«Bibliotime», anno II, numero 1 (marzo 1999)
Da occupazione a gruppo professionale:
gli operatori dei servizi bibliotecari tra tecnologie dell'informazione
e nuovi pubblici [*]
1. Premessa
Le biblioteche sono istituzioni di lunga durata e sono state oggetto di un certo interesse anche da parte della sociologia [1], che ne ha esaminato le performance organizzative interne [2], ed al tempo stesso le relazioni con la situazione esterna degli utenti e dei lettori [3].
Tuttavia un non analogo interesse si è indirizzato nei confronti dei lavoratori di questa "fabbrica dell'informazione e della conoscenza"[4]; ciò sebbene la figura del bibliotecario abbia avuto nel passato una forte evidenza per la sua identificazione con la figura dell'intellettuale che proprio nella biblioteca trovava le condizioni della propria riproduzione, e sia stata non priva di difficoltà la trasformazione che questo operatore della conoscenza ha dovuto affrontare allorquando la sua figura si è ridefinita come un lavoratore della "cultura amministrata"[5].
Solo nel 1961 William Goode, ha dedicato una specifica attenzione alla figura del bibliotecario, individuandola come il caso esemplare di un processo di professionalizzazione che si compie con il progressivo passaggio [6] da una posizione meramente occupazionale ad una "professionale" di operatori in diretta relazione con le domande dell'utenza nonché con i vincoli e le regole di organizzazioni complesse.
Attraverso la diffusione della biblioteca come "servizio pubblico" e centro di community information, il bibliotecario si è progressivamente esteso ad una molteplicità di punti di servizio [7], arrivando a costituire un vero e proprio "gruppo occupazionale", identificato per il suo rapporto con l'istituzione di appartenenza e con la conseguente posizione lavorativa che ricopriva all'interno dell'ente (di solito un'amministrazione pubblica), al di là dei contenuti tecnico o professionali che andava sviluppando. All'acquisizione del ruolo, cui si giungeva senza uno specifico ed omogeneo curriculum formativo e per un effetto di un reclutamento che privilegiava processi di apprendimento sul luogo di lavoro per lungo tempo non ha corrisposto una diretta identità professionale.
L'associazione di settore, pur essendo stata istituita negli anni trenta, non è riuscita a proporsi come un fattore di riconoscimento professionale; significativamente si può notare che la stessa associazione si definiva per il vincolo di adesione che si stabiliva tra biblioteche e solo di conseguenza tra gli operatori che in esse operavano; obiettivo iniziale dell'associazione era di affermare e consolidare le biblioteche, in quanto centri di deposito e conservazione dei beni e della memoria storico-culturale, cui presiedevano funzionari riconosciuti per la loro posizione nell'organizzazione burocratica dell'ente e non per la loro specifica professionalità.
Nel contesto odierno, l'avvento e la diffusione delle nuove tecnologie dell'informazione stanno cambiando in profondità sia la dimensione occupazionale sia il contenuto professionale dei lavoratori dei servizi di biblioteca. Le trasformazioni più profonde investono i processi organizzativi e produttivi in cui è coinvolto il bibliotecario per la rilevanza che vengono ad assumere non più i supporti materiali dell'informazione, ma i formati digitali del suo contenuto; così come cambiano i modelli ed i contenuti delle relazioni tra utenti e servizi, anche in relazione al differenziarsi degli spazi informativi gratuiti e commerciali; con ciò si richiede la ridefinizione delle funzioni tradizionali di mediazione, nel cui ambito da tempo il bibliotecario operava, poiché il professionista dell'informazione per lo più digitalizzata tende a strutturarsi su altre abilità e tecniche di gestione dell'informazione.
Nel cambiamento della struttura interna della biblioteca, quindi, dove l'informatica e la telematica stravolgono regole e funzioni dei processi produttivi dell'informazione bibliografica (virtualizzando le fasi di acquisizione, trattamento e produzione della informazione, scissa definitivamente dai propri differenziati supporti), la configurazione professionale del bibliotecario anziché rafforzarsi, tende a frammentarsi in una serie di profili differenziati, fortemente influenzati dal moltiplicarsi delle agenzie di produzione, elaborazione e trasmissione delle informazioni e dalle potenzialità delle prestazioni dei sistemi tecnologici; nel cambiamento dei rapporti con l'ambiente esterno e con le domande di informazioni, dove la caratterizzazione dell'informazione come business tende indiscutibilmente a crescere, la funzione di mediazione (attraverso le tradizionali attività di consulenza informativa e di reference bibliografica) è progressivamente polverizzata da interfacce "intelligenti" (veri e propri "sistemi esperti") che le tecnologie informatiche e telematiche mettono diffusamente a disposizione on the desk degli utilizzatori dei servizi di informazione.
La figura del lavoratore dei servizi di biblioteca, perciò, si trova in una condizione di transizione difficile: da un lato, le tecnologie dell'informazione tendono ad eliminare le posizioni occupazionali che egli ricopriva in quanto funzionario o impiegato di un ente prevalentemente interessato alla conservazione del documento (librario, archivistico, ecc.); dall'altro, la virtualizzazione dei prodotti informativi e delle prestazioni nei confronti degli utilizzatori dell'informazione tende a svuotare di significato la funzione di mediazione culturale e comunicativa che aveva imparato a svolgere non senza difficoltà per la mancanza di un percorso formativo riconosciuto.
E' in questo contesto che si colloca la nostra riflessione tesa a rileggere gli studi e le (poche) ricerche, condotte anche in Italia, su un gruppo di operatori che non senza incertezze sta cercando di portare a maturazione il processo di professionalizzazione (oggi sostenuto anche da innovazioni significative in campo formativo, con l'istituzione di appositi corsi universitari) e di acquisire le caratteristiche di un vero e proprio gruppo professionale
2. La nostra ipotesi di lavoro
Il percorso di analisi sopra proposto sarà sviluppato sulla base di un'ipotesi di ricerca con cui si tenderà a stabilire qualche rapporto tra la riflessività cresciuta fino ad oggi nell'area professionale e le proposte di analisi e di interpretazione che in sede sociologica si sono acquisite sulla base dello studio di altri gruppi professionali più compiutamente strutturati.
La nostra ipotesi è che siano soprattutto le innovazioni tecnologiche in atto a modificare la posizione in cui si ancora trova il lavoratore dei servizi di biblioteca, e ciò in quanto tali innovazioni in primo luogo consentono di avviare un processo di professionalizzazione più omogeneo e continuativo, di contro ad un processo che privilegiava essenzialmente la componente della legittimazione del ruolo nell'organizzazione di appartenenza; in secondo luogo il carattere diffusivo delle tecnologie dell'informazione contribuisce a mutare sostanzialmente l'ambiente dove si formano le domande di informazione, sia consentendo l'accesso a nuovi soggetti/utenti per la loro fruizione gratuita, "sociale", sia strutturando un sistema di relazioni tra domanda ed offerta di informazioni nei termini di un vero e proprio mercato, dove l'informazione da bene "pubblico" diviene oggetto di transazioni private, commerciali.
In questo contesto è ragionevole attendersi una rottura della situazione di blocco che ha caratterizzato la professione dei lavoratori del settore e la politica associativa dell'organizzazione in cui si riconosce ancora una larga parte degli stessi. In altri termini, pur in presenza - come di seguito evidenzieremo - di una forte differenziazione dei profili e degli skills attraverso cui sarà oggi possibile analizzare le diverse manifestazioni del lavoro del professionista dell'informazione, si potrà assistere alla formazione di un gruppo di professionisti (con la conseguenza dell'elaborazione di una specifica identità professionale) che condividono competenze di base comuni, un linguaggio omogeneo di interazione con i processi tecnologici, unitamente ad uno spread di abilità di information management differenziate in relazione con la struttura diversificata delle domande (sociali o di mercato).
La discussione di tali ipotesi di lavoro richiede però l'esplicitazione di alcune premesse, la cui funzione non è solo di descrivere le innovazioni in atto ed i loro effetti sociali, ma anche e soprattutto di evidenziare la combinazione di fattori che oggi convergono sulla formazione di gruppi professionali, che pur provenienti da complessi, a volte traumatici, processi di transizione, si presentano come unità sociali nuove, per certi versi estranee alle culture di tradizionali ordinamenti professionali, potenzialmente orientate ad un protagonismo sociale sostanzialmente inedito [8].
3. Social Intelligence e società dell'informazione: i termini di un cambiamento strutturale
La discussione sul tema dell'informazione non sembra avere ancora chiuso il persistente criticismo che si è espresso - sotto diverse sembianze - sulla cultura di massa ed i suoi effetti. In particolare, nella massificazione della cultura si individuava non solo lo scadimento dell'alta cultura nella riproduzione e distribuzione standardizzata di messaggi, immagini e simboli finalizzati al consumo, ma anche una sorta di mutazione in profondità dei contenuti e dei significati della produzione di cultura [9].
In questo contesto si instaura anche la distinzione tra conoscenza ed informazione, attribuendo alla società di massa la responsabilità di aver innescato un sostanziale percorso di deperimento e decomposizione della conoscenza, schiacciandone l'interna riflessività, a favore di un sapere frammentato, ridotto nei suoi significati semantici, trasformato in unità fruibili dalla generalità del pubblico, cioè in informazione.
In realtà, l'atteggiamento negativo dei critici dell'informazione non sembra potersi alimentare a lungo anche per gli effetti di democratizzazione che l'accessibilità e la fruibilità del sapere mediato in linguaggi e circuiti comunicativi più estesi, hanno prodotto sul terreno sociale; tale atteggiamento viene anzi messo in discussione a motivo di un risultato che la socializzazione degli accessi alle sedi della produzione e della circolazione delle informazioni ha prodotto: l'accumulazione e l'estensione di un patrimonio comune di informazioni e quindi di conoscenza, reso disponibile alla collettività. Se è vero che dalla collettività possono provenire domande sociali e domande di mercato, tuttavia è attraverso la riconfigurazione della società di massa come "società dell'informazione" che si è resa possibile la costituzione di una sorta di Social Intelligence [10] che costituisce "la base dell'istruzione dei cittadini, dell'emancipazione e del potere delle comunità".
La rilevanza di questo approccio si coglie soprattutto se si mette in relazione la formazione di tale "intelligenza" sociale, collettiva con il carattere diffusivo di tecnologie dell'informazione che consentono la fruizione potenzialmente universale di tale patrimonio: la costruzione delle reti civiche come strumento di democrazia informativa può diventare un obiettivo assai significativo a tale proposito.
Tuttavia ciò che, secondo B.Cronin, va a caratterizzare la Social Intelligence in un sistema sociale è "la capacità di adattarsi o di rispondere agli eventi mutevoli allo scopo di raggiungere gli obiettivi di sviluppo prefissati, oppure più semplicemente, come la capacità di sopravvivere di prosperare". In altri termini, la risorsa dell'Intelligence in un sistema sociale, attraverso la dinamica delle informazioni, rende possibile lo sviluppo dell'autocoscienza sociale, la continua elaborazione delle informazioni in strategie di azioni e quindi di comportamenti sociali capaci di riflessione. Da ciò anche la natura "competitiva" dell'informazione e delle conoscenze che con essa si può elaborare. In sostanza, informazione e conoscenza non sono beni ascrittivi, da ereditare, ma piuttosto beni e valori da conquistare in una dimensione di ricerca e di competizione [11]. In questo senso si struttura la Social Intelligence, su cui ogni sistema sociale elabora le proprie strategie di "sopravvivenza" e di "sviluppo".
Il passaggio concettuale espresso con questo approccio è importante poiché la società dell'informazione non si fonda solo sulle tecnologie dell'informazione, ma anche e soprattutto su una risorsa che si qualifica per la sua natura collettiva, e la cui spendibilità non è limitata alla mera dimensione individuale, ma anche alla sfera dello sviluppo economico, dei soggetti imprenditoriali e dei sistemi di regolazione e di scambio (il mercato) che ne sono i protagonisti.
I problemi dell'informazione e della conoscenza vanno presi in considerazione, perciò, rispetto ad una scala che non si può esaurire nella pur rilevante organizzazione dei servizi per la lettura pubblica e/o di supporto per l'istruzione e formazione superiore alle professioni. Le biblioteche pubbliche o universitarie rappresentano un segmento, forse oggi nemmeno il più importante in termini strategici, di un insieme di fonti di produzione, centri di trattamento e punti di disseminazione di informazioni di difficile rappresentazione se non nella forma della rete (Web) [12]. All'interno di questa prevalgono criteri quali la democratizzazione degli accessi, l'ubiquità degli stessi, l'indipendenza dal tempo (in qualsiasi momento l'accesso deve essere possibile) e l'indipendenza dallo strumento di accesso [13].
Sotto il profilo organizzativo, tali criteri si possono applicare ad una pluralità di agenzie di produzione e di distribuzione delle informazioni operanti nel campo dell'informazione civica (attraverso le reti civiche e le Public Libraries), della Business Information (attraverso i servizi commerciali degli Information Brokers), della comunicazione pubblica (attraverso i diversi strumenti di relazioni pubbliche), dell'informazione scientifica (attraverso le biblioteche accademiche ed i centri di documentazione per la ricerca S&T), e dell'informazione finalizzata (attraverso le banche dati documentari e fattuali centrate su interessi di gruppi professionali o di organizzazioni sociali).
In rapporto a questi elementi che contribuiscono a definire in termini decisamente innovativi le soluzioni organizzative necessarie per raccordare domande ed offerta di informazione, occorre ora interrogarsi sul futuro di profili professionali (il bibliotecario, ma non solo) che, pur senza disporre degli attributi specifici dell'agire tecnico professionale, godevano di un'estesa legittimazione anche per il ruolo ricoperto all'interno di apparati prevalentemente pubblici.
4. Gli assi del cambiamento organizzativo e professionale: verso le professioni dell'informazione
La compresenza all'interno del sistema della Social Intelligence di una pluralità di agenzie di produzione e di distribuzione delle informazioni connesse a diverse tipologie di utilizzatori non corrisponde solo ad una rappresentazione concettuale dei processi in atto, ma evidenzia i termini di un'inedita ricomposizione di processi organizzativi, professionali e sociali che la tecnologia sta accelerando al di là di ogni aspettativa.
L'attenzione che si dedica alla nascita delle biblioteche virtuali ed alla riconfigurazione "digitale" del tradizionale istituto della biblioteca pubblica è importante; tuttavia, a nostro avviso, proprio il carattere unitario, globale dei processi in atto nel sistema dell'informazione richiede l'accentuazione dell'interesse analitico nei confronti di questa dimensione.
In particolare gli assi di riferimento che sul piano analitico vanno presi in considerazione sembrano essere i seguenti.
L'informazione non è sottratta, inoltre, al processo di valorizzazione [14] che la rende rilevante non solo come "bene pubblico", diritto essenziale per l'esercizio della cittadinanza sociale, ma anche come bene scambiabile sul mercato, fattore incidente sul processo produttivo.
In questo contesto si definiscono progressivamente i lineamenti di attività che si rendono necessarie: a) nella sfera della produzione, trattamento ed elaborazione delle informazioni (Information Management); b) nell'ambito di tutela e promozione all'esercizio del diritto all'informazione riconosciuto come diritto di cittadinanza sociale (Advocacy); c) nella sfera della distribuzione e diffusione (anche in termini commerciali) delle informazioni, nonché di valutazione dei suoi effetti economici e sociali.
In sintesi, si sta profilando la domanda di una nuova funzione di mediazione che si riferisce all'informazione non come un'entità da acquisire passivamente per un mero consumo, ma piuttosto come una risorsa da immettere in una dimensione progettuale sia a livello individuale che collettivo, un valore da combinare con altri fattori della produzione di beni e servizi, un diritto il cui esercizio accentua la capacità dei soggetti e dei gruppi sociali di partecipare ai processi decisionali di una democrazia aperta.
Almeno tre fattori sono diventati decisivi a questo proposito: [17] a) la diffusione di tecnologie push, che hanno consentito la disseminazione selettiva delle informazioni; b) l'editoria commerciale, che sempre più di frequente, "propone i propri periodici nella duplice versione cartacea e digitale"; c) il ruolo degli agenti distributori che, nell'ambito dell'editoria elettronica, sono in grado di diffondere prodotti che nascono dalla mediazione tra editori diversi, in relazione con un mercato di cui sono in grado di sondare gli orientamenti e gli interessi.
Se in questo caso sono già evidenti le funzioni e le figure che emergeranno rapidamente nel mercato dell'informazione, più difficile sarà cogliere le innovazioni o meglio gli esiti del processo di transizione cui già ora la figura tradizionale del bibliotecario è sottoposta. Certamente la mediazione tipica tra bibliotecario e utente/lettore sarà difficilmente riproposta, dal momento che l'utente potrà direttamente dal proprio tavolo di lavoro procedere all'acquisizione del dato richiesto o ad esplorare il segmento informativo di suo interesse. Può giocare a sfavore del bibliotecario in questa fase critica anche la sua lamentata "invisibilità" [18], forse determinata dalla difficoltà di valutarne le prestazioni, ma anche dal ruolo della tecnologia che tende ad assorbire alcune delle tradizionali funzioni sia catalografiche che di interfaccia tra domanda e ricerca bibliografica e documentaria. A parte gli effetti sulla dimensione occupazionale, il deperimento delle tradizionali funzioni di mediazione documento/informazione/utente portano inoltre con sé la caduta di un'identità professionale, già di per sé precaria, e mettono fuori causa le capacità rappresentative del gruppo occupazionale da parte delle associazioni che vedono indebolito in termini sostanziali il loro ruolo.
Le risultanze sotto il profilo analitico di un mutamento che non tocca soltanto la cultura, ma anche le funzioni e la composizione di un gruppo professionale (o proteso a diventare tale) possono portare a trarre conclusioni non positive sul futuro dello stesso. Tuttavia, ci sono alcuni elementi che ci sembra di poter mettere in evidenza alla luce delle considerazioni sopra esposte:
Se il futuro delle professioni delle informazioni sembra contrassegnato dal possesso di competenze di base comuni e da un forte specialismo finalizzato alle diverse tipologie di prodotto e di destinatari dello stesso, nonché da un associazionismo di gruppo professionale molto articolato e dinamico, il confronto con la realtà attuale ed i processi di transizione in atto può offrire numerosi spunti di conferma per le tendenze prospettate, ma può contribuire anche ad evidenziare le criticità presenti in alcuni processi di transizione che si protraggono per troppo tempo, ingenerando chiusure corporative, orientamenti autoreferenziali nelle culture professionali ed irrigidimenti categoriali, laddove sarebbero necessari orientamenti negoziali incentrati sulla ricerca di flessibilità organizzative e gestionali.
In particolare nella situazione italiana, la mancanza di corsi di studio accademici finalizzati alla formazione di operatori della biblioteca e più in generale della informazione, a cui si è provveduto solo di recente, ha influito negativamente sulla strutturazione delle esperienze e dei profili professionali nel settore. Peraltro l'istituzione di corsi di laurea in "conservazione dei beni culturali" ad indirizzo librario sembra aver recepito i contenuti tradizionali del profilo del bibliotecario/conservatore dei libri come "beni di interesse storico, artistico, rari e di pregio", lasciando troppo sullo sfondo gli elementi teorici e metodologici caratterizzanti il trattamento dell'informazione [23]. La moltiplicazione di iniziative formative di medio livello adottate dalle amministrazioni regionali e locali, inoltre, ha nel lungo periodo consolidato modelli organizzativi e gestionali di biblioteche incentrate sul modello della Public Library, enfatizzando una cultura ed una prassi professionale incapaci però di proporsi su scale più ampie, anche per il carattere particolaristico delle abilità acquisite. Gli esempi di accentuata specializzazione nell'esercizio della professione non sono di facile individuazione in questo settore, rispetto a quanto si può cogliere in altri paesi del Europa settentrionale.
Sotto questo profilo il problema formativo per gli operatori dell'informazione ed in specifico degli operatori bibliotecari rimane aperto ed irrisolto nel nostro paese [24]; venendo a mancare con ciò uno dei fattori essenziali per lo sviluppo di un processo di professionalizzazione capace di contribuire organicamente allo sviluppo di competenze e di specializzazioni che vanno poi a costituire il cuore del sistema professionale.
Se il fattore della formazione non risulta centrale nel processo di costruzione della professione, nel caso italiano ciò che risulta incerto, discontinuo, problematico nel suo divenire è proprio il processo di professionalizzazione.
Diverse ricerche [25] evidenziano alcuni aspetti influenti sul carattere irrisolto del processo: a) le modalità del reclutamento che, privo di selettività, consente l'accesso "occasionale" all'occupazionale, posticipando ad un momento successivo l'accertamento delle conoscenze e delle abilità acquisite; b) la costruzione del ruolo di bibliotecario per effetto di un apprendistato che introduce all'apprendimento di abilità ed al controllo di procedure, senza disporre di un fondamento teorico (configurando così il lavoro del bibliotecario come "mestiere" (craft) di contro al modello di "professione"); c) l'acquisizione in itinere di abilità tecniche nella sfera delle regole biblioteconomiche, ma anche e soprattutto nella sfera amministrativa e gestionale, riproponendo una figura al tempo stesso di operatore tecnico e di funzionario amministrativo, privo di autonomia sia sul piano tecnico che su quello amministrativo.
La fuoriuscita da questo impasse viene ricorrentemente ricercata nel perseguimento di nuove abilità nella sfera della comunicazione con i pubblici dei fruitori cui si comincia a prestare attenzione e nell'ambito delle metodologie di animazione e di promozione culturale anche attraverso le soluzioni multimediali, ormai accessibili su larga scala. Il processo di professionalizzazione in un certo senso viene deviato verso componenti e contenuti di profili derivati dall'area psico pedagogica e della educazione degli adulti. Inoltre, l'accentramento delle funzioni biblioteconomiche prima nei centri dei sistemi bibliotecari territoriali, poi a livello regionale e nazionale, ha bloccato l'apprendimento di contenuti sia teorici che metodologici spendibili nell'esercizio dell'attività lavorativa.
Questi orientamenti sembrano particolarmente estesi nel settore della informazione pubblica e di comunità dove operano le biblioteche pubbliche che forniscono un presidio di servizi informativi di primo livello, in più stretta connessione con quelli scolastici e con le domande provenienti dalla dimensione comunitaria di riferimento. In tale settore, in cui peraltro, si condensa il numero più elevato di operatori dei servizi bibliotecari italiani, il carattere incompiuto della professionalizzazione ingenera situazioni di incertezza, stress, crescenti scelte di abbandono, l'idea dell'inefficacia del lavoro del bibliotecario, anche per l'assenza di sistemi istituzionalizzati e consolidati di monitoraggio statistico e di qualità delle prestazioni effettuate al pubblico.
In questo contesto la comparsa della tecnologia nelle biblioteche viene temuta [26] ed il suo utilizzo è fatto oggetto di strategie in un certo senso ambivalenti. La comparazione tra due realtà regionali come l'Emilia-Romagna e la Basilicata, non registra diversità di rilievo negli atteggiamenti nei confronti dell'avvento delle nuove tecnologie nelle biblioteche; se nel caso della regione meridionale, si coglie la novità che può determinare una maggiore attenzione del pubblico, attirando nuovi fruitori dei servizi bibliotecari locali con l'effetto di evidenziare il ruolo del bibliotecario come mediatore, nella regione dove si registra un più esteso accesso alle reti di informazione anche al di fuori delle biblioteche, la gestione delle nuove tecnologie viene considerata come una risorsa destinata non tanto a migliorare la gamma dei servizi verso l'esterno, quanto piuttosto a razionalizzare l'organizzazione del lavoro interno, a migliorare le prestazioni, quindi a consolidare il sistema professionale, già in larga parte socializzato ai rudimenti della cultura informatica.
In ambedue i casi, attraverso la tecnologia si cercano le ragioni di una più forte legittimazione sociale del profilo professionale, con la conseguenza di rinforzare la collocazione di ruolo nell'ambito delle strutture pubbliche di appartenenza.
Ciò viene a significare, a nostro avviso, come l'incompiutezza della professionalizzazione vada messa in relazione con:
Ciò che si coglie ancora dall'analisi delle ricerche italiane sul settore, è rappresentato dalla sostanziale irrilevanza del mercato, come ambito di definizione di dinamiche di domanda e di offerta delle informazioni e come spazio di definizione di nuove istanze di mediazione professionale. Nel nostro caso, la circolazione delle informazioni è ancora lontana dal collocarsi all'interno di scambi dove può manifestarsi non tanto una funzione passiva di intermediazione, quanto piuttosto l'azione selettiva di operatori che sono in grado di produrre informazione a mezzo di informazione. Se all'interno del gruppo dei bibliotecari pubblici, l'emergere di figure come il documentalista e l'information broker viene fatto oggetto di valutazioni essenzialmente negative, in quanto si avverte il rischio di un depotenziamento del proprio profilo ed una riduzione del proprio campo di azione, la mancanza sostanziale del mercato impedisce l'avvio proprio di quella fase del processo di professionalizzazione che risulta stabilmente assente nel percorso professionale del bibliotecario/funziona rio pubblico.
Il mercato dell'informazione, infatti, qualificando in termini di valore economico le ragioni dello scambio tra domanda ed offerta, evidenzia il valore economico dell'informazione, la sua capacità di valorizzare il processo decisionale, organizzativo o tecnologico in cui l'informazione acquisita viene inserita. In stretta connessione con ciò si definisce l'attenzione nei confronti del bibliotecario come operatore dell'informazione. Nel percorso dell'informazione come fattore economico e produttivo, infatti, l'operatore dell'informazione ha la possibilità di valutare l'efficacia della incidenza della sua prestazione, nonché le condizioni di efficienza in cui opera al fine di massimizzare la corrispondenza tra selezione e trasmissione dell'informazione, da un lato, e soddisfazione del destinatario/utente dell'informazione, dall'altro.
Per diversi aspetti il mercato offre al processo di professionalizzazione incompiuta dell'operatore dell'informazione alcuni parametri di riferimento per individuare il grado di utilità sociale della professione e quindi la soglia di legittimazione sociale non richiesta ex lege all'organismo pubblico di appartenenza, ma acquisita e valutata dall'operatore nel corso della sua prestazione.
Nel caso italiano proprio l'assenza della dimensione del mercato contribuisce a far cogliere il fattore mancante della professionalizzazione e della costruzione sociale del ruolo professionale; viene a mancare la dichiarazione del carattere di necessità e di indispensabilità della presenza [27] del professionista dell'informazione all'interno dei processi della sua utilizzazione. L'auspicata "visibilità" della professione si può e si deve misurare, quindi, attraverso il controllo dell'apporto che la mediazione di tale operatore riesce a determinare per lo sviluppo sia dei processi di valorizzazione economica dell'informazione che dei processi di utilizzazione sociale della stessa. La presenza del mercato e dei criteri di valutazione delle performance nel suo ambito possono contribuire a far crescere una corrispondente cultura della valutazione delle prestazioni professionali nell'ambito del servizio di Public Library, laddove la biblioteca si identifica come il presidio di offerta dell'informazione in quanto "bene pubblico" e lo spazio di esercizio del "diritto all'informazione" come diritto di cittadinanza sociale.
L'identificazione del carattere non surrogabile della mediazione professionale crea quindi le premesse per il passaggio dallo stato di quasi professione allo statuto di vera e propria professione. L'insistenza sul ruolo dell'utente/cliente, espressa per altre figure professionali, trova certamente giustificazione anche nel nostro caso; tuttavia la relazione diretta tra professionista e cliente non sembra doversi continuamente rinnovare in quanto non è in gioco il controllo della relazione interpersonale, quanto piuttosto il carattere necessario del legame che può strutturarsi anche a distanza, senza la compresenza degli attori in gioco. Si affermerebbe in questo caso un criterio di definizione dello statuto professionale dell'operatore dell'informazione, che oltre a tenere conto del contenuto immateriale dello scambio (l'informazione digitalizzata), considera la pluralità delle sedi dove esso si trova ad agire, in collegamento con una molteplicità di utenti/clienti che comunque hanno necessità della sua prestazione di selezione ed elaborazione ed organizzazione delle informazioni al fine della loro utilizzazione friendly.
Un ultimo riferimento occorre fare al ruolo dell'associazionismo professionale di cui si è indicata la tendenza alla differenziazione in ragione della specializzazione delle figure professionali operanti nei diversi campi ed ai diversi livelli dell'organizzazione dei flussi informativi.
La realtà italiana sembra contrastare quest'ipotesi, poiché biblioteche e bibliotecari sembrano ancora legati alla logica rappresentativa di un'associazione professionale (Aib) in permanente bilico tra il qualificarsi come organismo di cultura tecnico professionale e come gruppo organizzato di interessi più strettamente categoriali [28]. La lenta metamorfosi della struttura associativa monoprofessionale è già tuttavia iniziata da qualche tempo, dando vita ad un'articolazione della rappresentanza non solo per aree territoriali, ma anche per aree operative (le biblioteche pubbliche, le biblioteche scolastiche e per ragazzi, le biblioteche universitarie, le biblioteche bio-mediche, tra le prime); negli anni più recenti si è avviato il processo di formazione di unità aggregative di carattere specialistico (l'Aida che riunisce i documentalisti dei centri di ricerca S&T, l'associazione dei bibliotecari ecclesiastici, ecc.) che saranno ulteriormente incrementati dalle varie forme di coordinamento e di comunicazione realizzati dagli operatori della comunicazione pubblica, dei centri comunitari di informazione ai cittadini, ai giovani ecc.
Quale ruolo possono giocare le associazioni sul processo di professionalizzazione dei professionisti dell'informazione ? Sono componenti necessarie ed indispensabili per incrementare la visibilità e la considerazione sociale delle figure professionali operanti nei diversi tipi di servizi informativi ?
La lunga storia dell'esperienza associativa dei bibliotecari non depone a favore di un ruolo rilevante dell'associazionismo nella costruzione dell'identità professionale degli operatori; essa ha contribuito certamente all'elaborazione ed alla diffusione di una cultura professionale degli operatori del settore, ma rinunciando all'esercizio di un esplicito ruolo negoziale nei confronti delle istituzioni pubbliche, non è riuscita ad agire significativamente sull'andamento incerto della professionalizzazione rimasta incompiuta; la debole propensione a centrare l'attenzione sul mercato dell'informazione non consente di individuare gli inediti centri di interesse verso cui condurre le necessarie strategie di negoziazione professionale.
Gli atteggiamenti dei bibliotecari, rilevati dalle diverse ricerche sociologiche in merito al ruolo delle associazioni riflettono lo stato delle cose, enfatizzando le funzioni primariamente volte a colmare il deficit formativo e la delegittimazione conseguente allo stesso [29], ed a sancire la regolazione del bibliotecario come funzionario pubblico; rimangono sullo sfondo invece le funzioni che l'associazione potrebbe svolgere a proposito del processo di professionalizzazione e dei suoi esiti nonché degli effetti derivanti dalla diffusione delle tecnologie dell'informazione. L'associazione in altri termini appare come un'interfaccia riconosciuta per il controllo dei rapporti nei confronti degli apparati istituzionali a cui il bibliotecario vede agganciato il proprio percorso professionalizzazione, ma non appare rilevante per stabilire connessioni con gli attori del mercato delle informazioni, di cui si presuppone evidentemente una regolazione prevalentemente amministrativa.
Se la società dell'informazione non viene percepita come società della conoscenza in competizione, sarà molto difficile rappresentare anche il più aggiornato professionista dell'informazione come operatore della competizione, attore di una negoziazione aperta, protagonista di un processo di produzione incentrato sulla qualità delle prestazioni e del prodotto.
E' ragionevole attendersi nei prossimi anni una rapida trasformazione della natura dei patti e dei vincoli associativi tra operatori che difficilmente potranno sottrarsi alle dinamiche di una competizione che farà della qualità delle informazioni e del rapporto con i suoi fruitori il fattore discriminante. Tuttavia allo stato attuale, la variabile associativa non sembra favorire la transizione degli operatori del settore dalla condizione di quasi professione ai caratteri della vera e propria professione.
6. Alcune conclusioni provvisorie
Tentando di formulare alcune conclusioni in merito all'oggetto discusso, attribuiamo alle stesse un carattere provvisorio anche per corrispondere al carattere irrisolto dei processi che abbiamo preso in considerazione.
E' nostra convinzione maturata anche alla luce di quanto sopra evidenziato che ci si trovi di fronte a due processi che attengono al campo dell'informazione tuttora oggetto di una trasformazione strutturale indotta dalle nuove tecnologie e da un inedito e dinamico mercato dell'informazione:
Everardo Minardi, Dipartimento di Sociologia - Università degli Studi di Bologna, e-mail: minardi@spbo.unibo.it
[1] P. Kartestedt, Studi di sociologia della biblioteca. Firenze, La Nuova Italia, 1980; D. Zweizig, E. J. Rodger, La misurazione dei servizi delle biblioteche pubbliche. Roma, AIB, 1987.
[2] Biblioteca quale modello, a cura di M. Belotti e G. Stefanini. Milano, Mazzotta, 1982; Le regioni ed i sistemi bibliotecari, a cura di R. Vecchiet. Milano, Mazzotta, 1983; E. Minardi, Dalla biblioteca tradizionale alla biblioteca elettronica, in Le teche del duemila. Informazioni, utenza sociale e trasformazione delle biblioteche, a cura di A. Ghidini, P. Malpezzi, E. Minardi. Milano, Angeli, 1992.
[3] Cfr. G. Rovati, L'utenza sociale delle biblioteche. Torino, ERI, 1980; L'organizzazione culturale del territorio: il ruolo delle biblioteche, a cura di E. Minardi. Milano, Angeli, 1980.
[4] Fa eccezione Josè Ortega y Gasset che ha dedicato un'intensa riflessione al lavoro del bibliotecario: J. Ortega y Gasset, Mission del bibliotecario. Miseria y splendor de la traducciòn. Madrid, Revista de Occidente, s.d. (trad. ital. Milano, Sugarco, 1984).
[5] L'espressione è di T. W. Adorno, Cultura e amministrazione, in Scritti sociologici. Torino, Einaudi, 1976, p. 115-139; si intendeva significare la perdita dell'autonomia propria dell'intellettuale, per la collocazione di questo operatore tra sistemi funzionali regolati dal sistema politico amministrativo.
[6] W. J. Goode, The librarian: from occupation to profession?. "The Library Quarterly", 31 (1961), p.306-320.
[7] Questo incremento numerico consistente ha coinciso in Italia con il decentramento regionale e le politiche di sviluppo del settore adottate in sede regionale all'inizio degli anni '80 (M. Cecconi, Biblioteche e autonomie locali. Milano, Editrice Bibliografica, 1991). La stessa attenzione al ruolo del servizio pubblico nella formazione dell'identità professionale del bibliotecario è posta al centro della indagine sociologica sui bibliotecari francesi: B. Seibel, Au nome du livre. Analyse sociale d'une profession: les bibliothécaires. Paris, La Documentation Francaise, 1988.
[8] G. P. Prandstraller, Forze sociali emergenti: quali e perché. Milano, Angeli, 1988.
[9] È nota la critica di D. Macdonald, Mass cult e midcult, "Partisan Review", 4 (1960); trad. ital. Roma, Edizioni e/o, 1997.
[10] Information, development and Social Intelligence, edited by B. Cronin. London, Taylor Graham, 1996.
[11] La Corporate Intelligence costituirebbe perciò una componente essenziale per lo sviluppo stesso delle imprese, in un ambiente decisamente competitivo; in tal senso è giustificata la grande enfasi che il modello giapponese della produzione flessibile dedica al carattere diffuso e condiviso delle informazioni e delle conoscenze non solo sul ciclo produttivo, ma anche sul mercato in cui l'azienda si trova ad operare.
[12] Il libro bianco di J. Delors parla, come è noto, di "autostrade dell'informazione": Commissione UE, Crescita, competizione, occupazione. Le sfide e le vie da percorrere per entrare nel XXI secolo. Milano, Il Saggiatore, 1994.
[13] C. Basili, Verso la societą dell'informazione. "Biblioteche oggi", luglio-agosto 1998, p.50.
[14] Cfr. H. Dakers, The library as a key to exploiting economic resources. Den Haag, IFLA, 1996.
[15] E. Minardi, Formazione del catalogo e comunità locale. Un approccio sociologico ad una funzione fondamentale dell'organizzazione bibliotecaria. "Biblioteche oggi", 1 (1987), p. 61-66.
[16] F. W. Lancaster, Towards paperless information systems. New York, Academic Press, 1978; J. Thompson, The end of libraries. London, Clive Bingley, 1984.
[17] C. Basili, cit., p.51.
[18] D. P. Wallace, C.Van Fleet, The invisible librarian. "RQ", Fall 1994, p.6-9.
[19] W. Walsh, The future of the library profession. "Ifla Journal", 1 (1997), p. 13-16.
[20] In questo senso la teoria dell'informazione tende a sostituire la biblioteconomia nella formazione anche odierna del bibliotecario, attribuendo a quest'ultima una valenza essenzialmente metodologica (come si manifestava forse alle sue origini).
[21] Una ricerca promossa dalla Direzione dell'informazione scientifica e tecnica delle biblioteche francesi ha individuato ben 31 "mestieri" della biblioteca (A. Kupiec, Premier recensement des métiers des bibliothèques, "Bulletin des bibliotèques de France, 6 (1995), p.17-21.
[22] A. Abbot, The system of professions: an essay on the division of expert labor. Chicago, The University Press of Chicago, 1988.
[23] S. Rueckl, Il bibliotecario nella società dell'informazione. Conseguenze sulla formazione professionale. "Biblioteche oggi", dicembre 1998, p. 48-57.
[24] A. M. Caproni, Contributo per una storia della formazione professionale dei bibliotecari in Italia. "Bollettino di informazioni AIB", 1-2 (1988), p.3-36; P. Innocenti, La formazione professionale del bibliotecario. Milano, Editrice Bibliografica, 1989.
[25] E. Minardi, A. Chiarenza, S. Cifiello, L'evoluzione della professione del bibliotecario in Emilia-Romagna. Bologna, AIB, Dipartimento di Sociologia, 1993; E. Minardi, Quels services pour quels publics dans les bibliotèques d'Emilie-Romagne et de Basilicate?, in M. Poulain, La lecture d'est en ouest. Regards europeéns. Paris, Centre G. Pompidou, Bpi, p.75-88; E. Minardi, L. Forenza, Bibliotecari in Basilicata. Milano, Editrice Bibliografica, 1997.
[26] E. Minardi, Il bibliotecario: aspetti e problemi di una professione in transizione. Trieste, Amministrazione Provinciale di Trieste, 1984; la stessa reazione si può registrare in ricerche successive: E. Minardi, A. Chiarenza, S. Cifiello, cit.
[27] Non sembra sufficiente insistere sul requisito del prestigio sociale della professione che viene a configurarsi come la conseguenza del riconoscimento necessario della mediazione del professionista piuttosto che premessa per la sua legittimazione sociale.
[28] Ruolo e formazione del bibliotecario. Atti del XXIX Congresso dell'AIB. Firenze, Regione Toscana, 1983.
[29] Una risposta certamente utile che non solo l'associazione dei bibliotecari sta adottando č quella dell'adozione del codice deontologico, con il quale si contribuisce positivamente a delineare un profilo professionale considerato nella sua proiezione nei confronti dell'utenza. I bibliotecari italiani hanno adottato il codice deontologico perņ solo nel 1998.
«Bibliotime», anno II, numero 1 (marzo 1999)