«Bibliotime», anno XII, numero 2 (luglio 2009)


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Complessità e consumo sociale




È difficile, nell'odierno contesto socioculturale, sottrarsi a una sensazione di addensamento fenomenico, se è vero che ci troviamo a vivere in una realtà caratterizzata da una moltitudine di eventi, di attività, di iniziative d'intensità sempre crescente. Ed è altrettanto evidente che tutto ciò sia il prodotto dell'immersione in un'indefinita e onnipotente plaga tecnologica, che accompagna, sorregge e spesso determina la nostra esistenza.

Se questo è vero, è allora necessario comprendere quanta parte della variabile tecnologica è intrinsecamente connessa alla vita degli individui, e quanta invece non appare come un eccesso, una superfetazione o addirittura un mito da rincorrere senza posa, al pari delle leggende sulla sete di immortalità e il desiderio di eterna giovinezza degli umani. Per averne una riprova, si leggano le seguenti parole del celebre inventore e futurologo Raymond Kurzweil:

La tecnologia ci renderà immortali? Oggi un computer grande quanto un chicco di grano impiantato nel cervello può sostituire le funzioni neuronali danneggiate dal morbo di Parkinson. Tra il 2020 e il 2030, milioni, forse miliardi di robot simili a cellule del sangue abiteranno il nostro corpo e saranno in grado di scovare e combattere virus e infezioni. Non è una garanzia di immortalità, ma poco ci manca. [...]. L'umanità sta per diventare trans-biologica [...]. Secondo i miei calcoli, tra meno di due decenni, ogni anno la nostra aspettativa di vita aumenterà di circa dodici mesi. Sarà possibile riprogrammare i processi biologici e fermare l'invecchiamento. Saremo anche in grado di catturare le informazioni nel nostro cervello che definiscono la nostra personalità. Come i dati di un computer, anche ricordi e competenze saranno conservati e recuperati se la macchina si rompe. È il rovesciamento della metafora del tempo che scorre via inesorabile. In Fantastic Voyage e nel nuovo libro Transcend, io e Terry Grossman descriviamo le tre fasi verso una radicale estensione della vita. La prima è quello che possiamo fare fin da ora per alterare la biochimica del nostro corpo e rallentare l'età che avanza. La seconda ci condurrà alla rivoluzione biotecnologica per poi arrivare alle nanotecnologie che permetteranno di andare oltre la biologia e ricostruire corpi e cervelli a livello molecolare [...]. Tanta gente guarda al futuro con pessimismo perché pensa ancora in modo lineare e non vede la crescita esponenziale di queste tecnologie emergenti. Il futuro sarà estremamente interessante e voglio essere qui a godermelo. [1]

E se in questo brano è difficile comprendere dove finisca la tecnolatria e dove inizi l'utopia, è tuttavia evidente che le stesse affermazioni costituiscano un esempio di coinvolgimento incondizionato, di assimilazione onnicomprensiva e totalizzante con cui è impossibile non confrontarsi: occorre insomma abbracciare fideisticamente queste prospettive, o rigettarle radicalmente per tornare a un irenico stato di natura, grazie al quale recuperare una dimensione più fondamentale e "umanistica" della realtà?

Un dilemma del genere porta ancora una volta a rievocare l'annosa contrapposizione tra apocalittici e integrati, su cui molto è stato scritto, [2] senza che una posizione intermedia, tipicamente ispirata alla moderazione e al buon senso, sia stata accolta e perseguita da un numero ragionevole di osservatori.

Ora, tale situazione appare tanto più rilevante se si pensa che l'odierno overload tecnologico è intrinsecamente legato alla dimensione informativa, come ben sanno bibliotecari e documentalisti, che con tale sovraccarico fanno i conti quotidianamente. E tuttavia questo problema - come osserva Graziano Cecchinato nel suo brillante contributo ospitato nel presente numero di Bibliotime - può essere aggredito da un altro e assai interessante punto di vista, cioè quello volto a riconoscere l'utilizzo "sociale" delle tecnologie dell'informazione: difatti, puntualizza l'autore "la vera portata di ogni nuovo strumento di comunicazione appare con l'uso sociale, spesso imprevedibile, che ne fa emergere la reale natura e che altrettanto spesso risulta del tutto diversa da quanto concepito dai suoi ideatori".

E infatti è proprio questa "reinvenzione" sociale delle tecnologie dell'informazione che le trasforma da regno esclusivo di pochi a strumento di uso comune, non solo provocando un radicale reindirizzamento di contenuti e finalità, ma determinando un coinvolgimento prima inimmaginabile degli individui che con esse vengono a contatto. Si tratta di una vicenda, prosegue l'autore, che trova la sua prima, formidabile espressione nei dipinti rupestri paleolitici, per dipanarsi poi nelle grandi tappe che hanno segnato lo sviluppo della comunicazione e dei suoi strumenti, dalla nascita dell'alfabeto all'invenzione della stampa, dall'avvento del computer all'esplosione di Internet, per arrivare a quel fenomeno di impiego diffuso degli strumenti di rete che non a caso prende il nome di social networking.

Se questa appropriazione di massa delle tecnologie – ed in particolare quelle di rete - è ciò che caratterizza la realtà odierna, non per questo meno importante è la loro applicazione ai più diversi contesti informativi e scientifici. Ne dà un'ottima rappresentazione l'articolo di Luca Schiavon, il quale esamina con ampiezza di particolari l'utilizzo che nel campo della biomedicina si sta facendo degli strumenti tipici del Web 2.0 quali blog, wiki e così via. Pur non sottacendo gli aspetti negativi che tale impiego comporta (in particolare la possibilità di appropriazione "dolosa" delle ricerche e delle scoperte altrui), l'autore mette in luce gli elementi positivi legati a tali iniziative, consistenti da un lato nell'ampia e immediata circolazione delle conoscenze, dall'altro nelle possibilità di collaborazione "remota" fra studiosi appartenenti a comunità e paesi diversi, e al tempo stesso sottolinea il valore "sociale" di queste esperienze, dal momento che a tutti gli utenti della rete è concesso di fruire di una gamma d'informazioni biomediche rilevanti e qualificate.

E tuttavia la complessità che domina l'attuale dimensione – tecnologica, scientifica e per dir così socioesistenziale – può essere declinata anche in altre forme, apparentemente distanti da quelle che i bibliotecari e gli studiosi dell'informazione hanno da sempre praticato: ed è ciò che propone l'intervento di Graziella Tonfoni che, in un'inedita quanto appassionata autoanalisi, effettua un'approfondita disamina dei suoi stessi testi scientifici, analizzandoli in base alle esperienze teorico-pratiche che li hanno ispirati, ma rileggendoli alla luce di quell'addensamento informativo e gnoseologico di cui, come si è detto, la nostra realtà è impregnata. [3] Ed è interessante che le conclusioni – del tutto autoctone e personali - a cui giunge la studiosa, appaiono in realtà equivalenti a quelle sostenute dai fautori dell'accesso aperto, se è vero che la stessa autrice si dice convinta che "testi tuttora giacenti e non in stampa", e dunque "non accessibili al prestito concettuale", potranno "acquisire un valore di riferimento a sé. In modalità open source".

Ma se l'odierno panorama dell'information technology risulta così ampio e diversificato, è anche a causa del moltiplicarsi di iniziative volte a riconvertire i tradizionali strumenti conoscitivi verso dimensioni inedite e originali. Un esempio è dato da ciò che accade al più convenzionale, resistente e finora insostituibile fra questi strumenti, vale a dire il libro: difatti quest'ultimo, pur mantenendo intatte quelle caratteristiche che ne hanno fatto il veicolo per eccellenza di diffusione del sapere, va incontro ad una inevitabile metamorfosi nel momento in cui viene tradotto dal consolidato formato cartaceo all'innovativa veste digitale.

E proprio questa situazione è oggetto dell'ampio e approfondito saggio di Antonella De Robbio che, con la consueta acribia e competenza, analizza l'intricata vicenda delle "digitalizzazioni di massa" realizzate tanto da soggetti privati come Google, quanto da consorzi più o meno istituzionali qual è l'Open Content Alliance, [4] e mette luce, per ognuna di esse, non soltanto gli aspetti positivi ma anche le difficoltà e le ambiguità da cui sono caratterizzate, in particolare sotto il profilo giuridico e della gestione dei diritti.

A completare quest'ampia rassegna che l'attuale numero di Bibliotime propone ai suoi lettori, si pone il lucido resoconto di Maria Teresa Miconi sul sesto workshop dell'Open Archives Initiative (OAI), in cui sono state dibattute le ultime tendenze relative all'open access, e dove peraltro è stato attribuito un importante riconoscimento al lavoro svolto in questi anni dai creatori e dagli sviluppatori di E-Lis, l'ormai noto e autorevole open archive di biblioteconomia e scienze dell'informazione.

Ma non vorremmo che, in un numero così ricco e stimolante, passasse inosservato un contributo come quello di Anna Maria Brandinelli, che solo in apparenza si distacca dal contesto. Esso infatti ripercorre (nel ricordo critico di chi di quell'iniziativa fu un'attiva protagonista) le vicende legate alla nascita e allo sviluppo di una delle prime esperienze di cooperazione fra biblioteche pubbliche nella provincia di Bologna: un'esperienza per molti versi fondativa, i cui legami con la dimensione odierna - tecnologicamente, ma soprattutto socialmente connessa - appaiono quanto mai evidenti.

Michele Santoro


Note

[1] Raymond Kurzweil, La tecnologia ci renderà immortali?, "D - La Repubblica delle Donne", n. 650, 13 giugno 2009, p. 19, disponibile online a partire da <http://periodici.repubblica.it/d/?num=650>.

[2] Anche ad opera dell'autore della presente nota, nel suo Biblioteche e innovazione. Le sfide del nuovo millennio, Milano, Editrice Bibliografica, 2006.

[3] Si tratta, in realtà, di un tema su cui anche il mondo bibliotecario sta cominciando a riflettere, se è vero che il quarto incontro dal titolo "La biblioteca apprende", che si terrà a Coira (Svizzera) dal 6 all'8 settembre 2009, discuterà del seguente argomento: "Arraffasapienza: incapacità o cambiamenti di modelli? L'attuale sfida per le biblioteche e i loro partner sta nel processo ell'elaborazione/scrittura dei testi a livello scientifico". Maggiori informazioni al riguardo all'indirizzo <http://www.lernendebibliothek2009.ch/fileadmin/user_upload/dokumente/LB2009_CfP_it.pdf>.

[4] Come scrive l'autrice, l'Open Content Alliance (OCA) è "un consorzio accademico aperto basato su una partnership di biblioteche e sponsor aziendali sotto l'amministrazione dell'Internet Archive".



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