Breve storia di una grande invenzione: il Consorzio provinciale di pubblica lettura di Bologna
Il Consorzio provinciale per il servizio della pubblica lettura e del prestito librario nasce il 28 dicembre 1958 con l'approvazione dello Statuto da parte della Provincia di Bologna, socio proponente, e l'adesione suggerita a tutti i Comuni. La Prefettura ne decreta la costituzione il 30 dicembre 1958, con l'adesione di 50 Comuni su 60. Si trattava di comuni di dimensioni diverse, di montagna come di pianura, vicini o lontani ai quattro centri che già disponevano di biblioteche: Bologna, Imola, Budrio e San Giovanni in Persiceto. Non aderirono inizialmente Bologna, Budrio, Castiglione dei Pepoli, Gaggio Montano, Granaglione, Medicina, Molinella, Monghidoro, Monzuno, San Benedetto Val di Sambro. Nel 1959 il comune di Bologna aderì con un milione di lire di contributo; associato al Consorzio per alcuni anni, ne rimase sostanzialmente estraneo, e sviluppò una rete propria di biblioteche, ugualmente ispirate alle public libraries.
La creazione di un ente sovracomunale autonomo, con personalità giuridica, aveva richiesto un lungo lavoro. Si incominciò nel 1957: lo statuto doveva venire sostenuto dagli enti locali, ma essere anche gradito al Ministero della Pubblica istruzione, cioè alla Soprintendenza bibliografica, suo organo, e alla Prefettura, ufficio territoriale del Governo. Lo statuto venne pazientemente rielaborato, e il 7 dicembre 1957 la Provincia lo inviò ai Comuni con proposta di adesione al costituendo consorzio.
Il 1° aprile 1959 la prima Assemblea dell'ente, membri i Sindaci dei Comuni aderenti e dieci rappresentanti della Provincia, elesse il Consiglio direttivo, composto da Carlo Maria Badini, Assessore, Vito Garbesi, professore universitario, Lina Anghel, giornalista, Odoardo Bertani, delegati della Provincia; come delegati dei Comuni: Dino Betti per Savigno, Lidia Alpi, maestra, per Castel San Pietro, Bruno Drusilli per Lizzano in Belvedere, Armando Marzocchi, maestro, per San Giovanni in Persiceto, Gino Nenzioni, direttore di biblioteca, per Bologna. I nove consiglieri scelsero nel proprio seno e proclamarono Presidente Carlo Maria Badini.
Mancato nel febbraio del 2007, Badini era allora Assessore alla Pubblica istruzione per la Provincia, carica che tenne dal 1951 al 1964. Nel 1964 divenne Soprintendente al Teatro Comunale, ma lasciò la Presidenza del Consorzio solo nel 1976 per dedicarsi interamente alla musica. Sarà, dal 1977 al 1990, uno straordinario Soprintendente al Teatro alla Scala. Innovatore, vitale, diretto, era un mediatore pragmatico ma esigente. Il Consorzio fu un buon banco di prova per la sua creatività: richiese autorevolezza verso i Sindaci, peso politico nella Giunta provinciale, ascolto da parte ministeriale.
La presentazione di Carlo Maria Badini dello Statuto del nuovo ente al Consiglio provinciale è di ispirazione turatiana. Lo stesso termine consorzio ricalca l'esperienza milanese del Consorzio delle biblioteche popolari, datata 1903, ideatore e ideologo Filippo Turati, organizzatore Ettore Fabietti. La sostanza della presentazione nulla ha perso della sua validità:
Il provvedimento che ci accingiamo a prendere in esame... è certamente destinato a incidere positivamente nella vita delle popolazioni della nostra Provincia, con la stessa forza e efficacia con cui le soluzione di un problema di viabilità o di bonifica o di industrializzazione può portare allo sviluppo sociale di una plaga o di un borgo. Il problema della diffusione della cultura, intesa nella sua duplice accezione umanistica e tecnica, è certamente importante e non può essere giudicato subalterno rispetto a quelli del progresso tecnico; anzi, in un mondo in cui sempre più vasti orizzonti scientifici si aprono, anacronistica diviene una situazione di bassa o insufficiente conoscenza culturale.
A un tale stato di cose noi vogliamo porre rimedio attraverso un istituto che consenta di far pervenire la conoscenza culturale anche nel più sperduto borgo montano o nella più isolata cascina di campagna.
L'ente ereditava compiti e patrimonio dalle reti di prestito di Imola e di Bologna del Servizio nazionale di lettura. Approvato tra il 1952 e 1953 dalla Direzione generale accademie e biblioteche del Ministero della Pubblica istruzione, per impulso della ispettrice Virginia Carini Dainotti, il Servizio avrebbe dovuto svilupparsi su tutto il territorio, facendo capo alle biblioteche di capoluogo, ma spartiva risorse esigue con altri due organismi: l'Ente Biblioteche Popolari e Scolastiche, di fondazione fascista, rinverdito nel 1949; i Centri di lettura creati nel 1951 dal Comitato centrale per l'educazione popolare del Ministero P.I., con libri di osservanza cattolica. La rete di Imola del Servizio nazionale era attiva dal 1954 presso la Biblioteca comunale, estesa anche al Ravennate; meno sviluppata quella di Bologna, presso la Biblioteca Universitaria.
Il Consorzio iniziò l'attività con quattro incaricati: il direttore Giuseppe Guglielmi, un bibliotecario-distributore, diplomato, due assistenti di biblioteca, con licenza media. Il bilancio era modesto, ma Badini riusciva a ottenere fondi speciali. Nel 1959 ad esempio, il Ministero erogò un contributo di 500.000 lire per gli uffici nella ex mensa dei dipendenti della Provincia, in via Zamboni. Ancora, nel 1967 ottenne 3.000.000 di lire per l'acquisto di scaffali e 7.275.600 per l'acquisto libri, che raggiunsero le 55.000 unità. Lo Statuto del 1958 affida al Consorzio il compito di
diffondere la lettura in tutti i centri della provincia nei quali le Amministrazioni comunali non abbiano la possibilità di impiantare o mantenere una Biblioteca propria, oppure in quelli in cui le stesse Amministrazioni ad integrazione delle Biblioteche già impiantate, desiderino ottenere l'invio di opere di lettura e di studio.
Nel corso del 1959 viene avviato l'"allacciamento" dei Comuni al servizio di prestito. Così Badini definiva l'avvio del servizio, in voluta analogia ai servizi di elettricità ed acqua, che tutti erano allora impegnati a sviluppare. La strumentazione tecnica per diffondere la lettura non è proprio innovativa:
il Consorzio: a) istituirà in ogni centro collegato un posto di prestito al quale invierà un nucleo, periodicamente rinnovato, di libri di vario argomento, adatti al livello di cultura degli utenti, e scelti in modo da assicurare alle popolazioni le più larghe possibilità di onesta informazione, di formazione professionale e civica, di buon uso del tempo libero; b) depositerà uno scaffale o armadio di consultazione ed una dotazione fissa di dizionari, enciclopedie, manuali tecnici, ecc., in ogni comune consorziato dove l'Amministrazione abbia messo a disposizione un apposito locale per il posto di prestito ed abbia assicurato la presenza di un depositario incaricato di tenere aperto il posto di prestito con un orario di almeno due ore giornaliere; c) procurerà di ottenere dal Ministero della Pubblica Istruzione il trattamento riservato alle Biblioteche pubbliche dipendenti da Provincie, da Comuni e in genere da Enti morali dall'articolo 24 del regolamento per il prestito dei libri e manoscritti delle Biblioteche pubbliche governative approvato con Regio Decreto 25 aprile 1938, n. 774 [una sorta di prestito interbibliotecario].
In quanto a risorse del servizio, tempi grami. L'impegno quotidiano dell'incaricato del Centro bibliotecnico assicurava un unico "cambio libri" di 40-50 volumi in ciascuno dei 62 posti di prestito, presenti anche in frazioni e centri sociali. L'anno successivo i posti salgono a 72, l'organico è sempre di un unico bibliotecario-distributore. Il Consiglio direttivo approva nel 1963 un nuovo metodo per rinnovare la dotazione dei posti di prestito. Non si sarebbero più spostate le stesse cassette da un posto all'altro: il bibliotecario-distributore avrebbe scelto altri libri dalla collezione del Centro e aggiunto i desiderata dei lettori. Si intensificava la rotazione e si personalizzavano le proposte.
Nel 1964, il Consorzio volle sperimentare la forma più "avanzata" di servizio prevista nello Statuto all'articolo sopra citato, insieme ad alcuni Comuni che procurarono locali e indicarono chi poteva assicurarne l'apertura con un compenso più che modesto. La Giunta Provinciale Amministrativa (GPA), che esercitava il controllo di legittimità sugli atti degli enti locali, contestò invano la sperimentazione - otto sale di lettura erano operative nel 1968 - che continuò anche dopo l'istituzione delle prime biblioteche nel 1970.
Nel 1966 viene approvato un nuovo Statuto. Come proposto da Badini, la Provincia affronta la questione delle biblioteche come se fosse un "problema di viabilità o di bonifica o di industrializzazione", materie sulle quali ha competenza da tempo. Si ribadisce il diritto a investire nelle strutture culturali e ad assistere i Comuni nella gestione, anticipando l'azione assegnata dalla Costituzione alle Regioni. L'articolo 2 ripartisce così i compiti:
Per la realizzazione [della biblioteca pubblica] il Consorzio solleciterà i Comuni aderenti a mettere a disposizione il terreno e la Provincia a provvedere alla costruzione di fabbricati ed agli arredi di primo impianto.
Oltre ai contributi ordinari degli associati, di entità stabilita dall'Assemblea, lo Statuto prevede quote per la gestione ordinaria delle biblioteche, all'articolo 5:
saranno a carico degli enti consorziati nella misura del 50% per la Provincia e nella misura del 50% per ogni singolo Comune interessato, le spese di funzionamento (personale, riscaldamento, luce, acqua) delle biblioteche.
Il meccanismo vincola la Provincia all'aumento automatico della spesa corrente per ogni nuova biblioteca, un incentivo formidabile per i Comuni. Coerentemente, si avviarono anche piani di investimento straordinario. Approvati nel 1968 e nel 1971, i primi due piani pluriennali di complessivi 315 milioni di lire (pari a 2.660.211,39 del 2008, secondo i coefficienti Istat di conversione), consentirono l'apertura di 19 biblioteche, da Porretta Terme nel novembre 1969 a Medicina nel 1976. Per comprenderne la portata, consideriamo che nel 2008 la Regione Emilia-Romagna ha deliberato 1.900.000,00 per tutte le sue biblioteche.
Orgogliosa dei risultati, nel 1973 la Provincia lanciò un piano di 300 milioni di lire (pari a 2.030.465,79 del 2008), per completare le prime biblioteche e aprirne altre 4, più 10 sale di lettura con raccolte minori, aperture limitate rispetto alle biblioteche, operatori incaricati dai Comuni, non più solo nelle frazioni, ma anche in diversi capoluoghi.
Innovare l'organizzazione delle biblioteche è stato proposito ineludibile per il Consorzio. Si presero a modello le biblioteche anglosassoni e nord europee, con scaffali aperti per un accesso diretto degli utenti a libri, riviste e quotidiani. Due donne suggerirono questa scelta, conquistate dalla facilità di accesso, semplicità d'uso, laicità e imparzialità della public library. La prima è Virginia Carini Dainotti, bibliotecaria d'azione, fautrice poco ascoltata di quel modello. La seconda è Luigia Candoni Risoldi (familiarmente Gina), Soprintendente bibliografico dell'Emilia Romagna e Marche, attiva nell'elaborazione dello Statuto e trasformazione della Rete di prestito.
Il presidente Badini propose di incaricare lo studio A/Z di Bruno Zevi, uno dei più autorevoli architetti italiani, di progettare il prototipo per nuove sedi bibliotecarie. La Provincia avrebbe realizzato la struttura, completa di arredi e dotazione libraria, su aree dei Comuni, come da Statuto. Nel gennaio del 1963 Zevi incontrò a Roma Badini e due consiglieri, di maggioranza e minoranza, e accettò con piacere di redigere il progetto, che presentò il 30 e 31 maggio al convegno L'edilizia e l'arredamento della biblioteca al Palazzo dell'Edilizia di Genova, parlandone poi su L'Espresso del 23 giugno.
La scelta dell'ordinamento, con accesso diretto ai libri, sistemati per materie, era compresa nell'ambizioso progetto di creare una sede accogliente, luminosa, essenziale ed elegante, di uso flessibile. Non si trattava di un disegno astratto: l'edificio per la Provincia di Bologna era la versione prefabbricata, di rapida realizzazione, del modello di biblioteca per un piccolo comune, inaugurato proprio nel 1963 come dono dell'editore Giulio Einaudi al Comune di Dogliani, in ricordo del padre Luigi, che là era nato.
Il prototipo dello studio A/Z venne presentato a Genova annunciando la costruzione, nel giro di due anni e per un importo previsto di 220 milioni, di 20 biblioteche in comuni già individuati. Il prefabbricato di Zevi purtroppo non fu mai realizzato. Perché un edificio fosse accogliente, non era sufficiente che fosse confortevole e accurato. Doveva avere anche facile accesso e visibilità, mentre i Comuni disponevano di aree fabbricabili solo in periferia. Sembrò quindi meglio studiare progetti "su misura" in edifici usati ma centrali. La prima biblioteca realizzata dalla Provincia e gestita dal Consorzio, inaugurata nell'autunno 1969 a Porretta Terme, si trova - tuttora - al piano terra del Municipio, nella centralissima Piazza della Libertà.
La Provincia affidò ai propri tecnici progettazione e direzione lavori per adattare locali esistenti a biblioteca, con il valore aggiunto di omogeneità stilistica ed economia di scala nell'acquisto degli arredi, piacevoli e moderni. Del modello Zevi si seguì l'organizzazione biblioteconomica e la flessibilità degli spazi, adatti a ogni forma di promozione del libro e della cultura.
Nel realizzare e gestire biblioteche la Provincia si impegnò a fondo: pagò, in conto capitale, progetti, interventi edilizi e di impianti, arredi e attrezzature, libri e periodici. Si addossò la spesa corrente: metà delle spese di gestione (luce, acqua, riscaldamento) e di retribuzione dei bibliotecari. Aveva responsabilità amministrative rilevanti: forniva al Consorzio segretario, servizi di ragioneria e amministrazione paghe. Copriva l'intera spesa del Centro bibliotecnico: aggiornamento delle collezioni, trasporti, affitto e gestione degli uffici, costi del personale, che per numero arrivò quasi a quello nelle biblioteche. I servizi centrali curavano acquisto e trattamento libri, gestione dell'inventario topografico meccanizzato, informazione bibliografica, programmazione di attività culturali e gestione pubblicazioni, trasporto di libri e attrezzature, aggiornamento del personale.
Nei primi dieci anni il Consorzio si focalizzò sulla formazione di una raccolta libraria centrale, varia e qualificata, per sviluppare il nucleo di 5.000 volumi ricevuto dalle reti di prestito di Imola e Bologna. Nell'archivio provinciale sono consultabili i registri di ingresso, scritti a mano come da Regolamento organico delle biblioteche pubbliche (in realtà: statali) italiane del 1907. Si riportano data e numero di accesso, fornitore o donatore, una descrizione con autore, titolo, anno e luogo di edizione, editore, formato e paginazione, prezzo. I registri consentono anche di apprezzare la qualità delle acquisizioni dell'ente.
Non esisteva allora una riflessione sistematica sulla formazione delle raccolte. Il Centro bibliotecnico era concepito come un'unica biblioteca, dalla quale venivano via via estratti gruppi di libri, depositati presso gli uffici comunali in armadi o nelle stesse "valigie" di trasporto, fra i quali scegliere volumi in prestito. Si potevano effettuare richieste specifiche, solennemente chiamate desiderata, che sarebbero arrivate con il giro successivo, normalmente dopo un mese. Le scelte erano facilitate dalla presenza, in ciascuna sede, della copia del catalogo a stampa delle opere possedute.
L'edizione del primo volume del Catalogo generale delle opere, deliberata il 2 aprile 1960, uscì nell'ottobre 1962. Come era organizzato il catalogo, progenitore di un moderno Opac, strumento di conoscenza del patrimonio e di prestito interbibliotecario? Dalla presentazione di Giuseppe Guglielmi, primo direttore del Consorzio:
Per ciò che riguarda la ripartizione in sezioni del materiale bibliografico [...] tale ripartizione è stata esemplata sul "Bollettino bibliografico" della Soprintendenza bibliografica di Bologna. Alla Signora dr. Luigia Risoldi, allora Soprintendente (dirige ora il Centro nazionale per il Catalogo Unico delle Biblioteche italiane, a Roma), dobbiamo dunque questo tipo di classificazione empirica, di notevole efficacia e approssimazione scientifica.
La sezione seconda [comprende] i classici, le opere di narrativa di poesia di teatro (nella narrativa sono compresi anche i romanzi gialli e i romanzi rosa, essendo risultato difficile escluderli dalla classe più ampia di "letteratura" e costituirne una sezione a parte, quando tra i loro autori appaiono nomi quali quelli di Georges Simenon, di Raymond Chandler o di Jane Austen).
Così, il lettore anche meno esperto, sarà posto facilmente in grado, ad apertura di catalogo, grazie alle indicazioni contenute all'indice, di sceverare le singole sezioni e consultare quella o quelle che più gli aggradono; parimenti, se conoscerà solo il titolo di un'opera, potrà scorrere l'indice dei titoli e risalire all'autore; e inversamente, dall'autore (scorrendo l'indice apposito) all'opera. In tal modo, il pubblico dei nostri lettori, non sentendosi più isolato o tagliato fuori dalla conoscenza del patrimonio che gli appartiene, potrà concepire le sue richieste con maggiore precisione bibliografica, spesso oggi mancante, e soprattutto con maggiore ricchezza e completezza di informazione.
Il catalogo è strutturato in dodici sezioni che raggruppano materie affini, quali: a) filosofia, pedagogia, psicologia, religione; b) classici, narrativa, poesia, teatro. ecc.
La descrizione dei libri posseduti a dicembre 1961 è essenziale, completa e graficamente chiara (autore in neretto, titolo in corsivo, note tipografiche e bibliografiche in corpo minore). Le "schede" sono ordinate, all'interno delle sezioni, in un'unica serie per autore. La descrizione precisa l'articolazione in più volumi e i titoli delle opere eventualmente comprese in ciascuno.I titoli del catalogo sono circa 8.300, e rappresentano oltre 24.000 volumi. Il Centro bibliotecnico ospitava molte copie dei libri più richiesti, in particolare di letteratura. Multiple anche le copie di vocabolari, dizionari, piccole enciclopedie, dotazione fissa delle sedi comunali: la loro descrizione, non direttamente funzionale al prestito "interbibliotecario", non compare a catalogo. Il numero di pagine delle diverse sezioni indica il carattere prevalentemente letterario del patrimonio (44% per gli adulti, 13% per i ragazzi), filosofico-psico-pedagogico (7%), artistico e storico (entrambe al 6%). Le restanti sezioni, da scienze naturali a medicina, da economia a critica letteraria, da viaggi all'agricoltura o allo sport si dividono il 24% delle restanti pagine.
Il patrimonio veniva arricchito costantemente, con acquisti aggiornati, di qualità. Qualche cifra per dare un'idea: dai 12.458 volumi del 1960 si passa a 24.484 nel 1962, a 42.014 nel 1966, 156.238 nel 1976 e infine a 238.684 allo scioglimento: un incremento medio di oltre 9.000 volumi l'anno. La biblioteca del Centro possedeva almeno una copia dei libri non scolastici né specialistici pubblicati in Italia. Ogni settimana, una libreria di fiducia mandava in visione le novità librarie non accademiche, in gran parte acquisite fino agli anni Settanta. La riflessione sul profilo delle raccolte si impose con l'apertura delle biblioteche. La valanga di richieste di costosi atlanti di anatomia, dei testi di giurisprudenza e di economia, libri d'esame per gli universitari locali, impose limitazioni e accese discussioni con i colleghi di trincea, che usavano l'intera gamma di argomentazioni - equità sociale, opportunità politica, carità cristiana - per ottenere i testi richiesti.
Non erano però gli acquisti costosi per pochi utenti a sottolineare la crisi dei capitoli per libri. La spesa corrente, basata in sostanza sui contributi della Provincia, divenne insufficiente a sostenere completamento e aggiornamento delle dotazioni. Non si trattava più di integrare la raccolta centrale con le migliori novità, ma di arricchire ciascuna biblioteca in modo appropriato.
Le biblioteche avevano patrimoni di base (enciclopedie, dizionari, classici di letteratura, teatro e poesia; i principali testi di religione, filosofia e scienza; qualche manuale tecnico; saggi di storia, scienze sociali, psicologia, arte; atlanti) abbastanza simili a quello della già ricordata Biblioteca di Dogliani, il cui elenco di 5.000 titoli era apparso nel 1969 nella PBE come Guida alla formazione di una biblioteca pubblica e privata.
Il Consorzio era un'unica grande raccolta articolata nelle n sedi: prevedeva un patrimonio di consultazione e prestito "residente" in ogni biblioteca e sala, ciascuna caratterizzata in modo complementare rispetto alle altre. Si stava sviluppando, in modo intuitivo e casalingo, una organizzazione di tipo conspectus, (ovvero visione d'insieme, progetto di biblioteche universitarie americane), un coordinamento degli acquisti per realizzare aree di specializzazione nelle singole sedi, assicurando, come raccolta consorziale complessiva, una copertura il più possibile esaustiva delle pubblicazioni italiane non accademiche. Ciò assicurò, per un certo tempo, risposte esaurienti anche a richieste bibliografiche non banali, grazie al rapido trasporto dei libri, esternalizzato.
Ma dalla fine degli anni Settanta l'onere di metà della spesa di gestione delle biblioteche assorbì grandi risorse, prosciugando quelle per l'incremento dei libri. Il comma dello Statuto che garantiva l'impegno finanziario congiunto di Provincia e Comuni non includeva purtroppo la spesa per nuovi libri. Con la crescita numerica delle biblioteche, l'aggiornamento delle raccolte venne sacrificato alle spese per il personale, le attività promozionali, le sedi. Un piccolo risarcimento venne dall'invio da parte degli editori delle nuove pubblicazioni per l'attività di informazione bibliografica. Nel tempo però gli editori più importanti si fecero meno generosi, mentre continuarono ad arrivare testi dall'editoria accademica, religiosa e minore, poco adatti a biblioteche non specialistiche.
Ricevette particolari cure l'arricchimento della sezione ragazzi. A fine anni Sessanta l'editoria riproponeva titoli "storici" in veste poco invitante. La Fiera del libro per ragazzi, organizzata la prima volta dal 4 al 12 aprile 1964 nelle sale del Palazzo del Podestà, con solo 44 espositori, diverrà la più importante rassegna internazionale del settore, ospitando dal 1965 autori, editori ed illustratori dei cinque continenti nel nuovo quartiere fieristico. La Fiera, ora Bologna Children's Bookfair, ha avuto grande impatto sull'editoria italiana e sulle biblioteche pubbliche, svecchiando in profondità l'offerta. Il Consorzio fece conoscere in tutta la provincia le nuove proposte editoriali, organizzando per otto anni mostre itineranti molto ben accolte da bambini, genitori e insegnanti. Oggi nessuno immagina una biblioteca pubblica senza sezione ragazzi, anzi con Nati per leggere, progettato da bibliotecari e pediatri, si sostiene la lettura tra/per i bambini da zero a sei anni.
Alla fine degli anni Cinquanta nasceva in Italia l'interesse per la sociologia della cultura. Il Consiglio direttivo del Consorzio discusse a lungo di possibili indagini nel settore. Poté permettersi solo un'indagine statistica sulla lettura, che confermò tipologia di lettori e loro preferenze già raccontate dai "depositari incaricati" dei Comuni. Si puntò allora sulla promozione della lettura e delle biblioteche. Nel presentare al Consiglio provinciale i programmi del Consorzio, l'Assessore Badini citava con fiducioso orgoglio l'articolo 1 dello Statuto che stava portando all'approvazione:
il Consorzio [...] si propone di diffondere la lettura in tutti i centri della Provincia [...] e si avvarrà per questo - oltre che del posto di prestito e di consultazione - anche di "mostre, esposizioni, montaggi" e "dell'uso di tutte le moderne tecniche di presentazione del libro e di inserimento della biblioteca nella vita della comunità".
Il 16 gennaio 1962, il Consiglio direttivo incaricò il presidente Badini e il direttore Guglielmi di studiare "un vero e proprio piano di propaganda e pubblicità per il Consorzio secondo gli indirizzi e i mezzi più moderni". Nacque una campagna pubblicitaria diretta, con lettera a stampa di Badini e dei sindaci a tutte le famiglie, spedita dai Comuni, un manifesto sul quale debutta il logo del Consorzio, il forte, nitido occhio viola e turchino tracciato da Concetto Pozzati. Eleganti caratteri annunciavano il servizio di prestito e le manifestazioni culturali che l'avrebbero accompagnato.
Fu preparato un piano di conferenze, da ripetersi in circa 20 Comuni della Provincia. Nell'anno successivo il piano di manifestazioni si fa più ampio, con quasi ottanta manifestazioni affidate ad Andrea Emiliani sulla pittura contemporanea, Enzo Collotti sul nazismo, Michele Pantaleone su mafia e politica, Giampiero Cane sulla storia del jazz, Raniero La Valle sul Concilio ecumenico, Piera Degli Esposti con letture da Bertolt Brecht.
Così l'esordio. Impossibile citare tutte le attività che seguirono. Incontri con gli autori, presentazioni di libri, cicli di conferenze e di film sono oggi consueti. Non lo erano negli anni Sessanta. Neppure nel capoluogo si erano ancora veramente affermati le "manifestazioni culturali".
Come nascono gli eventi? Lo Statuto del 1966 istituiva Commissioni Tecniche Locali, per organizzare eventi approvati dalla Commissione Tecnica Centrale. La Normativa per il funzionamento delle biblioteche consortili del 1970 lascerà a direzione e personale l'elaborazione dei programmi culturali: scompare la Commissione Tecnica Centrale. La responsabilità politico-amministrativa è affidata, centralmente, al Consiglio direttivo, localmente, a Commissioni composte da bibliotecario, Sindaco, rappresentanti dei lettori. Il terzo Statuto del Consorzio, approvato nel 1980, politicizzò le Commissioni locali, nominate dai Consiglio comunali: meno creative delle precedenti, la loro convocazione era una formalità obbligata, spesso sterile. Sul processo di ideazione e decisione, centralistico nei primi anni del Consorzio, la discussione evidenzia tre problemi, divenuti ricorrenti: rapporto centro-periferia, cultura alta-cultura bassa, compatibilità economica.
Si organizzano mostre: La satira contro il fascismo; L'architettura nella città contemporanea; Aspetti della flora spontanea nel Bolognese; Leggere la scienza: la biologia, l'astronomia; Il problema dell'energia, associata alla crisi del 1973. Le mostre librarie: Avevo vent'anni (la condizione giovanile, con le Librerie Feltrinelli), Una stanza tutta per sé (letteratura al femminile, con la Librellula), Leggere il futuro (fantascienza), Il lettore infinito (libri per l'infanzia), rivelarono un insospettato mercato periferico.
Cicli di conferenze presentarono la Storia d'Italia Einaudi, peculiare per il coinvolgimento di altre discipline nello studio della storia e l'uso di nuove tipologie di documenti. La ricerca dell'identità locale, legata alla salvaguardia dei centri storici e del paesaggio si espresse anche in mostre di foto e documenti, ricostruzione di avvenimenti sociali, di usi e tradizioni. Questa attività suscitò un interesse specifico per la fotografia, la sua storia, il suo uso come strumento di indagine storica e conoscenza sociale.
Il Consorzio, che considerava le biblioteche agenzie educative complementari alla scuola, organizzò incontri tra insegnanti e l'universitario Gruppo di intervento nell'educazione linguistica, seguì con famiglie e scuola l'evolversi delle riforma e dei contenuti disciplinari. Manifesto e fumetto coloratissimi, disegnati da Wolfango sui Decreti delegati, illustrarono gli organi collegiali nella scuola lungo decine di colloqui.
Molti i corsi di lingue: inglese a diversi livelli, francese e tedesco; corsi per la licenza media inferiore, usando le 150 ore volute dai sindacati; centinaia di persone di ogni età ottennero miglioramenti sul lavoro o anche solo più autostima.
Cicli di film venivano proposti da tutte le biblioteche: poche sale, in provincia, proponevano film di qualità e i film veicolano discussioni appassionanti sulle forme espressive e su molti altri temi. Nel 1983 si affermò l'appartenenza delle biblioteche al mondo multimediale dotandole di televisori, videoregistratori, videocassette.
Si tennero concerti di Musica dal vivo con il Teatro Comunale; rassegne di giovani strumentisti; cicli di Avviamento all'ascolto della musica, coordinati da Luigi Rognoni; attività corali e lezioni strumentali. Appassionanti le ricerche di Roberto Leydi e Stefano Cammelli con i gruppi tradizionali di musica popolare. Strepitoso successo ebbe Rock vision: suoni e immagini dell'era elettrica da Bill Haley a David Bowie, un mix di suoni, critica, videoclip, "copiato" poi da MTV.
Qual'era la risposta di un pubblico non urbano come quello del Consorzio ad attività culturali più che urbane? Nei verbali del Consiglio direttivo aleggia spesso questa domanda. Eppure si pubblicano articoli entusiastici. Edoardo Sanguineti scrive su "Paese Sera" un reportage stupefatto per una vivacissima serata a Palata Pepoli, frazione che dista 11 chilometri dal suo capoluogo Crevalcore, che ne dista 36 da Bologna. Anche Alberto Arbasino scrive del Consorzio su "Il Giorno", ammirato per la qualità della raccolta libraria, l'informalità e l'accessibilità dei servizi di prestito, la frequenza di conferenze, proiezioni, dibattiti, nel contesto di un servizio "modellato su quelle [biblioteche] rionali londinesi che sono la negazione del paternalismo e della pedanteria".
Ripercorrendo ventisei anni di intervento culturale, ci si accorge di quanto positivamente si guardasse alla cultura. Nessun prodigio, ma si sente la fiducia con cui si faceva divulgazione, si discutevano novità nella ricerca storica, nell'indagine linguistica, negli studi economici. Che ciò avvenisse non attraverso uno strumento unidirezionale, sia pure potente come la televisione, ma in un contesto interattivo e di partecipazione, aveva un'efficacia sociale profonda, di cui quanti vi hanno preso parte sentono ancora il fascino.
Il maggior limite di quel lavoro sta nella diffidenza di parti del pubblico verso iniziative "della maggioranza". I bibliotecari ne erano consapevoli: se la presenza di conferenzieri o autori "della minoranza" rassicurava spesso sull'equilibrio della discussione, a volte i temi stessi erano percepiti come troppo "di sinistra" o, semplicemente, il sospetto permaneva. Ripetutamente, nei dibattiti consiliari le minoranze lamentavano incompletezze. A parte possibili pregiudizi in chi ordinava i libri, non era ampia l'offerta di una pubblicistica liberal-conservatrice, e quella di destra semi-clandestina. Non senza ragione però, in Consiglio provinciale o nei Consigli comunali, qualcuno chiedeva sempre perché non si parlasse, oltre che del Vietnam, anche del dissenso nei paesi dell'Est.
Il Consorzio è stato un pioniere nell'uso delle nuove tecnologie fin dai tempi dei mainframe. Il Catalogo generale delle opere, stampato nel 1962, non comprendeva l'indice per soggetti perché il Soggettario per i cataloghi delle biblioteche italiane, pubblicato nel 1956, era mal padroneggiato dagli stessi bibliotecari, perciò scarsamente familiare anche al pubblico colto. Offriva un solo accesso, formalizzato, al contenuto delle opere, era distante dal linguaggio naturale. Per facilitare a tutti la scelta delle letture e delle informazioni si voleva rendere accessibile il contenuto dei libri con un sommario non valutativo. Si affrontò la catalogazione semantica con il programma Kwoc (Key-word-out- of contest), sviluppato da IBM nel 1958.
Il Kwoc prevedeva l'indicizzazione permutata di una stringa di descrittori derivata dal sommario e dal titolo del libro. Costituiva una soluzione di facile lettura, poiché i descrittori comparivano nel contesto della frase che li aveva generati, chiarendone il significato. Si usò questo nuovo strumento per il Dizionario bibliografico, in 5 volumi, pubblicato dal Mulino sulla produzione libraria dal 1967 al 1971, e per la rivista trimestrale "L'informazione bibliografica", uscita dal 1975 al 1986, con circa 3000 titoli l'anno.
Nel 1972, contemporaneamente alla pubblicazione del Dizionario bibliografico 1967, vennero automatizzati gli strumenti per la gestione fisica dei documenti. Le schede topografiche, fino ad allora dattiloscritte, divennero schede perforate, con numero di inventario, codice di identificazione (o riferimento), titolo abbreviato, codice della biblioteca, numeri di classificazione (e collocazione), data di ingresso. Dalle schede si producevano tabulati inventariali alfabetici generali, per sedi e per classi. Le schede perforate, allegate in due copie a ogni volume, servivano allo scadenzario dei prestiti. Le biblioteche ricevevano tabulati aggiornati: generale, in funzione di catalogo autore-titolo; per classi, in funzione di catalogo topografico. Poiché l'organizzazione delle biblioteche era a scaffale aperto, con classificazione/collocazione di tipo Dewey, il tabulato topografico offriva scarne informazioni per materie.
Per le sue esperienze nell'automazione, il Consorzio fu interlocutore, fin dal 1979-80, del progetto SBN-Servizio Bibliotecario Nazionale per il catalogo collettivo e la rete delle biblioteche italiane fin dal suo esordio, impegnandosi in attività formative sul nuovo software e in un'approfondita analisi di fattibilità per la creazione di un polo SBN. Il territorio bolognese non disponeva però di una rete informatica di proprietà degli enti locali, e la connessione per almeno metà dei 59 Comuni aderenti al Consorzio sarebbe purtroppo costata circa 600 milioni di lire (oggi 842.206,92), circa l'intero contributo della Provincia. I 18 Comuni e la Provincia di Ravenna condividevano invece una rete informatica di gestione servizi amministrativi. L'ottimizzazione dei costi di connessione rese per loro sostenibile il progetto, e il Polo Bibliotecario di Ravenna fu il primo polo multiutente creato per SBN.
A fine 1984 venne presentato a Regione e IBC un progetto di riutilizzo dei dati gestionali e di informazione bibliografica, per creare un catalogo restrospettivo, singolo e collettivo. Si propose anche di trasferire all'IBC la redazione della "Informazione bibliografica", per catalogare con i nuovi metodi le novità librarie a livello regionale. (L'IBC - Istituto per i beni artistici e culturali, fu creato nel 1974 come strumento di programmazione regionale e organo di consulenza per gli enti locali. Dal 1983 ne fa parte la Soprintendenza regionale ai beni librari, per gestire gli interventi su biblioteche e archivi storici). Il progetto, ritenuto inizialmente interessante, fu seccamente accantonato nel corso del 1985 per la sua incompatibilità - finanziaria e tecnica - con la scelta ormai operativa di SBN.
Nella relazione al bilancio di previsione 1960, il Presidente Badini enunciò l'importanza della preparazione del personale dei posti di prestito:
a questa preparazione intendiamo rivolgere tutte le nostre cure ed energie perché codesti uffici capillari pensiamo rappresentino le terminazioni nervose del Consorzio, quegli strumenti capaci di dare concreta esecuzione ai nostri impulsi e alle nostre volizioni e di registrare istantaneamente le necessità immediate dell'utenza, trasmettendocele.
Fu grande la cura del Consorzio per la selezione, formazione e aggiornamento degli addetti, con una visione anticipatrice del ruolo delle risorse umane in servizi ad alto valore aggiunto, quali biblioteche e altri dell'area socio-culturale.
L'assunzione del personale per il Centro era avvenuto con concorsi tradizionali. Le sale di lettura e i posti di prestito venivano gestiti da incaricati locali, spesso dipendenti comunali o scolastici, quasi sempre a titolo non oneroso, a volte con un piccolo compenso. Nel 1970 era stata approvata la Normativa sul funzionamento delle biblioteche consortili, che prevedeva la seguente Norma transitoria:
Per un periodo sperimentale di 2 anni sarà provveduto all'espletamento del servizio mediante incarichi. Per il solo trattamento economico sarà fatto riferimento alla carriera di concetto dei dipendenti dell'Amministrazione provinciale. La parte normativa, invece, sarà disciplinata con l'atto di conferimento dell'incarico.
Furono incaricati giovani "locali", per lo più laureati o studenti universitari (Porretta Terme, Crevalcore, Castiglione dei Pepoli, Bazzano), successivamente assunti in via definitiva con concorso, in base ad accordi sindacali nazionali. Nel 1974 e nel 1976 si svolsero due corsi-concorso, per l'assunzione di operatori culturali il primo, di documentalisti il secondo. Prevedevano una selezione per l'assegnazione di borse di studio, frequenza di corsi, attività di ricerca, lavoro teorico e pratico per sei mesi, infine verifica di idoneità, preliminare all'assunzione.
Il primo corso era per operatori sociali e culturali. Leggere la realtà della comunità nella quale si inseriva la biblioteca, sotto il profilo culturale e in dimensione storica; indurre una nuova comprensione dei prodotti culturali a stampa e audiovisivi, introducendo forme collettive di comunicazione (conferenze, incontri, mostre, ricerche), anche per stimolare la produzione di elaborati culturali propri: questa l'articolazione del lavoro che si affidava ai nuovi operatori. Nella presentazione dei corsi, in "Pubblica lettura", 2 (1974), si auspica che i nuovi assunti siano in grado di
generare nuovi processi della cultura, valorizzando quanto vi sia di originale, di nuovo e di creativo all'interno di ogni forza socialmente produttiva. Si vuole assegnare un ruolo specifico all'operatore culturale, per l'azione che svolge organicamente nel suo contesto sociale [...], rivolta verso ogni forma di pensiero, idea o concetto, per coglierne o potenziarne le capacità autonome e originali di produzione intellettuale, al di fuori degli schemi vincolativi della cultura e dell'ideologia dominanti.
Si tennero seminari sul movimento operaio e contadino, sulle istituzioni religiose, sui rapporti fra cultura egemone e culture subalterne, e vennero svolte ricerche in biblioteche e archivi sulle risorse documentarie territoriali associate a quei temi. A fine corso i partecipanti, pur un po' frastornati, giudicarono utile la riflessione collettiva sui molteplici apporti che avevano influenzato le situazioni culturali nelle quale dovevano operare. La condivisione di momenti formativi finalizzati sembra generare spirito di squadra e maturazione di una identità professionale, singola e collettiva, favorevole allo sviluppo cooperativo di una rete di servizi. Difatti anche il secondo corso, nonostante gli argomenti specialistici - linguaggi documentari in relazione agli sviluppi, recentissimi, dell'informatica - portò a un inserimento efficace nell'organizzazione consortile.
L'aggiornamento costante e l'organizzazione unitaria del personale, vera forza dell'ente, hanno marcato positivamente la vita delle biblioteche comunali anche oltre lo scioglimento del Consorzio. L'organizzazione del lavoro prevedeva per gli operatori un orario di servizio in biblioteca di 30 ore settimanali, con aperture pomeridiane prevalenti, su 36 di lavoro. Le ore a biblioteca chiusa consentivano di organizzare, in un arco mensile, incontri esterni (amministratori, scuole, associazioni, librerie) ed interni (riunioni organizzative, seminari di aggiornamento, etc.).
Dal 1978, nell'imminenza della legge regionale, si rivide l'organizzazione del Consorzio, istituendo nuove figure di bibliotecari, coordinatori dei sistemi intercomunali oppure dei nuovi servizi centrali. In vista del concorso, svolto poi nel 1982, si tennero corsi di legislazione bibliotecaria, biblioteconomia e bibliografia, sociologia e storia della cultura, comunicazioni di massa.
Negli stessi anni si rinnovava l'AIB - Associazione Italiana Biblioteche, che svolse attività scientifica ridefinendo caratteri, servizi, standard di funzionamento della biblioteca pubblica in Italia. Una pubblicistica nuova includeva, nel profilo e nella formazione professionale, temi di comunicazione, edilizia, organizzazione e gestione.
Il personale del Consorzio, molto sindacalizzato, voleva conoscere ogni atto dell'Amministrazione, in modo spesso costruttivo, a volte sospettoso. Il conflitto si fece acceso di fronte allo "scioglimento strisciante": la Provincia stava allentando il proprio l'impegno, molti Comuni finanziavano e gestivano ormai in proprio i servizi bibliotecari. C'erano difficoltà oggettive: la doppia autorità alla quale erano esposti gli operatori delle biblioteche, fra indicazioni della direzione e richieste delle autorità comunali, spesso non coincidenti; la laboriosità nelle comunicazioni tra Comuni, Consiglio direttivo, direzione, operatori; la difficile conciliazione fra orari d'apertura basati sulle esigenze degli utenti e trasporti pubblici, drammatici per pendolari atipici. Non ci fu mai ostruzionismo sindacale né autoritarismo: la dialettica tra Consiglio e personale fu utile per affinare l'analisi dei problemi e dettagliare le soluzioni, migliorando gli strumenti organizzativi.
Dell'intensa attività culturale nelle biblioteche del Consorzio resta nell'Archivio provinciale un'ampia pur se non completa documentazione di manifesti, inviti, fotografie. La centralità della comunicazione segnò un punto di vista nuovo, forse volutamente trascurato da istituti più accademici, volti più a selezionare che a cercare e accogliere nuovi pubblici. Si è ricordata la prima campagna pubblicitaria, con manifesti e lettere a casa, esordio di una linea di comunicazione con il marchio disegnato da Concetto Pozzati: il grande occhio azzurro e viola diventò il logo di tutti i manifesti, locandine, inviti, cartelline, andava a spasso sulla fiancata dal furgone per la consegna dei libri e fu l'insegna delle biblioteche nell'intera provincia.
Indimenticabile la collaborazione con grandi grafici come lo stesso Pozzati, Albe Steiner, Massimo Dolcini, Walter Herghenrother, nitido e paziente impaginatore di tutte le pubblicazioni. La prima campagna fotografica sulle biblioteche venne affidata a Paolo Monti. I manifesti si ispiravano alle copertine dei libri Boringhieri, Feltrinelli, Einaudi, Il Mulino. Si saccheggiavano volumi di grafica e design, cercando soluzioni economiche ma graficamente pulite, replicando ad libitum il magico occhio di Pozzati. Per l'inaugurazione della biblioteca di Porretta furono messe in vendita in paese le cartoline degli interni.
Si capì che la biblioteca comunica attraverso i suoi spazi, gli arredi, l'illuminazione, l'accessibilità in termini di localizzazione e di orari di apertura, la sua visibilità esterna; criterio difficile da rispettare perché il recupero dei centri storici spinse al riuso di edifici importanti, ma sprovvisti per lo più di vetrina. Gli spazi vennero comunque disegnati in modo da suggerire attività, servizi, stili di vita contemporanei, confort. Gli arredi appartenevano alle migliori collezioni di design italiano, e per le prime sedi fu anche possibile acquistare opere d'arte moderna. L'organizzazione interna assicurava aree a chi voleva studiare, a chi ascoltava musica, ai piccoli gruppi, per classi scolastiche o per conferenze, in orari diversi, con molta flessibilità d'uso.
Tante le pubblicazioni di corredo alle mostre, opuscoli divulgativi sulle biblioteche e la loro attività, libri distribuiti da Il Mulino, agili opuscoli con i testi delle conferenze più importanti. Le attività del Consorzio attiravano attenzione anche a livello nazionale, grazie a "Pubblica lettura", piccola rivista semestrale di cui uscirono 5 numeri, diffusa in modo mirato e capillare, stabilendo rapporti proficui con delegazioni lombarde, sarde, toscane, venete, liguri. Al Consorzio si riconosceva in Italia un ruolo di sperimentazione, sia nella gestione dei servizi culturali che dell'informazione bibliografica.
L'impegno generoso della Provincia di Bologna, sul piano politico generale, finanziario e organizzativo, fu il carburante del Consorzio fino a tutti gli anni Settanta, e consentì realizzazioni condivise da forze politiche diverse. Ma "chiudere" i bilanci costituì un problema lungo tutto l'arco di vita dell'ente. Non c'è politica efficace senza impegno finanziario, ma l'impegno finanziario può diventare difficile da sostenere: dimensione e struttura dei bilanci dicono la fatica con la scarna nettezza dei numeri. Nei primi dieci anni dell'ente la crescita è lenta, occorre costituire la raccolta libraria. Con l'adozione dello Statuto del 1966 e l'avvio dei piani di investimento nel 1968, la Provincia si impegna, con queste biblioteche "di nuova generazione", a fornire ai Comuni una infrastruttura culturale duttile e ad accompagnarne per alcuni anni il radicamento.
Fin dai primi anni Settanta il successo dei nuovi organismi incrementò le richieste dei Comuni per nuove sedi, aggiornamento dei patrimoni, interventi di promozione. Fondamentali i piani di investimento dal 1968 al 1975; rilevante, perché di spesa corrente, il contributo della Provincia ai bilanci del Consorzio con quote che, nell'arco di 27 anni, scendono solo quattro volte sotto il 50%, per dodici anni si collocano tra il 60 e il 70%, per tredici oscillano tra 75% e 85%.
Le quote ordinarie dei Comuni erano modeste, mentre crebbero nel tempo gli oneri per la metà delle spese di gestione delle biblioteche, meccanismo che mise in difficoltà le casse provinciali. I Comuni sostenevano i costi di riscaldamento, luce e acqua, mentre il Consorzio pagava direttamente gli stipendi del personale. Il numero di biblioteche aumentò e il peso degli stipendi si fece greve: la Provincia doveva anticipare al Consorzio la parte più consistente della liquidità necessaria. Era previsto che le anticipazioni si recuperassero con il versamento da parte dei Comuni delle spese dovute (50% degli stipendi meno il 50% delle spese di riscaldamento, luce, acqua) dei contributi, ad aprile e a luglio. Ma i rimborsi non avvenivano con regolarità, anzi richiedevano vigorose sollecitazioni: si registrarono ritardi, nei versamenti delle quote dovute, dai due ai quattro anni. Alla Ragioneria provinciale toccava spesso reperire con urgenza liquidità, almeno per gli stipendi.
Nella seconda metà degli anni Settanta si fece arduo investire per le biblioteche. Badini aveva lasciato il Consorzio nel 1976 per dedicarsi tutto al teatro musicale. Gli subentrò per un breve periodo Roberto Finzi, già vicepresidente, poi sostituito da Luigi Arbizzani, combattente e storico della Resistenza, capogruppo provinciale del PCI, direttore dell'Istituto Gramsci di Bologna, che aveva contribuito a fondare. Conosceva bene le biblioteche, era capace di pazienti trattative, godeva della piena fiducia di Provincia e Comuni, che gli affidarono il Consorzio per completarne i programmi. Consapevole dell'insufficiente aggiornamento librario, il presidente Arbizzani strappò alla Provincia, nel 1980 e nel 1983, due contributi straordinari di 100 milioni, per compensare tale carenza. Pattuì anche di destinare ai libri, nel 1985, la maggior parte dei 356 milioni del Fondo regionale per la provincia di Bologna.
Ma per le strutture culturali, la Provincia aveva fatto molto, "il più". L'interesse politico si era spostato verso altre aree di intervento: trasporti, programmazione urbanistica e delle infrastrutture, società di servizi, considerate strategiche per lo sviluppo socio-economico del territorio. Diversi Comuni, con il pieno appoggio dei servizi provinciali e consorziali, si convinsero a finanziare in proprio la creazione di nuove sedi, con contributi spesso importanti dalla Regione. La progettazione delle nuove sedi era assicurata dall'Ufficio tecnico; collaborazione nei concorsi, formazione del personale, gestione degli acquisti, inventariazione e trattamento dei documenti, organizzazione di mostre, conferenze, proiezioni continuavano ad essere affidati in buona parte al Consorzio.
Dal 1972, gli interventi per le "biblioteche di ente locale o di interesse locale" erano di competenza regionale. La Regione Emilia-Romagna sostenne il Consorzio con regolarità dal 1973 al 1983: 20 milioni annui nel primo quadriennio, una media di oltre 60 milioni dal 1977 al 1983 (cioè 107.113,16 l'anno dal 1973 al 1976, 150.610,71 in media tra il 1977 e il 1982). Ma solo una legge specifica poteva definire i compiti dei diversi enti e rendere chiari, in termini di bilancio, scelte politiche e priorità. La prima regione a emanare una legge di settore fu la Lombardia, nel 1973, seguita da Veneto, Lazio, Toscana, Valle d'Aosta, Friuli Venezia Giulia.
La Regione Emilia-Romagna aveva davanti a sé realtà provinciali molto disomogenee per presenza e organizzazione delle biblioteche pubbliche, perciò la gestazione della legge fu laboriosa. Nei suoi primi anni la Regione aveva finanziato strutture (i centri culturali polivalenti) e formazione professionale, incoraggiato la creazione di consorzi a Ferrara e Piacenza. La soluzione consortile, forte a Ravenna e Bologna, presente a Forlì, era ammessa nel primo progetto di legge, i successivi ipotizzavano una cooperazione che non creasse enti autonomi privi di indipendenza finanziaria, e così fece la commissione che armonizzò le varie proposte di legge.
La L. R. n. 42 Norme in materia di biblioteche e archivi storici di enti locali o di interesse locale, approvata il 27 dicembre 1983, entrò in vigore nel 1984. La pregevole organizzazione bolognese, creata dall'impegno eccezionale della Provincia, non poteva venire clonata. Attraverso la legge, la Regione scelse di controllare il più possibile gli sviluppi futuri, per un'offerta più uniforme sull'intero territorio regionale. L'orientamento programmatico complessivo era allora a favore di una regione policentrica, non a sostegno, come oggi, di Bologna capitale. Inoltre l'azione politico-culturale della Regione si estendeva a fronti diversi (beni culturali, paesaggio, cinema, teatro ), oltre che a biblioteche e musei, indicati dal dettato costituzionale.
Il testo di legge registrava e normava la situazione politica del momento, assai cambiata rispetto agli anni Sessanta. Il Consorzio di Bologna aveva rappresentato una fase di grandi investimenti, finanziari in quanto politici, nel solco della ricostruzione, della rivendicazione di nuovi diritti, di sperimentazione per la diffusione di una cultura democratica e di massa. Era stata la stagione della scuola media unica (1962), della pedagogia televisiva di Non è mai troppo tardi, dell'editoria in collane tascabili (Oscar Mondadori, 1965). Più tardi, la Provincia di Bologna aveva difeso con affanno l'operatività del Consorzio, dopo i grandi investimenti che non intendeva replicare. Ormai 22 Comuni per avere la biblioteca avevano dovuto investire in proprio, come più tardi fecero altri 20, per le sedi di "seconda generazione" che sono andate a sostituire quelle, troppo piccole, costruite negli anni Settanta. Anche per libri e attività culturali i Comuni avevano sempre più attinto alle proprie risorse, spesso con il supporto tecnico del personale del Centro.
L'articolo 35 della legge era intitolato Cessazione dei Consorzi provinciali per la pubblica lettura. Però recitava:
Qualora, a seguito dell'entrata in vigore della presente legge, i Consorzi provinciali per la pubblica lettura e del prestito librario cessino per esaurimento del fine, il riparto di tutto il patrimonio immobiliare e bibliografico di proprietà dei Consorzi stessi e la destinazione del personale di ruolo in servizio presso i medesimi avverranno in conformità a quanto stabilito dagli Statuti dei Consorzi e dal RD 3 marzo 1934 n. 383 e tenuto conto delle finalità e dei compiti assegnati dalla presente legge alle Province e ai Comuni singoli o associati.
Non un obbligo di scioglimento (corretto per manifesta illegittimità nella prima bozza della legge), ma certo una pesante sottolineatura, una chiara dichiarazione di intenti politici.
I Comuni, pur interessati a governare appieno i propri istituti, non accettarono pacificamente l'orientamento regionale. Molti Comuni minori, serviti da strutture inadeguate, malvolentieri rinunciavano all'intervento finanziariamente e tecnicamente qualificato di cui altri avevano beneficiato. Se la Regione appariva allora facoltosa, pochi si sentivano in grado di redigere appropriate richieste di finanziamento, né di gestire correttamente il servizio.
Il Consorzio cercò di studiare come riorganizzare i servizi bibliotecari post scioglimento, guardando anche alle soluzioni lombarde, toscane e venete, dove le leggi di settore agivano da più tempo. Era chiaro però che le decisioni politiche avrebbero avuto priorità rispetto alle possibili opzioni tecniche. Il Presidente Arbizzani in numerose relazioni valorizzò gelosamente il Consorzio, ed espresse apertura ma cautela verso le soluzioni organizzative di legge, operativamente ben poco articolate.
Alle Province erano assegnate funzioni di coordinamento e programmazione nel proprio territorio; per l'attuazione di tali compiti potevano istituire servizi di coordinamento. Quelle dotate di consorzi li trasformarono in servizi provinciali. Per le Province che non avevano creato consorzi, il percorso fu lungo e faticoso, perché i finanziamenti regionali potevano coprire solo costi di "attrezzature e strumentazione". I Comuni bolognesi che chiedevano di gestire direttamente i propri istituti, sollecitavano comunque a mantenere i servizi sovracomunali più utili: acquisti, gestione informatizzata, organizzazione di eventi culturali complessi, formazione e aggiornamento professionale, servizio audiovisivi.
Scomparve l'attività di informazione bibliografica, travolta dalle esigenze finanziarie della Provincia e dai protocolli sottoscritti da Regione e Ministero Beni culturali per SBN.
Nei primi anni Ottanta si rivendicava autonomia in ogni settore, si puntava al decentramento, alla riappropriazione e produzione culturale. Ci si era convinti, con ingenuità o faciloneria, che l'appropriazione della cultura democratica di massa fosse fatto acquisito, che la partecipazione politica assicurasse soluzione anche di problemi complessi. Una delega specifica per la cultura, cioè un assessorato, era presente nella maggior parte dei Comuni, ad attestare l'esigenza e a certificare la capacità di gestire in proprio istituti e eventi culturali.
D'altra parte la Provincia era interessata a recuperare risorse, sia di spesa corrente, sia di posti e professionalità da utilizzare direttamente. All'ultimo bilancio per l'intero anno solare, nel 1985, la Provincia contribuì con 796.000.000 lire ( 876.916,75 circa del 2008). Al netto del costo per il personale, la Provincia poteva recuperare quasi 300 milioni di spesa corrente. Per quanto riguarda le risorse umane, il Consorzio disponeva di 35 posti coperti. La Provincia era interessata a utilizzare per la propria pianta organica i 17 effettivi del Centro, che finanziava per intero: un servizio di coordinamento provinciale già fatto. Di questi 17 posti, ne ricoprivano 4 i bibliotecari coordinatori delle aree in cui il Consorzio, d'intesa con la Provincia, aveva suddiviso i Comuni, a fine 1983.
Di aree bibliotecarie si era parlato fin dall'istituzione del Consorzio. Nel 1962 una relazione sulle attività dell'ente proponeva una suddivisione in 9 aggregazioni territoriali, operata in base a contiguità e qualità dei collegamenti. Raggruppamenti analoghi furono operati per le 8 "zone culturali" di gestione di altre linee programmatiche dell'Assessorato provinciale (musei, teatro e spettacolo, eventi). Anche altri tipi di attività erano caratterizzati da aggregazioni: ricordiamo i consorzi socio-sanitari, i distretti scolastici, il Piano intercomunale bolognese e i Comprensori per la pianificazione urbanistica, nessuno territorialmente omogeneo con il Consorzio.
I bibliotecari di area, nominati nel 1983, avevano il compito di progettare con i colleghi la costituzione di sistemi bibliotecari. La relazione presentata, ricca di dati, ridefiniva concretamente funzioni e compiti dei servizi a livello comunale (posizione antesignana degli standard, previsti dalla legge regionale oggi in vigore) e costruiva un'ipotesi su come organizzare programmazione e servizi a livello di sistema.
Sul primo punto, funzioni e compiti del servizio, si privilegiava l'offerta di molti e buoni libri in ogni biblioteca, migliorando le sezioni locali, il servizio ragazzi e di consultazione, procedendo a revisione e scarto. Per il secondo punto si raccomandava che l'agile gestione degli acquisti, la consulenza e documentazione assicurati dal Consorzio, venissero garantite complessivamente dai sistemi, con procedure provinciali automatizzate per catalogare e gestire i patrimoni, rilevare dati su utenza e uso delle raccolte, programmare lo sviluppo. Da gestire in forma associata anche la comunicazione: un sistema coordinato di segnaletica, strumenti di comunicazione, una campagna pubblicitaria per la visibilità delle biblioteche e dei loro servizi.
I Consorzi avevano realizzato una rete fisica di sedi e collezioni, una rete culturale e organizzativa di personale omogeneamente formato e gestito, regolamentazione uniforme, eventi coordinati: si proponeva che trovassero sostegno e coordinamento scientifico nell'IBC. Ci si chiese quale forma amministrativa dovessero assumere i sistemi. I coordinatori elencavano le ipotesi amministrative disponibili: il consorzio fra comuni (prevalente in Lombardia e Toscana, ormai impopolare in Emilia-Romagna); le Comunità montane, nelle aree di pertinenza; l'associazione di Comuni tramite convenzione. Fu scelta la "convenzione tra Provincia e Comuni per la gestione associata di progetti" presentati da gruppi di biblioteche.
Le procedure di scioglimento, avviate nel 1984, si completarono solo a dicembre 1986. La Provincia fu ancora una volta capofila delle operazioni: il 23 ottobre 1984 il Consiglio provinciale approvò un atto con oggetto: Attuazione della legge regionale 27.12.1983, n.42 "Norme in materia di biblioteche e archivi storici di enti locali o di interesse locale". Scioglimento del Consorzio Provinciale Pubblica Lettura e provvedimenti connessi. L'ente assumeva il compito di provvedere in toto alla gestione delle biblioteche e dei servizi sovracomunali, attraverso convenzioni con i Comuni, in attesa che questi istituissero le biblioteche, i capitoli di spesa per la loro gestione, i necessari posti in pianta. Questa procedura mirava alla rapidità, facilitando i molti trasferimenti di personale ai Comuni (compreso quello di Bologna) che ne avevano fatto domanda.
Sottoposta a numerose richieste di chiarimento da parte del Comitato Regionale di Controllo, la procedura di scioglimento venne riformulata e approvata il 26 marzo 1985. Prevedeva la fine del Consorzio dopo che tutti i Comuni serviti da personale consortile avessero istituito capitoli di spesa e posti in pianta, da coprire secondo un piano di riparto e assegnazione nominativa del personale tra Comuni e Provincia. La Commissione centrale per la finanza locale diede finalmente il proprio benestare alla istituzione dei nuovi posti, poiché ad essi corrispondeva la cancellazione di altrettanti posti presso il Consorzio, anch'esso ente locale (ma fu necessario spiegarlo più volte per iscritto).
Si dovettero attendere tutte le deliberazioni dei Comuni, poi l'Assemblea del Consorzio del 22 luglio 1986 poté approvare i Piani di riparto, del personale e del patrimonio (libri, arredi, attrezzature). Infine, la Regione emanò il decreto di scioglimento che prendeva atto delle deliberazioni di tutte le amministrazioni interessate il 31 dicembre 1986.
Negli anni successivi, attraverso le convenzioni, Provincia e Comuni hanno potuto realizzare sia la rete SBN, insieme a Regione, Università e Ministero Beni Culturali, sia diversi progetti tematici anche nell'ambito dei Piani Bibliotecari provinciali. Ma il servizio provinciale per le biblioteche, eredità del Consorzio, articolato in sistemi d'area e servizi centrali, forte di una decina di unità, si ridusse ai minimi termini nel giro di pochi anni.
Anna Maria Brandinelli, Bologna, e-mail: brandinelli@fastwebnet.it