«Bibliotime», anno XIV, numero 1 (marzo 2011)

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Elena Boretti

Dalla biblioteca 'per' alla biblioteca 'con': il coinvolgimento degli utenti nella gestione della biblioteca *



Quando ho ricevuto l'invito a portare il mio contributo a questo convegno, ho pensato che avrei avuto modo di parlarvi di molte cose, perché certamente le biblioteche pubbliche italiane hanno fatto molta strada dall'epoca dei Comitati di gestione a oggi, con i nostri attuali bilanci sociali, le carte dei servizi, le definizioni di missione, attraverso le esperienze degli amici della biblioteca, le assemblee degli utenti, e molto altro ancora. Trovo che oggi ci siano anche alcune forme interessanti di gestione, il cui reale funzionamento mi piacerebbe conoscere meglio, come per esempio la convenzione del Sistema Bibliotecario dell'Ovest Como, che prevede un'assemblea dei Sindaci e un comitato tecnico, che tra le altre cose elabora per l'assemblea dei Sindaci proposte di sviluppo dei servizi [1].

Le stesse Linee guida IFLA/UNESCO per il servizio bibliotecario pubblico [2] definiscono le responsabilità politiche e quelle tecniche, affrontano i temi della trasparenza e dell'informazione, il coinvolgimento degli utenti, l'analisi dei bisogni, dedicano un intero capitolo al management e marketing delle biblioteche pubbliche. E' in particolare alla missione che viene assegnata la funzione di definire le finalità della biblioteca in modo condiviso fra amministratori, bibliotecari e utenti. Le Linee guida raccomandano anche la pubblicazione di altri documenti: le ''carte'' dei servizi, delle collezioni, dei rapporti con i volontari, delle comunicazioni. Non c'è solo uno scopo di trasparenza, ma anche di partecipazione, di creazione di un dialogo fra tutte le parti interessate, i famosi stakeholders. Negli anni recenti abbiamo affrontato i temi della qualità, abbiamo cominciato a fare qualche indagine sulla soddisfazione degli utenti.

Seguendo la traccia di queste riflessioni, sono arrivata presto a pensare che avrei potuto trovare qualcosa di più interessante seguendo altri percorsi. La lettura dei bilanci sociali infatti, lasciatemi dire, spesso fa pensare che si tratti sostanzialmente di burocrazia, o al massimo di strumenti delle pubbliche relazioni per le nostre amministrazioni. Anche le carte dei servizi spesso vedono coinvolte innanzitutto le amministrazioni, come è giusto che sia. Queste però di solito non si impegnano su obiettivi di miglioramento del servizio, percepiti magari come obiettivi di efficienza ed efficacia e come tali del tutto interni e riservati alla gestione dell'ente; si impegnano piuttosto su obiettivi alla loro diretta portata, come ampliamento di orari, posti a sedere e quindi, in sostanza, sul solo versante delle risorse, che costituiscono i prerequisiti dei servizi stessi.

Insomma, l'attuale governance della biblioteca pubblica (per usare il termine delle Linee guida IFLA/UNESCO al par. 2.5) e le relazioni stesse fra gli organi politici, i tecnici e i cittadini, sembrano dimostrare molta inadeguatezza e una forte necessità di rinnovamento radicale di schemi ormai vecchi. Mancate riforme sulla gestione dei servizi pubblici, crisi della rappresentatività, distacco fra cittadini e amministratori che alla continuità del dialogo paiono preferire la sola verifica elettorale a fine mandato: possono essere tutte cause che non interessa qui indagare. Ci interessa invece evidenziare che oggi le aspettative del pubblico verso i servizi sono molto alte in termini di coinvolgimento, partecipazione, personalizzazione. E queste sono aspettative che non possiamo ignorare, sia perché metteremmo a rischio la sopravvivenza stessa dei nostri servizi, sia perché ci sembra che si sia ormai condivisa con gli amministratori almeno la scelta di lavorare sulla qualità, sul miglioramento continuo, sulla soddisfazione degli utenti.

E a questo proposito, in un fascicolo recente di "Library Technology Reports" interamente dedicato ai temi della misurazione, Grogg e Flaming-May dichiarano nel saggio introduttivo che le domande da porci dovrebbero essere queste: "Che uso viene fatto della biblioteca?"; e soprattutto: "Quali usi potrebbero essere fatti?" [3].

C'è una crescente domanda di personalizzazione da parte dell'utente. Quello stesso fascicolo di "Library Technology Reports" ricorda che già Dervin alcuni decenni fa ci aveva insegnato che si crea valore, informazione, servizio, solamente in relazione a un preciso bisogno individuale, in un preciso contesto spazio-temporale. Per Dervin dobbiamo saper fronteggiare "l'individualità di un individuo", sviluppare interazione, comunicazione. L'utente dei nostri servizi è, come nel settore dell'educazione, intimamente implicato nella buona riuscita del processo stesso: ne è co-produttore. Per fare il nostro "bilancio sociale" insomma, più che contare i prestiti, dovremmo chiederci se l'utente ha scoperto qualcosa, ha compreso, ha creato nuovi significati.

Più che mai oggi, nell'epoca del web 2.0, dei social networks, la gestione della comunicazione assume un ruolo centrale. La biblioteca 2.0 che volesse veramente essere la biblioteca "con", dovrebbe favorire lo sviluppo della partecipazione, ma anche la creatività degli utenti, affinché possano essere sempre più produttori di conoscenza, oltre che consumatori. La dimostrazione che questo è possibile è Wikipedia, l'enciclopedia auto-prodotta interamente dal pubblico, che rende liberamente disponibile sul web una delle funzioni che erano state tipiche della biblioteca pubblica, garantire l'accesso all'informazione generale. Ma anche Facebook, Twitter, Youtube, i blog, social bookmarking e folksonomies, a vario livello e in diversi modi, modificano il senso e le funzioni che finora erano stati capisaldi della nostra professione.

Lankes [4] afferma che nella storia si sono sempre alternate a ondate la centralizzazione e la decentralizzazione dell'autorità. Molti vogliono che sia la biblioteca il fornitore privilegiato di informazione, in contrasto al processo di democratizzazione di Internet, ove ciascuno pubblica e divulga ciò che vuole. Da un lato viene posta la biblioteca, la sua autorevolezza istituzionale, e dall'altro l'utente. Quando l'utente si gestisce in autonomia, assume in proprio la responsabilità della valutazione di autorevolezza delle fonti informative: a quel punto però l'informazione autorevole cessa di esistere, e si dovrà parlare piuttosto di informazione attendibile, affidabile (reliability). L'autorevolezza è qualcosa di oggettivo e pre-esistente, mentre l'affidabilità richiede confronto e conversazione. Per questo l'utente autosufficiente, secondo Lankes, ha bisogno di continua conversazione e di strumenti di partecipazione. In sostanza, se Pierre Levy nell'Intelligenza collettiva ha detto che "ognuno sa qualcosa e il sapere non è niente di diverso da quello che sa la gente", tale affermazione potrebbe essere portata all'estremo fino a dire: "avere molti amici è avere molto sapere a disposizione".

Ma il web 2.0 sembra davvero lontano dalla sfera di interessi delle nostre amministrazioni. Non saprei dire se si tratti più di una sottovalutazione della sua portata innovativa, o della volontà di schierarsi, in quanto istituzioni, dalla parte della centralizzazione dell'autorità. Eppure nel settore privato oggi si parla di Community management e Enterprise 2.0: sono i nuovi orizzonti del management per la gestione della collaborazione nelle organizzazioni, che include il cliente all'interno dei processi di creazione di valore di prodotti e servizi. Il nuovo management sposta l'attenzione dall'obiettivo - il prodotto - al modo di creare le condizioni perché si generi qualcosa di interessante e innovativo. E queste condizioni per generare la collaborazione sono la fiducia e la comunicazione. Si ritiene quindi che occorra ampliare lo spazio di libertà delle persone e salvaguardare la vita delle comunità informali, che, in quanto tali, sono anche molto fragili.

Certo è che il web 2.0 raggiunge ancora oggi ben pochi italiani. La diffusione di internet in Italia è molto bassa: siamo agli ultimi posti nella graduatoria mondiale dei 58 paesi che hanno un indice di penetrazione superiore al 50% della popolazione. [5] Se io vi avessi parlato oggi della biblioteca "con" riferendomi alla biblioteca 2.0, vi avrei parlato di biblioteca "con" una minoranza dei cittadini. Non possiamo paragonarci a come vanno le cose negli Stati Uniti, dove si trovano più computer che in tutto il resto del mondo [6]. C'è tuttavia un'istanza crescente di attenzione, di partecipazione, di protagonismo, di personalizzazione da parte dei cittadini, sia che questo trovi origine nelle possibilità offerte da nuovi strumenti quali il web 2.0, o in altro.

Io credo che da parte degli assessori alla cultura si dimostri ancora una scarsa sensibilità verso quello che potrebbe essere la biblioteca nella sua versione digitale. La dimostrazione l'abbiamo visitando i siti e i servizi online, davvero poco sviluppati in Italia, o i reference online, pochi e non di rado volontaristici, privi delle condizioni indispensabili ad offrire garanzia di servizio, o i blog delle biblioteche, che Mazzocchi [7] conta nel 2010 in un totale di 82, dei quali solo 61% attivi e solo 12 con più di 200 post. La sperimentazione di Facebook da parte delle biblioteche italiane è francamente ancora davvero embrionale, e il numero di contatti assai esiguo.

Sarebbe interessante anche fare un'indagine su quante biblioteche si siano dotate di strumenti partecipativi a sostegno della comunicazione di tipo interno, fra il personale. Potrebbe trattarsi di wiki, di blog, di forum, ma, oltre alla posta elettronica, dovrebbe comunque trattarsi di modalità strutturate e volte al miglioramento dei servizi, delle procedure, dell'organizzazione, tramite la condivisione delle problematiche o delle esigenze presentate dal pubblico e il confronto, la proposta di soluzioni migliorative da parte di tutto il personale. Anche questo genere di strumenti ad uso interno credo proprio che siano assai rari nelle nostre biblioteche. Pesano negativamente, oltre alle solite difficoltà che ogni innovazione incontra, il distacco generazionale che è diventato ormai una realtà quasi ovunque: da una parte bibliotecari, dirigenti e dipendenti pubblici anziani, poco portati a sentire il bisogno di strumenti e metodi di lavoro innovativi, e dall'altra nuove generazioni sempre più con contratti esterni e spesso a termine.

Bisognerebbe invece tener conto che proprio con questi strumenti è possibile condividere fra tutto il personale e con gli amministratori la conoscenza del pubblico, dei suoi bisogni, e gestire la comunicazione in modo strutturato per poter mantenere memoria dei percorsi, delle scelte fatte, delle motivazioni, e condividerle con le stesse aziende di gestione dei servizi in esternalizzazione.

Willingham ricorda che negli Stati Uniti, alla vigilia dell'ultimo conflitto mondiale, le biblioteche furono incaricate di funzionare da università popolare e i bibliotecari svolsero un ruolo di educatori [8]. A suo giudizio i bibliotecari di oggi dovrebbero invece ''ascoltare'' la comunità, per trovare soluzioni ai problemi reali: non serve tanto chiedere agli utenti in che orari vogliono aperta la biblioteca, quanto chiedere quali sono i loro obiettivi e le loro necessità, per accompagnarli nel loro percorso. Per Willingham le biblioteche dovrebbero quindi agire come agenzie civiche, contribuire alla crescita di "valore pubblico", allo sviluppo democratico.

Esce proprio in questi mesi in traduzione italiana La ricerca in biblioteca: come migliorare i servizi attraverso gli studi sull'utenza, di Alison Jane Pickard [9]. Vi si parla anche dell'approccio interpretativista, dell'interazione fra oggetto e soggetto della ricerca. Lo studio qualitativo, sostiene Pickard, non può essere esente dalla soggettività, che occorre vigilare e compensare quando necessario. Non è possibile alcuna interazione che non ci veda anche coinvolti e partecipi, tanto quanto gli utenti. Il mediatore infatti non può essere mai del tutto scientifico e neutrale, ma può solo cercare di controllare ''quanto'' lo è.

Lankes a sua volta afferma che in ogni comunità, in ogni servizio vi sono idee, opinioni e tendenze dominanti e ogni organizzazione, ogni individuo è inevitabilmente anche preda di pregiudizi [10]. Da un punto di vista etico, riconoscerli è la miglior cosa da fare. Sia i pregiudizi che l'etica dei bibliotecari diventano parte del processo di creazione di conoscenza. La biblioteca può agire in modo paternalistico ed elitario, come accadde alle origini, quando il sostegno all'alfabetizzazione era orientato alla diffusione di un certo tipo di cultura dominante, ammette Lankes. Ma è possibile contrastare questa tendenza con una forte tensione a servire, a fare servizio, porsi in modo tale da essere parte della comunità. Anche se la biblioteca appartiene alla comunità, essa non necessariamente deve riflettere tutte le etiche presenti nella comunità: vi sarà una negoziazione. A volte la biblioteca difenderà i propri principi, altre volte cercherà di includere gli utenti all'interno dei propri processi.

Ecco allora che mi pare si cominci a intravedere più chiaramente come potrebbe configurarsi davvero un dialogo nel caso della biblioteca "con", che dovrebbe coinvolgere utenti, bibliotecari e amministratori: negoziazione è la parola che mi sembra possa descrivere in modo realistico questo tipo di dialogo. Gli aspetti etici, che sostanziano il nostro lavoro fin dal Manifesto UNESCO, sembrano così assumere un ruolo in parte nuovo, diverso e più ampio.

Ma prima di tornare su questo tema della negoziazione, vale la pena soffermarsi proprio sugli aspetti etici. Sturges osserva che tutte le scienze dell'informazione nel ventunesimo secolo sono dominate dalla dimensione etica, più che da quella tecnica [11]. Come i bibliotecari, anche i giornalisti si ripropongono l'obiettivo di favorire l'accesso all'informazione con accuratezza, imparzialità, difesa del punto di vista delle minoranze e così via.

Si sofferma poi su alcuni codici etici dei bibliotecari in vari paesi, per mettere in evidenza alcune loro specificità. La specificità italiana ad esempio viene da lui individuata nella frase del par. 2.1 del codice etico dell'AIB: "Il bibliotecario deve onorare la professione, con profonda consapevolezza della sua utilità sociale." Il nostro codice risale al 1997 e ci riempie di orgoglio la piacevole scoperta di aver saputo così tanto bene anticipare un tema che sarebbe divenuto centrale tanti anni dopo. Tra le altre professioni, Sturges esamina i principi etici che ispirano la Society of Internet Professionals e conclude che la dimensione etica è trasversale alle discipline dell'area dell'informazione, e che questo è un segno di maturità di queste professioni.

Questa interessante ricerca sugli elementi comuni nell'etica delle professioni dell'informazione mi ha fatto pensare anche alla Internet Society (ISOC), che si occupa dei temi della Internet Governance. Anche la Internet Society dichiara di ispirarsi a principi assai simili a quelli dei bibliotecari, contenuti nel Manifesto UNESCO. Infatti, dichiara di mirare a garantire uguali diritti per tutti indipendentemente da razza, genere, disabilità, lingua, religione, opinioni politiche, origini, nazionalità o condizione sociale; garantire libertà di espressione, tutela della riservatezza, favorire lo sviluppo della cooperazione fra reti [12].

Con Internet Governance si intende una collaborazione che si sviluppa con un processo decisionale informale che parte dal basso e che identifica tre attori, come nel caso della governance delle biblioteche pubbliche definita dalle Linee guida IFLA/UNESCO. Nel caso di Internet però le tre categorie di stakeholders sono, anziché amministratori, bibliotecari e utenti: governi, settore privato e società civile, rispettivamente portatori di interessi politici, economici e sociali. Alla società civile, portatrice degli interessi sociali, è attribuita anche la responsabilità sociale, intesa in termini di creazione di capacità e conoscenza, difesa dei gruppi sociali ai margini, sostegno a processi e politiche dal basso centrati sulle persone e inclusivi, visione della società dell'informazione centrata sui diritti umani, sviluppo sostenibile, giustizia sociale. La posizione dell'Ifla sulla Internet Governance sposa questo medesimo approccio.

Forse a questo punto si capisce meglio quello che ho detto all'inizio del mio intervento: il tema che mi è stato assegnato in questo seminario di studio è un tema veramente grande, che richiederebbe molto più spazio, molti più studi, molti approcci e il contributo di più punti di vista. Spero quindi di aver saputo solamente sollecitare alcuni interrogativi e spunti di riflessione, e provo a raccontarvi gli interrogativi che sono venuti in mente a me.

Pensando agli stakeholders identificati per le biblioteche e per Internet, noto che in entrambi i casi vi sono da un lato amministratori o governi, dall'altro utenti, società civile. Il terzo elemento sono i bibliotecari nel caso delle biblioteche; i portatori di interessi economici nel caso di Internet.

In uno scenario così difficile, io credo che il bibliotecario debba porsi in modo tale da essere parte della comunità, come ha detto Lankes, servire, fare servizio, nella consapevolezza che occorre operare sul terreno della negoziazione, che significa dialogo con le altre parti in causa, compresi gli amministratori. L'uso del termine negoziazione, introdotto da Lankes, è tuttavia indice di uno stato di difficoltà, di crisi, ed è tutt'altro che rasserenante: è infatti il termine utilizzato nella gestione delle relazioni per indicare una tecnica tesa a trovare sbocco da uno stato di conflittualità, altrimenti privo di soluzione.

Occorrerà d'ora in avanti tenere conto di tutte le esigenze, anche quando sembrassero contrapposte, ed è curioso che a tale proposito Lankes ricorra proprio all'esempio degli standard catalografici, e degli authorithy files da un lato, e dall'altro della personalizzazione delle folksonomies.

Di recente è uscito per Laterza il bel libro di Solimine, L'Italia che legge, che ci ricorda i risultati di impatto delle nostre biblioteche pubbliche italiane [13]: raggiungiamo circa l'11% della popolazione, quando la media europea è sul 35%. Direi che dovrebbe essere proprio la crescita di questo dato, l'obiettivo che dovremmo darci nel momento in cui ci facciamo carico della responsabilità sociale delle biblioteche pubbliche.

Sempre negli ultimi mesi, e ancora per Laterza, è uscita la nuova edizione di La cultura degli italiani di Tullio De Mauro [14], che mette in luce come vi sia un'Italia dei mercati e degli scambi, operativa, mercantile, ma contrapposta all'Italia colta, del sapere per pochi, delle professioni nobili, l'Italia crociana dei filosofi. Vengono allora in mente altri interrogativi:

Io credo che come bibliotecari delle biblioteche pubbliche dovremmo saper gestire la conversazione con tutti questi tipi di istanze. Una vera rivoluzione può essere innescata dalle nuove tecnologie, ma potrà avere effetto solo se cambieranno i comportamenti, gli atteggiamenti, la disponibilità, le mentalità.

L'Ifla ha ora pubblicato una seconda edizione delle Linee guida per le biblioteche pubbliche. Vi sono cenni a Facebook, Twitter, Youtube, ma balza subito agli occhi che una delle novità principali è un capitolo in più. Infatti il sesto, che precedentemente era stato dedicato a management e marketing, ora sviluppa questi due argomenti dedicando un capitolo a ciascuno (il settimo capitolo è sul marketing). Trovo significativa questa crescita di attenzione.

Elena Boretti, Biblioteca Comunale A. Lazzerini - Comune di Prato, e-mail: e.boretti@comune.prato.it


Note

* Questo articolo riprende il testo della relazione tenuta in occasione del Seminario "Verso una responsabilità sociale delle biblioteche", Modena, Teatro della Fondazione Collegio San Carlo, 14 dicembre 2010.

[1] Sistema Bibliotecario dell'Ovest Como, Convenzione, ultimo aggiornamento 2011.02.10, <http://www.ovestcomobiblioteche.it/sistema_bibliotecario_03.asp>.

[2] IFLA/UNESCO, The public library service: IFLA/UNESCO Guidelines for Development, Prepared by a working group chaired by Philip Gill on behalf of the Section of Public Libraries, München, Saur, 2001, poi pubblicato in Italia: Il servizio bibliotecario pubblico: linee guida IFLA/UNESCO per lo sviluppo, preparate dal gruppo di lavoro presieduto da Philip Gill per la Section of Public Libraries dell'IFLA, edizione italiana a cura della Commissione nazionale Biblioteche pubbliche dell'AIB, Roma, AIB, 2002, anche: <http://archive.ifla.org/VII/s8/news/pg01-it.pdf>.

[3] Jill Grogg - Rachel Fleming-May, Assessing Use and Usage, "Library Technology Reports", August-September 2010, p. 5-10.

[4] R. David Lankes, Credibility on the internet: shifting from authority to reliability, "Journal of Documentation", 54 (2008), 5, p. 667-686.

[5] Miniwatts de Colombia Ltda., Internet World Stats: Countries with the highest internet penetration rate, 2010, <http://www.internetworldstats.com/top25.htm>.

[6] Al Kagan, IFLA and social responsibility: a core value of librarianship, in Libraries, National Security, Freedom of Information Laws and Social Responsibilities: IFLA/FAIFE World Report 2005, <http://archive.ifla.org/faife/report/FAIFE-WorldReport2005.pdf>.

[7] Juliana Mazzocchi, Blog di biblioteca: una moda difficile da seguire?, "Biblioteche oggi", 28 (2010), 4, p. 20-28.

[8] Taylor L. Willingham, Libraries as Civic Agents, "Public Library Quarterly", 27 (2008), 2, p. 97-110.

[9] Alison Jane Pickard, La ricerca in biblioteca: come migliorare i servizi attraverso gli studi sull'utenza, Milano, Bibliografica, 2010.

[10] R. David Lankes, The Ethics of Participatory Librarianship, "Journal of Library Administration", 2008, p. 233-241.

[11] Paul Sturges, Information Ethics in the Twenty First Century, "Australian Academic & Research Libraries", 40 (2009), n. 4, p. 241-251.

[12] Internet Society, Principles and Goals, <http://www.isoc.org/isoc/mission/principles/>.

[13] Giovanni Solimine, L'Italia che legge, Bari, Laterza, 2010.

[14] Tullio De Mauro, La cultura degli italiani, a cura di Francesco Erbani, 3. ed., Bari, Laterza, 2010.




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