Una professione che desideri guidare al meglio i suoi membri necessita di una mission potente. Senza princìpi guida il lavoro non è altro che un insieme di routine burocratiche, prive di significato, di obiettivi chiari. Tutti conosciamo l'effetto che questa concezione ha sulla motivazione, lo spirito di iniziativa, l'efficacia delle nostre miserabili anime, impegnate a portare avanti regole e pratiche di impianto esclusivamente burocratico. Conosciamo l'approccio negativo, in qualche caso addirittura ostile, che il pubblico ha ogni volta che ha a che fare con il sistema. La reciproca antipatia tra burocrazia e cittadino è uno degli aspetti più insoddisfacenti della vita moderna.
Per fortuna solo raramente la biblioteconomia mostra le caratteristiche più detestabili, tipiche della mentalità burocratica. Al contrario, nella gran maggioranza dei casi, il personale delle biblioteche rivela una forte adesione alle ragioni della biblioteca ed alle funzioni che ci si aspetta essa svolga. Il vero problema nel mondo bibliotecario è che c'è più di un modo per identificare la mission della biblioteconomia, e la filosofia dominante può non essere perfettamente in sintonia con le esigenze della società.
Basterà qui richiamare due concezioni, tra le molte che hanno ispirato il lavoro dei bibliotecari. Si tratta della tutela del patrimonio scritto e della creazione di sistemi di recupero dell'informazione. Entrambi sono importanti princìpi guida, ma si contesterà qui che siano appropriati rispetto alle necessità di una professione che ha l'opportunità di servire l'intera società in diverse, importanti modalità.
Se partiamo dal secondo, lo sviluppo di sistemi sempre più sofisticati di recupero dell'informazione ha occupato i pensieri delle menti migliori della biblioteconomia per gran parte del ventesimo secolo. Si è imposta una concezione in base alla quale, con un set abbastanza adeguato di metadati (ossia sistemi di classificazione e catalogazione), è possibile fornire recuperi automatici decisamente migliori di quelli che la risorsa umana potrebbe realizzare. Questo magnifico progetto è stato per certi versi efficace e produttivo, e tuttavia la grande produzione di cataloghi online, di basi dati e di sistemi computerizzati di recupero non ha risposto in maniera chiara a tutte le necessità di chi cerca informazioni e degli utenti della biblioteca. In effetti, l'attenzione posta prevalentemente sulla logica dei sistemi di metadati per il raggiungimento dell'obiettivo del recupero automatico ha trascurato la banale realtà degli stili di apprendimento umano e delle strategie di ricerca.
Volgendoci ora a quello che forse è il principio originario che sta alla base della creazione delle biblioteche, cioè la tutela dell'eredità scritta, anch'esso può essere ritenuto inadeguato alla luce della moderna disciplina bibliotecaria. Ovviamente, occorre esplorare le acquisizioni del passato dell'umanità e trarne i massimi insegnamenti, se vogliamo che la civiltà sopravviva e cresca. Una società che dimentica il suo passato ripeterà errori su errori ed avrà certo una base troppo limitata per la costruzione del futuro.
Tuttavia affidare la mission alla tutela dell'eredità scritta non è di per sé sufficiente, e anzi può risultarne un fardello troppo pesante, quando inteso in un'accezione eccessivamente comprensiva. Esistono altre professioni, ad esempio quelle degli archivisti e dei curatori di museo, il cui focus è innegabilmente incentrato sulle testimonianze del passato. Se anche i bibliotecari si definiscono guardiani della testimonianza rischiano una pericolosa sovrapposizione con le professioni "sorelle" e commettono un errore, poiché non si focalizzano sul loro reale obiettivo: gli utenti (e i potenziali utenti) dei documenti di cui essi sono i guardiani.
C'è sicuramente bisogno di quella che potremmo definire "biblioteca archivio": un'istituzione che si preoccupa dell'eredità pubblicata, parallelamente al lavoro dell'archivio, che preserva la documentazione non pubblicata dell'attività umana, e del museo, che ne preserva gli oggetti fisici, i quali riflettono la medesima eredità. In ogni caso dovremo porci due domande sulla "biblioteca archivio":
La risposta a tali quesiti è quasi sicuramente: un numero molto esiguo. Se questo è il caso, di che cosa dovrebbero occuparsi le "biblioteche non-archivio"? La risposta che qui adombriamo è che dovrebbero concentrare la loro offerta sull'accesso alla conoscenza, in tutte le forme possibili, per raggiungere il maggior numero di utenti possibile.
Il principio dell'accesso è sia etico - infatti deriva dal rispetto dei diritti umani - sia pratico, poiché offre una strada attraverso la quale le biblioteche possono servire allo sviluppo di una società e di uno stato, aiutandoli a funzionare efficacemente. Ciò che cercheremo di suggerire nel seguito di questo intervento è che, orientando le attività della biblioteconomia a partire dalla domanda "si sta offrendo il miglior accesso possibile al maggior numero di persone?", si potrà identificare un tipo di biblioteconomia adeguato alla società dell'informazione del 21° secolo.
Il valore particolare dell'accesso come principio sta nel fatto che esso è essenzialmente dinamico. Le definizioni che il dizionario dà della parola "accesso" elencano I diversi modi di utilizzare il termine, molti dei quali non sono di particolare rilevanza ai fini del nostro ragionamento.
Tuttavia tutti comprendono l'uso della parola "accesso" per intendere il recupero o l'ottenimento di dati, di file o di informazioni in genere. Le definizioni in sostanza chiariscono che si tratta di un processo attivo, positivo e trasmettono l'idea che il pieno significato dell'accesso sta nell'impegno tra i cittadini e l'informazione. La biblioteconomia fondata sull'accesso concretizza il diritto dell'uomo alla libertà intellettuale, così come posto nell'articolo 19 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo (ONU, 1948). Esso comprende "il diritto a cercare, ricevere e impartire informazioni e idee", che potremmo anche interpretare come "il diritto ad avere una buona biblioteca". A dirla tutta, c'è un forte fondamento logico alla base di questo diritto.
Si può dimostrare che lo sviluppo e il funzionamento del cervello umano dipendono strettamente dal flusso di informazioni che esso riceve. La ricezione, da parte del cervello, di informazioni che spaziano dalla percezione di gusti e odori, fino alla ricezione visiva e uditiva di messaggi incredibilmente complessi formulati attraverso il linguaggio, i numeri e altri tipi di simboli, non si limita ad informare, ma sviluppa e supporta l'abilità di pensare. Per un neonato non vi sono all'inizio dati rispetto ai quali controllare le proprie percezioni, non vi sono modelli a cui far corrispondere le percezioni recenti. Tuttavia il bambino inizia subito a identificare sensazioni, le riconosce quando le incontra ed è perfino in grado di predire il loro ricorrere. L'opera di Piaget (1953), nell'osservazione dell'apprendimento dei bambini, ha mostrato che essi non apprendono in modo passivo: essi costruiscono e ricostruiscono il loro sapere. Come ha scritto un altro grande pioniere della moderna pedagogia,
l'educazione non è qualcosa che l'insegnante applica, ma un processo naturale che si sviluppa spontaneamente nell'essere umano. Non si acquisisce attraverso l'ascolto delle parole, ma in virtù di esperienze con le quali il bambino agisce sull'ambiente. Il compito del docente non è parlare, ma preparare e organizzare una serie di stimoli e sollecitazioni culturali, in un ambiente speciale creato apposta per il bambino (Montessori, 1949).
Questo naturalmente chiama in causa le opportunità e i servizi che serviranno al bambino per ottenere le informazioni di cui ha necessità: opportunità come quelle, per esempio, che può fornire la biblioteca.
Per quanto riguarda l'adulto, come essere umano maturo, c'è bisogno che egli sia realmente efficace nella società, che possa contribuire allo sviluppo economico ed al processo democratico. L'economista Amartya Sen sostiene che il coinvolgimento nella democrazia possiede diversi aspetti positivi:
Si tratta di un argomento che implica un principio etico, ma Sen suggerisce che la democrazia è necessaria anche in termini pratici. Con un'affermazione memorabile, egli ricorda che nessuna drammatica carestia ha mai colpito un paese indipendente e democratico, con una stampa almeno relativamente libera. Questa affermazione, che egli sostanzia con vari esempi, è forse la migliore dichiarazione che si possa fare a favore dell'accesso all'informazione ed al suo contesto democratico.
L'accesso, comunque, è un concetto ampio, che necessita di ulteriori specificazioni, e questo si può fare concentrandosi su aspetti specifici, o su categorie nelle quali possa essere suddiviso l'accesso. Ai fini del mio discorso, ho identificato sette categorie, che sono:
Ognuna di esse potrà essere descritta con maggiore dettaglio nel quadro che segue.
Logicamente questo concetto è appropriato che sia all'inizio dell'elenco; d'altra parte, dal momento che l'autore si è concentrato su queste questioni per diversi anni, un lettore potrebbe aspettarselo. L'IFLA fonda sull'articolo 19 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo la sua attività principale relativa alla Libertà di Accesso all'Informazione ed alla Libertà di Espressione (FAIFE). Qui c'è un rischio: se qualcuno pensa che chiedendo "che dire dell'articolo 19?" sia efficacemente risolta una discussione sui temi della libertà intellettuale, allora può darsi che ci siamo persi qualcosa.
Come tutti i principi che vengono espressi in termini assoluti ("tu non ucciderai", ad esempio), un'analisi più approfondita richiama tutta una serie di possibili eccezioni a tale regola. Questo ci porterebbe a chiedere come il principio si sia sviluppato e arricchito di motivazioni, il che a sua volta potrebbe indirizzare alla necessità di stabilire se un principio sia poi così universale come sembra. In talune società chiedere, da parte di chi da secoli detiene il potere politico o religioso, un forte controllo sull'accesso all'informazione può apparire un'ingiustificata interferenza con la stabilità sociale. I altre situazioni ptrebbe invece darsi il caso di un'accettazione sociale profondamente radicata rispetto a certi livelli di limitazione alla libertà di accesso all'informazione.
Nel 2005, ad esempio, i genitori di una ragazzina che aveva preso in prestito un libro dalla biblioteca di Fanano (Modena), perlomeno in una prima fase hanno ottenuto che la cosa fosse considerata penalmente sanzionata. Sebbene il libro Scopami di Virginie Despentes sia stato messo in una bibliografia di letture legate alla campagna contro la droga da parte del Ministro del Lavoro e della Previdenza Sociale, vi furono gravi accuse a carico della bibliotecaria coinvolta. Nonostante il giudizio finale della Corte abbia scagionato la persona, tuttavia il fatto stesso che il caso potesse arrivare ad un processo legale dimostra che c'era un terreno fertile per il caso sollevato dai familiari.
FAIFE ha emesso una risoluzione a sostegno della bibliotecaria, ma è stato senz'altro il clima dell'opinione pubblica in Italia, a favore della libertà di accesso, ad assumere un'importanza decisiva per il verdetto finale. Appaiono invece molto più difficili da combattere i modi con cui i detentori del potere controllano la creazione e la disseminazione delle informazioni, potendo sopprimerle ancor prima che appaiano all'orizzonte.
Anche in una società in cui proliferano e si sviluppano i luoghi e le istituzioni per l'accesso (come i giornali e le biblioteche), non sempre accade che si susciti interesse e dibattito attorno a fenomeni che, invece, dovrebbero attrarre l'attenzione. Il controllo di un ampio settore dei media da parte di singoli imprenditori, come Murdoch o Berlusconi, è l'aspetto più significativo di questa omissione. Il ruolo di FAIFE è richiamare casi clamorosi di attacchi alla libertà, ma anche cercare di aiutare i bibliotecari a fornire accesso a quelle informazioni che potrebbero essere fortemente limitate, secondo le pesanti strategie cui si faceva cenno.
I catalogatori - o gli esperti di metadati, come oggi potremmo chiamarli - tendono a esprimere concetti fondati su certezze. Potrebbero dire che la conoscenza può essere analizzata e ripartita in categorie, per permettere di descriverla nei modi che consentiranno un accurato recupero dei documenti, o anche di unità meno strutturate di informazioni. Questa concezione ha generato un'enorme mole di ricerche, ed ha avuto come risultato la creazione di basi di dati e sistemi altamente efficaci di recupero per le biblioteche, oltre ad aver contribuito ad un miglior recupero dal web.
Tuttavia c'è un elemento che viene scarsamente considerato: l'analisi, la categorizzazione, la descrizione talvolta sembrano poggiare sulla cieca fiducia che esista un ordine universale a cui riferirsi, ed un modo universale di percepire che può essere indirizzato a quell'ordine. Il problema si pone quando si affronta il dialogo tra multiculturalismo e integrazione delle comunità, che è un aspetto tanto significativo del nuovo, allargato, clima politico in un elevato numero di Paesi. Dovremmo cercare uno stile di vita comune fondato su alcuni principi generalmente condivisi, o dovremmo convenire sul fatto di essere tanto diversi? Se concordiamo sulla diversità, riusciamo ad accettare implicitamente un mondo di informazioni in cui percezioni diverse e verità diverse trovano un riflesso nei metadati, così come in altre manifestazioni della cultura?
In questo contesto, sarebbe forse opportuno avere un approccio pluralistico alla questione dell'accesso intellettuale. Sicuramente, l'accesso intellettuale basato sull'indicizzazione in linguaggio naturale, lo sviluppo di motori di ricerca estremamente sensibili, il web semantico, tutto questo potrebbe contribuire, Ma andando oltre sulla scia e le implicazioni insite in questo ragionamento, un appropriato punto di partenza potrebbe essere l'applicazione di un approccio etico consapevole. Materiali di notevole interesse sul tema dell'indicizzazione etica si possono trovare all'url: <http://www.infoethics.org.uk/sourcesandresources.htm#Indexing>.
Molta documentazione sull'accesso all'informazione fonda i suoi presupposti sulla presenza di un utente libero da handicap o disabilità. E' vero che un simile individuo, perfetto sotto tutti gli aspetti, esiste, ma occorre riconoscere che percentuali significative di popolazione, in qualsivoglia paese, non rientrano in questa categoria.
Una delle problematiche più evidenti è il difetto visivo. L'identificazione dei problemi che sorgono dall'accesso ai non vedenti, ai disabili ed a coloro che hanno difficoltà ad apprendere in generale conduce a ricercare soluzioni che comprendono lo sviluppo di enormi potenziali per la sperimentazione di metodi innnovativi. Va detto, a onor del vero, che introdurre criteri di abbattimento delle barriere in edifici nuovi, inseriti nei sistemi che fanno parte degli edifici stessi, richiede un investimento molto impegnativo da parte di chi tiene i cordoni della borsa. Sotto la questione dell'accesso fisico vi sono altre problematiche a cui solo ora alcune realtà nei Paesi industrializzati hanno iniziato a dare risposta. Anche ammettendo che non esistessero persone affette da disabilità, va riconosciuto il fatto che non vi sono requisiti standard, a proposito degli spazi e delle loro modalità di utilizzo, che possono si applicarsi all'intera umanità. Tutto questo appare evidente allorchè esaminiamo, prima di ogni altra cosa, come la gente apprende e, di conseguenza, come concretamente le persone si applicano allo studio.
A questo punto la ricerca delle informazioni si intreccia opportunamente con la ricerca di tipo educativo, comportamentale e psicologico. E' evidente anche all'osservatore distratto che vi sono individui che apprendono meglio e più volentieri in una condizione di isolamento e di silenzio, altri che operano al meglio con un sottofondo musicale o di altri suoni, altri ancora che necessitano di un dialogo e della rassicurante presenza di quelli che - come loro- intendono apprendere; alcuni richiedono una sedia ed una superficie da lavoro, altri preferiscono stare in piedi o addirittura camminare per la maggior parte del tempo. Identificare la gamma delle preferenze nelle modalità di apprendimento, esplorare i modi in cui queste potrebbero essere condizionate, e sperimentare diverse possibili soluzioni nella configurazione dello spazio e dell'arredamento, offre stimolanti possibilità all'architettura e al design.
Le istituzioni informative, nel senso delle quattro mura e di ciò che si deve trovare dentro, potrebbero apparire più come un relitto del passato che non una questione di interesse centrale per professionisti dell'informazione che hanno l'occhio volto al futuro. Ovviamente l'istituzione intesa in senso materiale, fisico, è ben lungi dall'aver esaurito la sua utilità, ed è anche improbabile che questo accada in futuro. Tuttavia essa ha conosciuto un rivale nell'accesso virtuale che coinvolge la vita di una potenziale maggioranza della popolazione. Le biblioteche che decideranno di restare soltanto istituzioni fondate sui documenti a stampa soffriranno del declino stesso della stampa, cosa che può essere tranquillamente rilevata un po' ovunque, nel mondo.
Sembrano destinate ad un maggior successo le biblioteche che offrono un mix di accesso fisico e virtuale. Ciononostante, la tecnologia non basta di per sé a risolvere automaticamente tutti i problemi. Di sicuro, i giovani sembrano interagire con la tecnologia con la massima naturalezza, ma per molte persone, specie nella fascia d'età più elevata, questo non accade. Ciò significa che non basta la fornitura di una rete di computer in biblioteca, e che per i bibliotecari c'è l'esigenza di contribuire allo sviluppo di interfacce più amichevoli, di siti più accattivanti ed agevoli, e di altre risorse digitali. Il termine di information literacy ha assunto un significato forte per la professione proprio in ragione della diffusione dell'accesso virtuale e delle questioni che esso si porta dietro.
L'esclusione di intere comunità, gruppi ed importanti sezioni dell'umanità dall'accesso alle informazioni è una questione vitale a livello planetario. In Europa essa interessa gli immigrati, quelli che chiedono asilo, e i gruppi nomadi, come ad esempio gli zingari Rom. Per certi aspetti è la lingua l'elemento che esclude questi gruppi, e questo può essere - ed è - risolto da ogni persona che si rivolga ad apprendere la lingua dominante con sufficiente energia e volontà.
Però, accade solo di rado che in un gruppo tutti si dedichino a questo. Donne e uomini anziani sono spesso lasciati in una situazione di difficoltà, con l'unica speranza di beneficiare dell'accesso grazie ad altri membri della famiglia e della comunità. In determinate realtà sociali questa speranza può addirittura essere oggetto di riprovazione. Per esempio, le società patriarcali, in cui il ruolo delle donne è limitato alla cura domestica, possono non avere un grande slancio verso obiettivi come l'accesso alle informazioni, che minaccia di dare maggior potere delle donne. Nell'approcciare la questione dell'esclusione dall'informazione, è anzitutto necessario capire, attraverso appropriate ricerche, il meccanismo che ne sta alla base. E' vero che c'è il rischio di fraintendimenti, ma davanti a noi stanno sfide appassionanti. Un'agenda dell'accesso dovrà, naturalmente, comprendere programmi di inclusione sociale.
L'uso della locuzione "conoscenza tacita" identifica un approccio fondato sulla gestione della conoscenza (knowledge management). Knowledge management è un concetto spesso equivocato, troppo di frequente utilizzato come sinonimo del tipo di gestione dell'informazione che ha a che fare con la documentazione. Ciò su cui in realtà il knowledge management si focalizza sono le barriere ad un'efficace disseminazione ed uso delle informazioni, consistenti in sostanza in una relativa assenza di documentazione.
Una società d'affari o un'altra qualsiasi organizzazione, che poggi sulla conoscenza tacita, acquisita, conservata ed utilizzata dal personale solo quando se ne presenti l'occasione, non è in condizione di gestire le informazioni adeguatamente. Ciò che potrà tentare di fare è sviluppare sistemi che catturino e organizzino la conoscenza tacita affinchè possa essere correntemente utilizzata. Nell'organizzazione c'è necessità di incoraggiare la cooperazione tra quei soggetti che possiedono le risorse della informazione tacita all'interno dei loro ricordi personali, per mettere in piedi un programma di knowledge management; questo lo si potrà fare utilizzando gli strumenti per sistemi di knowledge management che già esistono e che sono sul mercato.
E' senz'altro l'aspetto dell'accesso più trascurato, quello che fa riferimento all'accoglienza e all'interiorizzazione dell'informazione, alla sua ri-creazione nell'individuo sotto forma di sapere personale.
La maggior parte delle riflessioni sui servizi informativi e sui modelli di ricerca delle informazioni a cui i servizi si riferiscono sembra assumere il concetto secondo cui quelli che ricevono il servizio sono esseri razionali all'interno di un mondo fondamentalmente ordinato. I bibliotecari scelgono con cura i documenti e le altre risorse, in modo da poter offrire agli utenti la miglior informazione disponibile.
Essi postulano che gli utenti, per questo, andranno in biblioteca, acquisiranno conoscenze utili e agiranno in modo conseguente nella loro vita di tutti i giorni. Il guaio è che le cose non funzionano sempre così. Utenti reali e potenziali hanno una strana tendenza ad ignorare o rifiutare molti aspetti di ciò che viene loro offerto, sebbene dichiarino di riconoscerne il valore. Quando questo accade, non possiamo parlare di vera transazione tra il fornitore e il ricevente, come se l'accesso si fosse realizzato effettivamente. La possibilità dell'accesso è stata offerta, ma esso non è stato pienamente colto.
E' probabile che il bibliotecario ben intenzionato trovi tutto questo molto frustrante, e la risposta dei destinatari può essere ben ricompresa nella parola "irrazionale". Ad aggravare la frustrazione, sta il fatto che le scelte informative che la gente veramente compie, e la fonte da cui essi ottengono le risposte, possono rientrare in questo quadro di irrazionalità. Caos informativo e saggezza popolare ottenuti da un amico fidato o da un vicino di casa possono a volte essere preferiti a una seria informazione ricavabile da pubblicazioni autorevoli presenti in biblioteca.
La vera sfida è far sì che la biblioteca sia percepita alla stregua di un amico fidato o di un vicino di casa attraverso la fornitura di informazioni in modalità e forme che la gente trovi psicologicamente accettabile. Anche se questo potrà apparire fuori dal raggio di influenza diretta del bibliotecario, nel tempo la professione potrà incoraggiare lo sviluppo di modi diversi di presentare e distribuire l'informazione, attraverso colloqui con ricercatori, scrittori, editori, distributori e media diversi. Se i giovani vogliono i fumetti invece di pubblicazioni convenzionali, o se gli utenti della biblioteca preferiscono scritti divulgativi e popolari a monografie tecniche, allora sarà ragionevole dotarsi di questi testi, o anche stimolare la loro produzione qualora non ne esistano in misura sufficiente. Il bibliotecario è potenzialmente consapevole di ciò di cui la gente ha fiducia e che trova accettabile, e tale consapevolezza può trovare utile applicazione se il principio guida è l'accesso.
Aspetti dell'accesso quali quelli qui tratteggiati sono solo un'indicazione di come un'agenda fondata sull'accesso possa cambiare e rafforzare la biblioteconomia come attività professionale, Idealmente la professione dovrebbe andare verso una concezione di biblioteca "free". La parola inglese "free" ha due significati diversi: libera da costi per l'utente e libera da restrizioni. Entrambi sono ben serviti dal principio dell'accesso. Una biblioteca nella quale chiunque possa entrare e fruire dei servizi senza spendere nulla, che al tempo stesso non imponga restrizioni artificiose ai propri contenuti, può rappresentare una risposta positiva al quesito: "si sta fornendo il più ampio accesso possibile a favore del maggior numero di persone possibile?".
Le biblioteche finanziate con fondi pubblici, o che hanno goduto di sponsorizzazioni da parte di soggetti intenzionati al bene pubblico, devono poter rispondere positivamente a questa domanda. La tutela del bene culturale, o la costruzione di perfetti sistemi di recupero dell'informazione, non rappresentano certo da sole la risposta completa. La forza del concetto di accesso sta nel fatto di poterli comprendere entrambi e porli in relazione significativa con tutte le altre priorità che la professione bibliotecaria ha necessità di considerare.
Paul Sturges,Loughborough University - UK; IFLA FAIFE, e-mail: r.p.sturges@lboro.ac.uk
Maria Montessori, The absorbent mind, Madras, Theosophical Publishing House, 1949; translated edition Oxford, Clio Press, 1988.
Jean Piaget, Origins of intelligence in the child, London, Routledge and Kegan Paul, 1953.
Amartya Sen, Democracy as a universal value, "Journal of Democracy", 10, (1999), p. 3-17, retrieved March 2005 from <http://muse.jhu.edu/demo/jod/10.3sen.html>.
United Nations, Universal Declaration of Human Rights, 1948, retrieved December 2006 from <www.un.org/Overview/rights.html>.
* Traduzione di Patrizia Lucchini.