«Bibliotime», anno V, numero 3 (novembre 2002)

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Maria Gioia Tavoni

E' proprio vero che l'unione fa la forza?



E' proprio vero che l'unione fa la forza?

Chi mai ricorderà il tempo in cui bibliotecari di frontiera si avventavano, ovviamente con mezzi propri, l'ultimo giorno della Fiera del libro di Bologna, a far razzia di tutti i libri di tutte le lingue che gli standisti, pur di non gravarsi di peso anche nel rientro, che per il viaggio aereo significava soldoni in più, lasciavano disseminati nel luogo ormai sconvolto dalle partenze, per trasferirli poi in una biblioteca pubblica? E chi mai ricorderà ciò che con quello strano materiale i bibliotecari si accingevano a fare coinvolgendo anche le scuole, come si diceva allora, di ogni ordine e grado? Basterà dire che ai più piccini, tuttavia anche delle scuole elementari, si davano loro in mano perché dalle illustrazioni, solo da quelle, per via delle lingue diverse e incomprensibili, con l'aiuto di 'volontari', si ricostruissero o meglio si costruissero storie e fiabe che al loro immaginario, opportunamente guidato, le illustrazioni, anche le più inquietanti, suggerivano.

Ne è passata di acqua sotto i ponti: correvano gli anni Settanta, solo in seguito divenuti "anni di piombo", che comunque furono per i bibliotecari i più ruggenti perché imperava quel 'fai da te' che a tutti sembrava un obbligo. Si entrava in biblioteca con concorsi, di certo non coi quiz, ma con prove, che tutto pretendevano, ad esclusione dell'approfondimento delle discipline bibliografiche che una letteratura in parte desueta, in parte asfittica, in parte incomprensibile non consentiva. Eppure c'erano grandi alfieri. Di uno almeno desidero citare anche solo il nome: Francesco Barberi che ebbe il suo bel Festschrift nel 1976, quasi a risarcimento di una cattedra universitaria mai ottenuta nonostante, così nella breve Presentazione di Angela Vinay, avesse "con giovanile entusiasmo" sempre affrontato "tutti i nodi della insufficienza e della povertà della politica bibliotecaria nel nostro paese".

Ma non è per perdersi nelle vicende del passato che ho schematizzato e non problematizzato quegli anni. Mi serviva un cappello per affrontare, molto succintamente, il tema in generale della "povertà della politica bibliotecaria" italiana, dalle cui secche si uscì per merito di tanti, compresi quei bibliotecari 'affamati' di sapere che auspicavano una letteratura loro dedicata, quando scuole, ad esclusione di quella romana, la "Beneamata" - per molti tuttavia inaccessibile proprio non ce n'erano (la scuola di Parma nascerà nel 1976), e rimbalzavano alle orecchie, come straordinari eventi, l'accensione presso qualche sporadica università di insegnamenti, spesso partoriti in forma incostituzionale perché "gratuiti", nella cui dizione entravano le magiche parole Biblioteconomia e Bibliografia.

L'anelito a sussidi specialistici era così forte che come nei sacri testi avvenne la creazione: E fu la Bibliografica.

Forte del solo plotone degli addetti al lavoro - l'Università perseguiva nelle adozioni strade diverse - ebbe coraggio e, seppure annoverasse e ancora annoveri nel suo catalogo anche rimasticature prevalentemente made in USA, costituì il riferimento per molti di coloro che non attendevano la manna, bensì testi agili, con spaccati in varie direzioni del lavoro in biblioteca, con squarci su problematiche che fin da subito la Bibliografica, nella sua organizzazione per collane, varò attenta alle domande all'ordine del giorno, via via manifestandosi pronta a rispondere a quesiti sempre più circostanziati. Vinse e ancora vince perfino nell'ambito dell'università, dove alcuni hanno abbandonato testi più paludati cercando di capire quell'assunto ancora a molti non completamente chiaro: dentro l'accademia così come accadeva 'sul campo', si deve perseguire il fine principale, l'unico, direi, quello cioè di gettare semi per un buon raccolto di giovani determinati - va detto che le occasioni di 'crescita' si sono moltiplicate - a intraprendere una carriera sulla cui dignità non dovrebbero sussistere più dubbi.

Va dato a Cesare quello che è di Cesare e va premiato il coraggio iniziale, in quegli anni Ottanta che segnavano l'acme dei grandi aneliti, e la scoperta - con molta convinzione Isabella Zanni Rosiello, seppur con qualche nota nostalgica, l'ha colta per prima con riferimento agli archivi -, del passaggio quasi obbligato di quello che per la generazione di entrambe è stato il "mestiere" e che oggi è invece "professione", per la cui formazione l'editrice milanese ne ha fatto comandamento, mai disatteso.

Da lì a "Biblioteche scolastiche", l'annuale iniziato nel 2001 il passo è stato lungo e tuttavia ancora una volta va rilevato il coraggio, oserei dire l'audacia nell'aver dato vita ad un periodico di "temi, informazioni, documenti" destinato alla scuola, a chi al suo interno vi lavora, svolgendo mansioni bibliotecarie senza alcuna 'copertura' istituzionale e perciò più meritevole per i traguardi conseguiti e che si colgono nei due numeri finora usciti. Lungi da me una vera e propria recensione sui due corposi fascicoli, ben altrimenti interpretati da specialisti del settore, nel quale anch'io comunque ho razzolato e che sempre mi attrae perché sempre è scuola, spazio che sento a me indissolubilmente legato. Ma qualche osservazione mi sia permessa.

Vorrei dapprima dire che l'audacia della Bibliografica, è in parte stemperata dalla scelta della curatrice, Carla Ida Salviati, del nuovo periodico la vera animatrice - lasciatemi usare il termine in tutta la sua profonda polisemia. La Salviati che, seppur giovanissima, ha calcato tutti i palcoscenici più 'caldi', direi arroventati del mondo della scuola, ha la sua prima formazione, da cui deriva la sua fattiva e sempre costruttiva presenza, proprio nei lontani anni Settanta. Non ha cessato un istante da allora, nel muoversi su più fronti con un profondo obiettivo didattico che traspare dalle sue numerose attività nel mondo delle biblioteche per ragazzi, in quelle della scuola, coltivando a latere un'altra importante passione, quella di scrittrice raffinatissima di storia della fiaba - che dire del suo ultimo libro, l'einaudiano Raccontare i destini? - e per l'editoria destinata ai ragazzi, solo apparentemente distanti dagli altri due frequentatissimi versanti, cui si è accennato. Capire il nesso profondo che congiunge tutte queste attività, è capire la sua coerente linea interpreativa della scuola, o meglio della Scuola, perché la vera finalità della Salviati è educare comunque sempre alla lettura, a partire dai banchi delle aule, con l'aspettativa che essa si proietti e si intensifichi accanto agli scaffali di una biblioteca, alimentando il viaggio con il mistero, l'immaginazione, o forse meglio l'imaginifico, che può scaturire dagli abili dispensatori della magia del racconto per la gioventù.

E' dunque il caso di dire che l'unione fa la forza? Che la sfida della Bibliografica la quale, congiungendosi alla Salviati, forse ha tentato la sua più impegnativa scommessa, è destinata alla vittoria?

Mi siano permesse brevi riflessioni, alcune delle quali sorgono da lettura dei numeri annuali tematici entrambi, così come si annuncia il terzo, tutti presentati a Roma nell'ambito di Bibliocom in una cornice culturale, ma anche istituzionale di notevole momento. Non c'è dubbio: le biblioteche scolastiche sono cambiate anch'esse in meglio, hanno spiccato il volo, come suggerisce la stessa Salviati. I loro spazi sono assai diversi da quelli angusti del passato - in alcuni casi si è inaugurata una vera e propria progettualità di luoghi e di arredi 'mirati' -; la dotazione multimediale si è notevolmente arricchita; le occasioni ludiche si sono moltiplicate; gli incontri ravvicinati con autori e personalità del mondo dei ragazzi si sono tenuti con continuità, seppur in pochi casi; il lavoro bibliotecario ha assunto una fisionomia più definita; si è giunti a procedure raffinate attraverso corsi IRRSAE e perfino con Master universitari a distanza; i contenuti culturali e formativi acquisiti hanno permesso ai bibliotecari della scuola di fronteggiare situazioni particolari, con notevoli competenze; e perfino il gap, che molti credevano incolmabile, se raffrontato realtà, non solo europee sembra essere molto contenuto, così nel primo numero Lo spazio e il suo uso. Sono inoltre nati siti Internet; le nuove tecnologie sono entrate di certo non dalla porta di servizio, grazie anche ad interventi 'mirati' del Ministero della pubblica istruzione e ricorso a fondi europei; si sono progettati scaffali 'virtuali'; cataloghi di alcune biblioteche scolastiche sono stati informatizzati e si tentano strade di digitalizzazione che portino a ipertesti o a e-book; le risorse informatiche hanno permesso di individuare e utilizzare siti e banche dati concepite proprio per la scuola, così nel secondo numero dedicato anche metaforicamente alle Reti. Può sembrare una fiaba a chi in quei famosi anni Settanta tentava di supplire alle carenze delle biblioteche scolastiche ad esse sostituendo quelle pubbliche, non solo attraverso le "sezioni ragazzi", ma con azioni volte a coinvolgere insegnanti e a sconvolgere una sorta di atavica indefferenza che appariva propria della scuola e della gestione delle sue raccolte bibliografiche.

Come sempre avviene nelle fiabe ci sono tuttavia ancora molti ostacoli da superare per giungere ad una generalizzazione anche su scala ridotta dell'optimum conseguito in alcune realtà e frutto di sacrifici incredibili, e forse tutto il discorso andrebbe rimeditato. Non solo Roberto Zappa, nel primo numero, dopo un decalogo che smentisce ottimistiche e globali crescite, si esprime in merito agli spazi con queste parole: "Generalmente, per fortuna non sempre, la biblioteca consiste in una stanza (ex aula? ex magazzino? ex cantina? ex bidelleria?, comunque ex) con armadi chiusi contenenti sempre gli stessi vecchi libri, uguali in tutte le biblioteche; è aperta poche ore alla settimana e mai al pomeriggio, non dispone di personale professionalizzato e più che altro è senza studenti", ma tuoni e lampi stanno abbattendosi sul personale bibliotecario della scuola. Il terrore è corso subito in Internet nella mailing-list più letta e più diffusa del settore. Nonostante battaglie mai andate in porto iniziate anch'esse alla fine degli anni Settanta, il personale, secondo la nuova finanziaria, sembra soggetto a rimozione, o al rientro forzato nelle aule, se non a licenziamento (trascorsi i cinque anni in biblioteca) trattandosi di insegnanti che per motivi diversi hanno scelto le 36 ore alla settimana in biblioteca, alcuni molto motivati, altri per sottrarsi all'incubo di non riuscire più, come si dice in gergo, a 'tenere' le classi, o quanto meno a ottenere attenzione da parte dei ragazzi.

Che ne sarà delle strutture bibliotecarie, e che ne sarà di "Biblioteche scolastiche" e della sua notevole forza propositiva?

Evito di pensarci, ma non posso fare a meno, nel chiudere queste parole in libertà, di porre all'attenzione una mia personale e 'fresca' perorazione ad un Preside di un importantissimo Liceo della mia città: richiesto con un mio biglietto di visita con tutti i crismi dell'ufficialità e vergato con molta deferenza, di poter visionare una parte dei materiali della sua biblioteca, non mi ha mai dato risposta diretta; solo per interposta persona mi ha fatto capire che sarei stata ospite indesiderata.

Se si pensa, anche per un istante, che fra le battaglie andate in molti casi in porto, sempre in quei famosi anni Settanta, ci furono quelle di coinvolgere le scuole perché aprissero 'alla comunità' le loro raccolte, mettendo a disposizione personale e competenze anche da parte delle strutture pubbliche, che altro fare?

Solo augurarsi di non dover essere costretti ad abbassare la guardia per trincerarsi passivamente dietro l'antico motto: mala tempora currunt.

Maria Gioia Tavoni, Università di Bologna, e-mail: mgtavoni@alma.unibo.it




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