«Bibliotime», anno XIII, numero 3 (novembre 2010)

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Antonella De Robbio

Biobanche e proprietà intellettuale: commons o caveau?



Quando un bene è di particolare valore si è soliti conservarlo
in un luogo protetto, magari in una cassaforte, al
riparo dai tentativi di furto di qualche malintenzionato.
Per ragioni diverse anche con i beni considerati pericolosi,
ossia suscettibili di arrecare danno a chi li utilizza o a terzi,
vengono conservati in luoghi custoditi, inaccessibili ai non addetti.
Nell'un caso le particolari misure di sicurezza
sono giustificate dal valore del bene,
nell'altro invece dalla nocività intrinseca al bene stesso.

(M. Macilotti et al., La disciplina giuridica delle biobanche [1])

1. Introduzione [2]

Le biobanche rappresentano un'importante risorsa per la ricerca, quale strumento utile allo sviluppo delle attività nelle biotecnologie e bionanotecnologie, oltre che in bioinformatica, settori fondamentali per la produzione di nuova conoscenza.

Le biobanche possono essere considerate archivi o repository costituiti principalmente da librerie, intese come collezioni di contenuto, laddove il contenuto è il materiale biologico prelevato da differenti individui o specie, beni tangibili preziosi per il singolo e per la collettività. Agganciata al contenuto e incarnata nel suo supporto, risiede l'informazione sotto forma di dati, un bene intangibile di inestimabile valore. Incertezze definitorie rendono oltremodo complessa la questione correlata al concetto di proprietà, sia essa fisica o intellettuale [3], laddove la confusione definitoria si estende anche al tipo di campioni e di dati che vengono raccolti e conservati dalle biobanche.

L'enorme sviluppo della ricerca, in particolare nel campo della genetica, ma anche nei settori delle biotecnologie, ha comportato una proliferazione di raccolte di materiale biologico di diversa natura (vegetale, umano, animale, etc.), immagazzinate in diversi luoghi geografici, con tecniche di bancaggio e conservazione alquanto difformi e non sempre standardizzate. Tali raccolte, nel corso degli anni, sono state impiegate non solo nel campo della ricerca pura e di quella applicata, ma anche a fini diagnostici, oltre che per scopi terapeutici, tutto ciò in un quadro normativo incerto o comunque frammentario.

Lacune normative che non regolano la materia in modo adeguato, e mancanza di punti di riferimento univoci, sono stati presto colmati da settori privati spinti da forti interessi economici, che privatizzano materiali e informazioni a scapito del bene collettivo. E' quello che sta accadendo da qualche tempo con il fiorente mercato delle biobanche cordonali, dove il dibattito sulle cellule staminali viene strumentalizzato per fini di lucro.

La collocazione fisico-geografica ed istituzionale delle biobanche le rende oggetto di profonde ambiguità, oltre che di incertezze normative, in quanto possono far parte di grandi centri di ricerca pubblici, costituire un'appendice a piccoli ospedali o essere incardinate in compagnie farmaceutiche del settore biotech commerciale. Possono quindi rappresentare grosse biobanche per lo studio sulle popolazioni, suddivise per nazioni o patologie, o fungere da centri o società che erogano servizi di raccolta, stoccaggio e conservazione di materiale biologico anche per uso autologo. In tal caso spesso operano come società private, anche a fini di lucro, è il caso delle biobanche di sangue cordonale o di cellule staminali.

In tale dimensione organizzativa il valore del materiale conservato assume connotazioni non sempre chiare e trasparenti, per le questioni etiche che ne scaturiscono in rapporto agli aspetti correlati alla proprietà di beni che sono sia fisici che intellettuali, sia privati che pubblici. In questo lavoro tenteremo di tracciare un percorso tra varie definizioni di "biobanca", in particolare analizzando le stratificazioni definitorie che si sono andate delineando nel tempo e nei vari contesti.

Si identificano due nuclei primari da cui si ramificano due distinte nozioni del termine "biobanca": uno che nasce dalla letteratura scientifica e un altro prettamente normativo.

Il primo, di diretta derivazione dall'ambito della ricerca, più ampio e generico, si è andato consolidandosi entro il corpus della letteratura medico-scientifica di settore, utile a tracciare le linee essenziali del nuovo fenomeno emergente. Secondo tale nozione una biobanca viene definita come un "complesso organizzato di campioni biologici umani con finalità diagnostiche, terapeutiche e di ricerca". Il presente lavoro analizza i descrittori del tesauro MESH al fine di costruire la nascita e l'evoluzione del termine "biobanca", assegnato alle pubblicazioni scientifiche. Il secondo nucleo definitorio si è evoluto entro il contesto normativo.

Passeremo poi attraverso i canali che riguardano aspetti legali strettamente correlati al concetto di proprietà, sia fisica sia intellettuale, toccando il concetto di bene comune ("commons"), la proprietà sui materiali biologici, l'importanza della codificazione appropriata dei campioni in modo da garantire la privacy dei pazienti, la riservatezza delle informazioni e la loro smaterializzazione rispetto ai "supporti" ai quali si riferiscono, per giungere ad analizzare la questione della proprietà intellettuale e della differenza tra scoperta e invenzione ai fini della brevettabilità.

Diverse iniziative recenti nella ricerca biomedica hanno cercato di rendere i loro dati liberamente accessibili agli altri, di modo da stimolare l'innovazione. Molte di queste iniziative hanno adottato il modello open source, modello che ha raggiunto un certo rilievo nel settore informatico.

2. Tipologia e finalità negli aspetti definitori

Le biobanche si differenziano sotto vari profili, tra i quali due sono fondamentali: il tipo di materiale biologico raccolto e la finalità per cui vengono realizzate. Di conseguenza, una classificazione tipologica delle biobanche deriva dalle fonti da cui provengono i tessuti e organi umani che compongono le "collezioni della biobanca" e precisamente:

Sostanziamente si può tracciare una differenziazione tra biobanche dei tessuti e biobanche genetiche. Le biobanche genetiche attirano l'attenzione del mondo scientifico perché costituiscono una risorsa preziosa proprio in rapporto allo sviluppo delle conoscenze sul genoma umano. In Italia è stato istituito un gruppo di lavoro, nell'ambito della Società Italiana di Genetica Umana (SIGU) e della Fondazione Telethon, che ha elaborato delle linee guida per la creazione, il mantenimento e l'utilizzo di biobanche genetiche:

Sono definite biobanche genetiche le raccolte di campioni di tessuti e linee cellulari da cui si ottengono acidi nucleici e proteine, che rappresentano un'importante fonte di risorse per la diagnosi e la ricerca da quella di base fino alla sperimentazione di terapie per le malattie genetiche. La peculiarità delle biobanche genetiche richiede che i campioni conservati siano collegabili ai dati anagrafici, genealogici e clinici relativi ai soggetti da cui deriva il materiale depositato. [4]

Il Comitato etico europeo, nella sua opinione del 1998 sugli aspetti etici relativi alle banche dei tessuti umani, sottolinea che le biobanche genetiche pongono importanti questioni legali ed etiche, in particolare riguardo alla riservatezza dei dati, l'accesso a tali dati e gli usi possibili anche nel lungo periodo [5], come vedremo in seguito.

In relazione al profilo funzionale, invece, si possono individuare tre distinti macro-settori dove collocare le biobanche. I primi due sono rappresentati dalle finalità di ricerca (pura o applicata) e dalle finalità clinico-terapeutiche (trapianti), sia per uso autologo (caveau) che per uso allogenico (commons).

Difatti sia le biobanche con finalità di ricerca sia quelle a scopo di trapianto hanno come obiettivo di costituire reti nazionali, europee e internazionali per lo studio e la cura di specifiche malattie su determinate popolazioni, anche a fini preventivi o per l'erogazione di servizi clinico-terapeutici, utili al singolo donatore (o a un membro della sua famiglia) o alla collettività:

Peculiari, in ragione della duplice funzionalità che le caratterizza, sono invece le biobanche di cellule staminali cordonali. Infatti, le cellule conservate in queste biobanche, oltre a rappresentare insostituibili strumenti di ricerca, sono ritenute idonee a prestarsi in futuro ad essere trapiantate [6].

Il terzo ambito ha invece finalità di pubblica sicurezza, con scopi di investigazione criminale. Biobanche ad uso forense e militare, che afferiscono ai campi di studio della criminologia, hanno la funzione di ricavare il profilo genetico per la tipizzazione, al fine di comparazione dei profili genetici di soggetti coinvolti in attività criminose. A livello nazionale, per facilitare l'identificazione degli autori dei delitti, a seguito delle novità introdotte dalla Legge 30 giugno 2009, n. 85 [7] è stata istituita, presso il Ministero dell'interno, Dipartimento della pubblica sicurezza, la banca dati nazionale del DNA, che ha funzioni di banca dati a supporto delle indagini sul terrorismo internazionale e immigrazione clandestina.

La classificazione delle biobanche di tipo funzionale entro un network è un altro punto di vista interessante per gli aspetti definitori, proprio perché aiuta a capire la loro organizzazione entro reti più o meno organizzate. Una biobanca che funzioni entro una rete che eroga servizi ha caratteristiche diverse rispetto a una biobanca isolata che non comunica all'esterno.

In Italia ad esempio esiste una rete di diciotto biobanche cordonali pubbliche - il cui fulcro è il Registro italiano - che lavora come sportello unico per i centri di trapianto al fine di consentire, nel caso di un paziente affetto da leucemia, una ricerca contemporanea non solo tra i potenziali donatori italiani, ma contemporaneamente anche nei Registri europei e in quelli degli Stati Uniti.

Un recentissimo lavoro di tre autori dell'Università di Leida [8] mette in luce una serie di pre-requisiti utili a un'analisi classificatoria delle biobanche, tra i quali l'adeguatezza del campione in termini di "sufficienza" e di "qualità", l'adeguatezza dell'infrastruttura, il budget per far fronte ai costi di gestione e mantenimento di una risorsa che deve poter essere mantenuta nel tempo, il rispetto dei requisiti legali, etici e di governo che derivano da norme, regolamenti e raccomandazioni. Il lavoro ha consentito di allocare le biobanche nelle seguenti categorie: 'storage', 'bring-and-share', 'catalogue', 'partnership', 'contribution', 'expertise', proponendo un sistema di classificazione che dovrebbe aiutare a comprende meglio le funzioni di una biobanca entro una rete chiusa o aperta, al fine di identificare soluzioni adeguate.

2.1. Nascita del termine biobanca nella letteratura scientifica

Il termine biobanca in letteratura scientifica è relativamente recente, collocabile, secondo alcuni autori verso la metà degli anni Novanta [9].

Una ricerca in Google Scholar recupera lavori antecedenti, in particolare risalenti agli anni Ottanta, in cui compaiono alcuni report che si riferiscono a studi su biobanche in centri dell'Europa del Nord, per esempio MONICA biobank, presso la svedese Umea University. [10]

Anche ricerche in GoogleLibri recuperano testi dei primi anni Novanta, dove il termine "biobank" compare, seppure in odo sporadico e con significato assai vago, per indicare l'attività di stoccaggio di materiale biologico (organi, tessuti, sangue, cellule, e fluidi aventi una quantità di DNA o RNA che consenta analisi di carattere genetico), svolta sia all'interno dei presidi ospedalieri sia nelle fondazioni pubbliche o private.

Elisa Stefanini [11], nella sua analisi di diritto comparato, sostiene che a causa delle novità e delle criticità che le biobanche evidenziano, sono presenti una serie di problematiche che attengono alla tutela dei diritti delle persone coinvolte. Fin dalla definizione di biobanca emergono infatti le prime difficoltà, in quanto si registra una grande varietà di espressioni utilizzate dalla dottrina e desumibili dalle fonti internazionali ed europee per designare fenomeni simili (se non identici) con termini svariati: "biobank", "gene bank", "DNA bank"… [12]. Tale confusione terminologica è indubbiamente dovuta al periodo di intensa innovazione tecnologica, per cui le concrete distinzioni tra tali raccolte non sono ancora emerse nella prassi. Va ricordato che non è stato ancora compiuto un censimento completo del numero e dei tipi di biobanche attualmente esistenti in Europa, censimento peraltro raccomandato già nel 2004 dalla Commissione Europea.

Spesso i termini "biobanca" e "banca dei tessuti" vengono usati come sinonimi per indicare le raccolte di tessuti, cellule e DNA umani associate ad una banca dati. Ciò che non risulta chiaro inoltre è se con il termine biobanca si debba intendere una raccolta di soli campioni di tessuto o di soli dati genetici, o necessariamente sia di campioni di tessuto che di informazioni personali, genetiche, mediche, genealogiche. In effetti, come si evince da un'analisi del termini del Medical Subject Headings (MESH), ossia il vocabolario controllato che ha l'obiettivo di indicizzare la letteratura scientifica in ambito biomedico, ad oggi ancora non esiste un descrittore per raggruppare tutti i lavori relativi alle biobanche [13].

Sicuramente la classificazione biblioteconomica o l'indicizzazione semantica nei database bibliografici non hanno di certo contribuito a determinare le forme definitorie nell'una o dell'altra direzione, ma si sono limitate a registrare ciò che veniva pubblicato. Il criterio noto come garanzia letteraria stabilisce infatti che i descrittori MESH vengono revisionati ed aggiornati annualmente sulla base dell'evoluzione delle scienze biomediche.

E' davvero interessante tracciare la mappatura dei descrittori del MESH, per tentare di capire come i vari filoni della letteratura scientifica siano stati determinanti nel creare la struttura gerarchica in due distinti rami dell'albero classificatorio:

  1. all'interno della categoria "scienza dell'informazione", precedentemente etichettata come categoria dei "sistemi informativi" (nome in uso dal 1966 e fino al 1997);
  2. all'interno della categoria "assistenza sanitaria: strutture, manodopera e servizi.

 

Scienza dell'informazione (L01) [era "sistemi informativi" dal 1966 al 1997]

  • Memorizzazione e recupero dell'informazione (L01.470)
    • Basi di dati (come argomento) (L01.470.750)
      • Basi di dati bibliografici (L01.470.750.500)
      • Basi di dati fattuali (L01.470.750.750) [14]
        • Basi di dati genetiche (L01.470.750.750.325) [dal 2002]
          • Basi di dati di acidi nucleici (L01.470.750.750.325.630) [15] [dal 2002]
          • Basi di dati di proteine (L01.470.750.750.325.710) [dal 2002]
        • Sistemi di informazione geografica (L01.470.750.750.462) [16] [dal 2003]
        • National Practitioner Data Bank (L01.470.750.750.600)
        • Progetti dell'uomo visibile (L01.470.750.750.905) [dal 2007]

Assistenza sanitaria: strutture, manodopera e servizi (N02)

  • Strutture sanitarie (N02.278)
    • Banche di campioni biologici (N02.278.065) [17] [dal 1994]
      • Banche del sangue (N02.278.065.200)
      • Banche del latte (N02.278.065.600) [dal 1994]
      • Banche del seme (N02.278.065.700) [dal 1984, in questo ramo dal 1991]
      • Banche di tessuti (N02.278.065.900) [18]
        • Banche di ossa (N02.278.065.900.205) [dal 1995]
        • Banche dell'occhio (N02.278.065.900.400) [dal 1975, in questo ramo dal 1991]

 

Se poi ci si riferisce a termini come "stem cells bank" o "blood stem cells" o "cryopreservation", ritroviamo lavori su banche di cellule staminali, ancora precedenti, come quello pubblicato sugli "Annals of Hematology", datato 1977, chiaramente focalizzati sui concetti di "biobanca" ma dove il termine "biobanca" non compare mai nel testo del lavoro scientifico [19].

Esistono, infatti, banche per la conservazione del sangue cordonale, biobanche per le cellule staminali, ma manca una cornice normativa idonea a sostenere e disciplinare l'utilizzo di questi tessuti e la ricerca sulle loro possibili applicazioni biomediche.

Se andiamo ad esaminare i descrittori di soggetto MESH assegnati a tali lavori in PubMed, sebbene alcuni dei termini di questo ramo del tesauro furono introdotti nel 1967, non li ritroveremo associati a nessuna dei due rami citati sopra, bensì al ramo con notazione E05 che si riferisce alle tecniche di laboratorio.

 

Tecniche investigative (E05)

  • Tecniche di laboratorio clinico (E05.200)
    • Tecniche di coltura (E05.200.249)
    • Tecniche di coltura cellulare (E05.200.249.249)
    • Cocoltura (E05.200.249.374)
    • Camere di diffusione per colture (E05.200.249.437)
    • Tecniche di coltura embrionale (E05.200.249.468)
    • Coltura di organi (E05.200.249.484)
    • Tecniche di coltura tissutale (E05.200.249.617)
    • Ingegneria dei tessuti (E05.200.249.750)

 

E' interessante notare quali siano i possibili "subhedings" da abbinare ai termini MESH per i tre rami sopra citati: classificazione, economia, educazione, etica, storia, strumenti, metodiche, potenzialità, legislazione e giurisprudenza, organizzazione e amministrazione, standard, dati statistici, distribuzione e fornitura, tendenze, utilizzazione.

In ogni caso i tre insiemi di termini strutturati gerarchicamente che abbiamo esaminato, pur scendendo a vari livelli di specificità per ciascuno di essi, non consentono una presentazione entro un insieme omogeneo per il termine "biobanca", che ad oggi non esiste in MESH; né tantomeno i termini sono in qualche modo correlati da una notazione "comune" che li possa raggruppare entro un insieme strutturato. Forse, tra qualche anno, la garanzia letteraria consentirà un'operazione di questo tipo anche in considerazione del fatto che una semplice ricerca in rete con Google usando parole chiave sia in italiano sia in inglese, restituisce valanghe di item, a testimoniare che il termine sta prendendo quota, non solo a livello di siti più o meno fraudolenti, ma anche a livello di letteratura scientifica. In altre parole, il termine "biobanca" non può più essere ignorato nelle indicizzazioni documentarie.

Una nota a parte merita il neologismo inglese "omics, la cui origine può essere fatta risalire al 1995, all'interno delle comunità dei bioinformatici di Cambridge, Stanford, Yale, Harvard e che sta ad indicare l'ampio numero di discipline biomolecolari che presentano il suffisso –omica (genomica, proteomica, metabolomica, etc.). I nuovi "-omics" nascono nell'era post-genomica, dalle cosiddette discipline –omiche, a seguito alla diffusione di progetti di biologia quantitativa applicati su larga scala come il Progetto Genoma Umano. In letteratura sta cominciando a comparire il termine biobank con suffisso –omics, "biobank-omics" [20].

2.2. La definizione normativa

I giuristi sono soliti a collocare le fonti normative in un sistema ordinato, lineare e gerarchicamente organizzato lungo un asse verticale secondo uno schema a scatola cinese: leggi internazionali, comunitarie e nazionali. Il nostro ordinamento si basa sul concetto di forza di legge, ove prevale un approccio formale tra gerarchia e competenza, in bilico tra fonti normative, che rispondono a criteri di tipo formale, e norme che fanno invece riferimento a una "sistemazione secondo valore".

Tale assetto non sembra più in grado di governare l'attuale complessità del sistema di fonti normative distribuite tra più livelli istituzionali, "un sistema che "non è più capace di spiegare il presente stato del processo di formazione normativa, a livello nazionale e nelle sue interazioni con il livello sopranazionale" [21], laddove per esempio emergono punti di criticità come:

a) il ruolo della Costituzione italiana nell'attuale sistema delle fonti normative;

b) il rapporto tra il diritto comunitario e la Costituzione italiana;

c) il rapporto tra il diritto sovranazionale e l'ordinamento interno.

Alcuni giuristi, tra cui Azzini [22], sottolineano come non si debba più pensare al diritto esterno e al diritto interno come a mondi separati e incomunicabili, ma si debba piuttosto guardare ai due ambiti normativi come ad "anelli intrecciati di una stessa catena", di modo che sia possibile far interagire le Costituzioni nazionali e le fonti normative internazionali (come, ad esempio, la Carta fondamentale dei diritti dell'Unione europea) in maniera orizzontale e non in modo strettamente gerarchico [23].

L'armonizzazione sul piano normativo e delle regole di funzionamento delle singole banche dei vari paesi è un prerequisito indispensabile per la realizzazione di reti nazionali e internazionali. Se i vari provvedimenti normativi non si articolano e non si armonizzano bene l'uno con l'altro gli operatori stessi, giuridici o del biobanking, potrebbero trovarsi in notevole difficoltà a interpretare ed attuare in concreto le norme.

Secondo le "Regulations" [24] previste per l'European Biobank dell'Università di Maastricht, con il termine biobanca si intende "una unità operativa che fornisce un servizio di conservazione e gestione del materiale biologico e dei relativi dati clinici, in accordo con un codice di buon utilizzo e di corretto comportamento e con ulteriori indirizzi forniti da Comitati Etici ed Università".

Le biobanche devono rispondere agli alti livelli di qualità, sicurezza e competenza richiesti dalla Comunità Internazionale, in accordo con le direttive dell'OECD Organisation for Economic Co-operation and Development, sulle infrastrutture scientifiche e tecnologiche [25], per evitare rischi connessi ad usi impropri di materiale biologico. Le biobanche devono quindi offrire garanzie di sicurezza in tutte le operazioni (raccolta, stoccaggio, conservazione, manipolazione, etc.). Inoltre vanno assicurate le garanzie di sostenibilità a medio-lungo termine che la struttura "madre", di cui la biobanca è unità di servizio, deve fornire in termini di strutture, personale e impiego dei mezzi necessari.

A livello nazionale italiano, il centro di coordinamento della rete delle biobanche italiane partecipanti al progetto europeo è il Comitato nazionale per la biosicurezza, le biotecnologie e le scienze della vita (CNBBSV), che ha emanato nel 2006 e nel 2008 linee guida specifiche per indirizzare l'istituzione e l'accreditamento delle biobanche sul territorio nazionale. Tali linee guida sono state recepite dal CNB Comitato Nazionale di Bioetica [26], il quale ha preso atto anche del lavoro svolto presso il Comitato Direttivo di Bioetica del Consiglio d'Europa (CDBI) sull'argomento: "Progetto di Raccomandazione sulla ricerca utilizzante materiale biologico umano", due documenti nati da fonti indipendenti ma in piena coincidenza temporale e in convergenza nei principi etici e giuridici.

Mentre il protocollo CDBI non prende in considerazione il trattamento del materiale biologico coinvolto nelle ricerche biomediche, ma fissa unicamente principi e regole per gli Stati nella tutela delle persone e dei loro diritti, il documento del CNBB nasce dall'esigenza di offrire al legislatore italiano linee-guida per la corretta definizione di "biobanca" - ai fini di una gestione organizzativa anche in termini di servizi - dei criteri etici e giuridici validi a garantire il rispetto dei diritti dei donatori.

In merito alla definizione il CNB, in analogia con il CDBI e con il documento CNBB, distingue tra

suggerendo anche la necessità di definire tempestivamente con norme giuridiche le responsabilità della gestione.

La definizione giuridica per eccellenza è quella contenuta nella raccomandazione n. 94 del 14 marzo 1994, che definisce la banca di tessuti umani una "organizzazione non profit che deve essere ufficialmente riconosciuta dalle autorità sanitarie competenti degli stati membri e deve garantire il trattamento, la conservazione e la distribuzione del materiale secondo certi standard di qualità e professionalità" [27].

Il decreto legislativo n. 191 del 2007 ha dato attuazione in Italia alla normativa comunitaria in materia di conservazione di cellule e tessuti umani [28], fornendo anche nell'art. 3 le definizioni dei termini utili, tra i quali:

differenziando inoltre tra:

3. Aspetti giuridici legati alle biobanche: privacy, riservatezza dei dati e consenso informato

Secondo Iolanda Severino [29], la definizione di biobanca si connota per alcuni elementi imprescindibili, in quanto non si tratta di una collezione qualunque di oggetti o di dati, ma di un complesso organizzato di campioni fisici con precise finalità intrecciati con informazioni spesso soggette a riservatezza. In questo assetto le biobanche come repository di ricerca sono collezioni di informazioni a doppio binario, dove anche il concetto di proprietà fisica si intreccia con il concetto di proprietà intellettuale.

Al riguardo è doveroso citare la recente conferenza internazionale, alla quale hanno partecipato relatori di altissimo livello, promossa dal "LawTech Research Group" del Dipartimento di Scienze Giuridiche dell'Università di Trento [30]. Quattro gli aspetti giuridici emersi in quella sede, tutti in qualche modo correlati al concetto di proprietà:

  1. Il nodo gordiano della proprietà sui materiali biologici.
  2. I problemi di privacy [31] sollevati dalla difficoltà di accettare che i campioni biologici debbano essere completamente anonimi, senza incorrere nella impossibilità pratica di sfruttare il loro potenziale di informazione, considerato che i dati biologici e genetici conservano tutto il loro potenziale solo se possono essere tracciati assieme alla storia clinica - nella sua completa evoluzione - del donatore originale.
  3. Il delicato ruolo e la mutevolezza del contenuto del "consenso informato" del donatore, come il principale strumento giuridico che può servire a collegare la privacy e gli interessi relativi alla proprietà del donatore con gli interessi della ricerca e con l'insieme dei principi che dovrebbero informare sul funzionamento della biobanca;
  4. Le questioni relative alla proprietà intellettuale, alla brevettabilità di campioni biologici e alla tutela delle banche dati che conservano le informazioni genetiche ottenute dai campioni.

In merito al primo punto (proprietà sui materiali biologici) e al quarto (proprietà intellettuale) si rimanda ai paragrafi successivi.

Le biobanche riuniscono una moltitudine di dati sulle persone, che comprendono dati sulla salute e sullo stile di vita, fornendo dati utili agli studi epidemiologici osservazionali sulle popolazioni. In Islanda, ad esempio, dal 2001 è in atto il progetto deCODE [32], che prevede la raccolta di campioni di DNA, dei dati anagrafici e di quelli clinici di tutta la popolazione entro una biobanca nazionale costituita da una collezione di campioni biologici conservati per tempo indefinito [33].

In un'intervista sulla "Stampa" [34] l'imprenditore islandese Kari Stefansson, neurologo con una carriera medico-scientifica costruita negli Usa, ideatore della deCODE genetics nel '96, parla del rilancio della sua azienda, la deCODE genetics appunto, dopo la recente bancarotta, e dell'intenzione di riprendere il progetto, di individuare i geni responsabili delle malattie più comuni studiandone la diffusione fra la popolazione dell'Islanda. In occasione della bancarotta, sono stati avanzati dubbi sulla capacità dell'azienda di mantenere la privacy rispetto ai dati raccolti, considerato che le informazioni sul profilo genetico degli individui possono valere una fortuna. [35]

Le aziende che offrono test genetici, raccogliendo dati sanitari sensibili, sono infatti sempre più numerose; sapranno resistere alla tentazione di vendere quei dati ad assicurazioni o ad altre imprese, specie se dovranno affrontare un momento di crisi? La questione è tanto più pressante se si considera che, essendo presenti su internet, queste imprese operano su scala sovranazionale - un ambito quindi estremamente complesso da regolare e controllare - e possono decidere di collocare la loro sede laddove gli sembrerà più conveniente (sebbene a oggi la maggior parte di queste imprese si trovi negli Usa o in altri Paesi occidentali) [36].

I nuovi dati dell'Osservatorio Scienza e Società di Observa [37] sugli atteggiamenti dei cittadini verso le questioni bioetiche presentati a Venezia alla Fifth World Conference on "The Future of Science: The DNA Revolution" [38], sottolineano inoltre come siano cambiati gli orientamenti degli italiani sui temi della bioetica, registrando una maggiore apertura e una maggiore disponibilità anche a comprendere gli aspetti giuridici correlati agli –omics.

Se i dati non sono separabili dal loro supporto, la questione della tutela della privacy - o riservatezza dei dati - nelle biobanche emerge con forza. Anche se ogni tessuto conservato è una potenziale fonte di informazioni genetiche (DNA), le biobanche genetiche richiedono precauzioni particolari, perché dall'insieme di dati collegati potrebbe emergere un vero e proprio profilo genetico della singola persona, in quanto è universalmente riconosciuta "l'unicità" del genoma della singola persona.

Allo scopo si precisa come la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea, all'art. 8, classifica tra i diritti fondamentali la protezione dei dati personali, distinguendola dalla tradizionale tutela della vita privata e familiare.

La Dichiarazione universale sul genoma umano e sui diritti umani dell'UNESCO del 1997, all'art. 1 stabilisce che: "il genoma umano è patrimonio comune dell'umanità. Esso presuppone la fondamentale unità di tutti i membri della famiglia umana, così come il riconoscimento della intrinseca dignità di ognuno dei suoi membri, affermando che il genoma umano è patrimonio dell'umanità e della famiglia".

L'Organizzazione Mondiale della Sanità [39] e l'Organizzazione Genoma Umano [40] sottolineano che l'informazione genetica è "familiare", in quanto il genoma è patrimonio della famiglia e ne collega le generazioni. Difatti le biobanche genetiche, proprio per lo status del materiale conservato (patrimonio della famiglia), possono essere utili, oltre che per le attuali generazioni, anche per quelle future. Di conseguenza è essenziale che per ogni campione conservato sia mantenuta la possibilità di identificazione. Quindi, poiché il genoma non è proprietà del singolo ma è condiviso nell'ambito della famiglia (ascendenti, discendenti e collaterali), deve essere anche regolamentato il diritto di accesso alle informazioni e al campione stesso da parte dei familiari biologici, purché sia a vantaggio della salute del richiedente.

La disciplina dei dati genetici ad oggi ricade nell'ambito delle norme sul trattamento dei dati personali, e vi è da chiedersi se nella libera circolazione debbano includersi le sole informazioni biologiche o anche i tessuti ad esse collegati. Né i trattati né il diritto derivato, infatti, distinguono fra "dato genetico" e "materiale biologico", e in questo senso non aiuta nemmeno la direttiva CE/44/98 che, disciplinando il brevetto biotecnologico, definisce i "materiali biologici" come "materiale contenente informazioni genetiche" e sottopone indistintamente alla stessa disciplina l'elemento materiale e l'elemento informazionale [41].

I dati sensibili, nel diritto italiano, sono dati personali la cui raccolta e trattamento sono soggetti sia al consenso dell'interessato sia all'autorizzazione preventiva del Garante per la protezione dei dati personali. I dati sullo stato di salute e sulla vita sessuale sono considerati dati sensibili [42]. A seguito delle innovazioni scientifiche e tecnologiche che hanno mutato la dimensione qualitativa e quantitativa delle raccolte di informazioni personali, la nozione di privacy è profondamente cambiata. Non definisce più soltanto il diritto ad essere lasciato solo, ma si è trasformata nel potere di mantenere il controllo sulle proprie informazioni, ovunque esse si trovino.

Arturo di Corinto, nella lista di discussione "Condividi la Conoscenza" [43], parla di privacy come di un diritto fondamentale della persona, a due facce. La prima riguarda la tutela dell'insieme delle informazioni che riguardano il nostro "corpo elettronico": "non a caso si parla di un habeas data, riprendendo la terminologia di quell'habeas corpus che ha fondato la tutela del corpo fisico. Si presenta così come un diritto autonomo, in quanto contribuisce alla costituzionalizzazione della persona". La seconda costituisce uno strumento necessario per rendere effettiva la tutela di altri diritti fondamentali, come per esempio quello alla salute.

Se da un lato la tutela della privacy è divenuta un potente fattore di eguaglianza, dall'altro ha scatenato una serie di timori in merito a potere, controllo e sorveglianza [44]. La costituzione di una biobanca può essere necessaria per vari motivi che mutano col mutare delle esigenze di ricerca, comportando la necessità di ottenere un "consenso informato" dai donatori da usare in ricerche successive non prevedibili al momento del prelievo del campione.

Sul consenso informato e le sue complessità si rimanda al notevole lavoro di Azzini [45], che suddivide il consenso informato in più tipologie, legandolo al concetto di "pseudonomizzazione" o alla "anonimizzazione" dei dati: consenso specifico, consenso ristretto, consenso ampio, consenso presupposto e consenso aperto [46]. In merito al consenso aperto Azzini sottolinea la prevalenza della verità sul diritto alla riservatezza, "la quale troverebbe giustificazione nel dovere della persona di partecipare alla ricerca biomedica. Tuttavia, va rilevato che tale dovere, che può trovare fondamento nella solidarietà, anche se si giustifica dal punto di vista morale, non potrà trasformarsi mai in un obbligo giuridico, pena il sovvertimento di un ordine di principi acquisito da tempo nei diversi ordinamenti [47]".

Un caso che recentemente ha avuto un certo risalto, è quello delle "cellule HeLa", che rappresentano una grande risorsa per la ricerca scientifica. Il caso è venuto alla ribalta a seguito della pubblicazione di un libro della giornalista Rebecca Skloot [48], che ha voluto ricostruire la storia della prima linea cellulare umana isolata e propagata da George Otto Gey nel 1951, il quale aveva ottenuto un lembo di tessuto da una biopsia della massa tumorale di una paziente dell'ospedale Johns Hopkins di Baltimora [49], attuata a fini diagnostici. Gey moltiplicó tali cellule tumorali in vitro senza il consenso della paziente, Henrietta Lacks, una povera donna nata in Virginia ma di origine africana, lavoratrice nei campi di tabacco, madre di cinque figli, morta all'età di 31 anni per una forma maligna di cancro cervicale, in quanto all'epoca non esistevano leggi che obbligavano il medico ad informare il paziente su eventuali utilizzi del materiale biologico asportato.

Le HeLa presto si dimostrarono di particolare interesse per tutta la ricerca scientifica proprio per la loro peculiarità di originare nuove specie cellulari, e pertanto furono rese disponibili per la commercializzazione. Dopo pochi anni dalla morte di Henrietta, l'anonimato terminò e la stampa rivelò il nome della paziente da cui erano state prelevate le HeLa. La figlia, "Deborah si chiese come mai le cellule della mamma avevano fatto tanto per la medicina e per la salute di tanti ammalati e la sua famiglia non poteva nemmeno permettersi di pagare il medico per curarsi."

Il controllo sulle informazioni fornite dalle biobanche [50], proprio per le ragioni fin qui esposte, è questione di estrema delicatezza. D'altro canto il controllo sulle informazioni è potere, non solo economico. Considerato che il panorama delle biobanche è vasto e variegato e incardinato in un settore in forte crescita, la questione delle due proprietà (quella fisica e quella intellettuale) diviene prioritaria ai fini di controllo che può estendersi su vasta scala.

4. Le due proprietà nelle biobanche: proprietà fisica e proprietà intellettuale

A causa dell'indeterminatezza definitoria, le tematiche che vi ruotano attorno (di tipo sociale, etico, economico, legale) sono difficilmente comprensibili al pubblico dei non addetti ai lavori in quanto presentano contorni sfumati.

In particolare è nel contesto della ricerca, e delle sue applicazioni clinico-diagnostico-terapeutiche, che le biobanche vengono coinvolte sia nelle questioni correlate alla proprietà dei materiali biologici, sia alla proprietà intellettuale sulle informazioni. Gli aspetti che scaturiscono da questi due canali che riguardano la proprietà (fisica e intellettuale) sono molteplici e riassumibili come segue:

4.1. La proprietà nelle parti staccate dal corpo

La proprietà privata del "bene", inteso come parte del corpo, è qualcosa di legato al suo "donatore" e in che modo? Nel lavoro di Macilotti [et al.] [51], il paragrafo dall'eloquente titolo "Il corpo in cassaforte: ricchezza o materiale pericoloso?" indaga sul rapporto giuridico che lega i soggetti con i materiali biologici staccati dal loro corpo, analizzando la spinosa questione relativa ai diritti di proprietà esercitabili dagli individui che subiscono l'oblazione dei tessuti e da coloro che gestiscono la biobanca o che la conservano o da chi studia tali materiali per motivi di ricerca.

La dottrina è divisa nello stabilire come nasca il diritto di proprietà sulle parti separate dal corpo umano. Secondo De Cupis va tenuta in considerazione la teoria dei diritti della personalità [52], secondo altri autori è lecito usare parti o organi estratti durante un'operazione chirurgica e destinati alla distruzione, per trarne linee cellulari o innovazioni biotecnologiche a beneficio della collettività, anche prescindendo dal consenso di colui cui appartenevano. Si tratterebbe di una forma di espropriazione per pubblica utilità o di collettivizzazione delle parti staccatesi dal corpo umano [53], avvalorata dal fatto che materiale organico umano, una volta che non sia più funzionale alla vita di un essere vivente, perde quella tutela giuridica specifica prevista per gli individui.

Secondo Arrow [54] sono da preferire le soluzioni giuridiche funzionali a interessi economico-sociali. In merito all'allocazione dei diritti di proprietà delle parti staccate dal corpo, la teoria di Arrow sostiene che è preferibile che stiano in capo ai medici i quali, grazie alla loro professionalità, hanno la possibilità di valutare un numero maggiore di alternative d'uso ottimale del bene, nel rispetto dei criteri etici e giuridici.

I tessuti provenienti da persone viventi - laddove acquisiscano una completa indipendenza fisica e funzionale - sono diventati oggi beni suscettibili di valutazione economica, a prescindere dal come sia avvenuto il distacco, se da cessione spontanea (volontaria o a seguito di negoziazione), da incidente, o da rimozione accidentale a causa di intervento chirurgico.

E' indubbio quindi che determinare a chi spetti la proprietà privata di queste "parti staccate dal corpo" - siano essi organi, tessuti o cellule - sia requisito imprescindibile ai fini di determinare a chi spettino eventuali diritti di proprietà intellettuale, per esempio nel caso di brevettazione e quindi la definizione di eventuali proventi economici. In effetti, secondo quanto affermato nell'ampio ed esaustivo lavoro di Marco Venturello [55],

le parti staccate dal corpo umano hanno acquistato, oltre alla qualità di bene giuridico, in quanto oggetto di una determinata tutela giuridica, anche quella di bene economico. Il passaggio di categoria, da beni liberi e quindi gratuiti a beni economici, poiché scarsi, delle diverse componenti del corpo umano staccate dal tutto è una conseguenza dello sviluppo della scienza medica e della tecnologia ad essa legata, che hanno fatto sì che questo materiale potesse essere riutilizzato […]. La parte staccata dal corpo si patrimonializza dal momento in cui le viene attribuito un valore di utilità e di scambio.

Di qui l'incertezza normativa – di cui abbiamo parlato sopra - che aleggia attorno alla delicata e quanto mai affascinante questione del tessuto quale "supporto" fisico nel quale i dati sono contenuti, supporto che diviene "espressione materiale del dato", laddove materiali biologici e dati non sono separabili.

Analizzando questione della proprietà delle parti separate dal corpo, va prima individuata una suddivisione che può aiutare a dipanarne la complessità:

La Convenzione di Bioetica di Oviedo del 1997, tutelando la dignità umana, stabilisce che il corpo e le sue parti, in quanto tali, non devono essere fonte di profitto; ciononostante si precisa che il materiale prelevato può essere conservato o utilizzato per scopi diversi, purché in presenza di consenso informato del donatore [56].

Capelli, unghie, placenta e prodotti di scarto dell'organismo non sono considerati tessuti umani, e alcuni di questi materiali - come i capelli o il latte materno - sono considerati beni commerciabili. Ciò che li rende beni commercializzabili è il fatto che il distacco dal corpo non incide sulla integrità fisica corporea in modo permanente, e questo a seguito della loro "riproducibilità", anche se per esempio il latte materno può essere considerato un "commons", nel senso di bene comune, laddove esista una banca del latte con donazione volontaria presso centri di raccolta pubblici.

Sebbene anche altre parti del corpo possano autoriprodursi, è il caso del sangue, esse mantengono una capacità funzionale autonoma, e quindi possono essere oggetto di trapianto, ma secondo alcuni studiosi possono comunque essere commercializzabili. Si cita a riguardo il caso curioso della donna accusata negli Stati Uniti di frode fiscale per aver evaso le tasse sui notevoli introiti derivanti dalla vendita del suo sangue rarissimo [57]. "Vendevo il plasma per cinque dollari a botta", racconta lo scrittore di Los Angeles James Ellroy, nella sua introduzione biografica [58], a proposito degli anni in cui viveva come un barbone, prima di diventare famoso, quando appunto vendeva il suo sangue a pagamento per poter sopravvivere.

Il sistema giuridico statunitense ha un concetto di proprietà estremamente ampio, e comunque non è sempre vero che gli organi umani ed il sangue non possano essere venduti in modo legale anche in altri paesi diversi dagli USA. Il midollo osseo ad esempio, sebbene possa riprodursi, non è considerato alla stessa stregua di sangue, seme, latte, in quanto da una parte rientra nelle biobanche tissutali (come del resto abbiamo visto nell'albero definitorio del MESH), dall'altra è oggetto di estrazione di cellule staminali, di per sé riproducibili ma attraverso procedure di laboratorio lunghe e complesse.

Vi sono casi in cui la proibizione della vendita di parti del corpo è limitata unicamente alla vendita per trapianto e terapia, come stabilito dalle linee guida dell'UAGA Uniform Anatomical Gift Act [59], e in altri casi risulterebbe anche ammissibile la vendita di tessuti umani ad una impresa biotecnologica, a fini di ricerca e di sviluppo.

Nel contesto normativo privatistico italiano, con un valore di norma imperativa e inderogabile, il Codice Civile all'art. 5 stabilisce che "gli atti di disposizione del proprio corpo sono vietati quando cagionino una diminuzione permanente della integrità fisica, o quando siano altrimenti contrari alla legge, all'ordine pubblico o al buon costume".

Secondo alcuni civilisti [60], la valutazione dei diritti di proprietà va vista entro la prospettiva dell'acquisto originario, che equipara l'acquisto del materiale del corpo staccato a quello delle opere dell'ingegno, con un diretto legame alla sfera brevettuale, della proprietà intellettuale industriale. Venturello [61], tracciando la sua analisi economica calata nel diritto comparato sul concetto di proprietà privata delle parti staccate del corpo, evidenzia, pur tra sfumature più o meno accentuate, alcune linee comuni tra singoli ordinamenti:

Esistono comunque numerose differenze, che emergono in fase di analisi comparativa tra norme.

In particolare

La dottrina italiana, ad esempio, ha ritenuto di dover distinguere le parti staccate del corpo umano in due distinte categorie: quella delle parti che conservano la capacità di ridiventare parte integrante del corpo originario e quelle che non conservano tale capacità […]. La dottrina francese è concorde nel ritenere che i prodotti del corpo umano possano essere oggetto di contrattazione a fine commerciale. Si deroga ai principi di gratuità, finalità terapeutica e controllo medico-istituzionale. L'unico principio che rimane fermo è quello del consenso". [62]

Per la dottrina tedesca è interessante notare che "le parti del corpo umano, una volta staccatesi dal tutto, si trasformano, da punto di vista giuridico, in 'Sachen' [cose…], possibili oggetto di diritti. Il problema che si pone è di stabilire chi acquisti i nuovi diritti che si vengono a creare sulle parti staccate. La trasformazione della parte del corpo in "cosa" riprende però il suo status "di parte del corpo ed il relativo regime giuridico per incorporazione, ad esempio a seguito di trapianto".

Le differenze tra le varie discipline giuridiche sono originate, secondo Venturello, dai seguenti fattori :

Indicativi sono i tre casi che tratteremo di seguito:

  1. il caso Greenberg, focalizzato sui problemi di accesso a test genetici a seguito di brevetto;
  2. il caso Catalona, che riguarda il controllo e l'uso sui tessuti donati;
  3. il caso della milza del sig. Moore, focalizzato sui proventi derivanti dalla brettazione della linea cellulare estratta dal proprio organo asportato in sede di operazione chirurgica.

4.1.1. I casi Greenberg, Catalona e Moore: proprietà privata o bene collettivo?

Il caso Greenberg tocca gli aspetti della proprietà privata solo tangenzialmente, in quanto il focus è quello brevettuale. Il caso viene citato in questo paragrafo proprio perché determinare a chi spettino eventuali proventi dovuti a royalties trova le proprie radici nelle questioni relative ai campioni biologici originari.

Reuben Matalon [63] è lo scienziato che ha studiato a lungo la leucodistrofia di Canavan [64], una rara malattia ereditaria autosomica recessiva, che si presenta con alta incidenza tra gli ebrei Ashkenazi. E' lo scopritore del gene responsabile della malattia di Canavan, chiamato ASPA, e titolare del brevetto, che condusse alla nota lite giudiziaria con la famiglia Greenberg [65], che nel 1987 lo aveva contattato – mentre era professore presso la University of Illinois di Chicago - per cercare la causa della malattia che affliggeva i loro due figli, convincendo altre famiglie affette dal morbo a consegnare al ricercatore sangue, urine, reperti autoptici. A Matalon gli furono forniti 100 mila dollari per avviare le ricerche e l'archivio dei dati personali delle famiglie coinvolte.

Nel 1994 Matalon, isolato il gene responsabile sul cromosoma 17, ottiene il brevetto 5.679.635, assegnato al MHC Miami Children's Hospital Research Institute e negozia gli accordi di licenza per i test diagnostici a insaputa delle famiglie coinvolte nei test genetici [66]. A seguito del brevetto partirono lettere dall'ufficio contabile del MHC ai vari ospedali e laboratori, avvertendoli che, a seguito della concessione di brevetto, l'ospedale metteva in commercio un kit diagnostico per la diagnosi precoce e che per l'uso del test avrebbero dovuto ottenere regolare licenza per non incorrere a violazioni della proprietà intellettuale. La licenza prevedeva un costo di royalties per ciascun test fissato a $ 12.50 e poneva dei limiti al volume di test individuali di laboratorio che non poteva superare i 100 annui.

A seguito di queste lettere ci fu una imponente reazione mossa da varie associazioni e fondazioni ebraiche, istituti e associazioni biomediche, che nel 2000 si costituirono nel Canavan Disease Screening Consortium, supportati da ricercatori di varie università americane tra cui Michael Watson, Direttore esecutivo dell'ACMG American College of Medical Genetics, per "liberalizzare" in modo equo l'accesso a tali test fondamentali per l'analisi precoce della malattia.

Questa vicenda mostra chiaramente come la politica brevettuale è solo una caratteristica di un complesso insieme di politiche che influenzano l'innovazione nella cura della salute, che includono l'introduzione di nuovo screening genetici e procedure per i test.

Il caso del prof. Catalona è focalizzato sul conflitto tra ricercatori e l'istituzione di appartenenza. La risposta alla domanda su a chi spetti la proprietà dei tessuti, una volta ricevuti dai donatori, non è per niente scontata. Il prof. Catalona entrò in conflitto con l'Università di Washington, dalla quale dipendeva, sul controllo e l'uso di 6000 campioni di tessuti che aveva ricevuto da pazienti affetti da tumore alla prostata, i quali avevano tutti fornito il loro consenso a Catalona dopo essere stati da lui adeguatamente informati.

Tra pazienti e ricercatore si era instaurato un solido rapporto fiduciario, per cui quando il primo passò alla Northwestern University di Chicago invitò i propri pazienti a spedire alla Washington University una richiesta scritta di trasferire i loro materiali biologici al prof. Catalona, presso la sua nuova università. La Washington University non accettò tali richieste, ritenendo che i campioni di sangue e di tessuto fossero una sua proprietà, e che il prof. Catalona non avesse diritto a portarli con sé [67].

Il giudice Stephen Limbaugh decise in favore dell'Università, affermando che l'Università è proprietaria di tutto il materiale biologico, ma soprattutto differenziando tra donazione (gift) e mero deposito (bail), fornendo una serie di motivazioni interessanti:

Il terzo caso è quello "della milza del signor Moore" [68], deciso con sentenza del 9 luglio 1990 dalla Corte Suprema della California, dopo che tribunale e corte d'appello avevano deciso l'uno in favore dell'università e l'altra in favore del soggetto da cui provenivano le cellule. Venturelli esamina in dettaglio il caso, partendo da un'analisi sugli interessi confliggenti da tutelare che sono essenzialmente due: "da un lato l'interesse individuale del soggetto dal cui corpo si stacca, o viene staccata, una determinata componente; dall'altro gli interessi dei medici, e per traslato della medicina latu sensu, e quindi della stessa collettività, su questo materiale" [69].

Il signor Moore, affetto da una rara forma di leucemia, si rivolge al dr. Golde il quale, a scopo terapeutico gli asporta la milza e in seguito lo chiama per numerose visite di controllo ed analisi, che richiedono il prelievo di tessuti corporei quali sangue, midollo osseo e sperma.

Moore apprende per caso che il dr. Golde, utilizzando la milza che gli aveva asportato, ha scoperto un particolare tipo di cellule produttrici di linfochine e ne aveva tratto brevetti per nove prodotti. Ritenendo di essere il legittimo proprietario della propria milza, Moore agisce in giudizio per ottenere il riconoscimento dei proventi sulle linee cellulari brevettate.

La motivazione di Moore è profondamente diversa dalle motivazioni del caso Greenberg/Matalon. Secondo la Corte Suprema californiana, quando i tessuti vengono rimossi dal corpo umano divengano res derelictae, cose abbandonate, e la persona da cui provengono non ha più diritto su di essi. Inoltre, dato che il ricercatore aveva modificato le cellule in questione, la linea cellulare era diventata un prodotto del suo ingegno, e il diritto di sfruttarle apparteneva solo a chi le aveva brevettate. La corte suprema della California decise che concedere ai pazienti un diritto di proprietà sulle cellule avrebbe arrestato la ricerca scientifica:

In altri termini Mr. Moore tenendo la milza, ad esempio, come soprammobile sul comodino accanto al letto, senza sfruttarne il potenziale medico, da lui ignorato, creerebbe una vera e propria diseconomia esterna, tutelata da una regola giuridica" [70].

Il brevetto rappresenta infatti l'inventive effort degli scienziati e non l'unicità delle cellule di Mr. Moore; la progenie cellulare brevettata è materialmente e giuridicamente diversa dalle cellule estratte dal suo corpo" [71].

Il cambio di tutela garantita al sig. Moore, nelle due sentenze, implica uno spostamento dell'argomentazione, che va dalla distribuzione dei diritti di proprietà alla dottrina del consenso informato.

A proposito di parti staccate dal corpo, scrivendo questo saggio mi è tornato in mente l'esilarante libro letto qualche tempo fa, ossia il romanzo di John Irving La quarta mano [72], un'opera non scientifica ma che entra nelle pieghe psicologiche dei personaggi. Il protagonista è un operatore del mondo dell'informazione al quale gli viene amputata la mano sinistra; successivamente, a seguito di trapianto, gli viene attaccata una mano di un'altra persona deceduta. La grande abilità di Iving di condurre il lettore "per mano" è sorprendente, in un continuo intreccio di eventi e circostanze che connettono le "due vite", quella dell'uomo a cui la mano apparteneva, e quella del ricevente che avverte la mano come parte "staccata", qualcosa di "diverso" di altro da lui. Che succede se la vedova avanza "diritti di visita" sulla mano del marito morto? Nella prefazione al testo, l'autore afferma che il tema del trapianto delle mani gli fu ispirato proprio dai tentativi di trapianto di mano (fallimentari per i problemi psicologici che ne seguirono) degli anni Novanta [73].

4.2. La proprietà intellettuale nelle biobanche

La proprietà intellettuale si riferisce ai diritti giuridici derivanti dalle attività nei campi industriale, scientifico, letterario e artistico. Il sistema della proprietà intellettuale protegge alcuni oggetti ben definiti dando titolarità, limitata ai detentori, a beneficiare del diritto di escludere gli altri da alcuni usi sul materiale protetto. I diritti di proprietà intellettuale sono normalmente creati, gestiti e esercitati separatamente sotto la giurisdizione nazionale di ogni paese. La loro efficacia giuridica è limitata al territorio degli Stati in cui sono concessi. Diversi trattati internazionali stabiliscono disposizioni generali standard delle norme giuridiche e amministrative che regolano la materia. Ma queste norme internazionali devono essere recepite e implementate attraverso leggi nazionali e possono pertanto essere applicato in modi diversi, a seconda del tessuto culturale, sociale ed economico in cui la norma va ad inserirsi.

Il termine "proprietà intellettuale" indica un sistema normativo di tutela giuridica dei beni immateriali (o beni intangibili) che recentemente stanno assumendo rilevanza economica sempre maggiore. Il termine comprende i prodotti del pensiero umano, frutti dell'attività creativa/inventiva, tra cui le opere artistiche e letterarie, le invenzioni industriali e i modelli di utilità, il design, i marchi. Potremmo quindi suddividere in due settori distinti il concetto di proprietà intellettuale: da una parte il diritto d'autore, o copyright, dall'altra la proprietà industriale che comprende brevetti e marchi.

4.2.1. Il copyright sui dati informativi dei campioni

Se ci addentriamo entro il campo della proprietà intellettuale, entro la sfera copyright o diritto d'autore, anche qui avremo uno sdoppiamento nella dimensione informativa. Da una parte le informazioni proprie del campione inteso come "supporto", dall'altra le informazioni di contesto, relative allo studio dei campioni come insiemi organizzati per specifiche ricerche.

Le informazioni intrinseche al campione possono essere la tipologia del campione, la notazione sulla durata della conservazione del campione stesso, la valutazione della sua qualità e quantità, in modo che possa essere usato al meglio, o ancora i riferimenti alla rispondenza della gestione dei campioni biologici a un codice di comportamento stabilito da organi aventi un ruolo consultivo o di supervisione, come i comitati etici. Sono tutte informazioni o "dati" che, per la loro "genericità", non sono coperti da diritti di proprietà intellettuale, nel senso che non sono informazioni di tipo "originale" o "creativo", ma dati "gestionali". Tali dati comunque vanno a comporre quello che è il database informativo correlato alla biobanca o meglio integrato in essa. Siamo quindi entro un diritto sui generis proprio delle banche dati, regolato dalle norme sulla proprietà intellettuale non di tipo brevettuale, ma entro il contesto definito diritto d'autore.

Il copyright inteso come diritto d'autore e i diritti ad esso correlati - come il diritto sui generis proprio dei database - può avere implicazioni etiche per l'accesso alle informazioni genetiche. Il diritto alla riservatezza e alla protezione delle informazioni riservate può avere implicazioni etiche, per esempio in materia di obblighi a proteggere le informazioni genetiche individuali.

Questioni di bioetica relative alle sperimentazioni cliniche e al consenso informato possono essere rilevanti per la protezione dei dati di prova (test clinici) concernenti la sicurezza e l'efficacia di entità chimiche, a causa del ruolo di pubblico interesse di queste informazioni, e le preoccupazioni circa la duplicazione delle sperimentazioni che coinvolge soggetti umani e/o animali.

Dall'altra parte le informazioni di contesto, relative allo studio dei campioni, come insiemi organizzati per specifiche ricerche, rientrano nella sfera dei dati grezzi di ricerca (open data) che poi, in momenti successivi, possono essere rielaborati e raffinati in ricerche consolidate per pubblicazioni vere e proprie riguardanti lo studio di particolari malattie e/o su determinate popolazioni.

4.2.2. I brevetti nelle biotecnologie

Si tende a parlare più opportunamente di "proprietà industriale", in quanto sono state avanzate alcune critiche al termine "proprietà intellettuale" usato in dottrina giuridica, poiché porterebbe a sovrapporre impropriamente concetti squisitamente contemporanei (come opera dell'ingegno, invenzione, marchio, brand, design, concorrenza), con concetti relativi alla proprietà intesa nel senso più classico, cioè quella relativa ai beni materiali, ereditata dal diritto romano.

Alcune questioni di potenziale interesse per le comunità bioetiche sono trattate a livello internazionale, ma è lasciata alle autorità nazionali o regionali il modo di impostarle concretamente. Queste includono la definizione dei concetti chiave di invenzione, e la nozione di morale e ordine pubblico, che si dovrebbero applicare nell'interpretazione e nella gestione delle norme sui brevetti.

La differenza che esiste tra scoperta e invenzione spesso non viene percepita. La scoperta avviene quando qualcuno "scopre" qualcosa che esiste già in natura, e la porta a conoscenza dell'umanità; si parla di invenzione invece quando qualcuno inventa qualcosa che prima non esisteva, qualcosa che però possa portare ad un miglioramento tecnologico essendo applicabile su vasta scala a beneficio della collettività. Mentre il ritrovamento di una determinata sequenza di DNA nel patrimonio genetico può essere considerata una scoperta, l'isolamento di una molecola di DNA e di una sua funzione rappresentano un'invenzione brevettabile, in quanto la sequenza isolata non è un prodotto della natura, ma un derivato dalla natura. Vi è un acceso dibattito etico attorno alla questione sulla brevettabilità delle cellule staminali e le linee di cellule staminali isolate e non modificate che, a seguito di quanto espresso dalla commissione etica europea, non sono brevettabili [74].

Vi sono due accezioni del termine invenzione:

Per invenzione perciò si intende una soluzione nuova ed originale di un problema tecnico che comporta la titolarità di diritti di proprietà. Essa può riguardare un prodotto o un processo (metodo, procedimento). Un'invenzione è considerata nuova se non è compresa nello stato della tecnica. Lo stato della tecnica è costituito da tutto ciò che è stato reso accessibile al pubblico nel territorio dello Stato o all'estero prima della data di deposito della domanda di brevetto, mediante una descrizione scritta o orale, un'utilizzazione o un qualsiasi altro mezzo.

Questa protezione contro potenziali abusi e contraffazioni è fondamentale affinché inventori e imprese investano nella ricerca e nello sviluppo. Come contropartita, l'invenzione non può essere tenuta segreta. Ogni brevetto viene pubblicato e garantisce così la continuità dell'evoluzione tecnica fungendo da base per altre innovazioni.

I brevetti proteggono le invenzioni ritenute idonee a conseguirlo, comprese alcune forme di invenzione biotecnologica (l'esatta portata delle invenzioni tutelabili varia da un sistema nazionale all'altro).

Originariamente il diritto dei brevetti è stato sviluppato per le invenzioni costituite da materia non vivente. Verso la fine del Medioevo e agli inizi dell'era industriale venivano depositate soprattutto domande relative a procedimenti e prodotti artigianali e macchinari. Già nel 1873 Louis Pasteur ottenne un brevetto per il lievito. Con la scoperta della doppia elica del DNA nel 1953 e lo sfruttamento commerciale della tecnologia genetica a partire dagli anni '80 dello scorso secolo, si è posta la questione se il diritto dei brevetti fosse trasferibile pari alla materia vivente. Dopo che si è dimostrato che le invenzioni di tecnologia genetica sono ripetibili, gli uffici brevetti e i tribunali hanno finora presupposto che fosse possibile brevettare componenti della natura. [75]

La tutela dei brevetti, ad esempio, realizza un compromesso tra interessi privati (di chi crea e investe) e interessi sociali (di tutti) in quanto

Per essere considerata brevettabile, un'invenzione deve avere le seguenti caratteristiche: novità, attività inventiva, industrialità, liceità, sufficiente descrizione. Un richiamo alla Direttiva 1998 del Parlamento europeo e del Consiglio è comunque doverosa [76], anche in considerazione della recente modifica del decreto italiano sulla proprietà industriale. che parifica la nostra norma [77] a quella europea:

Art. 5 n. 1. Il corpo umano, nei vari stadi della sua costituzione e del suo sviluppo, nonché la mera scoperta di uno dei suoi elementi, ivi compresa la sequenza o la sequenza parziale di un gene, non possono costituire innovazioni brevettabili.

Art. 5 n. 2. Un elemento isolato del corpo umano, o diversamente prodotto, mediante un procedimento tecnico, ivi compresa la sequenza o la sequenza parziale di un gene, può costituire un'invenzione brevettabile.

Il brevetto risulta essere la forma di proprietà intellettuale più pertinente alle biotecnologie, e più spesso discussa nel contesto della bioetica, in quanto è un titolo giuridico in forza al quale viene conferito un monopolio temporaneo di sfruttamento di un'invenzione in un territorio e per un periodo determinato, al fine di impedire ad altri di produrre, vendere o utilizzare la propria invenzione senza autorizzazione.

Questo escamotage ha fatto sì che oggi il 20 per cento dei geni umani sia già stato brevettato, ma dal punto di vista tecnico è piuttosto dubbio. Se infatti il gene perdesse le sue caratteristiche una volta isolato, i test genetici, messi a punto basandosi sulla sua sequenza, non potrebbero funzionare sul DNA delle persone che vi si sottopongono. [78]

"The Economist" [79] ha dedicato uno speciale con sette articoli, dove si sono esaminate le prospettive offerte dalle nuove tecnologie del DNA anche dal punto di vista delle ricadute economiche e sociali, oltre che mediche e scientifiche, e in molti hanno sottolineato il ruolo fondamentale che la ricerca privata può avere in questo settore. In un articolo del "New England Journal of Medicine" si sottolinea come lo scenario in cui le aziende biotech si troveranno a operare nei prossimi anni potrebbe cambiare radicalmente a seguito della recente sentenza emessa dal distretto federale di New York. Il giudice Robert Sweet, schierandosi contro le aziende private biotech, ha argomentato che "geni, giacché prodotti 'naturali', rientrano nel novero delle cose che non possono essere brevettate", annullando di conseguenza i brevetti riguardanti due geni detenuti in esclusiva dalla Myriad Genetics - azienda nata in seno all'Università dello Utah, motivando che il monopolio che si era creato aveva fatto lievitare in modo esponenziale i costi dei test per l'analisi della predisposizione ai tumori dell'ovaio e della mammella.

Vi sono poi altre forme di proprietà intellettuale che possono essere considerate rilevanti, per esempio i diritti sulle varietà vegetali, o sui nuovi ritrovati vegetali. Entro il dominio della concorrenza sleale, la proprietà intellettuale nel diritto internazionale comprende un obbligo generale di reprimere comportamenti 'contrari a leali pratiche commerciali'. Il fondamento etico insito nelle politiche alla base della proprietà intellettuale, in linea di massima, accorda adeguata protezione con lo scopo di promuovere gli obiettivi delle politiche coerentemente con i principi etici condivisi in modo ampio. Ma ci sono diversi modi di analizzare le basi etiche delle leggi sulla proprietà intellettuale.

Secondo alcune scuole di pensiero, le norme che regolano la proprietà intellettuale e i principi che stanno alla base trovato un fondamento nel "diritto naturale", un insieme di norme di comportamento dedotte dalla "natura" e conoscibili dall'essere umano, che riflette un diritto inerente alla giusta ricompensa e riconoscimento per il proprio contributo intellettuale e creativo. D'altro canto c'è anche una forte tendenza utilitaristica verso politiche e norme sulla proprietà intellettuale, come strumento consapevole di promozione del benessere sociale.

Un approccio utilitaristico all'etica valuta il valore morale di un provvedimento o di un'azione in base al suo contributo complessivo di utilità sociale o welfare. Questa etica utilitaristica è sempre più enfatizzata nel dibattito attuale sulla proprietà intellettuale come strumento di ordine pubblico. Le norme comunitarie menzionano infatti alcuni ritrovati che devono essere esclusi dalla tutela brevettuale in quanto ritenuti contrari all'ordine pubblico ed al buon costume. L'elenco comprende in particolare:

  1. i procedimenti di clonazione di esseri umani;
  2. i procedimenti di modificazione dell'identità genetica germinale dell'essere umano;
  3. le utilizzazioni di embrioni umani a fini industriali o commerciali;
  4. i procedimenti di modificazione dell'identità genetica degli animali atti a provocare su di loro sofferenze senza utilità medica sostanziale per l'uomo o l'animale, nonché gli animali risultanti da tali procedimenti.

Entro gli Accordi sui TRIPs si è ribadito che la protezione e il rafforzamento dei diritti di proprietà intellettuale dovrà "contribuire alla promozione dell'innovazione tecnologica nonché al trasferimento e alla diffusione della tecnologia, ai fini di un vantaggio reciproco sia dei produttori sia degli utilizzatori di conoscenze tecnologiche e in modo da favorire il benessere sociale ed economico, assicurando il giusto equilibrio tra diritti e doveri". [80]

5. Open data sharing nelle biobanche

E' utile richiamare a questo punto il concetto di open data, basato su una filosofia di pensiero che è al tempo stesso anche una pratica, in quanto prevede che alcune tipologie di dati prodotti dalla ricerca scientifica siano liberamente accessibili a tutti, senza le restrizioni imposte dal copyright o da modelli di brevetti o forme di controllo che ne limitino la riproduzione.

L'open data, di chiara derivazione dal movimento dell'open access, è esploso nei anni recenti grazie alle comunità scientifiche che si sono auto-organizzate nel web 2.0. Numerosi sono gli scienziati, in particolare in ambito biomedico, convinti dei benefici di un approccio "aperto" e partecipativo alla scienza [81], entro strumenti innovativi e collaborativi come i recenti open notebook science, sorta di diari di bordo di laboratorio, dove si pubblica in maniera accessibile a chiunque, non solo i materiali relativi ai progetti di ricerca, ma anche i dati sperimentali [82].

Uno dei pionieri dell'open data è Peter Murray-Rust, biochimico all'Università di Cambridge [83]. Di seguito alcuni requisiti propri della filosofia open data:

In Italia ha avuto molta risonanza la vicenda di Ilaria Capua [84], virologa veterinaria di fama internazionale, conosciuta dalla comunità dell'accesso aperto per aver scelto di depositare in Genbank - un database ad accesso aperto ospitato dal NCBI National Center for Biotechnology Information [85] - i dati grezzi delle sue ricerche relativi alla sequenza genetica dell'H5N1 da lei identificata, invece di depositarla in quella ad accesso ristretto dell'Organizzazione Mondiale della Sanità (WHO), accessibile a soli quindici paesi al mondo.

Ilaria Capua era convinta che non fosse né eticamente né scientificamente corretto escludere dall'accesso ai dati grezzi proprio quei paesi più poveri e più esposti ad una possibile epidemia. Il suo gesto ha creato molto scalpore entro la comunità scientifica ed ha comunque avuto un effetto trainante, tanto che subito dopo si è avuta la costituzione di GISAID [86], un consorzio mondiale per la condivisione dei dati scientifici e, nel contempo, la tutela della proprietà intellettuale. Grazie a GISAID, le sequenze genetiche dei virus influenzali aviari vengono raccolte e messe a disposizione dei ricercatori di tutto il mondo, per meglio comprendere i meccanismi di patogenicità e le dinamiche dell'epidemia che variano da paese a paese.

Nei lavori di Donna Gitter [87] la condivisione dei dati delle biobanche è al centro del modello "fair access", che prende in considerazione, in alternativa al software libero, l'approccio open data come opportunità per la verifica incrociata dei propri dati creando una rete di proficue collaborazioni tra ricercatori, approccio che aiuta a ottenere risultati che non sarebbero mai stati raggiunti operando da soli nel chiuso dei propri laboratori. Gitter cita la "legge di Linus", tesi centrale del noto saggio La cattedrale e il bazaar di Raymond [88], creando un parallelismo tra lo sviluppo del software e lo sviluppo delle biobanche.

Secondo Raymond vi sono due contrapposte modalità di sviluppo del software libero:

In particolare Gitter crea un'analogia tra il nuovo modello di sviluppo del software detto a bazaar, il cui esempio più famoso ed efficace è la modalità di costruzione del Kernel Linux, e la costituzione di biobanche condivise, laddove "dato un numero sufficiente di occhi, tutti i bug vengono a galla", beneficio particolare nell'ambito delle biotecnologie, dove la collaborazione tra i diversi tipi di ricercatori, come genetisti, statistici, bioinformatici, ed epidemiologi, ottiene risultati superiori a qualsiasi gruppo che operi da solo [89].

Per quanto riguarda la genomica e i nuovi settori cosiddetti "-omics", i modelli open data sono diventati comuni e anche i maggiori enti di finanziamento ora richiedono ai ricercatori di depositare i loro dati in repository centralizzati. In particolare le biobanche, in quanto raccolte organizzate di campioni biologici e dati corrispondenti, sono spesso create per l'uso di ricercatori che non sono affiliati alla biobanca, i quali beneficiano dell'adozione dei principi open.

Tuttavia sussistono numerosi ostacoli a un'applicazione generalizzata di tali principi nei campi della ricerca biomedica. Questi includono la riluttanza tra i ricercatori di alcune discipline a condividere i loro dati, la sfida relativa alla priorità della ricerca nella corsa alla pubblicazione nella riviste più appropriate e le politiche correlate alla proprietà intellettuale. E ancora, le difficoltà nell'ottenere il consenso informato, la privacy e la riservatezza sui dati personali dei partecipanti alla ricerca, aspetti cruciali quando i dati sono condivisi in modo ampio, oltre alla polemica che circonda i temi della commercializzazione e condivisione dei profitti economici, e la complessità nella creazione di infrastrutture adeguate. I ricercatori, in particolare nel campo della genomica, hanno la tendenza a brevettare i loro risultati, mentre altri utilizzatori di biobanche, come gli epidemiologi, in genere non perseguono l'obiettivo di una protezione tramite brevetto.

Concetti come "open source biotechnology" o, in alternativa, "open science," stanno a significare che i dati di quei progetti sono rilasciati rapidamente nel pubblico dominio, soggetti a certe condizioni, incluso il requisito che stabilisce che non vengano esercitati diritti di proprietà intellettuale tali che possano precluderne l'accesso ad altri utilizzatori.

La condivisione dei dati nelle biotecnologie [90] è particolarmente importante alla luce del fatto che molti risultati delle ricerche biotecnologiche, come per esempio una sequenza di DNA isolata, non possono avere inventing around, nel senso che non esiste un reale sostituto ad essi. Infatti, in presenza di protezione brevettuale, è particolarmente difficile l'inventing around.

Se i procedimenti sono resi inaccessibili o eccessivamente onerosi dalla presenza di un brevetto, la ricerca può subirne gli effetti negativi. E' il caso, ad esempio, della possibilità di riproduzione, che in laboratorio risolve il problema della scarsità di materiale genetico a disposizione. Altre volte invece, un brevetto su un determinato procedimento favorisce la ricerca, permettendo ad altri di utilizzare la tecnologia tramite la concessione di licenze che però comportano un aumento dei costi della ricerca.

Cambon-Thomsen [91] sostiene la necessità di avere sistema per misurare l'utilità di una biobanca nel suo complesso. Ha proposto la creazione di un "Biobank Impact Factor" (BIF), fattore di impatto della biobanca, simile al fattore di impatto citazionale delle riviste, per quantificare con tecniche di analisi biobliometrica l'uso di una biobanca, al fine di misurarne l'impatto entro la comunità di ricerca derivante dal suo utilizzo, e di riconoscere coloro che hanno stabilito e mantenuto una risorsa valida entro la biobanca.

Per progetti scientifici di piccole dimensioni, la restrizione nell'accesso appare invece promettente. Questo è particolarmente vero per biobanche di tipo secondario, le quali aggregano e gestiscono campioni di tessuto e dati associati raccolti dai medici che raccolgono i campioni nel corso di studio di particolari malattie. Biobanche ad accesso riservato, sviluppatesi a seguito di collaborazioni informali instaurate tra ricercatori, via via che le reti si ampliano, aprono la strada per una più ampia condivisione futura. Queste banche ad accesso limitato, che richiedono l'autenticazione in modo che solo ricercatori "in buona fede" possono ottenere l'accesso, può essere un modo più adatto per proteggere la privacy e la riservatezza, in particolare in riferimento a banche dati genomiche, laddove il livello di restrizione e il grado di controllo sono sufficienti. Alcuni ricercatori osservano che un sistema di accesso limitato fornisce alcune informazioni del fenotipo collegate ai dati del genotipo, così da rafforzare il valore scientifico dei dati [92].

Altro requisito fondamentale per un impatto organizzativo efficace di una biobanca a medio e lungo temine è la definizione di set di politiche non solo di accesso, ma volte a valutare le credenziali dei dati degli utenti, l'esecuzione di contratti chiari con gli utenti dei dati che definiscano l'uso appropriato dei dati; e formalizzazione di regole di responsabilità per l'uso improprio dei dati, e l'uso di un approccio tecnico di gestione dei dati che aumenti il numero dei partecipanti alla ricerca e i cui dati siano aggregati per quei dati considerati sensibili [93]. Tali politiche sono particolarmente compatibili con un approccio ad accesso limitato, anche se necessariamente la questione dell'interoperabilità tecnica ai dati che descrivono i campioni deve necessariamente essere considerata prioritaria entro un set di politiche a corredo di una biobanca.

Una biobanca "-omica" presenta una serie di sfide non indifferenti rispetto alla dimensione etica. Su vasta scala gli studi spingono verso nuove forme di solidarietà e meno individualismo, in un equilibrio verso una maggiore protezione dei dati. Al di là dei diritti individuali, appare una nuova forma di solidarietà tra i gruppi e tra le generazioni, basati sulla condivisione volontaria di campioni e delle informazioni, nell'ottica del "bene comune" che si concreta in gradi biobanche intese come risorse nazionali preziose (per la collettività e non solo per chi le gestisce), entro un dibattito più democratico ed una gestione a dimensione pubblica.

Uno degli esempi più clamorosi è la recente scoperta, che riguarda la ricerca sulle staminali, di Shinya Yamanaka, ricercatore giapponese di Kyoto [ [94]]. Yamanaka nel 2006 [ [95]] scoprì il modo di riportare indietro nel tempo cellule staminali adulte, riportandole allo stato di simil-embrionali. Tramite l'inserimento di quattro fattori genetici propri delle cellule embrionali staminali, Yamanaka le rese pluripotenti senza usare embrioni, bypassando il problema etico da una parte e, dall'altra risolvendo il grosso problema del rigetto che le staminali embrionali comportano.

La tecnica su queste staminali, dette iPSCs (Induced Pluripotent StemCells), nei quattro anni successivi alla scoperta di Kyoto, fu via via perfezionata grazie al fatto che Yamanaka aveva messo a disposizione i dati della sua scoperta scientifica in condivisione aperta di modo che tutti i laboratori del mondo potessero (e possono tuttora) perfezionarne la tecnica, lavorando in modo collaborativo, superando ostacoli e sperimentando metodiche di laboratorio sempre più efficaci. Dagli iniziali quattro geni da inserire nel DNA delle staminali adulte, si è passati a tre, poi a due ed ora a uno, senza usare vettori virali per l'inserimento, modalità nota per i pericoli legati all'insorgenza di forme tumorali.

Gli articoli sulle staminali iPSCs di Yamanaka, secondo l'osservatorio di Thomson Reuters [ [96]], sono tra i più citati del mondo, aumentando l'impatto entro la comunità scientifica in modo esponenziale.

6. Il caso delle biobanche di sangue cordonale e cellule staminali

Il ranking di Google delinea un quadro allarmante proprio per la questione legata agli aspetti di business, a cui si riferiva qualche tempo fa Dorothy Nelkin [97] quando parlava di valore commerciale del corpo, un valore che va ben oltre la ricerca medica, dove il mercato se fino a qualche tempo fa si limitava ad usare la placenta per produrre shampoo, ora non ha più scrupoli. Quindi

Per usare una metafora della Nelkin, citata anche dal lavoro di Macilotti [98], ciò che in passato veniva comunemente definito "scarto operatorio" oggi è oggetto di una nuova "corsa all'oro". Ovviamente si tratta per la maggior parte di biobanche estere che vendono, a società commerciali italiane ed estere, la crioconservazione biologica di sangue cordonale a pagamento. A loro volta, queste società commerciali, italiane ed estere, rivendono in Italia il servizio alle gestanti. Tale commercio non porta comunque a nessun beneficio, né collettivo né tantomeno ai singoli, considerato che il costo di produzione della sola crioconservazione biologica, eseguito secondo adeguati standard di qualità, è altissimo, e solo una biobanca pubblica con investimenti notevoli può permettersi. Questo significa che si vendono false promesse.

Il genitore si rivolge a banche "private" per una donazione "autologa", intesa come "proprietà privata", spesso non è consapevole dei rischi (il rischio qui è limitato a un'eventuale impossibilità di usare il cordone conservato in caso di reale necessità a servizio pagato). In Italia la conservazione autologa si può fare solo in banche straniere, in quanto per legge "è vietata l'istituzione di banche per la conservazione di sangue dal cordone ombelicale presso strutture sanitarie private": è permessa solo la conservazione di sangue da cordone ombelicale per uso autologo o dedicato a consanguineo con patologia in atto (regolamentata).

All'estero esistono numerose banche private che conservano a pagamento le staminali del sangue del cordone ombelicale, e un po' tutte hanno dei siti Internet in cui illustrano e promuovono i loro servizi. Attorno a queste banche dati conservative ruotano numerose società di servizi per la raccolta di clienti (genitori), ed esiste pertanto un fiorente business commerciale [99] che investe anche il fenomeno delle cliniche di medicina rigenerativa, non certificate e non validate dalla comunità scientifica e che operano ai limiti dell'illegalità [100], promettendo cure miracolose per la cura e la terapia di numerose patologie.

A supporto di quanto emerge in rete con chiarezza allarmante, si cita un recente articolo scientifico di Jane Qiu [101] dall'eloquente titolo Trading on hope, pubblicato sulla prestigiosa rivista "Nature Biotechnology", che indaga sulla fiorente attività di vendita di trapianti di cellule staminali come panacea per ogni tipo di malattia debilitante, corredato da una lista [102] dei centri di medicina rigenerativa che offrono trattamenti non testati con cellule staminali. Su questo argomento si rimanda al sito della XII Commissione (Affari sociali) della Camera dei Deputati con la tabella comparativa delle cinque proposte di legge recanti "Disposizioni in materia di raccolta e utilizzo del sangue cordonale" [103], e al documento presentato dall'autrice, invitata a un'Audizione informale alla Camera del Parlamento nel novembre 2009 [104].

Purtroppo il concetto di cordone ombelicale come "bene comune" e non come "proprietà privata" è scarsamente considerato dal genitore, probabilmente a causa della società dei consumi nella quale siamo immersi. Il risultato è un grande business che fiorisce all'estero, supportato in modo più o meno lecito, da società di servizi che operano in Italia in vario modo. Una gran parte di capitale "staminale" che potrebbe costituire un prezioso "commons" fisico a vantaggio di tutta la collettività se rimanesse nel nostro Paese (utilizzabile anche per scopi di ricerca), viene invece esportato.

Si vuole citare a proposito la conferenza romana del 22 giugno organizzata dalla Federazione Italiana ADOCES (Associazioni Donatori Cellule Staminali Emopoietiche Onlus), dove Alberto Bosi, Presidente del Gruppo Italiano Trapianto Midollo Osseo (GITMO), portando il deciso sostegno di tutta la trapiantologia italiana sulla posizione della donazione solidale, ha sottolineato in particolare gli argomenti scientifici che mostrano, con tutta evidenza l'inconsistenza e la non validità scientifica della raccolta per uso privato del sangue cordonale. In tale sede si è sottolineata l'importanza della qualità delle unità cordonali e del numero di cellule staminali in essa contenute. Si è sottolineato come le unità raccolte dalle società private generalmente risultino del tutto inutili agli effetti di un trapianto, in quanto qualitativamente e quantitativamente inadeguate

Marzia Filippetti del Centro Nazionale Trapianti ha illustrato le normative italiane che regolano la materia e confermato che delle oltre 40.000 unità esportate in questi anni nelle banche private estere, raccolte nei centri di ostetricia degli ospedali pubblici delle regioni italiane, nessuna è stata finora né richiesta né utilizzata presso i nostri centri di trapianto. Nicoletta Sacchi - Direttore del Registro Nazionale IBMDR - ha presentato i dati nazionali ed internazionali dei trapianti utilizzando donatori di cellule staminali di midollo osseo e donazioni solidali di sangue cordonale. Ha evidenziato come la proporzione di trapianti che attualmente vengono fatti nel mondo mostra un progressivo aumento di quelli eseguiti con l'utilizzo di cellule staminali da sangue cordonale e da donatori non familiari.

7. Biobanche: commons o caveau?

Viene definito "bene comune" uno specifico bene che è condiviso da tutti i membri di una specifica comunità [105]. All'interno della teoria dei commons viene utilizzata una classificazione dei beni in quattro categorie, costruite tramite l'incrocio di due variabili che regolano il rapporto tra bene e utilizzatori:

Vi sono definizioni di bene comune in filosofia, etica, scienza politica, religione e in giurisprudenza. Elinor Ostrom economista statunitense, insignita del Premio Nobel per l'economia dall'Accademia di Svezia il 12 ottobre 2009 per l'analisi della governance e in particolare per i suoi studi sui "commons" [106], sottolinea che sebbene non necessariamente i problemi dei beni comuni della conoscenza siano analoghi a quelli che investono l'ambiente fisico, la sfida è sempre quella di individuare le affinità tra gli uni e gli altri, esplorando al contempo ciò che differenzia la conoscenza come risorsa dai beni comuni relativi alle risorse naturali.

Ma è nel 1968 che si comincia a parlare di commons, e cioè da quando il biologo Garret Harding pubblicò su Science il celebre studio The tragedy of the Commons [107], che costituisce il punto di partenza del dibattito contemporaneo. La tragedia dei beni comuni può essere sintetizzata come l'ovvia conseguenza della legge economica della domanda e dell'offerta, laddove se il prezzo di un certo bene tende a zero, la domanda tenderà all'infinito. Pertanto le risorse fisiche liberamente accessibili tendono a essere sovrasfruttate, e quindi un uso intensivo del bene pubblico per interessi individuali porta inesorabilmente all'esaurimento del bene stesso:

Per evitarla, si ricorre spesso a forme di recinzione (enclosures) del bene e alla sua privatizzazione parziale (ad esempio, l'affidamento in concessione). In questo modo, lo sfruttamento razionale e lungimirante dei commons si traduce nel vantaggio individuale del concessionario, ma anche della collettività, attraverso un sistema ottimale di pagamento di canone e di pedaggio all'ingresso" [108].

La teoria di Harding è stata messa in discussione da Elinor Ostrom e dai suoi collaboratori, i quali affermano che, tanto la gestione autoritaria-centralizzata dei beni comuni quanto la loro privatizzazione, non costituiscono la soluzione né sono prive esse stesse di problemi rilevanti.

Ostrom traspone il concetto di commons nel senso di beni naturali entro l'ambito intellettuale inteso come commons della conoscenza, beni intangibili che costituiscono il patrimonio intellettuale. I commons, ci dice la Ostrom, sono un linguaggio nuovo, risorse condivise suscettibili di dilemmi sociali: interrogativi, controversie, dubbi, dispute… I giuristi ne analizzano gli aspetti legislativi, gli economisti considerano l'efficienza dei costi, i filosofi affrontano le questioni epistemologiche, i sociologi esaminano i comportamenti delle comunità virtuali, gli scienziati studiano le leggi della natura, i bibliotecari e i tecnici dell'informazione si occupano della raccolta, dell'organizzazione e dell'accesso alle risorse informative considerate dei commons intellettuali.

Nel caso delle biobanche siamo di fronte ad un fenomeno che investe i due ambienti: quello fisico e quello intellettuale, proprio per le caratteristiche dei campioni biologici. I campioni che compongono le collezioni di una biobanca costituiscono il "supporto fisico" contenente le informazioni, analogamente a quanto avviene in una collezione museale, archivistica o bibliotecaria. L'informazione – bene intangibile immateriale – è incarnata nel supporto stesso, ma al contempo si smaterializza da esso, connotandosi come dimensione informazionale.

Ostrom centra al cuore una serie di delle questioni delicate che abbiamo fin qui esaminato: l'ambiente digitale come risorsa di conoscenza e il materiale biologico come risorsa naturale, entrambi con connotazioni legate alla "proprietà privata", due tipologie di commons ambiguamente annodate assieme.

Per analogia, si vuole qui riprendere il concetto di commons della Ostrom e trasporlo al fenomeno delle biobanche cordonali, per focalizzare l'attenzione sui vantaggi di una raccolta ottimizzata di sangue cordonale nel nostro paese (regolata dalla legge), al fine della costituzione di un network di banche sia pubbliche sia private, che rispettino tutte le stesse regole del gioco e che vadano a costituire un grande commons inteso come bene pubblico collettivo, nel rispetto delle libertà individuali di donazione "autologa" (doppio canale), laddove se ne presentasse la necessità.

Una biobanca è al tempo stesso un commons quale risorsa naturale, e un bene comune di conoscenza se l'approccio e di tipo open data sharing. Joseph Stiglitz e John Sulston, premi Nobel rispettivamente in economia e medicina, in un editoriale del Wall Street Journal [109] argomentano a favore della sentenza del giudice Sweet, in quanto il calo degli investimenti privati in ricerca verrebbe compensato dagli investimenti pubblici, giacché lo Stato avrebbe solo da guadagnare da un sistema che permette ai suoi cittadini di avere accesso ai sistemi più moderni di diagnosi:

Chi sostiene la brevettabilità dei geni dice che i privati non investirebbero nella ricerca senza l'incentivo economico che deriva dal sistema dei brevetti. Noi crediamo che una più profonda conoscenza dell'economia e della scienza dell'innovazione porti alla conclusione esattamente opposta.

L'articolo del Wall Street Journal riprende parte delle argomentazioni proposte in una serie di studi pubblicati dalla rivista medica "Genetics in Medicine" [110], risultato di un lavoro durato due anni, commissionato dal governo degli Stati Uniti alla Duke University, che aveva lo scopo di valutare l'utilità dei brevetti sui geni. Stiglitz e Sulston hanno sottolineato i pericoli di una brevettabilità delle sequenze geniche, di ostacolo alla ricerca perché impedisce agli scienziati di accedere liberamente a informazioni fondamentali che devono invece rimanere libere come lo sono i teoremi per la matematica.

Altri punti emersi dagli studi hanno riguardato in particolare il carattere discriminatorio di terapie e test cui solo una fetta della popolazione può accedere; e il fatto che il sistema dei brevetti si basa su monopoli di produzione e commercializzazione dei relativi test, con il rischio di avere nel mercato un unico test, magari di bassa qualità, essendo impossibile immettere nel mercato altri metodi per confermare la diagnosi, limiti di non poco conto.

Come suggerito dal citato documento del Comitato Nazionale per la Bioetica, "oltre ai diritti individuali e nel rispetto della vita privata, le biobanche potrebbero farsi strumento di una nuova forma di solidarietà tra gruppi e tra generazioni basata sulla condivisione volontaria di campioni ed informazione, per una risorsa comune che deve essere disponibile in base a regole di partecipazione democratica."

A quale "tragedia dei commons" va incontro una biobanca cordonale o di cellule staminali? O purtroppo la vera tragedia è il modello caveau della privatizzazione inteso come locale sotterraneo blindato in cui sono custoditi i valori per un uso strettamente personale? La strada suggerita da Ostrom è la regolazione dell'accesso ai commons. Il merito di Elinor Ostrom è stato quello di ipotizzare l'esistenza di una "terza via" tra Stato e mercato, analizzando le condizioni che devono verificarsi affinché le common properties non degenerino:

Potenziali problemi circa l'uso, il governo e la sostenibilità di un "bene comune" possono sorgere per effetto di alcuni comportamenti individuali, che generano problemi sociali come la competizione per l'uso, il free riding e lo sfruttamento eccessivo delle risorse. Le minacce più frequenti ai beni comuni sono la mercificazione o la "recinzione", l'inquinamento o il degrado, la non-sostenibilità [111].

Antonella De Robbio, Polo Giuridico del Sistema Bibliotecario di Ateneo - Università degli Studi di Padova, e-mail: antonella.derobbio@unipd.it


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Note

[1] Matteo Macilotti - Umberto Izzo - Giovanni Pascuzzi - Mattia Barbareschi, La disciplina giuridica delle biobanche, "Pathologica", 100 (2008), p. 86-101, <http://www.tissuebank.it/publicazioni/Macilotti.pdf>.

[2] L'idea di scrivere questo articolo è sorta da due motivazioni: dalla lettura degli atti della conferenza internazionale "Comparative Issues in the Governance of Research Biobanks: Property, Privacy, Intellectual Property, and the Role of Technology", Trento 7-8 maggio 2010. Comitato scientifico: Mattia Barbareschi, Roberto Caso, Umberto Izzo, Matteo Macilotti, Giovanni Pascuzzi <http://events.unitn.it/en/biobanks/presentation>, e da Antonella Corradi, la quale mi ha suggerito di scrivere qualcosa sull'argomento di cui si è occupata nell'ambito della sua tesi al Corso di Perfezionamento alla LUISS, focalizzata sugli aspetti della definizione normativa della nozione di "biobanca" e sulla differenza tra i concetti di scoperta e invenzione. Le idee espresse nel presente lavoro sono state oggetto di dibattito con Roberto Caso (giurista a Trento) e con la collega Corradi (del servizio diritto d'autore del Ministero dei Beni Culturali) nel corso dell'estate 2010. Ringrazio entrambi per avermi dato l'idea di un lavoro su questo spinoso argomento.

[3] Umberto Izzo - Matteo Macilotti, La nebulosa delle biobanche: privacy e brevetti i nodi più spinosi - In Italia troppi lacci allo sviluppo, "Sole24 Sanità 27" , aprile-maggio 2010, <http://www.3rfid.it/admin/allegati_news/293_Fonte.pdf?PHPSESSID=492b34b3c6cc3445c1d2309f04e2d7db>.

[4] Linee guida sulle biobanche genetiche della Società di genetica umana e di Telethon Fondazione Onlus, <http://www.cnrb.it/loghi/telethonlinee%20guida%20biobanche%20genetiche%20.pdf>.

[5] Luigi Spagnoli - Cristina Venturini, Banche dei tessuti umani: obiettivi e aspetti regolatori in Italia ed Europa, "Pathologica", 97 (2005), p. 192-194, <http://www.siapec.it/index.php?Mod=Pagina&Pagina=444>.

[6] Matteo Macilotti, Proprietà, informazione ed interessi nella disciplina delle biobanche a fini di ricerca (Property, Informations and Interests in the Regulation of Research Biobank), "Nuova giurisprudenza civile commentata", 7-8 (2008), p. 222-235. Questo articolo, focalizzato sulle biobanche a fini di ricerca, è imprescindibile per una trattazione completa della materia.

[7] Con la Legge 30 giugno 2009, n. 85 (pubblicata in Gazzetta Ufficiale 13 luglio 2009, n. 160), l'Italia aderisce al Trattato di Prüm concluso il 27 maggio 2005 tra Belgio, Germania, Spagna, Francia, Lussemburgo, Paesi Bassi ed Austria ai fini della cooperazione transfrontaliera per contrastare terrorismo, criminalità transfrontaliera e migrazione illegale.

[8] Darren Shickle - Marcus Griffin - Karen El-Arifi, Inter-and Intra-Biobank Networks: Classification of Biobanks, "Pathobiology", 77 (2010), p. 181-190, <http://content.karger.com/ProdukteDB/produkte.asp?Doi=292651>. Il lavoro aveva lo scopo di classificare le biobanche, al fine di comprendere meglio i problemi delle biobanca entro la creazione di reti. Sono stati intervistati alcuni ricercatori e dirigenti responsabili di 33 biobanche in 9 paesi.

[9] Macilotti et al., cit., datano la prima occorrenza del termine "biobank" nel database PubMed, nel 1996, usato in un articolo di due ricercatori danesi, S. Loft e H. E. Poulsen, Cancer risk and oxidative DNA damage in man. "Journal of molecular medicine", 74 (1996), 6, p. 297-312, <http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/8862511>.

[10] <http://www.biobanks.se/medicalbiobank.htm>.

[11] Elisa Stefanini, Dati genetici e diritti fondamentali: profili di diritto comparato ed europeo, Wolters Kluwer Italia, 2008, <http://books.google.com/books?id=499YW3V1jekC&pgis=1>.

[12] Gli addetti ai lavori solitamente considerano biobank tutto quello che comprende il bios, mentre tutti gli altri termini sono sottoinsiemi. DNA bank è una banca in cui sono conservati campioni di DNA liofilizzato. Altro tipo di banca/repository associata a questa (per tipo di materiale depositato) sono le librerie genetiche, in cui il DNA è conservato all'interno di ospiti (quali batteri, protisti o fungi). Il termine GeneBank è solitamente associato alla banca dati dell'NCBI che comprende tutte le sequenze dei geni di cui si ha un riferimento completo (inizio, fine e struttura). Ringrazio Alessandra Bilardi, Bionformatica al CRIBI, Centro Ricerca Interdipartimentale Biotecnologie Innovative dell'Università degli Studi di Padova (Genomic Group), per le informazioni sugli usi terminologici della comunità scientifica dei Biotecnologi. Una buona classificazione la si trova su Wkipedia alla voce Biological Database <http://en.wikipedia.org/wiki/Biological_database>.

[13] Il MESH viene adoperato per l'indicizzazione dei 18 milioni di riferimenti bibliografici derivanti da circa 5.300 periodici di ambito biomedico presenti nel database bibliografico PubMed e nel catalogo dei libri della NLM. Il vocabolario è costituito da oltre 24.000 termini, organizzati gerarchicamente, con una struttura ad albero. Traduzione italiana curata dall'Istituto Superiore di Sanità, <http://www.iss.it/site/mesh/Index.aspx>.

[14] Definizione MESH: "Extensive collections, reputedly complete, of facts and data garnered from material of a specialized subject area and made available for analysis and application. The collection can be automated by various contemporary methods for retrieval. The concept should be differentiated from DATABASES, BIBLIOGRAPHIC which is restricted to collections of bibliographic references".

[15] Definizione MESH: "Databases containing information about NUCLEIC ACIDS such as BASE SEQUENCE; SNPS; NUCLEIC ACID CONFORMATION; and other properties. Information about the DNA fragments kept in a GENE LIBRARY or GENOMIC LIBRARY is often maintained in DNA databases".

[16] Definizione MESH: "Computer systems capable of assembling, storing, manipulating, and displaying geographically referenced information, i.e. data identified according to their locations".

[17] Definizione MESH: "Alias: biological substance banks, biological specimen bank, biological substance bank. Summary: Facilities that collect, store, and distribute tissues, e.g., cell lines, microorganisms, blood, sperm, milk, breast tissue, for use by others. Other uses may include transplantation and comparison of diseased tissues in the identification of cancer".

[18] Definizione MESH: "Centers for acquiring, characterizing, and storing organs or tissue for future use".

[19] TM Fliedner – M. Körbling – W. Calvo – C. Bruch – E. Herbst, Cryopreservation of blood mononuclear leukocytes and stem cells suspended in a large fluid volume. A preclinical model for a blood stem cell bank, "Blut", 29 (1977), 35, 3, p.195-202.

[20] Miki Goto - Koh Furuta, Rinsho byori [Re-utilization of clinical laboratory patient-derived samples], "The Japanese journal of clinical pathology" 54 (2006), 9, p. 918-23, <http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/17063873>.

[21] Sara Azzini, Biobanche, consenso e fonti del diritto: un caso di eccezionale disordine?, 2010, <http://www.biodiritto.eu/sito/images/stories/azziniforum2010papersito.pdf>.

[22] Ibid.

[23] A. Ruggeri, Carte internazionali dei diritti, Costituzione europea, Costituzione nazionale: prospettive di ricomposizione delle fonti in sistema, In Relazione all'incontro di studio su La giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo, organizzato dal Consiglio Superiore della Magistratura, Roma, 28 febbraio - 2 marzo 2007, p. 6-12 [citato da Azzini].

[24] Regulations European Biobank Maastricht, Dr. F.F. Stelma, Dept. Epidemiology, Maastricht University, Jan. 2003.

[25] La direttiva OECD, in occasione del Workshop di Tokyo del 1999, si riferisce più specificamente ai centri di risorse biologiche (CRB) ed è recepita a livello nazionale dal Ministero dello Sviluppo Economico (già Ministero delle Attività produttive).

[26] Presidenza del Consiglio dei Ministri. Comitato Nazionale per la Bioetica CNB. Biobanche e ricerca sul materiale biologico umano. . Parere del CNB su una raccomandazione del Consiglio d'Europa e su un documento del Comitato Nazionale per la Biosicurezza e le Biotecnologie. 9 giugno 2006, <http://www.governo.it/bioetica/testi/Biobanche.pdf>.

[27] Recommendation N. R (94) 1, of the Committee of Ministers to Member States on Human Tissue Banks" Council of Europe, 14 March 1994.

[28] Decreto Legislativo 6 novembre 2007, n. 191, "Attuazione della direttiva 2004/23/CE sulla definizione delle norme di qualità e di sicurezza per la donazione, l'approvvigionamento, il controllo, la lavorazione, la conservazione, lo stoccaggio e la distribuzione di tessuti e cellule umani". Pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 261 del 9 novembre 2007 - Suppl. Ordinario n. 228, <http://www.camera.it/parlam/leggi/deleghe/testi/07191dl.htm>.

[29] Avvocato dello studio legale Pavia e Ansaldo di Milano.

[30] Per un approfondimento sui numerosi temi trattati relativi alle biobanche e agli aspetti giuridici correlati si rimanda agli atti della conferenza internazionale "Comparative Issues in the Governance of Research Biobanks: Property, Privacy, Intellectual Property, and the Role of Technology", Trento 7-8 maggio 2010. Comitato scientifico: Mattia Barbareschi, Roberto Caso, Umberto Izzo, Matteo Macilotti, Giovanni Pascuzzi, <http://events.unitn.it/en/biobanks/presentation>.

[31] Il diritto alla riservatezza delle informazioni personali e della propria vita privata.

[32] Regulation on the keeping and utilization of biological samples in biobanks, n.134/2001, Ministry of Health and Social Security, Reykjavik – Iceland, <http://www.who.int/genomics/elsi/regulatory_data/region/euro/060/en/index.html>.

[33] Per un articolo in italiano sul progetto della bipobanca islandese vedi Daniele Bonacorsi, Una banca genetica in Islanda, con intervista in RealAudio a Kari Stefansson, presidente della deCODE Genetics, "Jekyll", giugno 1999, 3, <http://www.sissa.it/ilas/jekyll/n03/articoli/articolo_2_etp.htm>.

[34] Intervista di Marta Paterlini: Strappo al Dna, le armi segrete del diabete. La ricerca tra gli islandesi: Sono un perfetto laboratorio vivente; Discendono da un solo ceppo e sono rimasti isolati per 12 secoli, "La Stampa" 3 febbraio 2010, pag. 28, <http://archivio.lastampa.it/LaStampaArchivio/main/History/tmpl_viewObj.jsp?objid=10173570>.

[35] Vedi il dibattito sul Forum di Genetizen Privacy and DeCode Genetics Bankruptcy, <http://www.geneforum.org/node/715>.

[36] I test genetici: dubbi sulla privacy e potenzialità, Rassegna Stampa a cura della Redazione FGB, 10 marzo 2010, Sito Web della Fondazione Giannino Bassetti, <http://www.fondazionebassetti.org/it/rassegna/2010/03/i_test_genetici_dubbi_sulla_pr.html>.

[37] <http://www.observa.it/osservatorio.aspx?PAGE_SUPPORT=OSSERVATORIO&LAN=ITA>.

[38] <http://www.thefutureofscience.org/>.

[39] Proposed International Guidelines on Ethical Issues in Medical Genetics and Genetic Services, Geneva, World Health Organization, 1998.

[40] Human Genome Organization (HUGO), International Ethics Committee Statement on DNA sampling: Control and Access, London, HUGO, 1998.

[41] Sara Lorenzon, La regolamentazione delle biobanche all'incrocio tra diritto dell'Unione e discrezionalità legislativa nazionale: alla ricerca di un punto di equilibrio tra riservatezza e libertà di ricerca scientifica, In Forum Biodiritto 2010, <http://www.biodiritto.eu/sito/images/stories/lorenzonforum2010papersito.pdf>.

[42] Codice sulla protezione dei dati personali (d.lgs. 196/2003), art.4.

[43] Si tratta di convegni a carattere internazionale che si svolgono più o meno annualmente con la partecipazione di esponenti del mondo politico, accademico e della società civile, nei quale le scienze, le culture e le pratiche della sfera biologica si confrontano con quelle della sfera antropologica attraverso i loro differenti linguaggi espressivi nell'era dell'interattività digitale interconnessa ed interattiva, <http://it.wikipedia.org/wiki/Condividi_la_conoscenza>.

[44] Jane Kaye - Mark Stranger, Principles and Practice in Biobank Governance, Ashgate Publishing, 2009, <http://books.google.com/books?id=vcupBKu0BysC&pgis=1>.

[45] Sara Azzini, cit.

[46] Sui diversi livelli di consenso, ed in particolare il consenso aperto, si veda Deborah Mascalzoni - Andrew Hicks - Peter P. Pramstaller, Consenting in Population Genomics as an Open Communication Process, In "Studies in Ethics, Law, and Technology", 3, Iss. 1, Article 2, 2009, Berkeley, Berkeley Electronic Press, <http://www.bepress.com/selt/vol3/iss1/art2 2009>.

[47] Tale opinione è sostenuta da A. Santosuosso, Should privacy be abolished in biobanking?, in Atti del Convegno Comparative Issues in the Governance of Research Biobanks, Trento, 7-8 maggio 2010 (in preparazione). Secondo una differente opinione, il dovere di donare non potrebbe trasformarsi, nemmeno sotto il profilo morale, in una indebita pressione psicologica tale da indurre alla donazione in nome della solidarietà. Così il German National Ethic Council – Nationaler Ethikrat, Biobanks for research, cit., p. 48.

[48] Rebecca Skloot, The Immortal Life of Henrietta Lacks, Crown Publishers, 2010, <http://books.google.com/books?id=PqCP4GL34vkC&pgis=1>. L'autrice ha donato una parte dei proventi del suo libro alla Henrietta Lacks Foundation, <http://rebeccaskloot.com/book-special-features/henrietta-lacks-foundation/>.

[49] L'unico ospedale che nella Baltimora degli anni Cinquanta accettasse pazienti afro-americani. Vedi articolo su "La Repubblica" del 16 marzo 2010 di Alberto Flores D'Arcais, La madre delle cellule immortali. Così Henrietta cambiò la medicina, <http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2010/03/16/la-madre-delle-cellule-immortali-cosi-henrietta.html>.

[50] Roberto Caso, Control over Biobanks' Information: A Law and Technology Approach, In International conference Comparative Issues in the Governance of Research Biobanks: Property, Privacy, Intellectual Property, and the Role of Technology. Trento, May 7-8, 2010.

[51] Macilotti et al., cit.

[52] A. De Cupis, I diritti della personalità, In Trattato di Diritto Civile e Commerciale, a cura di A. Cicu e F. Messineo, Milano, 1985, p. 159.

[53] Ferrando Mantovani, I trapianti e la sperimentazione umana nel diritto italiano e straniero, Padova, CEDAM, 1974, <http://books.google.com/books?id=d30iAAAACAAJ&pgis=1>.

[54] Kenneth Joseph Arrow, economista statunitense, vincitore del Premio Nobel per l'economia nel 1972 insieme a John Hicks, per i contributi pionieristici alla teoria dell'equilibrio economico generale e alla teoria del benessere.

[55] Marco Venturello, La milza del Sig. Moore: una prospettiva di analisi giuridica comparativa ed economica, 1997, <http://www.jus.unitn.it/cardozo/review/property/Venturello-1997/milzas.htm>.

[56] Convenzione di Oviedo, Art. 21, Divieto di profitto: il corpo umano e le sue parti non debbano essere, in quanto tali, fonte di profitto. Art. 22, Utilizzo di una parte del corpo prelevato: quando una parte del corpo umano è stata prelevata, questa non può essere conservata e utilizzata per scopo diverso da quello per cui è stata prelevata in conformità alle procedure di informazione e di consenso appropriate.

[57] United States v. Garber (607 F.2d 92-5th Cir. 1979).

[58] James Ellroy, Introduzione a Il campo di cipolle di Joseph Wambaugh, <http://www.einaudi.it/var/einaudi/contenuto/extra/978880618712PCA.pdf>.

[59] <http://www.anatomicalgiftact.org/DesktopDefault.aspx>.

[60] F. Santoro Passarelli, Dottrine generali del diritto civile, Napoli, 1964, p.52.

[61] Marco Venturello, cit.

[62] Ibid., cap. 2, <http://www.jus.unitn.it/cardozo/review/property/Venturello-1997/milza2.htm#16>.

[63] Oggi all'Università del Texas.

[64] Vedi bibliografia delle pubblicazioni di R. Matalon e del suo gruppo di ricerca sul sito web italiano <http://www.canavan.it/morbo_di_canavan.htm>.

[65] Greenberg v. Miami Children' s Hospital Research Institute, 2003.

[66] Alessandra Colaianni - Subhashini Chandrasekharan - Robert Cook-Deegan, Impact of gene patents and licensing practices, "Genetics in Medicine", 12 (2010), <http://journals.lww.com/geneticsinmedicine/Fulltext/2010/04001/Impact_of_gene_patents_and_licensing_practices_on.3.aspx>. Nel presente lavoro vengono comparati due test genetici simili, entrambi brevettati ma con approccio di mercato differenti , il Tay-Sachs non commercializzato, e il Canavan brevettato e oggetto di licenza commerciale.

[67] Raniero Bordon, Non rubare le cellule altrui, <http://www.personaedanno.it/cms/data/articoli/003797.aspx>.

[68] Moore vs. Regents of University of California, 793 P.2d 479 (Cal. 1990).

[69] M. Venturelli, cit., cap. 2. Le parti staccatesi dal corpo umano in chiave comparatistica, <http://www.jus.unitn.it/cardozo/review/property/Venturello-1997/milza2.htm>.

[70] Id., cap. 5. L' analisi economica del caso Moore: Pareto v. Kaldor-Hicks, il teorema di impossibilità di Arrow, <http://www.jus.unitn.it/cardozo/review/Property/Venturello-1997/milza5.htm>.

[71] Id., cap 3. Il caso Moore: una vicenda emblematica, <http://www.jus.unitn.it/cardozo/review/property/Venturello-1997/milza3.htm>.

[72] John Irving, La quarta mano, Milano, BUR, 2004.

[73] A proposito di come era venuta a John Irving l'idea del libro La quarta mano vedi: "In the acknowledgements for The Fourth Hand, Irving wrote: 'Every novel I've written has begun with a What if…'. The seed for Hand came from his wife, Janet, asking a question as they watched a news story about the first hand transplant in the United States, 'What if the donor's widow demands visitation rights with the hand?' Irving worked feverishly and over the next 48 hours developed the entire storyline and title overnight" (<http://www.yourdictionary.com/biography/john-irving>).

[74] Per approfondimenti sulla questione si veda il sito della Fondazione Science et Cité, creata nel 1998 per promuove il dialogo costruttivo, la comprensione e il raggiungimento di un consenso tra la comunità scientifica e la società, <http://www.science-et-cite.ch/archiv/themen/patente/dossier/broschuere/5_stammz/it.html>.

[75] Fondazione Science et Cité, <http://www.science-et-cite.ch/archiv/themen/patente/dossier/broschuere/3_index/it.html>.

[76] Direttiva 98/44/CE del Parlamento europea e del Consiglio del 6 Luglio 1998, Brevettabilità delle innovazioni biotecnologiche.

[77] Testo Unico Codice di PI, D.Lgs. 10 febbraio 2005, n. 30.

[78] Marcia indietro sulla brevettabilità dei geni. Rassegna Stampa a cura della Redazione FGB. 2 luglio 2010, blog della Fondazione Giannino Bassetti, <http://www.fondazionebassetti.org/it/rassegna/2010/07/marcia_indietro_sulla_brevetta.html>.

[79] Biology 2.0: "A decade after the human-genome project, writes Geoffrey Carr (interviewed here), biological science is poised on the edge of something wonderful. A special report on the human genome", "The Economist" June 17, 2010, <http://www.economist.com/node/16349358>.

[80] Art. 7 del WTO, Agreement on Trade-Related Aspects of Intellectual Property Rights.

[81] Vedi ad esempio OpenWetWare <http://openwetware.org>, nato nel 2005 per iniziativa di alcuni dottorandi in bioingegneria del Massachusetts Institute of Technology, diventato poi una vera comunità online, dove i gruppi di ricerca possono pubblicare i protocolli utilizzati, i risultati (positivi e negativi) ottenuti, e altre informazioni utili alla comunità dei ricercatori.

[82] Luca Schiavon, Comunità di scienziati e web 2.0 in biomedicina. Elaborato finale per il Master in Comunicazione delle Scienze, Università di Padova, anno accademico 2007-2008, relatrice Antonella De Robbio, "Bibliotime", 12, (2009), 2 <http://spbo.unibo.it/bibliotime/num-xii-2/schiavon.htm>.

[83] Blog di Murray-Rust, <http://wwmm.ch.cam.ac.uk/blogs/murrayrust/>.

[84] Ilaria Capua è responsabile del Centro di referenza nazionale per l'influenza aviaria presso l'Istituto zooprofilattico sperimentale delle Venezie (IZSVe) di Legnaro (Padova). Nel 2007 è stata premiata dalla rivista "Scientific American" e inserita tra i primi 50 migliori ricercatori del mondo.

[85] <http://www.ncbi.nlm.nih.gov/genomes/FLU/SwineFlu.html>.

[86] <http://platform.gisaid.org/dante-cms/live/struktur.jdante?aid=1131>.

[87] Donna Gitter, The Challenges of Achieving Open Source Sharing of Biobank Data. In International conference Comparative Issues in the Governance of Research Biobanks: Property, Privacy, Intellectual Property, and the Role of Technology. Trento, May 7-8, 2010, <http://ssrn.com/abstract=1598400>.

[88] Eric S. Raymond, The Cathedral and the Bazaar, at Release Early, Release Often, 2002, <http://www.catb.org/~esr/writings/cathedral-bazaar/cathedral-bazaar/ar01s04.html>, traduzione italiana sul sito di Apogeo, <http://www.apogeonline.com/openpress/cathedral>.

[89] Il lavoro sopra citato di Donna Gitter è imprescindibile per chiunque volesse addentrarsi nella complessità del tema dell'Open Source Sharing of Biobank Data; si rimanda quindi ad esso per una visione completa che offre al contempo punti di vista diversi.

[90] Il Governo degli Stati Uniti incoraggia fortemente l'approccio open source alla biotecnologia, particolarmente se attuato su biobanche di vasta scala, come i progetti sul genoma pubblicamente finanziati come l'International HapMap Project e il 100 Genomes Project.

[91] Anne Cambon-Thomsen, Assessing the Impact of Biobanks, 34 Nature Genetics" (2003), 25-26.

[92] Timothy Caulfield [et al.], Research Ethics Recommendations for Whole-Genome Research: Consensus Statement, 6 Public Library of Science. Biology e73, 430, 434, 2008, <http://www.plosbiology.org/article/info>.

[93] Bradley Malin - D. Karp - R. H. Scheuermann, Technical and policy approaches to balancing patient privacy and data sharing in clinical and translational research, "Journal of Investigative Medicine", 58 (2010), 1, p. 11-18, <http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed>.

[94] Il 19 novembre 2010 a Montecitorio il giovane scienziato giapponese e biologo per caso (inizialmente era un ortopedico), riceverà il prestigioso premio Balzan 2010, per l'idea, presentata nel 2006 e concretizzata in soli quattro anni: non usare embrioni umani per costruire cellule staminali e riparare così i tessuti, ricominciando dal principio.

[95] Kazutoshi Takahashi - Shinya Yamanaka, Induction of pluripotent stem cells from mouse embryonic and adult fibroblast cultures by defined factors, "Cell" 25 (2006), 126, 4, p. 663-76. Epub 2006 Aug 10, <http://www.cell.com/abstract/S0092-8674(06)00976-7>.

[96] <http://sciencewatch.com/inter/aut/2009/09-jun/09junYama/>.

[97] The Business of Bodies di Dorothy Nelkin (sociologa alla New York University ed esperta di scienza e società, scomparsa nel 2003), <http://www.project-syndicate.org/commentary/nelkin2/English>.

[98] M. Macilotti [et al.], cit.

[99] I prezzi, da quanto si evince dai siti esaminati, si aggirano dai sui 2.500 € per l'invio di un kit per la raccolta del cordone, che deve essere inviato alla banca nel giro di 20 ore, dove verrà congelato. Sono inclusi nel prezzo gli esami iniziali e i trattamenti per la conservazione. Poi sono necessari dai 95 ai 100 € all'anno aggiuntivi. I punti si riflessione che emergono sono: a) costo a carico dei genitori che preferiscono la via estera della banca privata per una conservazione autologa, piuttosto che la banca cordonale pubblica; b) sottoscrizione di un contratto pluriennale via Internet; c) invio per posta del kit per il prelievo e trasporto (cordone); d) conservazione privata del campione senza previa tipizzazione HLA; e) il cordone senza tipizzazione non viene iscritto sul registro internazionale dei campioni donabili.

[100] I costi si aggirano da 6mila € a iniezione di staminali "manipolate" e fino a 50mila € per intervento. I benefici – in parte solo apparenti e laddove esistenti temporanei - nel giro di qualche mese svaniscono del tutto.

[101] Jane Qiu, Trading on hope, "Nature Biotechnology" 27(2009), p. 790-792, <http://www.nature.com/nbt/journal/v27/n9/abs/nbt0909-790.html>.

[102] La lista Supplementary Table 1 Clinics, companies and online referral centers promoting unproven stem cell treatments, è estratta da Lau [et al.], Cell Stem Cell 2009, Kiatpongsan and Sipp, Science 2009, and Stanford University Program on Stem Cells in Society, Stanford, California, <http://www.nature.com/nbt/journal/v27/n9/extref/nbt0909-790-S1.doc>.

[103] C. 361 Volonté - C. 548 Bertolini - C. 961 Colucci - C. 1214 Di Virgilio - C. 2040 Mosella, <http://documenti.camera.it/leg16/dossier/Testi/AS0086a.htm>.

[104] Memoria presentata da Antonella De Robbio all'audizione dell'11 novembre 2009 alla Camera del Parlamento XII Commissione Affari Sociali, "Punti critici che emergono da un'analisi e lettura delle siti Web relativi alla raccolta e utilizzo di cellule staminali: lo specchio virtuale di un reale fenomeno informativo a forte impatto sociale".

[105] Elinor Ostrom, Governing the commons. The evolution of institutions for collective actions, Cambridge, Cambridge University Press, 1990.

[106] Termine traducibile in italiano come "beni comuni", risorse naturali (l'aria, l'acqua, una spiaggia, un terreno pubblico, la stessa internet) che, per le loro caratteristiche intrinseche, sono beni fisici utilizzabili da più individui in condivisione.

[107] Garret Hardin, The Tragedy of the Commons, "Science", 162 (1968), p. 1243-1248, <http://dieoff.org/page95.htm>.

[108] Giuseppe Vitiello, Open access, biblioteche e strategie italiane per i commons della conoscenza, Biblioteche Oggi, 28 (2010), 2, <http://www.bibliotecheoggi.it/content/20100206201.pdf>.

[109] Joseph Stiglitz - John Sulston, The Case Against Gene Patents. Genetic sequences are naturally occurring things, not inventions. No company should be allowed to monopolize research on them, "The Wall Street Journal", 16 aprile 2010. L'articolo accessibile solo a pagamento; un abstract è disponibile all'indirizzo <http://online.wsj.com/article/SB10001424052702303348504575183982493601368.html?mod=WSJ_latestheadlines>.

[110] Patently Complicated: Case Studies on the Impact of Patenting and Licensing on Clinical Access to Genetic Testing in the United States, "Genetics in medicine" 12 (2010), 4 – Supplement, p. S1-S211, <http://journals.lww.com/geneticsinmedicine/toc/2010/04001>.

[111] La conoscenza come bene comune. Dalla teoria alla pratica, a cura di Charlotte Hess e Elinor Ostrom. Edizione italiana a cura di Paolo Ferri. Premessa di Fiorello Cortiana, Milano, Bruno Mondadori, 2009.




«Bibliotime», anno XIII, numero 3 (novembre 2010)

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