AIB. Sezione Veneto. Congressi
"16. Seminario Angela Vinay"
bibliotECONOMIA
attività e passività culturali
Giovanni Pelizzato, Titolare delle Librerie Toletta e della Libreria Mondadori di Venezia
Ringrazio innanzitutto Chiara Rabitti che mi ha invitato a questo seminario. A
dire la verità rimasi un po' stupito nel leggere la sua mail: ritenevo,
infatti, la mia esperienza di libraio scarsamente attinente al mondo delle biblioteche
anche se non del tutto estranea rispetto al tema che stiamo trattando.
Mi piace del resto ricordare che, alcuni anni fa, ho svolto il servizio civile
presso una biblioteca civica a Ronchi dei Legionari. Fu vivendo quell'importante
esperienza che mi resi conto di come, dietro ad un'apparente complementarietà
fra le due figure, libraio e bibliotecario svolgano un ruolo abbastanza simile
se lo si guarda dal punto di vista dell'utente/cliente. Il "lettore",
infatti, può essere contemporaneamente utente di biblioteca, cliente di
libreria, acquirente via internet, ecc.
E' sulla figura del lettore che vorrei impostare il mio contributo ai lavori
di questo seminario.
Partirò da un dato che ci ha ricordato ieri Chiara Rabitti e che già
altri relatori hanno commentato; mi riferisco al numero degli analfabeti in
Italia, valutato da De Mauro nel suo recente La cultura degli italiani [1]
in circa 2 milioni di persone. È un numero rilevante ma che riterrei
quota endemica in qualsiasi nazione delle nostre dimensioni; a questi però
si aggiungono 15 milioni di semi-analfabeti e altrettanti, voglio dire altri
15 milioni, di persone che, pur sapendo leggere e scrivere, non sono in grado
di comprendere il significato di una frase scritta complessa (essendo cioè
composta di almeno venti parole).
Riflettiamo su questi numeri: l'analfabetismo totale è davvero sempre
più improbabile e anacronistico ma nella società moderna definirei
"alfabetizzato" chi è capace di comprendere ciò che
legge. Se allarghiamo in questo modo l'accezione di analfabetismo siamo
in presenza di un livello tragico, del tutto simile a quello di un secolo fa:
c'è più della metà della popolazione italiana che
- non essendo in grado di capire il senso di una frase complessa quando
la legge - è di fatto analfabeta. E non sto parlando di dare senso
alla lettura di una legge, impegno ormai fuori della portata anche del sottoscritto,
oppure di un testo specialistico; qui si parla di non saper leggere un articolo
di giornale!
Mi dilungo ancora sul tema dell'alfabetizzazione per aggiungere una considerazione
di tipo qualitativo.
L'analfabestimo di cento anni fa era senz'altro un grave handicap
ma l'Italia di allora si stava avviando alla scolarizzazione di massa e
poi, soprattutto, alla scarsa o nulla istruzione faceva da contraltare uno sterminato
giacimento di cultura materiale; intendo le prassi, i modi, la sapienza del
mondo contadino e del mondo operaio. L'attuale situazione, invece, vede
milioni di persone analfabete in senso lato che hanno del tutto smarrito quella
cultura materiale, sostituendo una sapienza antica con le icone della tv di
massa... I nostri vecchi, ormai, sono ahimé imbevuti di Grande
Fratello, Isola dei famosi e quant'altro propina la televisione.
Torno al tema principale che vorrei oggi sviluppare, che forse mi compete un
po' di più delle analisi pseudo sociologiche fatte finora.
La mia esperienza quotidiana di libraio, seppur limitata ai poco più
di dieci anni di lavoro, è inevitabilmente quella di un'involuzione.
Vorrei dire subito che non mi riferisco al mio "cliente medio": per
i parametri delle statistiche, infatti, questi verrebbe subito classificato
come "forte lettore" (così è chi legge più di
12 libri l'anno); è un nobile nocciolo duro che nulla ha da invidiare
alle nazioni che ci precedono (e di molto) nelle classifiche di lettura (Germania,
Inghilterra, Francia).
L'involuzione che lamento ha a che fare con l'assenza quasi totale
di lettori occasionali, persone che si accostano al libro in modo non sistematico,
spinte esclusivamente dal piacere della lettura e dalla curiosità. Ci
sono, è vero, quelli che leggono i libri per dovere, nel corso degli
studi superiori o all'università; molti altri acquistano i libri
allegati ai quotidiani nella speranza di leggerli, prima o poi, ma generalmente
senza riuscirvi.
Questo è il vero problema: un'elite di forti lettori non ha alle
spalle un blocco di lettori "medi", con tutte le conseguenze che ciò
può avere sul piano scolastico e - più in generale -
sociale di questo dato.
Quali sono le cause di questa situazione?
La più immediata - ma non certo l'unica - è data
dal progressivo sgretolamento del sapere universitario. I nuovi programmi delle
lauree triennali (io ho sotto gli occhi gli studenti delle facoltà umanistiche
di Venezia) tendono alla ripetizione di concetti che dovrebbero esser già
stati ampiamente trattati alle superiori. I libri adottati, sempre più
spesso, sono antologie di liceo o di scuola superiore. I concetti sono il più
possibile sminuzzati, compressi in pillole, sfrondati da ogni complicazione
teorica per evitare, sistematicamente, la fatica di apprendere.
Un'altra causa è stata poc'anzi argomentata da Cesare De Michelis ed è il prezzo dei libri. Spesso i non-lettori mi dicono che i libri costano un sacco di soldi... Non è vero! Non solo perché si trovano libri in edicola (e in libreria) a 5 euro: il libro, romanzo o saggio, in Italia costa poco. Ho un esempio significativo: l'ultimo libro di Ken Follett [2], uscito in contemporanea in tutto il mondo e quindi tradotto nelle varie lingue, in Germania costa 24 Euro. La Germania è uno dei Paesi dove più diffuso è il vizio della lettura e quindi possiamo immaginare che la tiratura sia stata molto più alta che in Italia. Ebbene, qui da noi lo stesso libro costa solo 18,60 Euro.
Ma la causa principale della disaffezione degli italiani verso la lettura sta
nell'incapacità dei più di riconoscervi uno svago. Non ho
svolto approfondite ricerche e parlo quindi solo per esperienza diretta ma credo
che, al di là delle abitudini familiari, la responsabilità cada
sugli insegnanti, dai maestri delle elementari ai professori delle medie e delle
superiori. Sono loro che - in perfetta buonafede - impongono ai ragazzi
libri che non corrispondono alle loro esigenze. Quante volte ho venduto a ragazzini
delle medie, venuti con i genitori ad acquistare i libri per le vacanze, opere
totalmente al di fuori della loro portata? Come si può imporre a un dodicenne
Candido di Voltaire? Mi rendo conto di essere provocatorio ma perché
invece di imporre 5 titoli o una rosa da cui sceglierli non si chiede, per le
vacanze, di leggere 5 libri qualsiasi? Ci sarà sempre qualcuno
che leggerà Balzac o Dostoevskij ma agli altri, quelli che porteranno
Fabio Volo o l'ultimo dei Brividoni [3], forse dopo 10
anni non ricorderanno la lettura come un'esperienza traumatica ma, per
l'appunto, come uno svago.
Anche noi librai e più in generale noi addetti ai lavori tendiamo ad
avere un atteggiamento snobistico e spesso elitario nei confronti di chi non
legge. Non ha molto senso, però, guardare dall'alto in basso chi
compra solo Harmony o le barzellette su Totti. La discriminante non sta in quello
che si legge, o meglio, questa è una discriminante successiva e poco
rilevante. Ciò che conta è che si legga, e non lo dico solo per
tornaconto...
Concluderò il mio intervento descrivendo, per sommi capi, la mia recentissima
esperienza di libraio indipendente e di libraio di catena. Gestisco infatti
due realtà molto diverse: la Libreria Toletta, realtà ormai storica
di vecchio stampo, e la Libreria Mondadori, un franchising. Un ampio dibattito
è in corso sul tema delle grandi catene e sul rischio di spersonalizzazione
e di standardizzazione dell'offerta che queste comportano. La formula del
franchising adottata dalla Mondadori è molto originale e ha spinto un
centinaio di piccoli imprenditori ad entrare nel mercato dei libri. E'
un bene o un male? Il mio giudizio è condizionato dal fatto che, avendo
comunque alle spalle una libreria indipendente, posso prendere il meglio delle
opportunità del franchising minimizzandone gli inconvenienti.
C'è senz'altro un problema di scelta: i piccoli editori non
hanno torto quando lamentano la sempre minor visibilità dovuta alla logica
delle grandi catene. Ma io mi sono chiesto spesso, visitando altre librerie
indipendenti, che spazio abbiano di fatto editori non solo piccoli ma anche
medi soffocati dalla "potenza di fuoco" dei grandi gruppi editoriali.
Paragonando libri e librerie al settore della ristorazione minacciato dalla globalizzazione Giuseppe Laterza, qualche anno fa, ha seguito l'esempio di Carlo Petrini con lo Slow food e ha proposto di creare, in analogia con quelli del gusto, i "presìdi del libro": è un'iniziativa lodevole perché non vuole negare la realtà delle grandi catene ma tende a supportare i librai indipendenti che, per il bene del lettore, debbono continuare ad operare.
Non voglio farmi illusioni e condivido con la maggior parte di voi la preoccupazione che, alla domanda che fa da titolo a questo seminario - Ricchi e stupidi per quante generazioni? - la risposta sia "per sempre". Ma credo che, da noi che con diversi compiti siamo in prima linea, ci si aspetti una strenua resistenza...
[1] De Mauro Tullio, La cultura degli italiani, Laterza 2004
[2] Follett Ken, Nel bianco, Mondadori 2004
[3] Così nel gergo dei librai e dei rappresentanti è
chiamata la collana dei "Super brividi", libri soft-horror per ragazzi
delle medie della casa editrice Mondadori
Copyright AIB 2006-09, ultimo
aggiornamento 2006-10-04 a cura di Marcello Busato e Giovanna
Frigimelica
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