A partire dal ventaglio di temi proposti dal coordinatore, il mio contributo alla tavola rotonda può sintetizzarsi in quattro paragrafi, i cui titoli elencati sotto non devono trarre in inganno con la loro altisonanza; si tratta in realtà di spunti di riflessione derivanti per lo più dall'esperienza diretta e dalla consultazione di AIB-CUR, da inserire concettualmente all'interno dei seguenti contenitori:
Le riflessioni sono percorse trasversalmente da due fili di pensiero che come bibliotecaria ho avuto sempre presenti, ma che sono divenuti più pressanti negli ultimi anni: da un lato, la gestione corretta delle risorse pubbliche, in tempi di riduzione delle disponibilità; dall'altro, la necessaria assunzione di responsabilità da parte del bibliotecario, all'opposto dello stereotipo del dipendente pubblico.
La biblioteca svolge un ruolo insostituibile nella diffusione e promozione della piccola editoria e dell'opera dei giovani scrittori. Certo anche la libreria ha una parte fondamentale, ma i vincoli commerciali e il ritmo della produzione editoriale ne limitano molto lo spazio di intervento.
La riduzione delle risorse costringe il bibliotecario ad accentuare la selezione, con danni evidenti proprio per questa produzione editoriale: avendo bilanci limitati il lavoro può farsi meno preciso, con una tendenza ad accogliere quanto proposto dal mercato e sicuramente destinato ad avere prestiti. Questa editoria inoltre meriterebbe una specifica promozione, come volano di un possibile successo culturale ed economico (ricordiamo che proprio questo era tra gli argomenti del movimento "No pago" contro il pagamento di gabelle sui prestiti, e cioè il valore economico di un'azione culturale messa in campo dalle biblioteche). Ma se non ci sono fondi, addio promozione; se ci sono ancora meno fondi, riduzione degli acquisti. Alla fine, il rischio è di una totale omologazione, quello che Paolo Traniello ha appena definito "bigottismo laico e culturale".
Altro punto critico riguarda l'editoria in lingua, ed in particolare nelle lingue degli immigrati. Tutti i nostri documenti ufficiali assegnano a questa sezione patrimoniale un posto da comprimaria in biblioteca: da ultimo il Manifesto di Alessandria, che invita a "promuovere il multilinguismo, la diversità culturale e i bisogni speciali delle popolazioni indigene e delle minoranze". Ma la distribuzione non si occupa di questo, e ci vuole molta determinazione per acquisire (lo testimoniano i tanti messaggi in AIB-CUR, e ne è prova il fatto che proprio questo tema costituisca uno degli obiettivi del Gruppo di lavoro AIB sul multiculturale). Anche in questo caso i tagli agiscono fortemente: in generale, infatti, ancora non si acquista questo materiale strutturalmente ma per progetti che, com'è noto, sono i primi a saltare.
Accettiamo come premessa sia un dato oggettivo - l'importanza numerica delle piccole biblioteche - sia il ruolo fondamentale per il diritto alla conoscenza che questi servizi svolgono; da questo punto di vista vorrei ricordare l'importanza di operazioni come quella che ha portato alla stesura del documento Linee di politica bibliotecaria per le autonomie, soprattutto per lo stimolo per affermare l'importanza dei servizi, il tentativo di prevedere meccanismi e organismi concreti di salvaguardia, e infine l'accento sulla cooperazione, opportuno sempre, ma ancor di più in epoche di risorse scarse.
Il rischio per questi servizi, nella povertà di risorse, è quello di gravi censure: alla dimensione limitata si accompagna la necessità di rappresentare, spesso nella solitudine di un piccolo centro, tutta la conoscenza; si fa più forte per il bibliotecario l'onere della selezione, e per la biblioteca aumenta il rischio di stasi: poche acquisizioni, pochi nuovi servizi, scarsa vivacità.
In questo contesto c'è il rischio di non controllare la raccolta per il peso che vi possono assumere doni e omaggi. Già Raffaella Manelli ha ricordato il dibattito modenese su Islam e immigrazione, pubblicazione edita durante la campagna elettorale del 2006 e distribuita in maniera capillare ed aggressiva alle biblioteche dell'Emilia Romagna. Nel dibattito che si è sviluppato tra i bibliotecari modenesi sono emerse, assieme a considerazioni di stampo più politico, posizioni molto diverse sulle acquisizioni e sulla censura, con una tendenza ad accogliere più accentuata nelle piccole realtà: proprio in quelle, paradossalmente, in cui deve essere svolta con più cura un'attività di selezione che tenga conto delle caratteristiche della raccolta e dei lettori. Personalmente condivido in pieno quanto letto qualche tempo fa in AIB-CUR: "Pensare di accogliere tutto per paura di esercitare un'attività critica che fa parte del nostro bagaglio professionale conduce in breve tempo alla morte della biblioteca come servizio utile" (Davide Gnola, 9 Dec 2002, subject: Donazioni a piccole biblioteche).
A margine: è significativo il commento alla vicenda di un non addetto ai lavori, il giornalista de "La Repubblica" Michele Smargiassi, che sul giornale del 23 marzo 2006 firmava un articolo dal titolo "Allah non ama l'uomo". Lega all'assalto degli scaffali. Dopo un'analisi attenta della pubblicazione, Smargiassi afferma: "Che un bibliotecario serio possa inventariare nel patrimonio librario pubblico ed esporre tra enciclopedie, classici e saggistica d'autore un opuscolo elettorale che fin dalle prime pagine rivendica tutti i meriti anti musulmani del partito a cui fa propaganda, è fortunatamente improbabile, benché non impossibile". Da una ricerca in OPAC SBN (aggiornata al 1 marzo 2007), la pubblicazione risulta localizzata in 61 biblioteche emiliano-romagnole, tra cui due biblioteche scolastiche e un centro di lettura per bambini.
Carlo Revelli si è occupato a più riprese del tema nella sua rubrica Osservatorio internazionale su "Biblioteche oggi". Mi ha colpito una frase riportata nel suo saggio I vari aspetti della censura dell'ottobre 2003 (n. 8, p. 81): "Filtrare in nome del bene pubblico significa rendere infantile la società", in cui si ritrova una forte assonanza con quanto affermato oggi da Cristina Belloi quando parlava in termini più astratti di immunitas: la risposta protettiva nei confronti di un rischio, che porta ad autoimmunizzarsi preventivamente, genera chiusura e indebolimento, mentre le comunità si rafforzano allargando e aprendo. Sulla stessa linea di ragionamento, per dirla con Paul Sturges, l'ignoranza non protegge, la conoscenza protegge.
La scelta tra le due posizioni – apertura/chiusura, libertà/censura – è un campo di battaglia per il bibliotecario. Lo stesso Revelli, in un intervento del giugno 1993, Lo spettro della censura (n. 5, p. 42-46) descrive la situazione paradossale creatasi in una biblioteca pubblica dell'Arizona in occasione dell'uscita di Sex di Madonna: più di cinquanta richieste di acquisto da parte di altrettanti lettori; in parallelo, duecento telefonate di protesta al sindaco perché fosse disdetto l'ordine di acquisto. Pienamente condivisibile il parere espresso da una bibliotecaria sulla stessa vicenda, per mettere in guardia rispetto ai pericoli della censura: "La biblioteca pubblica non ha il compito di censurare le informazioni, ma di lasciare a chi la frequenta la libertà di decidere quello che desidera o non desidera leggere, ascoltare o guardare, riflettendo la ricchezza di convinzioni e di opinioni presenti nella nostra cultura".
Ancor più delicato è affrontare il tema con riferimento ai ragazzi, e ancor di più ai giovani. Se per i ragazzi il bibliotecario può appoggiarsi alle sezioni dedicate e all'editoria specifica, per gli adolescenti si pone il problema di dove porre i confini, tenuto anche conto dei loro gusti in formazione e del loro forte interesse per il proibito. Tutti temi, ad esempio, che le Biblioteche del Comune di Modena hanno dovuto affrontare ed esplicitare quando si sono trovate davanti alla protesta di un genitore per un libro "forte", Destroy di Isabella Santacroce, dato in prestito a un sedicenne. Un giornale locale ha dato fiato ai commenti più biechi, l'Amministrazione e la maggioranza politica hanno spalleggiato i bibliotecari, la Biblioteca ha rischiato di giocarsi la sua immagine nei confronti dei lettori più tradizionali. I bibliotecari, se pure non all'unisono, hanno sostanzialmente condiviso l'idea che il problema non sia stabilire a priori cosa i giovani possano leggere e cosa no, ma aiutarli ad affrontare la complessità dei linguaggi e la ricchezza degli stili, anche i più crudi.
In definitiva restano valide – dopo trent'anni! - le considerazioni di Virginia Carini Dainotti, già citata in questo Seminario sia da Paolo Traniello che da Giovanni Galli: "Il compito della biblioteca non è di educare ma di provocare; non di amministrare e somministrare la "verità" ma di ingenerare il dubbio e di incoraggiare la ricerca e il confronto". "La biblioteca pubblica non conosce la verità, non è depositaria della verità, non ha mai preteso di comunicare la verità, bensì assume come proprio compito di aiutare ciascuno nella ricerca della sua verità".
Il bibliotecario corre il rischio di considerare concluso il proprio lavoro con buone raccolte e buoni servizi: se è vero che solo garantire ciò costa molto, occorre lucidamente considerare che in questo modo si attua una esclusione, quella del lettore potenziale utente, che ha bisogno di stimoli per affacciarsi alla porta del servizio.
Davanti alla ormai più volte richiamata questione delle risorse limitate, dobbiamo affrontare dubbi di base per i quali non c'è risposta una volta per tutte:
Ognuna di queste scelte include/esclude in modo diverso, e richiederebbe una convergenza di scelte tecnico-professionali e scelte politiche. Il bibliotecario deve mettere in campo la sua formazione professionale, ma prima ancora la cultura personale. Certamente questo vale per molte professioni, ma in particolare per la nostra che mette assieme aspetti scientifici, tecnologici, relazionali.
E' stato certamente giusto, nella selezione dei bibliotecari, abbandonare i temi di cultura generale e gli esercizi di diritto. Ma oggi mi pare che il rischio sia di assegnare fin troppo peso alle conoscenze tecnico-scientifiche, che sono sia utili all'esercizio della professione, sia più misurabili nei concorsi. L'esito nel lungo periodo appare incerto: in realtà, se il bibliotecario ha consapevolezza, buon senso, capacità di relazione oltre a una solida preparazione specifica, questo costituisce una grande tutela contro censure ed esclusioni.
Meris Bellei, Biblioteche del Comune di Modena, e-mail: mbellei@comune.modena.it