I cittadini di oggi, calati nel loro vivere quotidiano in una società definita dall'Unione Europea come "società dell'informazione", sono sottoposti a continui e rapidi mutamenti che richiedono necessariamente, per non perdere l'orientamento, strumenti e servizi sempre più competenti ed efficaci, a partire da quelli legati all'accesso alle fonti informative e all'aggiornamento continuo lungo tutto l'arco della vita.
In questo contesto, tutte le professioni che operano a servizio delle persone si trovano oggi a svolgere il loro mandato in una società in rapida trasformazione sul piano culturale, istituzionale, politico ed economico. Necessario che gli operatori di questi settori, per rispondere a queste esigenze, orientino e plasmino la loro formazione e la loro azione professionale a valori coerenti e costruttivi.
In questa complessità, la bussola che può mantenere l'orientamento verso questi valori è l'etica, come scienza morale che regola i comportamenti, nel rispetto e nella realizzazione di questi principi e dei diritti delle persone. Per rispondere a questa esigenza negli ultimi anni si sono moltiplicati i codici deontologici e le carte etiche della varie professioni, come segno di positiva attenzione ad un ruolo importante e impegnativo.
Schematicamente, le professioni attente a questo aspetto hanno individuato nel modo seguente gli ambiti della loro "azione etica":
Ai bibliotecari sono noti gli importanti principi riferiti ai diritti di accesso, proclamati con giusta enfasi da importanti Istituzioni e Autorità nazionali e internazionali. [1] Per dare applicazione e seguito ai principi appena enunciati, le associazioni professionali di riferimento, nello specifico IFLA e AIB, hanno fatto seguire propri documenti, sostanziati in codici deontologici e in regolamenti di autodisciplina interna, al fine di invitare i propri associati ad un comportamento professionale rispettoso dei diritti di accesso delle persone, coerente e responsabile nei confronti delle istituzioni titolari dei servizi.
Da sottolineare però che di fronte a tale chiarezza e forza documentativa, non sempre gli enti titolari delle istituzioni bibliotecarie sono stati pronti a riconoscere ed esigere che il comportamento professionale dei bibliotecari fosse orientato all'applicazione dei diritti e dei principi sopra richiamati, testimoniato ciò dalla perdurante assenza nel nostro paese del riconoscimento giuridico-istituzionale della professione bibliotecaria.
Il mancato riconoscimento della professione - e della sua conseguente deontologia - non nasce certo dalla scarsa propensione dei bibliotecari a garantire la salvaguardia dei diritti di accesso, ma prima di tutto dal fatto che in Italia i servizi bibliotecari e documentativi non hanno ancora raggiunto quel necessario e generalizzato consenso di servizi a forte "centralità sociale", come neppure sono ancora diventati, per la classe dirigente del paese, oggetto di un "progetto politico" per cittadini ormai immersi nella "società dell'informazione".
La tavola rotonda, programmata nell'appuntamento seminariale della Fondazione San Carlo di Modena, si propone l'obiettivo di indagare se, nello specifico ambito delle biblioteche, siano individuabili comportamenti e modelli di erogazione dei servizi che siano afflitti dal tarlo della censura e quindi, non coerenti con i principi fin qui evidenziati.
L'analisi che viene proposta si posiziona su tre differenti livelli, anche se intrecciati inevitabilmente tra loro, all'interno dei quali si presuppone possa annidarsi una dose, speriamo non malefica, di censura. Lo schema di riflessione proposto vuole essere solo un'indicazione metodologica, forse eccessivamente schematizzata, ma che intende offrire ai bibliotecari, agli amministratori pubblici e agli esperti del settore dei servizi informativi e documentari, un punto di partenza per l'approfondimento in analisi e soluzioni di un fenomeno dal quale anche le biblioteche non devono ritenersi immuni:
Questa forma di censura si è sostanziata storicamente nel controllo operato dal potere politico e religioso, dalla stampa di Gütenberg in poi, sul prodotto editoriale e sui libri. La censura di stampa ha rappresentato, nei secoli, lo strumento fondamentale attraverso cui è stato esercitato il controllo sul libero pensare, al fine di creare consenso e di sopprimere le idee contrarie all'auctoritas. Al riguardo, basti ricordare l'Indice dei libri proibiti (Index librorum prohibitorum), cioè un elenco, sistematicamente aggiornato, che a partire dal 1559, ha indicato le pubblicazioni proibite dalla Chiesa cattolica. L'abolizione dell'Index fu decretata ufficialmente da Papa Paolo VI solo nel 1966.
Per un approfondimento conoscitivo della censura storicamente operata sul fronte dell'accesso al prodotto editoriale e al libro stampato, si rimanda alla copiosa bibliografia presente nel settore e che continua, anche nell'attualità di oggi, ad avere momenti congressuali e seminariali di studio e ricerca. [2]
La censura libraria, o di stampa, ovviamente porta i suoi effetti negativi anche nelle biblioteche, senza però che esse ne abbiano alcuna diretta responsabilità, se non quando tacciono di fronte a fenomeni censori che chiederebbero invece anche a queste istituzioni, di denunciare con forza lo svuotamento di quei principi universali che proclamano e difendono i diritti del libero accesso all'informazione e al sapere.
Se la censura libraria in senso lato, storicamente originata e gestita dai poteri politici e religiosi, è oggi attenuata dalla molteplicità e dalla complessità dei "media", non può comunque essere taciuta la presenza, a ricaduta deleteria nelle biblioteche, della censura libraria originata e provocata dal mercato editoriale [3].
E' questo un fenomeno strisciante e poco intercettabile, causato, dicono i protagonisti di questo settore, dalle leggi del mercato, dalla presenza di concentrazioni editoriali, da monopoli, da un certo tipo di pubblicità selettiva, dai meccanismi della diffusione e della distribuzione commerciale, nonché dalla precaria presenza sul territorio di librerie, magari anche poco attrezzate.
E' inoltre facilmente riconoscibile anche ai non addetti ai lavori la "marginalità" che affligge la media e piccola editoria. Essa però, con la sua ricca e qualificata proposta editoriale, non intende rinunciare al proprio ruolo di completezza nell'ambito del libero sapere e propone, da alcuni anni a questa parte, con convinzione ed energia, l'importante iniziativa nazionale di "Più Libri Più Liberi".
I bibliotecari che non curano e non aggiornano le proprie competenze professionali anche sul fronte della conoscenza del funzionamento e delle dinamiche del "mercato editoriale", corrono il forte rischio di incorrere in comportamenti di "censura informativa" nel momento in cui, per specifico compito professionale, si trovano a dover gestire i necessari incrementi delle collezioni delle biblioteche.
Non si può certo dire che le biblioteche, intese come "istituti culturali" che hanno il compito di essere servizio a libero accesso al "bene bibliografico e informativo", possano essere considerate immuni da situazioni censorie e limitative del diritto al sapere e alla conoscenza. Due possono essere, al riguardo, gli aspetti da analizzare:
Sulla censura nelle biblioteche Carlo Revelli ha prodotto due interessanti interventi pubblicati in "Biblioteche oggi" [4], nei quali offre un'esaustiva panoramica della presenza di momenti, anche significativi e preoccupanti, di censura nelle offerte sia documentarie che di servizio di tante biblioteche, fenomeni constatati anche in paesi da tempo all'avanguardia in questo settore, quali Stati Uniti e Gran Bretagna.
E' invece Paolo Traniello a sottolineare nei suoi studi [5] la prima grande causa di "censura" operata dai servizi bibliotecari in un paese come l'Italia che, dall'unità ad oggi, ha purtroppo mantenuto un comportamento politicamente amorfo ed approssimativo nell'affrontare e decidere interventi di politica bibliotecaria nazionale. Questo negativo comportamento di mancata valorizzazione degli strumenti della conoscenza presenti nelle biblioteche è invece più attenuato nell'ambito delle autonomie locali, che hanno adottato, seppur non in modo uniforme e diffuso, scelte di "politica bibliotecaria" di buon livello, grazie al dinamismo e alle scelte sia di amministrazioni regionali che territoriali.
Anche la mancanza di politiche nazionali di incentivazione e sostegno alla lettura, da praticare al di fuori del "tempo scolastico", è causa di carenze che generano nei cittadini, una volta diventati adulti, i noti problemi di difficoltà di accesso agli strumenti di una conoscenza libera e consapevole.
Chiudendo l'aspetto fin qui considerato, in sintesi si può certamente affermare che l'Italia deve recuperare la propria carenza sul fronte della "politica" bibliotecaria nazionale; e lavorare per la messa a disposizione di strutture organizzative efficienti, funzionalmente coordinate tra loro, al fine della predisposizione di un vero "servizio bibliotecario nazionale", pari a quello di altri paesi. In caso contrario, si dovrà purtroppo ancora constatare che in Italia, agli inizi del terzo millennio, si è ancora in presenza di una strisciante "censura istituzionale" al diritto di accesso ai documenti, ai libri e, in generale, alla conoscenza libera e consapevole da parte di tutti
E' questo il terzo e più problematico aspetto che qui si propone di affrontare e analizzare, al fine di capire quanto e come si possa annidare nel comportamento professionale del bibliotecario l'aspetto censorio e limitativo dell'accesso ai servizi bibliotecari da parte dei cittadini. Diciamo subito che sono numerosi i documenti professionali e associativi che, nel fare propri i principi del diritto universale all'accesso alla conoscenza, sono stati proposti all'attenzione degli operatori del settore in forma di "Codici deontologici". [6]
Questa giusta preoccupazione delle associazioni professionali, che invitano e vincolano i propri soci all'etica professionale, rappresenta solo il punto "finale" di una sequenza di altri strumenti che devono sempre essere mantenuti attivi al fine di evitare comportamenti o atteggiamenti censori nella predisposizione dei servizi. Chi lavora nelle biblioteche rischia di incorrere in attività censoria in molte situazioni:
Ecco alcune tipologie di "bibliotecario" che possono nascondere elementi censori:
Difficile pensare che le questioni e i problemi aperti del corretto agire sul fronte dell'etica professionale siano di facile soluzione. In modo del tutto astratto, si propone il seguente elenco di interrogativi aperti, ma anche di strumenti possibili, che possono forse aiutare chi lavora nelle biblioteche a non cadere nella trappola della censura:
Ecco infine alcune e parziali indicazioni operative:
Fausto Rosa, Consorzio per il Sistema Bibliotecario - Abano Terme, e-mail: fausto.rosa@provincia.padova.it
[1] Tra i molti documenti istituzionali si richiamano:
[2] Si indicano di seguito alcuni dei tanti lavori che hanno approfondito la storia e il fenomeno della censura libraria: Maria Iolanda Palazzolo, I libri il trono l'altare: la censura nell'Italia della restaurazione, Milano, Angeli, 2003; Libro e censure, a cura di Federico Barbierato, Milano, Sylvestre Bonnard, 2002; Mario Infelise, I libri proibiti: da Gutenberg all'Encyclopédie, Roma, GLF Editori Laterza, 1999.
[3] Molto interessante al riguardo è l'articolo di Luca Ferrieri, Dalla censura alla paracensura del mercato, "La Rivisteria", 130 (2003), p. 58-65.
[4] Carlo Revelli, Lo spettro della censura, "Biblioteche oggi", (2003), 5, p. 42; Id., I vari aspetti della censura, "Biblioteche oggi", (2003), 8, p. 79.
[5] Oltre al più corposo lavoro dal titolo Storia delle biblioteche d'Italia. Dall'Unità ad oggi, Bologna, Il Mulino, 2002, si richiama qui anche quello recentemente pubblicato con il titolo Le biblioteche italiane oggi, in particolare l'ultimo capitolo, il terzo, che con il titolo Luci e ombre del quadro bibliotecario italiano (p. 77-97), ribadisce autorevolmente le palesi inadeguatezze di un quadro nazionale di servizi bibliotecari, senza i quali non è possibile parlare di attuazione vera ed efficace dei diritti di accesso alla documentazione, allo studio e alla ricerca.
[6] Lo Statuto dell'AIB: art. 2 -Scopo sociale … f) promuovere il rispetto dei principi deontologici della professione. Il Codice deontologico dell'AIB: è un codice etico che impegna il bibliotecario socio nel suo comportamento professionale. Rappresenta lo statuto dell'autonomia della professione. Stabilisce i doveri del bibliotecario nei confronti dell'utente e della professione. E' diviso in tre parti: Doveri verso l'utente; Doveri verso la professione; Doveri verso i documenti e le informazioni.