Il 25 giugno 2014 è una data importante per i bibliotecari italiani. Per due ragioni opposte.
La prima è l’approvazione la Legge Madia, Ghizzoni, Orfini, Bossa, Narduolo, che finalmente colma una grave lacuna contenuta nel Codice dei beni culturali del 2004, dove erano presenti tra i professionisti che si occupano dei beni culturali solo i restauratori, ma mancavano tutti gli altri – archivisti, archeologi, storici dell’arte, esperti museali e bibliotecari.
Il cammino di questa norma è stato molto lungo e ora sarà importante procedere velocemente con le prescrizioni previste, che in sostanza prevedono l’istituzione di appositi elenchi di professionisti, in possesso di competenze ed esperienza adeguate alle attività complesse che si svolgono nei musei, archivi, biblioteche, aree archeologiche, ai quali possono attingere committenti pubblici e privati.
Da un lato la legge n. 4/2013 ha sancito che i bibliotecari sono dei professionisti, le cui capacità sono garantite non da un Albo, ma ad esempio dal controllo e dall’aggiornamento effettuati dalle rispettive associazioni professionali (come l’AIB per i bibliotecari); dall’altro la Legge Madia indica che è opportuno che negli istituti culturali lavorino dei professionisti esperti.
Molto bene. E’ un segno della nostra esistenza in vita. Qualcuno se ne è finalmente accorto.
C’è però un’altra notizia, che ci giunge in contemporanea e che ci lascia sbigottiti e sconfortati. Mariarosaria Berardi, bibliotecaria e Piergianni Berardi e Bruno Caracciolo, collaboratori della Biblioteca dei Girolamini di Napoli, depredata dal Direttore Massimo De Caro (a proposito: De Caro non è un bibliotecario, perché gli è stato dato l’incarico di direttore?), perderanno il lavoro dopo 40 anni di servizio. Proprio le persone che hanno cercato di contrastare l’attività di furti sistematici di volumi della biblioteca (migliaia di opere), subiscono questo ingiusto trattamento. Non possiamo pensare che questa sia la ricompensa per chi ha fatto il proprio dovere, da buoni cittadini e bravi bibliotecari, correndo gravi rischi e subendo enormi danni a livello personale.
Chiediamo a gran voce che il problema venga risolto, considerando anche il fatto che ci accingiamo ad assumere la Presidenza del Consiglio europeo e che le biblioteche italiane saranno oggetto di osservazione da parte di colleghe e colleghi in Europa e fuori.
La vicenda dei colleghi della Biblioteca dei Girolamini ci riporta alla cronaca quotidiana di molti bibliotecari italiani anche per un altro aspetto: in Italia la professione bibliotecaria è portata avanti da alcune migliaia di dipendenti di diverse amministrazioni (con una età media nelle biblioteche dello Stato di 58 anni) e da alcune migliaia di giovani (ma anche “anziani”, come abbiamo visto per Napoli) precari. I primi vedono spesso vanificare i loro sforzi decennali di miglioramento continuo al servizio dell’utenza, della cultura e della società da tagli forsennati e ciechi. I secondi vedono mortificate le loro aspirazioni all’esercizio di una professione stimolante e la dissipazione del patrimonio di competenze acquisito, spesso con grandi sacrifici, fino alla rinuncia all’esercizio della professione per mancanza di lavoro o perché non si accetta di lavorare a 5 euro lordi all’ora. Le ragioni sono molteplici e se ne è discusso e se ne discuterà ancora…
Per cambiare questo stato di cose occorre cambiare prospettiva. Al momento, nonostante la “resistenza attiva” dei bibliotecari e il sostegno degli utenti delle biblioteche, assistiamo a quello che pare uno sterminio di massa.
Enrica Manenti
Presidente AIB