differenziare le leve motivazionali a seconda della soggettività e della maturità dei collaboratori, cioè della loro disponibilità ad assumersi responsabilità, tendendo ad una evoluzione del rapporto: la gente può maturare e il leader deve lavorare per questo.
A seconda dello stadio di maturità del collaboratore, il leader:
Le discipline manageriali parlano di empowerment, cioè cessione di potere ottenuta tramite il ridisegno dell'organizzazione, il miglioramento del contenuto del lavoro, l'arricchimento dei compiti, l'assegnazione di compiti completi e non di parti; l'obiettivo è ottenere persone dotate di autostima, che in qualche modo si divertano, che siano in grado di esercitare un controllo sul proprio destino e su quello dell'organizzazione. Questo traguardo, niente affatto facile, presuppone che il capo abbia, e sappia proporre, una sua "visione", un ideale per cui lottare, un sogno su cui mobilitare i collaboratori, costituito sia da un'intelaiatura concettuale (le finalità dell'organizzazione) che da un richiamo emotivo per l'azione; solo così può crearsi una tensione verso l'innovazione, un clima di fattivo ottimismo.
Per "visione" si intende insomma una ridefinizione/attualizzazione dei valori dell'organizzazione, preliminare ad ogni concreto obiettivo, che naturalmente affondi le radici nella storia: per una biblioteca i valori del patrimonio da preservare, della cultura da trasmettere, della conoscenza da consolidare sono sempre validi, vanno semplicemente rinnovati con l'orientamento all'utente e al servizio.
Nell'introdurre il cambiamento bisogna evitare sia l'errore di aspettare che il contesto sia pronto, sia quello di volerne prevedere i passi uno ad uno: è piuttosto importante individuare chiaramente la direzione, per poi introdurre via via gli elementi che le circostanze consentono. Per esempio, molto utile per innovare la gestione del personale, è la creazione di gruppi di progetto per gestire le attività a termine: in essi la divisione dei compiti non è gerarchica e si basa sull'autocoordinamento, la pianificazione, la negoziazione; molte decisioni tecniche vengono delegate a specialisti, la temporalità rende più visibili gli obiettivi; al capo resta un approccio sistemico che gli consenta di collegare le varie fasi e controllare i risultati.
In una organizzazione di servizi, una competenza comunicativa e negoziale diffusa è l'unica garanzia di capacità di intervento sull'imprevisto (la comunicazione burocratica, formale ed astratta, mirava a prevedere tutti i comportamenti comunicativi e ad eliminare imprevisto ed emotività).
Comunicare significa saper ascoltare (capire, entrare in sintonia con l'altro) ed essere flessibili (sapersi adeguare); fondamentale è dunque adattare il linguaggio a quello dell'interlocutore, il che implica la rinuncia al gergo, quel linguaggio settoriale che matura in seno ad ogni specialismo per rendere la comunicazione interna più efficiente e meno ambigua ma che fuori dal circolo non funziona; e, coerentemente, è indispensabile la verifica del feedback ovvero dell'efficacia comunicativa, che permette un adeguamento continuo tra emittente e destinatario.
L'aspetto pragmatico della comunicazione, quello più propriamente comportamentale (metacomunicativo) che determina il significato definitivo del processo di comunicazione, chiama in causa la relazione tra gli interlocutori: a questo livello contano la componente non verbale (mimica, tono, gesti), i bisogni, le aspettative, i rapporti di potere. La relazione corretta per una buona comunicazione è quella di reciprocità ed uguaglianza, che evita sia la relazione basata sulla dipendenza di un interlocutore rispetto all'altro, sia quella improntata alla fusione e all'assunzione totale del punto di vista dell'altro, sia infine quella di seduzione che supera apparentemente la distanza illudendo l'interlocutore con false promesse.
Se nella visione burocratica classica il conflitto era accidente da evitarsi prevedendone e neutralizzandone ogni possibile causa, nell'organizzazione in cambiamento esso è fisiologico, derivando da differenze di punti di vista che costituiscono la ricchezza e la potenziale flessibilità dell'organizzazione, e va gestito attraverso la negoziazione.
Schematicamente infatti, dato un conflitto, la soluzione può essere cercata tramite:
Strumento principe della nuova organizzazione volta al cambiamento è la formazione del personale, percorso lungo e faticoso ma ineludibile; comprende non solo una formazione tecnico-specialistica ma anche una formazione ai valori, alla cultura, alle relazioni; risulta efficace quando mette in discussione non solo le competenze dei discenti ma anche le modalità organizzative, le procedure, il sistema premiante: se questo non avviene possono ingenerarsi addirittura reazioni di rifiuto (è controproducente insegnare i nuovi valori se poi non è evidente lo sforzo di attuarli da parte dell'organizzazione).
Schematicamente, il ciclo di vita della formazione comprende:
I contenuti della formazione devono essere coerenti con gli obiettivi che l'organizzazione si è data, ed il suo successo sarà proporzionale alla sua capacità di valorizzare il personale, di farlo diventare protagonista.
Conclusioni
Congedandosi, gli autori esplicitano, quale filo conduttore della loro opera (seguito attraverso l'utilizzazione del linguaggio aziendale applicato alla specificità delle biblioteche), la volontà di segnalare alle biblioteche l'urgenza del cambiamento in direzione di un'attenzione all'esterno e soprattutto all'utenza, nella convinzione della maggior rilevanza dei valori di efficacia dell'azione nei servizi pubblici (e perciò attenzione ai bisogni degli utenti) su quelli di efficienza, e questo in polemica con l'enfasi da più parti (comprese le sedi normative) recentemente posta sull'efficienza nella pubblica amministrazione.
Queste affermazioni conclusive, che richiamano il recente dibattito sviluppatosi in seno alla letteratura professionale italiana, hanno aiutato chi scrive a mettere a fuoco alcuni embrionali moti di insofferenza che episodicamente si sono affacciati durante la lettura del volume.
Intanto, volendo attenersi alla diade efficacia versus efficienza, appare evidente che i due concetti rappresentano entità inscindibilmente connesse, le due facce della stessa medaglia; la loro distinzione, utile a fini analitico-concettuali, nella pratica rischia di essere, appunto, operazione di parzialità ideologica: nelle realtà orientate al profitto in cui tali concetti sono sorti, infatti, l'obiettivo è in ultima istanza sempre il profitto, perseguito come obiettivo immediato tramite operazioni di efficienza, oppure in una visione a più lungo termine tramite strategie di efficacia (la ragione per cui è tanto importante soddisfare il cliente è insomma l'acquisita consapevolezza della maggior redditività del cliente fidelizzato). Proprio perché nelle realtà orientate al profitto non si corre il rischio di trascurare la gestione efficiente delle risorse, è forse potuto accadere, in certi periodi improntati a politiche di gestione a breve termine, di sopravvalutare la resa immediata a scapito dell'efficacia dell'azione.
Tutt'altra mi pare la situazione dei servizi pubblici, afflitti da lunga disabitudine al calcolo dei costi: dove bisogna ammettere, se non si vuole essere ipocriti, che il primo servizio all'utente è proprio quello di una corretta, efficiente, responsabile utilizzazione del "suo" denaro; anche perché, data la scarsità per definizione delle risorse, ogni spreco si paga con carenze, al limite in altri settori, di modo che una gestione efficiente è precondizione necessaria ad un buon servizio globale.
Forse chi scrive è viziata da un osservatorio particolarmente arretrato, ma l'impressione è che in Italia ancora non sia che agli esordi la rivoluzione culturale che implica una gestione pubblica efficiente (e non si parla certo della falsa efficienza burocratica, quella dei tre preventivi e del costo più basso per intenderci, che sappiamo bene quanto possa essere inefficiente, oltre che inefficace, imponendo procedure sproporzionatamente onerose e costose in termini di tempo/uomo); insomma non pare realistico che si possa impostare veramente una politica diffusa di servizio efficace all'utente prima di avere sciolto i nodi dell'utilizzazione efficiente del personale e dei fondi; di un reclutamento valido, di una distribuzione razionale del personale, di uno sviluppo delle carriere corretto (da dove sennò proverrà il leader visionario di cui così appassionatamente parla il volume?).
L'impressione di chi scrive, come operatrice in un servizio pubblico e come utente di tanti altri, non è certo che i servizi pubblici italiani rischino un eccesso di efficienza; la quale, si badi, non è contenimento dei costi in ogni modo bensì controllo della resa costi/prodotto con tendenza a massimizzare il prodotto (e proprio il tanto parlare che se ne è fatto recentemente in documenti ufficiali e legislativi ricorda le considerazioni manzoniane sulle grida relative ai bravi: tanto legiferare non fa che confermare la gravità e diffusione dell'infrazione).
Sulla stessa falsariga si evidenziano altre perplessità, per esempio legate alla considerazione, più volte sottolineata dagli autori, che il marketing si inserisce in contesti avanzati, in cui l'utente non si accontenta più del servizio di base ed ha a disposizione un ampio ventaglio di scelte; inevitabilmente si pone il dubbio: in quante realtà bibliotecarie italiane il servizio di base è veramente acquisito e garantito? quanti utenti di biblioteche italiane sperimentano invece ancora una situazione di "sussistenza" bibliotecaria?
La concezione stessa di strategie concorrenziali (fornire un buon servizio per attirare e trattenere più clienti) suscita alcune perplessità in chi lavora quotidianamente in realtà, quali le biblioteche delle università, cronicamente e strutturalmente sottodimensionate rispetto non solo agli utenti potenziali ma anche agli utenti effettivi; in strutture che, forse a volte per mancanza di cultura adeguata nel personale ma anche per reale impossibilità ad ampliare le risorse in proporzione al prodotto, si sono abituate a lottare contro gli utenti, a circoscrivere tassativamente i servizi concessi e non concessi (non possono entrare studenti di altre facoltà, magari si impone l'entrata tramite tessera magnetica di accesso, non è ammesso chi studia libri propri, il prestito interbibliotecario è offerto solo ai laureandi del dipartimento).
E' chiaro che al più alto livello di destinazione politica delle risorse, la concorrenza certo si manifesta; ed è anche vero che quelli che sono limiti della singola biblioteca possono essere superati in un'ottica di sistema bibliotecario (di Ateneo o di territorio), con una costellazione coordinata e razionale di limitazioni e distribuzione dei servizi che salvaguardi la qualità globale; ed ecco che si torna, ancora una volta, alla preliminare necessità di una razionalizzazione delle risorse per giungere ad un servizio efficace.
Cinzia Bucchioni, Biblioteca del Dipartimento di Anglistica
Università di Pisa, e-mail: bucchioni@angl.unipi.it
Note
[1] Il testo di questo paragrafo è stato aggiornato dall'autrice in data 18 aprile 2000, a seguito della segnalazione, da parte di Giovanni Di Domenico, che la tecnica SERVQUAL è stata presentata non nel volume recensito bensì nell'articolo: Progettare la User Satisfaction. Come la biblioteca efficace gestisce gli aspetti immateriali del servizio, "Biblioteche Oggi", 14 (1996), 9, p. 52-56. Si riporta per completezza il testo originale del paragrafo: "2. SERVQUAL, basata su due questionari, da sottoporre ad un campione di utenti e poi al personale, dei quali il primo mira ad appurare la rilevanza relativa di ogni singolo elemento del servizio (ponendo una serie di asserzioni cui deve essere attribuito un punteggio a somma fissa, del tipo "la biblioteca ottimale è luminosa"); mentre il secondo riferisce gli stessi elementi alla biblioteca in esame indagando il grado di soddisfazione attraverso un punteggio su scala pentenaria (con asserzioni del tipo "la mia soddisfazione sull'illuminazione della biblioteca X è pari a" 1, 2, 3, 4, 5)".
«Bibliotime», anno II, numero 3 (novembre 1999)