Il progetto AEPIC (Academic E-Publishing Infrastructures - CILEA): le esigenze degli autori e lo stato dell'arte dei servizi *
Lo scopo di questa relazione è di inserire la proposta del Cilea per l'Electronic Publishing nel contesto delle ultime evoluzioni tecnologiche, illustrare gli aspetti salienti del dibattito su questo tema a livello internazionale e trarre alcune conclusioni pratiche per l'attuazione del Progetto.
Il documento AEPIC è stato scritto nella primavera del 2002; dal punto di vista operativo venivano proposti tre sottoprogetti. Il primo è orientato alla installazione e messa in opera di Open Archives istituzionali e disciplinari destinati all'auto-archiviazione di manoscritti, preprints, postprints, documenti pubblici ecc. Il secondo sottoprogetto vede l'uso di archivi di tipo OA per la pubblicazione di periodici e atti di congressi. Il terzo propone la creazione di archivi per i materiali didattici in uso corrente.
Le proposte del progetto AEPIC erano molto correlate con le realizzazioni, il software disponibile, le tendenze e le idee che hanno visto la luce nella primavera 2002. Prova ne può essere il fatto che a Bologna era stato avviato un progetto di biblioteca digitale (chiamata ALMA DL, o meglio Alm@DL in quanto la denominazione ufficiale dell'Università è Alma Mater Studiorum-Università di Bologna) con finalità e partizioni molto simili a quanto previsto in AEPIC.
E' quindi particolarmente importante verificare la fattibilità dei sottoprogetti e definirne le priorità operative.
Come è si è già detto [1], e come anche la relazione di Antonella De Robbio [2] ha ribadito, la scelta di strategie alternative per l'editoria e la comunicazione scientifica sono state sollecitate:
Al momento attuale molto poco dei profitti dei grandi editori "ritorna" alle università e ai centri di ricerca, se non in minima parte sottoforma di "bonuses" per i referees e gli editors. Moltissimo viene invece drenato dai costi di abbonamenti e licenze di accesso.
In altri paesi (Gran Bretagna, Stati Uniti, Australia ecc.) vi sono precise statistiche sulla crescita del prezzo dei periodici; citiamo qui la tabella pubblicata sul sito dell'Università di Glasgow, nell'ambito della promozione degli archivi eprints ("create change") [3] dove risulta chiarissimo che il prezzo dei periodici è cresciuto dal 1991-92 del 140%.
Come è già stato detto da molti autori, i lavori pubblicati esclusivamente su periodici di proprietà di editori commerciali sono meno letti e meno citati; anche nel caso di lavori pubblicati prevalentemente in atti di congressi, il tasso di citazioni e di utilizzo è maggiore se questi sono in linea gratuitamente, come dimostra lo studio di Lawrence [4], riferito ad articoli di informatica.
Di recente si sono susseguiti molti incontri e convegni che hanno portato importantissimi contributi alle alternative per l'editoria accademica elettronica. Il secondo Workshop sugli OAI [5] organizzato dal CERN a Ginevra e il convegno di Parigi sugli Open Archives e le riviste Open Access [6] organizzato dal CNRS hanno, tra le molte materie trattate, evidenziato i forti toni polemici tra editori e sostenitori del self-archiving (o dell'Open Access). A Parigi, nel gennaio 2003, il portavoce di Elsevier Bolman si è spinto ad affermare che le università finiranno per prendere dai budget delle biblioteche i soldi per pagare i contributi degli autori sulle riviste Open Access, e che gli Autori non rinunceranno mai a sistemi evoluti e gratuiti di pubblicazione quali quelli messi a disposizione da Elsevier: questo discorso capzioso e manipolatorio è stato smascherato dai partecipanti (Jean-Claude Guédon ha ribattuto che nonostante la sua retorica ciceroniana non sarebbe riuscito ad ingannare il pubblico), indignati dallo scoperto intento di inimicare tra di loro bibliotecari ed autori.
Il tema su cui si è maggiormente approfondito il dibattito nella seconda metà del 2002 è il comportamento sociale degli autori: questo argomento è indissolubilmente legato all'attuale uso degli archivi, che stentano a riempirsi di contenuti. Personaggi importanti come Chris Rusbridge, già direttore del complesso di progetti eLib in Gran Bretagna, al termine del suo brillante intervento - al convegno IFLA 2002 - sulle licenze di accesso alle risorse elettroniche, ha detto che gli autori non depositano negli archivi per un puro fatto di inerzia. Le motivazioni sociali di questa inerzia sono state analizzate da Jean-Claude Guédon [7] in numerosi suoi interventi, ed anche da Frederic Friend nell'occasione di una tavola rotonda organizzata dall'IFLA il 15 maggio 2002 proprio su questa tematica.
Friend e Guédon hanno evidenziato che, nel mondo accademico e della ricerca, i lettori apprezzano l'accesso diretto alle riviste elettroniche e tutti i servizi correlati (i legami con le banche dati di spogli, i links tra citazioni bibliografiche, ecc.), la possibilità di accedere tramite gli Open Archives ai lavori non ancora pubblicati, e tanti altri servizi che l'attuale tecnologia rende possibili. Tuttavia come autori tendono a privilegiare la pubblicazione su periodici pubblicati da editori internazionali che inevitabilmente (ed ora possiamo dire: in maggioranza, dopo la pubblicazione dei risultati del progetto RoMEO [8]) chiedono loro la cessione dei loro diritti, il che rende automaticamente poco accessibili i loro lavori. Le motivazioni addotte dagli autori sono sostanzialmente quelle che senza una pubblicazione all'interno di periodici di livello internazionale i riconoscimenti di carriera e la vincita di cattedre sono difficili. Di conseguenza gli autori tendono a pubblicare in periodici con alto Impact Factor, con controllo editoriale e peer review, anche se questo implica che debbano rinunciare ai propri diritti e a depositare in un archivio disciplinare o istituzionale i propri lavori. Esiste una serie di motivazioni implicite, che appartengono più ai capiscuola e ai docenti già saldamente ai vertici della carriera, secondo le quali la pubblicazione in queste riviste assicura loro (direttori delle medesime, o presidenti delle Società scientifiche di cui questi periodici sono l'organo ufficiale) il controllo sulla produzione scientifica di intere schiere di giovani ricercatori. Ebbene, come ha giustamente sottolineato Guédon lo scorso anno a Ginevra, fintanto che il modello economico dei periodici era legato alla stampa e alla frammentazione degli editori, questa forma di potere poteva senz'altro esercitarsi senza condizionamenti; oggi il modello economico è quello determinato dai vari Elsevier, Wiley ecc.: se una rivista di una società scientifica "rende", viene pubblicata, se invece produce pochi profitti potrebbe anche essere chiusa e la società scientifica non trova alternative alla diffusione del sapere da essa "gestito". Il livello del prezzo dell'abbonamento e del costo della licenza, per rapporto al numero (variabile!) dei lettori diventa un nodo cruciale della discussione: gli autori (e anche lettori), insieme ai bibliotecari, chiedono se è possibile pubblicare periodici che costino di meno, dal momento che la società scientifica di cui questi periodici sono l'organo ufficiale è un ente no-profit.
L'efficace lavoro di pressione svolto soprattutto in Gran Bretagna da SPARC Europe sta già dando buoni frutti in questa direzione: ne è prova l'intervento di Sally Morton al convegno di LIBER a Roma nel giugno 2003: per rapporto a quanto affermato pochi mesi prima a Parigi, la Morton [9] ha riportato in dettaglio i dati di un questionario della sua casa editrice rivolto agli autori, sottolineando che, anche se i periodici elettronici non costano tanto di meno di quelli cartacei, l'ALPSP [10] desidera venire incontro alle società scientifiche che sono i principali interlocutori della casa editrice: ha anche affermato che è possibile negoziare tariffe di accesso e di abbonamento inferiori, nel caso che le società non siano interessate ad un dividendo del profitto, ma siano esclusivamente alla ricerca di una edizione elettronica e siano in grado di condividere le spese editoriali.
Risulta quindi chiaro, anche dal contributo della Morton al convegno di LIBER, che buona parte del dibattito sull'editoria elettronica ruota intorno a modelli economici innovativi per rapporto al tradizionale binomio "rivista tradizionale a stampa e con accesso online" gestito dagli editori commerciali.
L'iniziativa di SPARC Europe comincia ad essere visibile e a dare alcuni frutti: al convegno "European Conference on Research and Advanced Technology for Digital Libraries" la sfida tra David Prosser (SPARC) e Michael Mabe (Elsevier) che avrebbe potuto ripercorrere le consuete tematiche (costo della peer review, della piattaforma tecnologica, ecc.) è stata inchiodata sulle cifre dall'arbitro dell'incontro, il prof. Leo Waaijers (matematico e presidente del Centro di ricerca dell'Università di Wageningen in Olanda), che ha dimostrato, conti alla mano: il prezzo per articolo di una rivista commerciale può essere calcolato in base al numero di abbonamenti per rivista e al costo medio di queste; la licenza per accesso non influisce sul costo dell'articolo, ma aumenta l'accesso; secondo i suoi calcoli il costo medio di un articolo su una rivista commerciale è di 10.000 euro, mentre il costo di un articolo su BioMedCentral è di 500 euro.
Le riviste Open Access sono quindi il nuovo punto di riferimento. Esiste ora una directory di questi periodici organizzata dall'Università di Lund, che conta circa 561 titoli [11]. In seguito al recentissimo convegno di Berlino su "Open Access to Knowledge in the Sciences and Humanities" e alla "Dichiarazione" [12] firmata da grandi istituzioni tedesche della scienza e della cultura, "open access" non è solo il modello economico su cui si basano alcuni periodici come BioMedCentral e Public Library of Science, ma anche un contesto di condizioni di scambio e accesso al sapere.
Alcune prime risposte alle esigenze esplicite degli autori di pubblicare su periodici di cui sia noto il valore scientifico vengono dal mondo stesso degli Open Archives: numerosi autori già sanno che l'accesso e l'uso (browsing, print, download, citation…) dei loro articoli in alcuni archivi disciplinari (primo tra tutti RePEc) viene registrato, andando a costituire una rendicontazione che è molto più esplicita e concreta del rozzo Impact Factor o Citation half life; inoltre il progetto OpCit, lanciato appunto da Stevan Harnad e dai suoi collaboratori [13], propone di generalizzare agli Open Archives questo sistema di valutazione sull'uso, a partire dalla sua applicazione ad ArXiv. Infine, va sottolineato che il primo grande gruppo di riviste Open Access (BioMed Central) affianca all'Impact Factor, che è stato introdotto per alcuni di questi titoli, anche la valutazione sull'uso (CiteBase) [14].
Insomma, l'importante apertura di dibattito creata dalla diffusione degli Open Archives è foriera di grandi innovazioni che non necessariamente debbono rovesciare la presenza sul mercato di periodici commerciali, ma sicuramente ridimensionano il loro potere di condizionamento sulle pubblicazioni, e potenzialmente possono portare ad un ripensamento riguardo ai prezzi.
Per collocare adeguatamente la proposta di AEPIC occorre ora esaminare qual è la situazione attuale in Italia. Alcune università (Padova, Firenze, Pisa, Trento, Bologna) hanno installato archivi che impiegano il software Eprints sviluppato dall'Università di Southampton, il CNR di Pisa sta sviluppando una iniziativa articolata di promozione degli Open Archives e sperimentazione di servizi (Scholnet, OpenDLib), la SISSA di Trieste ha un servizio di service provider (TORII), il CNR di Bologna sta sperimentando la fattibilità di realizzare sia service che data provider. In specifico l'Università di Bologna, oltre ad aver installato tre archivi Eprints (uno per la didattica - AMS Campus - uno per gli Atti di convegni - AMS Acta - e uno per i lavori preprints e postprints - AMS Miscellanea - ), ha inquadrato tale iniziativa in un progetto a più largo respiro, finanziato sui fondi per la didattica, con l'obiettivo di incoraggiare e sostenere l'uso delle risorse elettroniche per la didattica e la ricerca. Mentre l'Università di Trento è riuscita ad agganciare la problematica della valutazione allo sviluppo del proprio archivio eprints, almeno a partire da alcune aree disciplinari.
Altre Università hanno scelto di testare DSpace [15], il prodotto del MIT (risultato della collaborazione con Hewlett Packard e altre Università americane): l'Istituto Universitario Europeo di Fiesole, l'Università di Pisa e l'Università di Parma e l'Università di Trieste (per le tesi).
Si può dire pertanto che in Italia si stia facendo molto per cominciare a diffondere i vantaggi di queste innovazioni nel campo editoriale e per diffondere comportamenti meno supini alle logiche commerciali dei grandi editori internazionali.
Diventa quindi importantissimo cominciare a mettere in discussione (come appunto si sta facendo a livello internazionale) i modelli economici prevalenti, facendo tuttavia attenzione a non cadere nell'eccesso opposto (rivista elettronica totalmente gratuita basata sull'impegno volontario dell'editor e degli autori). Certamente appare obsoleto, alla luce di quanto detto finora, il modello tradizionale delle University Press, che da una parte si impegnano comunque nella pubblicazione a stampa delle loro opere e dall'altra chiedono agli autori la cessione dei loro diritti: dalla chiusura di alcune University Press negli Stati Uniti si può desumere che esse rappresentano un aspetto di frammentazione editoriale ormai di corto respiro, sia rispetto alla concentrazione monopolistica degli editori che dei consorzi tra università. La definizione del nuovo modello economico "Open Access" deve accompagnarsi ad una politica attiva di negoziazione di "nuovi spazi di libertà" per gli Autori, quale la libertà di deposito, l'informazione sulle molteplici iniziative, ecc. Tale politica si baserà inevitabilmente sulla valorizzazione delle risorse interne che le università hanno per articolare nuove proposte di e-publishing. La promozione nel modello "Open Access" - così come viene inteso nella dichiarazione di Berlino - non può essere pubblicizzato solo come una nuova rivista "free access" ma deve essere spiegato in profondità rispetto a tutte le sue implicazioni etiche e tecnologiche: si tratta di una lavoro di lunga durata.
AEPIC si può porre come infrastruttura di sostegno e potenziamento di queste iniziative, badando a non sovrapporsi, ma a favorire le iniziative di cooperazione che, nell'attuale panorama di autonomia delle università, sono ancora troppo deboli; in molti contesti è ancora necessario comprendere che la concorrenza tra gli atenei è basata sull'offerta formativa e sulle strutture di servizio. Tra gli attori di tali decisioni è oltremodo necessaria una collaborazione attiva (come di fatto accade: la CRUI, il CODAU, i consorzi di sistemi bibliotecari sono una realtà!): assolutamente indispensabile per superare vecchi schemi e modelli organizzativi obsoleti.
Valentina Comba, Centro InterBibliotecario - Università di Bologna, e-mail: comba@cib.unibo.it
* Il presente articolo è una versione aggiornata dell'intervento preparato per il convegno di presentazione di AEPIC del 20 maggio 2003: pertanto è stato modificato in alcune parti e sono state aggiunte informazioni relative ad eventi successivi al convegno di Milano.
[1] Valentina Comba, AEPIC Academic E-Publishing Infrastructures - CILEA: Progetto di editoria elettronica per la ricerca e la didattica (2002) <http://eprints.rclis.org/archive/00000066/01/AEPIC-CO511.pdf>.
[2] Antonella De Robbio, Auto-archiviazione per la ricerca: problemi aperti e sviluppi futuri, (2003) <http://eprints.rclis.org/archive/00000180/03/OAI-20maggio2003.pdf>.
[3] The vicious circle <http://www.gla.ac.uk/createchange/glasgowcontext.html>.
[4] Steve Lawrence, Free online availability substantially increases a paper's impact, "Nature", 411 (2001), p. 6837-521 <http://www.neci.nec.com/~lawrence/papers/online-nature01/>.
[5] 2nd Workshop on the Open Archives Initiative (OAI): Gaining independence with e-prints archives and OAI <http://agenda.cern.ch/fullAgenda.php?ida=a02333>.
[6] Open Access to Scientific and Technical Information: State of the Art and Future Trends, Paris, 22-23 janvier 2003 <http://www.inist.fr/openaccess/en/programme.php>.
[7] Jean-Claude Guédon, In Oldenburg's Long Shadow. Librarians, Research Scientists, Publishers, and the Control of Scientific Publishing, (2001) <http://arl.cni.org/arl/proceedings/138/guedon.html>. Si veda anche la registrazione del suo intervento al citato convegno sugli OAI a Ginevra nell'ottobre 2002.
[8] RoMEO Project <http://www.lboro.ac.uk/departments/ls/disresearch/romeo/>.
[9] Convegno LIBER, Roma, 7-18 giugno 2003, Roma <http://www.bncrm.librari.beniculturali.it/ita/liberpro.htm>.
[10] ALPSP: Association of Learned and Professional Society Publishers <http://www.alpsp.org/>.
[11] Directory of Open Access Journals <http://www.doaj.org/>.
[12] Berlin Declaration on Open Access to Knowledge in the Sciences and Humanities <http://www.zim.mpg.de/openaccess-berlin/berlindeclaration.html>.
[13] OpCit the Open Citation Project <http://opcit.eprints.org/>.
[14] Si veda: <http://www.biomedcentral.com/info/authors/indexing>, in particolare il rimando a CiteBase: <http://citebase.eprints.org/cgi-bin/search>.
[15] DSpace Federation: DSpace at MIT <www.dspace.org/>.