«Bibliotime», anno II, numero 2 (luglio 1999)
La biblioteca nel Web, il Web nella biblioteca
Il World Wide Web ha cambiato le modalità con le quali le biblioteche offrono i loro servizi, ha abbattuto i muri fisici delle biblioteche di carta, permettendo la creazione di nuovi ambienti informativi nei quali il processo comunicativo evolve nello scambio di oggetti digitali. E' la nuova società dello scambio, laddove per oggetti digitali si intendono le risorse elettroniche che risiedono lungo la Rete: programmi, testi, pagine Web, archivi di dati, cataloghi di biblioteche (OPAC), fotografie, filmati, documenti sonori, e tutte quelle informazioni che vengono messe a disposizione dai "serventi" della Rete per i "clienti" che vanno ad interrogare ciò che sta al di là della biblioteca fisica.
Le biblioteche dunque, con il Web, dentro al Web e attraverso il Web, giocano un ruolo fondamentale, prima come "client" nella cattura e nella selezione dell'informazione, poi come "server" nella conseguente ridistribuzione di quanto recuperato, nella disseminazione all'utenza locale e remota, nell'organizzazione di percorsi di indirizzo e nella produzione di prodotti informativi di qualità.
Da sempre la "Rete" è stata percepita come metafora di un sistema quasi invisibile per la "cattura all'interno di uno spazio": Rete come cattura, Rete come ambito, Rete come labirinto, Rete come sistema, la Rete dunque si configura come una vera e propria metafora dell'appartenenza. E' il paradigma enunciato da Paola Di Nicola nel suo recente lavoro La Rete: metafora dell'appartenenza. Analisi strutturale e paradigma di Rete [1] relativo alla sperimentazione di nuove forme di programmazione e gestione dei servizi che si inquadrino e rispondano ai bisogni di una società sempre più "relazionale".
"Quante più informazioni abbiamo a disposizione, tanto meglio saremo in grado di pensare creativamente" ha scritto Edward De Bono nel suo Essere creativi [2]; oggi tuttavia sappiamo che è la quantità delle informazioni disponibili a costituire un problema, ciò che conta è invece la qualità delle informazioni: difatti, nel momento in cui la massa di informazioni diviene ingovernabile, non c'è spazio per una crescita culturale che si origina dalla nascita di nuove idee.
La biblioteca nel Web e il Web nella biblioteca - ovvero, se si vuole, dalla virtual library alla digital library - è un processo che richiede vari passaggi e momenti di snodo. Esso si instaura attraverso fasi gestionali e operative, che sono il lavoro quotidiano necessario al funzionamento del corpo fisico della biblioteca e dei suoi elementi strutturali; la biblioteca fisica "metabolizza", attraverso il lavoro quotidiano, i suoi processi fisiologici, ma nel momento in cui cresce e si evolve è anche in grado di collocarsi in una dimensione più ampia, che le permette di produrre "opere" che permangono nel tempo e nello spazio.
E' la distinzione che si pone tra il concetto di "lavoro" e quello di "opera", concetti che Hannah Arendt nella sua Vita activa [3] definisce in forme sorprendentemente attuali e del tutto applicabili alle funzionalità dell'organismo biblioteca.
Si può dire allora che il passaggio dalla biblioteca fisica alla biblioteca virtuale sia segnato da particolari momenti di snodo nei quali la biblioteca che si immette nel Web:
Il passaggio che porta una biblioteca virtuale a divenire biblioteca digitale passa attraverso capacità organizzative e tecniche. Gradualmente, attraverso il Web e con gli strumenti che la tecnologia mette a disposizione, la biblioteca diviene "attore", in quanto produce informazione che va a collocarsi fuori della sue mura, in luoghi accessibili da utenze remote
Due quindi le condizioni del suo essere virtuale e/o digitale, nel ruolo di "client" e/o di "server", in spazi ove pulsano quattro attività principali:
L'essere fisico, virtuale o digitale per una biblioteca, equivale sempre a ordini di collezioni e ad aggregazioni di servizi, ubicati in luoghi chiusi o aperti, fisici o virtuali che siano, regolati da sistemi di accesso.
Le quattro attività strettamente correlate si connotano nel concetto di Biblioteca come relazione, così come lo ha espresso da Giuseppe De Rita al recente Convegno torinese Biblioteca e città. Quattro le relazioni esposte da De Rita e descritte e commentate nell’e-mail spedito alla lista di discussione AIB-CUR il 18 maggio scorso da Marco Melloni [4]:
Tali punti contestualizzano dimensioni differenti in diversi approcci:
La trasformazione di ruoli, di mentalità, di luoghi, la trasformazione del movimento dell'informazione, del suo recupero e del conseguente modo di disseminarla da parte delle biblioteche e di chi opera nel settore informativo, si fonda su solide basi organizzative.
La logica di predisporre modelli organizzativi (e di conseguenza tecnologici) per gestire l'informazione passa sempre attraverso regole predefinite. Se prima il bibliotecario organizzava i suoi spazi entro mura limitate, in ordini fisici di volumi posti su scaffali, ora, in certe realtà, in quelle mura si sono aperti degli spiragli attraverso i quali transita una parte dell'informazione. In altri contesti si intravedono dei varchi più ampi, dove flussi informativi viaggiano in ingresso e in uscita. Sempre più spesso le mura delle biblioteche fisiche si stanno sgretolando per lasciar spazio al movimento informativo; in altri luoghi, altre zone sono già di libero accesso senza più mura d'intorno. Dunque l'organizzazione informativa di unità fisiche tangibili si estende al di fuori, laddove le mani del bibliotecario arrivano a organizzare documenti digitali all'interno di spazi virtuali definiti.
Prende così forma la biblioteca ibrida, un concetto definito da Chris Rusbridge, direttore del Programma e-Lib (UK Electronic Libraries Program) nel suo articolo Toward the Hybrid Library [6]. Rusbridge espone un modello di biblioteca fisica integrata all'interno di ambienti virtuali, di configurazioni fisiche tradizionali, costituito soprattutto di materiale pregresso, a cui si congiungono grossi archivi di collezioni numeriche.
L'integrazione di risorse fisiche e digitali, che costituisce il nucleo portante della biblioteca ibrida, è anche il centro del problema su cui si dovrà lavorare attivamente per unire:
L'integrazione degli strumenti e delle risorse rappresenta allora il punto focale per una crescita qualitativa della biblioteca; in tal modo la quinta legge di Ranganathan ("la biblioteca è un organismo che cresce"), si rielabora in forme del tutto nuove.
Herbert Van de Sompel e Patrick Hochstenbach, nell'articolo apparso su "D-Lib" nello scorso aprile [7], tracciano interessanti considerazioni sull'integrazione degli strumenti di reference all'interno dei diversi ambienti, dando l'idea di un momento di passaggio, ma anche di riflessione sulle future prospettive bibliotecarie.
Le biblioteche, per potersi orientare, dovranno imparare ad utilizzare, come prima tappa, gli strumenti che la Rete mette a disposizione, strumenti che permettono, per prima cosa, il recupero dell'informazione dal caos. Questi "utensili" come li ha definiti Corrado Pettenati nel recente seminario di Padova sulla biblioteca digitale [8], sono suddivisi in quattro famiglie:
Le scatole virtuali contenenti le informazioni organizzate, quali OPAC e database, dovranno essere dotate di utensili per la ricerca non solo "personalizzati" o "personalizzabili", ma che siano estensioni logiche degli strumenti informativi, che permettano cioè di recuperare adeguatamente quanto indicizzato dai bibliotecari.
L'accesso alle informazioni contenute negli OPAC attualmente è un accesso che consente un recupero che ha poco a che fare con i concetti di specificità e precisione nelle risposte. I grossi cataloghi collettivi di ambito territoriale, al cui interno si trovano migliaia di notizie a carattere interdisciplinare, molto spesso non rispondono alle esigenze conoscitive dell'utenza se non in termini di alto richiamo, arrivando inevitabilmente al futility point o punto di futilità, in cui l'utente di solito abbandona la ricerca. Secondo alcune fonti, il punto di futilità si raggiunge quando, posta una query, il sistema risponde con la visualizzazione di oltre 30 record; nella presentazione di un risultato che sia soddisfacente per l'utente, è necessario dunque limitare il richiamo per aumentare la precisione nella risposta, mostrando una quantità di documenti pertinenti che non superi la soglia del punto di futilità.
Principi come "coerenza" e "predittività" dovranno stare alla base della costruzione di thesauri da affiancare agli OPAC e alle banche dati, laddove per coerenza si intende l'uniformità logica della rappresentazione dei soggetti dei documenti da trattare, e per predittività la possibilità di un utente di prevedere come il tema da lui cercato può essere espresso nel catalogo. Più la base è ampia, più l'impresa è ardua, e non tanto per gli aspetti legati alla tecnologia, quanto piuttosto nel livello di organizzazione semantica, nello sviluppo di strutture sindetiche e sintagmatiche, in grado di interagire con gli OPAC.
Se poi allarghiamo il contesto non solo agli OPAC o alle banche dati ma all'intera Rete, è subito evidente come la semplice cattura di informazione da masse di oggetti digitali non sia sufficiente, e di fatto non sia per nulla semplice. Occorre una effettiva capacità di condurre strategie di ricerca impostate secondo tecniche di volta in volta adattabili e proprie di quel determinato strumento informativo che si va ad utilizzare; è indispensabile saper operare una selezione di strumenti e di metodologie, ma ciò ancora non basta. Gli strumenti per la ricerca devono dotarsi di potenzialità non solo tecniche ma riferibili a sistemi di indicizzazione che affianchino e integrino le risorse elettroniche.
Secondo stime recenti, nel 2000 arriveremo ad una quantità di informazioni on-line che andranno ad occupare oltre 500 milioni di miliardi di byte. Le biblioteche dunque dovranno riuscire a "mediare" questo oceano informativo, passando da tecniche solide e ben acquisite di recupero dell'informazione (information retrieval), a nuove tecniche di selezione e filtraggio dell'informazione (information filtering).
La tecnologia su cui poggia l'information filtering sfrutta, attraverso "agenti e motori intelligenti", il circuito della Rete per far transitare solo quelle informazioni ritenute di interesse per determinate fasce di utenza. Per far questo, occorrerà che i bibliotecari si riapproprino dei loro ruoli tradizionali attraverso i nuovi strumenti che la tecnologia mette a disposizione.
Hypersearching the Web, un interessante articolo apparso su "Scientific American" nel giugno 1999 [9], descrive lo sviluppo di un nuovo genere di motori di ricerca messo a punto nell'ambito del "Clever Project" [10]. Sulla base di un particolare algoritmo, le pagine Web vengono analizzate e suddivise in due ampie categorie, definite rispettivamente authorities (cioè quelle ritenute le migliori fonti di informazione su un particolare soggetto) e hubs (cioè raccolte di link ai siti analizzati); le une e le altre vengono raggruppate automaticamente attraverso l'analisi dei link in esse contenuti.
A livello metodologico, la procedura utilizzata dal Progetto Clever è molto simile al sistema dell'analisi di citazione, lo studio dei modelli di come i lavori scientifici vengono citati e fanno riferimento l'uno all'altro. Il sistema dell'analisi citazionale, come è noto, si basa sulla valutazione di una pubblicazione in rapporto a indicatori bibliometrici, che vengono rilevati attraverso il numero di citazioni successive, oltre che dallo studio di vari altri fattori (numero dei lavori pubblicati, "emivita" dell'articolo, indice di immediatezza, numero delle citazioni, fattore di impatto).
L'indicatore più conosciuto tra i vari che compongono il sistema degli indicatori bibliometrici (riferibili agli articoli scientifici stampati) è il cosidetto impact factor o fattore d’impatto, sviluppato da Eugene Garfield, uno specialista nel campo dell'informazione e fondatore del celebre Science Citation Index.
Sebbene sul Web l'applicazione di tale modello non sia del tutto coincidente, il fattore d’impatto può corrispondere semplicemente al ranking di una pagina, ottenuto dal riscontro del numero di collegamenti, cosa che non sembra adeguata a tutte le situazioni presenti sul Web, come ad esempio nel caso di siti altamente popolari. I ricercatori di Clever hanno quindi attuato dei correttivi all'algoritmo per minimizzare questi effetti: partendo dai link sono state create delle liste-indice di parole, che si configurano nella costruzione di una rete semantica di termini, sulla quale sono allo studio i problemi di sinonimia e di polisemia.
Occorrerà predisporre gruppi di lavoro, all'interno dei sistemi bibliotecari, per lo studio e l'applicazione di metadata e codici di connessione tra banche dati (in sistemi di database networking o in aggregazioni in accesso remoto) e full-text dei periodici elettronici (in soluzioni in-home, o in accesso remoto via gateway presso editori o su server di aggregatori).
Metadata quali quelli proposti da Dublin Core per la descrizione e indicizzazione di risorse digitali (pagine Web) e codici di connessione intelligenti devono necessariamente far parte del nuovo bagaglio culturale del bibliotecario che si muove nel Web con la sua biblioteca; difatti capire il meccanismo dei codici che permettono di integrare le risorse situate in punti differenti della Rete permetterà al bibliotecario di poter effettuare scelte di prodotti (banche dati bibliografiche o full-text) adeguate al proprio sistema gestionale ed adattabili all'interfaccia OPAC della biblioteca.
L'utilizzo di questi codici incardinati nei metadata, dovranno essere oggetto di attente valutazioni da parte di chi si muove nel campo dell'informazione elettronica. Cito i più noti:
Gli utensili per l'accesso segnano i percorsi e chiudono o aprono i cancelli a seconda di chi effettua le chiamate: si possono utilizzare sistemi "IP address a riconoscimento per dominio" o definire sistemi di accesso attraverso rilascio di login e password e, per determinate funzioni, entrambe le protezioni.
Biblioteca nel Web significa capacità di muoversi lungo le migrazioni tecnologiche, Web nella biblioteca è la capacità di organizzare non più solo spazi conservativi, ma sistemi cooperativi per la gestione degli accessi. L'organizzazione dell'accesso è ciò che oggi viene definito col termine "portalizzazione": il portale è l'accesso organizzato per ambiti disciplinari per soggetti specifici, al fine di contenere e delimitare questa massa informativa in modo selettivo e personalizzato.
Per proseguire nel tempo e nello spazio, una biblioteca dovrà necessariamente subire delle trasformazioni, anzi divenire parte attiva in questo processo di riedizione di sé stessa, riuscire a rigenerarsi in un organismo funzionale e dinamico, capace di rispondere alla sua utenza in modo condizionato.
Fino a qualche anno fa bastavano regole e codici di catalogazione nazionali, schemi di classificazione e soggettari locali e una quantità di regolamenti interni per pianificare un lavoro comune e standardizzato in termini di forme e di linguaggi; si trattava, comunque, di colloqui chiusi o ristretti a determinati gruppi di biblioteche. Ora che il colloquio è esteso a livello internazionale o meglio sovranazionale, è necessario parlare linguaggi comuni in standard definiti a livello generale. Senza standard comuni sarà impossibile una comunicazione estesa e soprattutto modalità di trasmissione di documenti comprensibili da macchine e utenti umani.
Per organizzare l'informazione, oltre agli utensili per la ricerca e l'accesso, sono necessari anche utensili per il trasferimento e la gestione dell'informazione contenuta negli oggetti digitali.
Gli utensili per il trasferimento dei documenti sono programmi che permettono di far transitare, da un luogo all'altro, formati sempre più ricchi di funzionalità, ma che richiedono linee di trasmissione a banda larga e ad alta velocità, e adeguati utensili per la visualizzazione installati sul PC che si connette al servizio. E' il caso, per esempio, dei formati relativi al trasferimento di immagini (GIF, JPG, TIFF) o al trasferimento di suoni, video o filmati, o anche al semplice recupero di un articolo di periodico a testo pieno da una banca dati full-text o dal sito di un editore.
Se pensiamo al trasferimento di file ed oggetti digitali come un'evoluzione di quello che ancora oggi si definisce col termine di "fornitura di documenti" o attività di document delivery, non possiamo prescindere dalle problematiche non solo tecnologiche anche legislative che tale attività di circolazione dell'informazione comporta. La circolazione dei documenti è una delle attività fondamentali di ogni biblioteca, e va intesa sia come prestito, locale o interbibliotecario, sia come fornitura di copie di documenti; il primo presuppone una resa, a tempo stabilito, la seconda talvolta richiede un pagamento per il servizio.
Il discorso relativo alla legislazione andrebbe affrontato in termini approfonditi, perché tocca non solo l'attività di circolazione, ma tutte le attività della biblioteca. Attualmente, a livello italiano, manca una legislazione che tratti il diritto d'autore e diritti correlati per il trattamento dell'informazione su supporto digitale. Qui vorrei citare solo alcuni punti sui quali si dovrà lavorare nel prossimo futuro:
Dunque non solo gli aspetti organizzativi e tecnologici, ma anche quelli legislativi saranno sempre più all'ordine del giorno nelle discussioni tra le biblioteche e per le biblioteche nel Web.
Ed arriviamo agli utensili per la gestione, necessari al fine di recuperare le descrizioni bibliografiche già esistenti nelle grosse banche dati bibliografiche o catalografiche e riportarle all'interno di bibliografie o nei propri cataloghi, singoli o collettivi.
Nella puntualissima e chiara esposizione di Francesco Dell'Orso sui bibliography formatting software (BFS), detti anche bibliographic citation managers [12], viene offerta una panoramica sui prodotti esistenti, loro funzionalità e modalità di applicazione. Si prevede che l'attività di catalogazione descrittiva venga ridotta al minimo nei prossimi anni, a favore di una ripresa della catalogazione semantica, con particolare riferimento alle risorse di Rete.
Per attività di catalogazione descrittiva ridotta al minimo mi riferisco non tanto alla quantità delle descrizioni effettuate le quali, data la crescita esponenziale a livello informativo su tutti i supporti, sarà senza dubbio massiccia, ma al numero di punti o agenzie catalografiche che si occuperanno, a livello centrale, di effettuare attività di controllo bibliografico di qualità.
L'utilizzo di standard bibliografici di riferimento permetterà di recuperare quanto catalogato dai grossi centri, sgravando le biblioteche più piccole da un ridondante lavoro di catalogazione già effettuato da fonti più autorevoli; ciò permetterà di dedicare, a livello locale, più attenzione all'indicizzazione semantica dei documenti.
Di converso, è pur vero che si assisterà ad un proliferare di "descrizioni autogestite", soprattutto per quanto riguarda il materiale su supporto digitale, in un fenomeno di "catalogazione e indicizzazione distribuita" da parte di autori ed editori, che sarà difficilmente controllabile.
Metadata e metatag: l'indicizzatore a metà strada fra l'autore e il lettore è il titolo scelto da Riccardo Ridi per la sua relazione tenuta al convegno bolognese "The Digital Library" [13] dove pone il ruolo dell'indicizzatore come "terzo" tra l'autore e il lettore, come "il giudice deve essere "terzo" fra avvocato (difesa) e pubblico ministero (accusa)". Questo aspetto è particolarmente importante per i documenti elettronici, nel momento in cui, attraverso l'uso dei metadata e dei metatag, sarà l'autore stesso – o anche l'editore - a indicizzare il proprio documento, e assegnare "keyword" e "title" sganciati da ogni schema di riferimento.
Attraverso l'informazione si giunge alla conoscenza: riuscire a recuperare l'informazione, gestirla e organizzarla, significa introdursi nel complesso meccanismo che produce ricchezza intellettuale, attivando processi di crescita culturale. Il valore dell'informazione può essere limitato se essa non viene organizzata, selezionata, resa accessibile in modo agevole: tanto più la massa di informazione si espande, tanto più il suo valore si restringe.
E' necessario quindi riuscire a muoversi all'interno di strumenti quali OPAC, banche dati, giornali elettronici e risorse digitali in genere; e come si evince dall'utilissimo lavoro di Eric H. Schnell Writing for the Web: a primer for librarians [14], riuscire a riscrivere per il Web, sul Web, dentro al Web, le nostre biblioteche, con il nostro stile da bibliotecari.
A livello pratico tutto questo si può tradurre con la possibilità e la capacità di gestire le informazioni, intervenendo sulla configurazione delle interfacce degli OPAC o delle banche dati, personalizzandole a seconda delle esigenze e dei bisogni dell'utenza, nell'ottica della mission specifica della biblioteca: una mission che in molti casi fa riferimento al mondo della ricerca (biblioteche accademiche o di azienda), mentre in altri casi si innesta nel contesto delle reti civiche per il cittadino.
E' necessario riuscire a comprendere i nuovi linguaggi, a instaurare il giusto colloquio con le interfacce che stanno tra noi e le informazioni, a creare interfacce che orientino la nostra utenza, confezionando percorsi per offrire nuovi servizi; attraverso la costruzione di pagine e siti Web, le biblioteche cercano di recuperare utenze remote, utilizzando nuovi strumenti ma soprattutto nuovi linguaggi.
Per tenere gli utenti all'interno di ambienti virtuali e agevolare il flusso comunicativo, le biblioteche dovranno farsi carico di attività di educazione continua e permanente dell'utenza locale e remota. Utilizzare il Web per la creazione "tour virtuali all'interno degli OPAC" o per mini-corsi di utilizzo di banche dati, significa entrare nel ruolo di "conferitori di capacità", attuando sistemi che permettono di formare utenze evolute in grado di interagire positivamente coi processi della biblioteca.
La biblioteca nel Web parla un nuovo linguaggio, e il Web nella biblioteca indica all'utente i gateway, le "passerelle" giuste per un colloquio esteso. I vicini orizzonti permettono fin da ora di toccare con mano, per certi aspetti, la realtà di una tecnologia che avanza e che sta inglobando i vecchi modelli tecnologici e organizzativi.
La biblioteca nel Web si plasma in una dimensione che la trasforma da sede di materiale fisico ad aggregazione di servizi; dalla Rete il Web entra nella biblioteca, la recupera e la riporta al suo ruolo primario di "trasferitore di conoscenza".
Antonella De Robbio, e-mail: derobbio@math.unipd.it
Note
[1] Paola Di Nicola, La Rete: metafora dell'appartenenza. Analisi strutturale e paradigma di Rete. Milano, Franco Angeli, 1998.
[2] Edward De Bono, Essere creativi: i concetti, gli strumenti e le applicazioni del pensiero creativo. Milano, Il Sole 24 Ore, 1998.
[3] Hannah Arendt, La vita activa: la condizione umana. Milano, Bompiani, 1997. Per Hannah Arendt "l'attività lavorativa corrisponde allo sviluppo biologico del corpo umano, il cui accrescimento spontaneo, metabolismo e decadimento finale sono legati alle necessità prodotte e alimentate nel processo vitale della stessa attività lavorativa. L'operare è l'attività che corrisponde alla dimensione non naturale dell'esistenza umana [...] L'attività lavorativa assicura non solo la sopravvivenza individuale, ma anche la vita della specie. L'operare e il suo prodotto, conferiscono un elemento di permanenza e continuità alla limitatezza della vita mortale e alla labilità del tempo umano. [...]". E' tipico dello stile di chi scrive tracciare delle analogie, così la distinzione della Arendt tra il concetto di "lavoro" e quello di "opera" mi ha dato lo spunto per un'applicazione della teoria all'organismo biblioteca. Quale organismo vivente che cresce e che quindi abbisogna di "lavoro" inteso come "sforzo che nasce da un grande bisogno ed è motivato da un impulso più potente di qualsiasi altro, perché la vita stessa vi si fonda", la biblioteca nasce dal bisogno della sua utenza e l'impulso primario è quello dettato dalla sua mission, sulla quale si fonda e che è quella di sopravvivere per trasmettere la conoscenza. Con uno sforzo quotidiano di lavoro gestionale ordinario, la biblioteca vive una vita biologica, ove la caratteristica stessa del lavoro "è il fatto di non lasciar nulla dietro di sé, il fatto che il risultato del suo sforzo sia consumato quasi con la stessa rapidità con cui lo sforzo è speso". L'opera e il suo prodotto si distinguono per la sopravvivenza in qualità di oggetti creati e che permangono nel "mondo umano artificiale".
[4] Intervento di Giuseppe De Rita al Convegno Biblioteca e città, tenutosi nell'ambito della Salone del libro il 16 maggio scorso, citato da Marco Melloni in un e-mail inviato alla lista di discussione dei bibliotecari italiani AIB-CUR il 18 maggio 1999.
[5] Pierre Lévy, L'intelligenza collettiva: per un'antropologia del cyberspazio. Milano, Feltrinelli, 1996.
[6] Chris Rusbridge, Toward the hybrid library. "D-Lib Magazine", July/August 1998, http://mirrored.ukoln.ac.uk/lisjournals/dlib/dlib/dlib/july98/rusbridge/07rusbridge.html.
[7] Herbert Van de Sompel, Patrick Hochstenbach, Reference linking in a hybrid library environment. "D-Lib Magazine", April 1999, http://mirrored.ukoln.ac.uk/lis-journals/dlib/dlib/dlib/april99/van_de_sompel/04van_de_sompel-pt1.html.
[8] Corrado Pettenati, La biblioteca digitale, Seminario tenutosi presso l'Ateneo di Padova il 20 maggio 1999.
[9] Clever Project Team, including David Gibson, Jon Kleinberg and Prabhakar Raghavan, Hypersearching the Web. "Scientific American", June 1999, http://www.sciam.com/1999/0699issue/0699raghavan.html.
[10] The Clever Project include sei ricercatori membri dello staff di IBM Almaden Research Center in San Josè, California, un professore assistente alla Cornell University, Computer Science Department e un Ph. Doctor al Computer Science Division , University of California, Berkeley.
[11] A meno che un contratto esplicito non preveda tale manovra e la consenta, ma anche qui la cosa potrebbe essere non del tutto chiara, in quanto il contratto viene solitamente stipulato con un editore che detiene i soli diritti economici su quell'opera, mentre tutti gli altri diritti rimangono di proprietà dell'autore. Nel caso di cambi di supporto si tratta di opere su "altra forma", pertanto l'autore ne dovrebbe sempre autorizzare non solo la circolazione ma anche la pubblicazione (in questo caso una sola copia). La vecchia legge del 20 aprile 1941 consente la circolazione dell'informazione alle sole biblioteche come luoghi per la trasmissione della conoscenza e ne autorizza la riproduzione su carta, ma nel caso di utilizzo di scanner l'opera da supporto cartaceo, diviene oggetto digitale e quindi protetta da altro articolo della stessa legge. Il complesso della normativa italiana prevede una legge per ogni supporto; attualmente manca completamente una legge per il materiale digitale alle quali le biblioteche possano riferirsi.
[12] Francesco Dell'Orso, BFS: panoramica ed aggiornamento. "Biblioteche oggi", marzo 1998.
[13] Riccardo Ridi, Metadata e metatag: l'indicizzatore a metà strada fra l'autore e il lettore, relazione presentata al convegno The digital library: challenges and solutions for the new millenium. Bologna, 17-18 giugno 1999, in corso di pubblicazione.
[14] Eric H. Schnell Writing for the Web: a primer for Librarians, http://bones.med.ohio-state.edu/eric/papers/primer/.
«Bibliotime», anno II, numero 2 (luglio 1999)