«Bibliotime», anno III, numero 3 (novembre 2000)


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Biblioteconomie



Che il dibattito bibliotecario degli ultimi anni sia stato improntato ad una linea comune, a una tendenza di fondo - a un trend, per dirla con una parola alla moda - è cosa della quale è difficile dubitare: basta infatti sfogliare le principali riviste professionali, o guardare alle più recenti pubblicazioni monografiche, per confermarsi nell'idea che il nucleo tematico più rilevante sia senz'altro quello "orientato al digitale", volto cioè ad approfondire i molteplici aspetti di quel nuovo "paradigma" bibliotecario che prevede da un lato un diverso impiego dei supporti (quando tali supporti non siano per loro natura "diversi", cioè anch'essi digitali), e dall'altro la presenza di nuove procedure e metodi in grado di modificare l'attività bibliotecaria e la stessa offerta dei servizi.

Non sappiamo se ciò sia all'origine di un rinnovato approccio disciplinare, o per meglio dire se stiamo assistendo alla nascita di una nuova branca, all'aggiunta di una sottoclasse a quell'insieme che siamo soliti chiamare biblioteconomia: e tuttavia è certo che, in ambito angloamericano, le locuzioni "virtual librarianship" e "digital librarianship" si stiano facendo strada per esprimere in maniera più rigorosa il diverso orientamento che la professione ha acquisito nell'ultimo decennio.

Sarà dunque possibile parlare di "biblioteconomia digitale" come lo sviluppo più avanzato di quella biblioteconomia senza aggettivi che da sempre è stata lo specchio teorico delle attività e delle pratiche bibliotecarie?

Per dare risposta a questo interrogativo è forse opportuno rilevare come, nel nostro paese, al concetto di "biblioteconomia" sia correlata una visione propriamente disciplinare e unitaria, laddove nel mondo anglosassone il termine "librarianship" denota l'insieme delle competenze e delle abilità tecniche del bibliotecario il quale, operando in settori diversi e occupandosi di diversi ambiti tematici, esprime tante versioni della librarianship quante sono le sue competenze: ecco quindi che ci troviamo di fronte alla public librarianship, quando le abilità del bibliotecario sono messe al servizio delle biblioteche pubbliche, mentre la rare book librarianship si riferisce alle competenze acquisite nel campo del libro antico; oppure ci imbattiamo nella medical librarianship, nella law librarianship e finanche nella chemical librarianship, a seconda delle specificità delle biblioteche che danno vita a competenze, strategie e modalità di servizio originali e molteplici.

Di conseguenza, l'interrogativo è se la biblioteconomia digitale sarà anch'essa espressione di determinate abilità e competenze, o se non potrà evolvere verso qualcosa d'altro, verso quella biblioteconomia senza aggettivi in grado di farle acquisire un diverso e più elevato status disciplinare: uno status che, nel mondo anglosassone, ambisce al rango di scienza nel momento in cui si sottrae a un esclusivo retaggio bibliotecario, come indica con efficacia la locuzione library and information science e il suo acronimo LIS.

E' prudente, in questa sede, sospendere il giudizio sull'evoluzione di una materia così fluida e in progress, e ritornare al nostro dibattito professionale: un dibattito al quale "Bibliotime" fornisce il suo apporto, anch'esso il più delle volte orientato in senso digitale e inteso all'approfondimento delle tematiche di più stringente attualità e interesse.

Il presente numero, per contro, si discosta da questa linea, presentando una serie di contributi non necessariamente centrati sul digitale, e da esso tuttavia profondamente pervasi, modellati per così dire da un contesto di riferimento che non può in alcun modo essere ricondotto ad uno tradizionale: una biblioteconomia non digitale dunque, prossima forse a una bibliotecomia senza aggettivi.


Michele Santoro



«Bibliotime», anno III, numero 3 (novembre 2000)


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