«Bibliotime», anno VI, numero 1 (marzo 2003)


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Un archivio autorevole per la LIS



Non c'è da stupirsi, scrive Carlo Revelli [1], se le molteplici incertezze che al giorno d'oggi circondano la professione bibliotecaria possano dar vita a "conseguenze lessicali" anche rilevanti: difatti non è un caso, prosegue l'autore, se "il termine biblioteconomia o scienza delle biblioteche" sia sempre più spesso "accompagnato da informazione, quasi a esprimere un concetto estraneo alla scienza delle biblioteche. Può avvenire addirittura che l'informazione, una volta conquistato un suo proprio posto accanto alla scienza delle biblioteche, cacci dal nido il nome di quest'ultima": è esattamente ciò che pensa Michael Gorman, il quale "nega validità al termine information science", considerandola una "pseudodisciplina" che, nelle parole dello studioso americano, "sopravvive semplicemente perché negli Stati Uniti i suoi aderenti sono in gran parte parassiti dell'educazione dei bibliotecari" [2].

In realtà - e su queste colonne ci è capitato più volte di notarlo - all'interno dell'acronimo LIS la scienza delle biblioteche e quella dell'informazione non sembrano per nulla in conflitto, anzi paiono rafforzarsi a vicenda, fornendo alla "nuova" disciplina (la library and information science, appunto) una gamma assai vasta di prospettive, di approcci, di punti di vista, specie in una fase come l'attuale, condizionata da inedite maniere di presentazione e di fruizione delle diverse realtà informative.

Una prova di questa vivacità disciplinare viene dalla quantità di letteratura professionale prodotta negli ultimi anni e veicolata non solo dai tradizionali strumenti di diffusione delle conoscenze (i libri e i periodici), ma da una molteplicità di strumenti quali siti web generali o specializzati, virtual reference desk, tutorial, etc., per quanto anche in ambito LIS la diffusione delle idee e il dibattito disciplinare sia tuttora affidato allo strumento per eccellenza della comunicazione scientifica, e cioè la rivista.

Non v'è dunque da meravigliarsi se anche nelle nostre discipline si assista alla nascita di sempre nuovi periodici, cartacei o elettronici, che si affiancano a quelli già esistenti per approfondire la discussione e stimolare la crescita professionale. Ma come nelle altre aree disciplinari, anche nella LIS la maggior parte dei periodici sono di proprietà dei grandi editori commerciali, che com'è noto godono di una vera e propria posizione dominante sul mercato delle pubblicazioni scientifiche; questo consente loro non solo di imporre costi di abbonamento sempre più alti, ma di sottrarre agli autori qualsiasi diritto sui lavori inviati a tali periodici, sfruttando la necessità degli studiosi di pubblicare, per ragioni legate alla carriera accademica, su riviste "prestigiose" e dotate di elevato fattore d'impatto, riviste che di norma sono proprio quelle possedute dai principali editori internazionali.

Anche la nostra comunità è dunque alle prese con ciò che viene definita la crisi della comunicazione scientifica, ma con almeno due "consapevolezze" in più rispetto alle altre comunità: la prima consiste nel fatto che sono proprio le biblioteche a dover pagare i costi maggiori del costante aumento degli abbonamenti ai diversi periodici scientifici, per cui proprio i bibliotecari dovrebbero essere in prima linea nell'individuare possibili alternative a una situazione così dolorosa e frustrante; la seconda è invece di natura squisitamente disciplinare, in quanto è nell'ambito bibliotecario che, negli ultimi anni, il tema della comunicazione scientifica e della sua crisi è stato dibattuto e approfondito con particolare attenzione, e le stesse riviste di biblioteconomia e scienze dell'informazione hanno ospitato importanti contributi su un tema di così grande rilievo culturale e sociale.

In tale contesto, è allora possibile che un bibliotecario si trovi nella paradossale situazione di inviare un articolo sui costi eccessivamente elevati dei periodici scientifici a una rivista LIS di proprietà di un editore che pratica proprio queste politiche, e può accadere che l'autore venga obbligato a cedere tutti i diritti sul proprio articolo e a non pubblicarlo su altri strumenti, cartacei ed elettronici, diversi dalla rivista in questione (obbligo ormai noto come "regola di Ingelfinger", da Franz Ingelfinger, editor del "New England Journal of Medicine" che l'ha enunciata per la prima volta nel 1977).

Quali possibilità allora esistono per bibliotecari e studiosi che desiderano mettere a disposizione della comunità internazionale il prodotto delle proprie ricerche senza dover sottostare a obblighi e costrizioni che sono in evidente contrasto con un preciso commitment disciplinare e professionale? Le stesse, ci pare evidente, a cui si rivolgono con fiducia le altre comunità scientifiche, e cioè gli archivi aperti da un lato e le riviste ad accesso aperto dall'altro: si tratta di due strumenti che, ciascuno per la propria parte, sono in grado di dar vita a una nuova forma di comunicazione scientifica, come ha messo in luce la Budapest Open Access Initiative, una fra le più importanti iniziative di promozione e di stimolo a livello internazionale.

E se nelle nostre discipline non mancano le riviste free online (ricordiamo testate internazionalmente riconosciute come "Ariadne", "D-Lib", "The Journal of Electronic Publishing" ma anche, per l'ambito italiano, "Bibliotime"), nello stesso settore fino ad oggi non si era ancora manifestata l'opportunità di avere a disposizione un vero open archive; ora tale carenza è stata colmata, e proprio nel nostro paese, con la creazione di E-LIS. Si tratta, come illustra il contributo di Antonella De Robbio (che di E-LIS è stata la promotrice e che ne è l'editor) di un archivio che soddisfa tutti gli standard previsti per questo genere di strumenti, consentendo sistemi di ricerca e di recupero decisamente efficaci (attraverso meccanismi di harvesting, ossia di "raccolta" di metadati), e favorendo la conservazione di lungo termine dei materiali in esso depositati.

E' per questa serie di ragioni che E-LIS si configura come un archivio "autorevole" per la biblioteconomia e la scienza dell'informazione, al pari degli altri esistenti nei diversi ambiti della fisica, dell'economia, della matematica; ed è per questo che esso dovrebbe essere frequentato - alla stessa stregua delle riviste ad accesso aperto - da bibliotecari e studiosi che desiderano far circolare i propri contributi nella maniera più celere e senza restrizioni di sorta.


Michele Santoro


Note

[1] Carlo Revelli, I compiti della biblioteca e i doveri del bibliotecario. Un delicato equilibrio tra ampliamento degli orizzonti e difesa dell'identità, "Biblioteche oggi", Novembre 2000, p. 42-51.

[2] La citazione è desunta dallo stesso articolo di Revelli.



«Bibliotime», anno VI, numero 1 (marzo 2003)


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