«Bibliotime», anno V, numero 1 (marzo 2002)


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Carla Ida Salviati

Conservare i libri per bambini
Oblio, poubelle, e qualche buon affare



Ringrazio Michele Santoro per ospitare su Bibliotime anche me, che bibliotecaria non sono (biblio-frequentarice, piuttosto, forse biblio-affezionata), e per consentirmi di aprire uno spiraglio su un tema che mi sta particolarmente a cuore. Premetto che, non avendo tesi da sostenere ma solo problemi da esporre, quello che vado stendendo non è certo un articolo: è una sorta di lettera aperta, alla quale è dunque lecito ribattere e controbattere in piena libertà.

Mi occupo - dilettantisticamente e occasionalmente - di libri per bambini e, talvolta, di libri scolastici: so bene che si tratta di prodotti per molti motivi assai diversi, e tuttavia essi si trovano spesso accomunati per le questioni che proporrò. Mi occupo dunque di un settore editoriale che posso chiamare - senza preoccupazione di essere qui fraintesa - "materiale minore", sul quale in passato l'attenzione biblioteconomica è stata scarsa o nulla. Non intendo, si badi, riproporre la lamentela perenne dei (pochi) addetti ai lavori attorno alla sufficienza con cui le "grandi biblioteche" italiane hanno sempre guardato ai libri infantili: oggi basta entrare in una delle tante biblioteche pubbliche per vedere con quanta cura sono trattati i volume per l'infanzia, e credo che si debba riconoscenza anche ad alcune prestigiose biblioteche di conservazione per le mostre belle e importanti che in questi ultimi anni sono state allestite e che hanno portato alla luce fondi di "materiali minori" da sempre ignorati o trascurati. Proprio in queste occasioni, d'altronde, non non sono mancate mai le sollecitazioni di studiosi e di esperti a salvaguardare e a valorizzare tale patrimonio, prima di tutto in ragione del suo indiscusso valore storico, e poi anche in forza del diffuso pregio iconografico. Tuttavia, ben di rado mi è capitato di ascoltare qualcosa che vada oltre la semplice esortazione, che avvii un'analisi sui motivi dell'oggettiva marginalizzazione di un materiale che spesso è stato accatastato in sottoscala, dimenticato in scatoloni, esposto al degrado, reso di fatto inaccessibile; e tanto meno ho ascoltato conseguenti proposte operative per il superamento del problema.

Andrebbe allora ricordato che, per le grandi biblioteche, quello che chiamo "materiale minore" è obiettivamente tale, prima di tutto, perché si tratta di materiale moderno, che comincia ad avere rilevanza (quantitativa) dopo la metà dell'Ottocento, a seguito delle ben note esigenze sociali di alfabetizzazione e della parallela vertiginosa crescita dell'industria editoriale. Inoltre non va dimenticato che, spesso, si tratta anche di materiale povero fin dall'origine: i libri di scuola in particolare (con l'eccezione del Fascismo, che ovviamente molto investì sull'educazione, godendo delle opportunità dell'unico libro di Stato) sono stati spesso prodotti in gran risparmio, costavano poco, anche un terzo di un libro di "amena lettura" di ugual numero di pagine, avevano una veste dimessa: persino gli illustratori, quando erano famosi come Attilio Mussino, censuravano l'esuberanza del loro segno, e tratteggiavano figurine semplici, poco elaborate, accontentando così anche i pedagoghi, sempre preoccupati dalla potenza corruttrice delle immagini. Il "mal-trattamento biblioteconomico" riservato ai materiali per l'infanzia, di fatto, è analogo a quello riservato più generalmente all'editoria popolare: al massimo si può riconoscere solo un pizzico in più di distrazione, dovuta, a mio avviso, non certo a cattiva volontà del mondo bibliotecario, quanto piuttosto alle limitatissime esigenze degli studi e della ricerca, visto che il "giardino segreto" della letteratura per l'infanzia (rubo un'espressione di Antonio Faeti) ha cominciato ad essere frequentato un po' di più solo nell'ultimo ventennio. Non vi è dubbio alcuno che il fiorire degli studi solleciti richieste, pretenda indagini, esiga materiali: in tal modo esso diventa stimolo anche per il mondo delle biblioteche, le quali indirizzano la loro azione sulla base di quanto viene domandato, e non certo di quanto giace, silente, nei loro scaffali.

Oggi però le cose sembrano essere improvvisamente cambiate: oggi tutto questo "materiale minore" sembra essere diventato "importante ": si provi, ad esempio, a richiedere come prestito interbibliotecario un libro di fiabe di età giolittiana o un romanzo di fine ottocento che fino a un paio di lustri fa tutte le biblioteche facevano uscire senza la minima difficoltà: il diniego è assicurato. Per una come me, abituata a sentirsi chiedere"e come le è venuta l'idea di occuparsi di libri per bambini?", pare giunto il momento della giustizia (forse, della vendetta). In realtà la crescita d'importanza di quel materiale è del tutto apparente, e non dipende affatto da una raggiunta e diffusa consapevolezza del valore documentario delle opere: ai vecchi libri non si arriva più solamente perché si è deciso che tutto quanto è stato stampato prima di una certa data (variabile peraltro da luogo a luogo ), non deve circolare fuori dalla biblioteca: è una sorta di premio di vetustà che viene elargito ad un polveroso volume dimenticato, un riconoscimento per gli anni accumulati, per l'abilità assai ben dimostrata di saper sopravvivere all'indifferenza e all'ignoranza. Naturalmente tutto ciò non può che rallegrarmi: non avrò più motivo per lagnarmi della trascuratezza con cui sono trattati i libri per ragazzi dei nostri nonni. Ora sono tutelati , e inaccessibili, come i Codici di Leonardo.

Ma se andiamo più vicino negli anni, i guai ricominciano, e possono dare origine ad episodi curiosi: ho trovato, regolarmente registrata a catalogo, un'edizione di Memorie di un pulcino di Ida Baccini con le illustrazioni di Faorzi. Si tratta di un libro dell'immediato dopoguerra, certamente non raro e comunque non appartenente ad anni improvvisamente diventati "da tutelare". Infatti l'esemplare in questione è stato così poco tutelato che la sua presenza era solo a catalogo: il libro non si è trovato proprio, perduto (rubato, forse), e fin qui niente di male, capita ovunque. Ma curiosa è stata la giustificazione avanzata dal bibliotecario: "Probabilmente ci siamo dimenticati di scaricarlo: lo avremmo buttato, cosa vuole un libro di quegli anni, con i ragazzini di oggi… Sarà stato sciupato, non si può mica mettere in mano un libro sciupato a dei bambini… Ma se vuole, ne abbiamo tanti di nuovi". E mentre mi rispondeva così, nel contempo forse si domandava quale bizzarrìa conducesse una persona di mezza età, apparentemente sana di mente, con l'aria persino indaffarata a perdere tempo alla ricerca di un vecchio libro che nessuno, almeno da trent'anni, richiedeva…

Il vero problema, dunque, a me pare l'inconsapevolezza . Che si accresce a mano a mano ci avviciniamo al nostro tempo: perché ormai il passato è passato, e i danni che sono stati fatti li possiamo comprendere e ce ne siamo fatti una ragione ( d'altronde ne sono stati commessi di ben più gravi). Non sono preoccupata granché neanche per la produzione del presente: il fatto che da qualche anno esista una BNI/Libri per ragazzi mi pare un segnale forte e sufficiente per assicurare all'editoria attuale una traccia di documentazione per il futuro. Sfugge ancora, almeno in buona parte, la produzione scolastica, e forse su questo aspetto bisognerà tornare.

Il buco grande, a mio parere, oggi restano gli ultimi cinquant'anni del Novecento, non ancora abbastanza vetusti per finire automaticamente tutelati, e invece esposti all'inconsapevolezza abbastanza diffusa attorno al libro per ragazzi. Penso, in particolare, ai momenti più innovativi dell'editoria italiana, tra il '65 e l''80: sono gli anni di Rodari, di esperienze esemplari e irrepetibili (Emme Edizioni, Quadragono Libri , La Coccinella…), di grandi movimenti d'idee che ispirarono collane e mossero imprese e capitali. Se uno studioso volesse affrontare in maniera sistematica quel periodo e non avesse a disposizione gli archivi editoriali (molti dei quali sono finiti al macero), avrebbe serissime difficoltà a reperire gli esemplari a catalogo. Né potrebbe contare sulle biblioteche di pubblica lettura che, non avendo compiti di conservazione ed essendo pressate dal vorticoso avvicendarsi delle novità, dal bisogno continuo di spazio, eliminano i libri sciupati, obsoleti, datati, e prima di tutto quelli per bambini: se ad un adulto un tomo un po' sciolto lo si può dare, la nostra cultura ci impone di proporre all'infanzia solo volumi nuovi, aggiornati, puliti.

Naturalmente, dopo aver abusato della pazienza del lettore con un elenco di problemi, bisognerebbe avere la competenza e l'autorevolezza per proporre soluzioni: naturalmente a me mancano entrambe. So che, nel progetto bolognese di Sala Borsa c'era anche l'idea di trasferirvi il "deposito dei libri italiani per ragazzi" derivato dalle acquisizioni per diritto di stampa della Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze. Non so se l'ipotesi sia stata abbandonata a seguito del ridimensionamento della neo-struttura che tante polemiche ha suscitato. Una tale soluzione, che avrebbe reso felici i cultori (per professione e per passione) dei libri per bambini, avrebbe certo attirato, assieme agli studiosi, anche lasciti e donazioni, e avrebbe sollecitato e favorito sinergie: ma certamente non avrebbe potuto concretizzarsi solo grazie alla cooperazione di funzionari colti, attenti e illuminati, che forse guardavano con favore l'idea: certamente c'erano anche passi normativi, amministrativi e organizzativi da prevedere, e un cammino non semplice e non veloce. Nonostante la difficile praticabilità, tuttavia, quella proposta aveva molti elementi di somiglianza con la soluzione adottata fin dagli anni Venti in Francia, dove La joie par le livre al centro di Parigi raccoglie, conserva e valorizza il patrimonio librario giovanile, lasciando libere le numerosissime biblioteche di pubblica lettura di svolgere il loro lavoro, che è ritagliato sul presente, e offrendosi come struttura di consulenza per la delicata e snobbata operazione di scarto. Se pure l'esperienza , a quanto ne so, è giudicata positivamente, non sono però in grado di valutare se per noi sarebbe stata una strada davvero praticabile.

Certo non sarebbe male se, diffondendosi tra i bibliotecari che lavorano nelle sezioni ragazzi una più vasta cultura attorno al materiale che manovrano e alla sua storia, si potessero costruire soluzioni locali, che vedo già profilarsi in alcune città per il libro per adulti e che potrebbero essere estese al libro per ragazzi. Quando poi un volume avesse un valore documentario pari a zero (ed è, si badi, un voto impegnativo, da assegnare con una certa cautela), perché non fare come una brillante bibliotecaria veneta che, prima della poubelle amministrativamente decretata, metteva i vecchi libri in un cesto, omaggio per gli utenti? Nessuno si stupirà se assicuro che il cesto presto si vuotava. E perché infine, in forza della proclamata autonomia, non si potrebbe ipotizzare di vendere i libri vecchi e con sicurezza scartati, al piccolo mercato di antiquariato?

Se a questo punto ho esagerato e se ho detto qualcosa di pornografico, me ne scuso con tutti. Tuttavia, mentre vedo finire nella spazzatura tra la generale indifferenza tanti libri per ragazzi "vecchi e sciupati", li recupero sui cataloghi dei bouquinistes: l'altra settimana in uno di questi ho scovato le Memorie di un pulcino, con le illustrazioni di Faorzi, edizione non rara, non preziosa. Veniva centocinquantamila: in buono stato, va detto.


Carla Ida Salviati - IRRSAE Liguria, e-mail: salviati@irre.liguria.it



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