«Bibliotime», anno IV, numero 2 (luglio 2001)


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Tiziana Plebani

Si sbriciolano o non si sbriciolano? Questo è il problema...



La redazione di "Bibliotime" mi ha chiesto di commentare l'articolo di Robert Darnton apparso sulla "Rivista dei Libri" a proposito del recente volume di Nicholson Baker, Double fold: libraries and the assault of paper [1].

La tesi di Baker, per riprendere le parole dello storico americano, è un formidabile

"j'accuse rivolto alla professione dei bibliotecari. Questi ultimi, sostiene, hanno eliminato i giornali dai loro scaffali, spinti da una mal posta ossessione per risparmiare spazio. E si sono illusi di non aver perso nulla, visto che hanno rimpiazzato la carta con dei microfilm. Tuttavia, i microfm sono inadeguati, incompleti, spesso avariati o illeggibili. Peggio ancora, non ve ne era affatto bisogno, in quanto, contrariamente a un'altra illusione piuttosto diffusa, la carta non si stava per nulla disintegrando sugli scaffali. A dispetto della loro composizione chimica - l'azione degli acidi sulla carta fabbricata con cellulosa dopo il 1870 - si sono conservati piuttosto bene. E ora, il massacro della carta si è volto ai libri. Sempre più svenduti o gettati dalle biblioteche, selvaggiamente danneggiati in stupidi esperimenti miranti a conservarli. I custodi della nostra cultura stanno in realtà distruggendola" [2].

Che dire? Bibliotecari e accademici si sono spesso fronteggiati con reciproche incomprensioni, con il risultato di mettere a repentaglio quello che c'è di buono nelle rispettive istituzioni. Non ho sufficiente spirito di corpo per offendermi ed ergermi a difensore d'ufficio della categoria, nulla di buono si trae da battaglie corporative... Tuttavia, nel commentare le tesi di Baker, alcune idee del brillante storico Darnton mi paiono poste in maniera alquanto grossolana, forse perchè, vizio ahimè alla moda nel mondo della comunicazione, prevale il gusto del colpo di scena, l'effettaccio; non c'è dubbio che un resoconto del genere è assai più piacevole da leggere e, secondo le aspettative inconscie del lettore, consegna un colpevole - la categoria dei bibliotecari - a un tribunale sommario, con sollievo generale e delega dei problemi connessi, che così non si affrontano.

Ma quali sono questi problemi? Facendo di mestiere la conservatrice, non di idee ma di materiali reali, non posso che smentire l'affermazione sopra riportata secondo la quale i volumi, "a dispetto della loro composizione chimica - l'azione degli acidi sulla carta fabbricata con cellulosa dopo il 1870 - si sono conservati piuttosto bene" .

Piuttosto bene? E allora com'è che in tutte le biblioteche i depositi di opere stampate tra la fine del XIX secolo e l'inizio del Novecento sono luoghi noli me tangere?: carta che si sbriciola al solo tocco, pagine che non sono in grado di sostenere una cucitura, margini tagliati e sbrindellati, carta dal tipico colore bruciato... (un panorama internazionale e sconfortante si può leggere in L'eclisse delle memorie, a cura di Tullio Gregory e Marcello Morelli. Roma-Bari, 1994; sulla produzione di carta David Hunter, Papermaking. The History and technique of an ancient craft. New York, Dover Publications, 1978).

Una recente donazione di materiale di questa tipologia, il fondo francese Selz, sul quale sto dirigendo un intervento di conservazione e consolidamento, mi ha ancor più posto di fronte alla realtà di questa debolezza intrinseca dei materiali (acidità, ossidazione, fragilità) per cui non possono essere trattati con tecniche di legatoria, né ad essi è applicabile il tradizionale trattamento di restauro.

Il problema non è certamente frutto della perversa mente dei bibliotecari, tanto che convegni, comitati e campagne internazionali da tempo studiano la dimensione del danno e cercano di fornire risposte. O c'è da pensare che si tratti di una banda organizzata a livello planetario?

No, spiace smentire seccamente Darnton e compagni: il problema è davvero grave. La quantificazione dell'entità del danno - secondo le indagini un 25% dell'intero patrimonio librario - è ormai sbriciolato e irrecuperabile; si tratta di un dato generico, che non spiega differenze assai rilevanti che esistono tra i materiali prodotti nello stesso lasso di tempo: è chiaro che le condizioni peggiori si riscontrano nei quotidiani, la cui carta è composta prevalentemente da lignina, e in secondo luogo nelle riviste, seppure in maniera non uniforme; inoltre è colpito soprattutto il materiale corrente e d'uso, non protetto inoltre da copertine robuste, e tutto ciò che è stato prodotto con le stimmate del consumo e dell'effimero. Si tratta, del resto, della selezione e applicazione di supporti più o meno nobili o durevoli, derivate da categorie di valore e di giudizio incardinate nella storia del libro e dei mezzi di comunicazione che non pregiudicano l'importanza storica anche dei materiali più effimeri. Qualche nozione di storia circola anche tra i bibliotecari..

Può darsi invece che Darnton e Baker abbiano qualche ragione sul giudizio dato circa i rimedi che si sono messi a punto per il male, giudicati di volta in volta dannosi e tossici: la deacidificazione di massa ancora non è del tutto soddisfacente, ed è vero che nel passato si sono sfiorati il rogo librario, l'intossicazione e l'avvelenamento, nonché la corrosione di legature e colori; la laminazione si è rivelata peggiore del danno iniziale, l'incapsulazione offre molte garanzie ma è praticabile in un numero limitato di casi, in particolare per i fogli sciolti (si legga a tale proposito Antonio Zappalà, Introduzione agli interventi di restauro conservativo di beni culturali cartacei. Udine, Del Bianco, 1990).

L'origine del male è strutturale: pasta si legno, colofonia e allume, procedimento di sfibramento delle poche fibre: un problema chimico forse va risolto con una strategia chimica, continuando a sperimentare, in laboratorio e non certo in biblioteca. Forse va risolto con filosofia, pensando che non tutto, nella storia del libro, si è conservato, che ogni passaggio e trasferimento di supporto ha causato perdite, cesure. In alcune biblioteche monastiche alla fine del Quattrocento, racconta Edith Pellegrin, una paleografa e non una bibliotecaria, si smembravano i manoscritti nella convinzione che da quel momento ci sarebbero state copie più belle e più leggibili, e si utilizzavano come coperte, indorsature, fogli di guardia. Sono stati fatti molti sbagli, errori di valutazioni ...com'è nella natura umana, suppongo. Ora stiamo vivendo uno di questi momenti cruciali di trasformazione delle forma libraria e della comunicazione, e non v'è dubbio che il rischio di errori è incombente.

Per una migliore valutazione delle strategie d'intervento sui materiali fragili, che in area anglosassone sono chiamati brittle books, ho mandato tramite e-mail richieste di informazioni e documentazione alle più grandi biblioteche del mondo che, pur appartenendo a questa organizzazione del crimine, hanno voluto svelarmi i loro piani malefici. Ho sotto gli occhi il copioso dossier che Sylvia Albro del Preservation Directorate della Library of Congress mi ha gentilmente inviato, e non vedo traccia di distruzione dei volumi, dei giornali e delle riviste, ma forse vale il detto si fa ma non si dice. Invece sono descritti con precisione cauti interventi di restauro non invasivo, procedimenti di rinforzo e protezione con contenitori alcalini, deacidificazioni acquose e controllate incapsulazioni. Non si troveranno più a scaffale aperto tali volumi, ma credo che possiamo tutti rasserenarci: sono nei depositi, e non è stato creato in segreto un dipartimento speciale addetto al rogo e all'incenerimento, mentre altri bibliotecari celebrano la religione del dio della riproduzione fotografica e digitale.

Ho pur letto anch'io una notizia su una biblioteca americana in cui i volumi erano stati davvero eliminati lasciando spazio solo ai cd-rom e roba del genere. Questo credo faccia parte non tanto di un crimine di natura squisitamente bibliotecaria ma del più generale indirizzo informatico della nostra società, che sta imponendo (con una certa dose di autoritarismo, non v'è dubbio) stili, valori e pratiche nuove. C'è da esserne contenti o dispiaciuti? Ognuno è libero di pensarla a proprio modo e di rimpiangere i bei tempi passati, ma la libertà di opinione deve essere sostenuta da un'analisi ampia e non frettolosa.

Prima di gridare allo scandalo per l'eliminazione dei volumi in carne e ossa bisogna conoscere una questione fondamentale che agisce nella conservazione: non tutti gli istituti sono gravati dal peso della conservazione dei materiali, che è pertinente soprattutto a enti caratterizzati da tale finalità, dotati di risorse, di professionalità e competenze atte a sostenerne il peso. Altre biblioteche, si pensi alle biblioteche di quartiere o istituti indirizzati esclusivamente a soddisfare la richieste immediate, possono decidere di sbarazzarsi dei libri o possono invece scegliere di conservare solo l'informazione, la memoria digitale o fotografica. Il punto cruciale perché questa trasformazione non diventi un evento drammatico nella storia della conservazione è che ciò non sia il frutto di scelte casuali e singole ma rientri in una progettazione complessiva ove ogni istituto conosca il suo ruolo e la sua funzione.

Veniamo ora al problema più spinoso affrontato nell'articolo: la sostituzione della lettura dell'originale con il microfilm o la copia digitale. E' certo che sfogliare un libro è più gradevole che non guardare uno schermo (anche se le nuove generazioni forse hanno altri gusti e diversi piaceri di cui tener conto), e che la mancanza della materia fa perdere il senso dell'oggetto e con esso alcuni dati percettivi e storici al contempo; è altresì vero che la lettura diventa diacronica e non sincronica e... male agli occhi, dolore alla testa, mal di schiena. Sembrano le lamentazioni dei lettori del Medioevo. Non che leggere sfogliando un rotolo di papiro dalla scrittura continua dovesse essere proprio un piacere, per non parlare delle tavolette d'argilla.

La sottrazione dell'originale in cambio di riproduzioni vuole essere una tortura inflitta al lettore da questa schiatta di dolci e all'apparenza innocui persecutori? Il materiale in questione, fragile strutturalmente, come si è visto, è anche di difficile stoccaggio, manipolazione, trasporto, e non è in grado di sostenere l'impatto della lettura di oggi, diversa da quella di soli venti e trenta anni fa. Forse gli stessi Darnton e Baker avranno sostenuto le battaglie affinché l'istruzione e la cultura non fossero più riservati a pochi (maschi delle classi agiate, soprattutto), e ciò ha significato per le biblioteche e gli archivi una nuova, più variata ma ben più numerosa popolazione di utenti. Se nel passato i materiali erano scarsamente consultati, ora molti studiosi di ambo i sessi setacciano ogni direzione di ricerca e ricercano ogni tipologia libraria. Se il libro, il documento di oggi, è frutto di processi seriali di produzione, se è trasportabile, leggero, modificato nelle forme e nel canone, non si può pretendere che le modalità di lettura rimangano le stesse.

Progetti di conservazione e salvataggio di materiale librario contemporaneo, di audiovisivi e materiale sonoro e digitale sono in corso a livello locale e internazionale. Questo spetta a noi, bibliotecari, conservatori, e infatti su queste tematiche è ampio il dibattito professionale. Tuttavia tale ambito non può che essere condiviso dal pubblico più qualificato delle biblioteche, ricercatori, studiosi, coloro che producono a loro volta nuovi libri, nuovi testi anche in formati digitali. La conservazione del patrimonio culturale non è solo affare da bibliotecari; e quindi ben vengano le polemiche, i dibattiti anche a toni aspri. Basta che, in un mondo in grande trasformazione di supporti, di veicoli di saperi, di valori e gerarchie, qualcuno non pretenda che tutto cambi purché la sua lettura non venga toccata, le sue pratiche e il suo accesso alle informazioni rimangano invariati, la propria postazione in biblioteca indenne e possa continuare a leggere qualsiasi testo come fosse un codice medievale.


Tiziana Plebani, Biblioteca Nazionale Marciana - Venezia, e-mail: plebani@marciana.venezia.sbn.it


Note

[1] Robert Darnton, Il grande massacro dei libri, "La Rivista dei Libri", 11 (2001) 6. p. 4-7, recensione a Nicholson Baker, Double fold: libraries and the assault of paper, New York, Random House, 2001 (l'edizione italiana di questo libro è in preparazione presso Frassinelli).

[2] Ibid., p. 4.



«Bibliotime», anno IV, numero 2 (luglio 2001)


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