«Bibliotime», anno II, numero 3 (novembre 1999)
Una passeggiata per Londra: da Warburg a Regent's Park
La fantastica avventura di Aby Warburg [1] ha inizio nella Germania che vede il passaggio dal 19° al 20° secolo, quindi - è importante segnalarlo - dopo la cosiddetta 'rivoluzione' operata dallo storico Leopold Von Ranke, sostenitore del 'metodo documentario'. Il modo di fare ricerca, nell'ambito delle discipline storiche, non poteva più prescindere, nel nome di una maggiore scientificità, dall'utilizzo dei documenti ufficiali (quelli, ad esempio, emanati direttamente dalle istituzioni e rinvenibili negli archivi pubblici e privati, oppure le carte dei mercanti o altro riconducibile alla medesima tipologia). A partire da quel momento, chiunque si interessasse di storia dell'arte o storia sociale non poteva più, secondo Ranke, offrire un'indagine condotta col massimo rigore scientifico, dal momento che trattati, convenzioni, accordi, missioni diplomatiche e quant'altro fosse supportato dall'esistenza di un documento ufficiale, rientravano nella sfera della storia politica. La direzione degli studi, per qualche tempo, seguì questa tendenza, lasciando a poche intelligenze illuminate il compito di esplorare campi nei quali l'intuizione - comunque sostenuta da metodo scientifico anche se non in sintonia con ciò che sosteneva Ranke - fosse l'asse portante dei propri studi.
Aby Warburg è uno di quegli studiosi geniali che riuscirono, in virtù di un'idea che li ha guidati fin da principio, ad imporsi anche attraverso un approccio del tutto personale, sfuggendo alle costrizioni che talvolta, in campo accademico, convogliano le risorse intellettuali verso una poco brillante ma sicura 'navigazione a vista'. Quando capita di studiare fondi librari di natura privata, lo scopo principale dovrebbe essere quello di indagare le motivazioni che stanno alla base della raccolta così come si presenta ai nostri occhi. Poco alla volta, si scopre il privilegio di trovarsi di fronte ad una 'bibliografia dell'anima', al vero lavoro alla base di ciò che lo studioso andrà a verificare, ferma restando l'indagine sulla coerenza del fondo e, soprattutto, sulle tracce d'uso all'interno dei volumi.
Ma non è questo che ci interessa di più dell'esperienza di Warburg, quanto l'assoluta mancanza di confini disciplinari che ha guidato la sua ricerca. Sulla scorta della teoria di Ranke, tendente ad una certa 'rigidità' metodologica, nella Germania di fine secolo emerge una reazione al dominio incontrastato della storia politica, l'unica che potesse giovarsi del supporto dei documenti ufficiali. Tra i contendenti che animarono il dibattito vi fu Karl Lamprecht [2], il cui punto di vista , che influenzerà Warburg, origina dal fatto che la storia politica, quella degli 'uomini di Stato', l'unica quindi a presentarsi come 'scientifica', si poneva al di fuori della rappresentatività non solo nazionale, ma di un intero periodo storico: in altre parole, occorreva compiere una contestualizzazione socio-culturale degli avvenimenti, con il concorso, dunque, delle cosiddette discipline 'non-scientifiche'. "La Storia", sosteneva Lamprecht, "è fondamentalmente una scienza sociopsicologica" [3], per cui una sola indagine formale (ad esempio nello studio di un'opera d'arte o letteraria) non è sufficiente per condurre una ricerca esaustiva. Era la medesima intuizione del giovane Warburg, nel tentativo di liberare l'analisi da schematismi che ne impedivano - e impediscono tuttora - una corretta indagine interdisciplinare sulle mentalità degli artisti e gli stimoli culturali sottostanti alla creazione così com'è avvenuta, fin nella scelta o ricerca dello stile. La chiave, la linea interpretativa che poteva attraversare le scienze della cultura per farsi filosofia della cultura, era rappresentata dal mito e dal simbolo tanto che "tutta l'interpretazione del Rinascimento di Warburg è fondata nel suo punto focale sul riemergere di immagini consolidate dall'abitudine e dalla tradizione, che l'ingegno vigoroso e il forte sentimento del popolo greco hanno fissato in tipi, rimasti stabilmente ancorati nella sensibilità dei popoli" [4]. Cultura come farsi e riproporsi di momenti e pittura come mimesi, come mondo che svela e disvela se stesso in un successivo rincorrersi di legami storici, letterari, filosofici, con il simbolo da intendersi entro queste coordinate: "dobbiamo conoscere il modo esatto in cui è stabilito un collegamento tra il simbolo e il significato simbolizzato, e dobbiamo anche conoscere il livello psicologico in cui avviene questo contatto"[5]. Posto lo schema teorico-concettuale, occorreva una biblioteca che permettesse ampia possibilità di confronto e comparazione tra le fonti, come se tutti i testi fossero disposti su di un unico tavolo da lavoro. L'occasione per concepire un simile strumento gli viene fornita dalla biblioteca del seminario di Strasburgo che era divisa in stanze, ciascuna delle quali ospitava una biblioteca specialistica, permettendo a sostenitori del metodo interdisciplinare come Warburg la possibilità di spostarsi da una stanza all'altra in cerca di materiale. Un'altra intuizione, questa volta forse amara ma realistica, si accompagnò alla prima: quale istituzione si sarebbe impegnata in Germania a costituire una simile struttura, specie tenendo conto della grande importanza goduta dalle biblioteche delle Università? Non erano forse sufficienti, non fornivano ausilio nel modo necessario anche a chi voleva dedicarsi ad uno studio interdisciplinare? Probabilmente no. La raccolta che lo studioso tedesco aveva cominciato a costruire fin dal 1886, all'età di vent'anni, aveva oramai raggiunto discrete dimensioni, tanto da poter essere organizzata come una normale biblioteca di ricerca, se questo fosse stato il desiderio del suo curatore. Ma egli non voleva una biblioteca per generici lettori, dei quali occorreva immaginare gusti e tendenze: "per Warburg i libri non erano solo strumenti di ricerca. Riuniti e raggruppati, esprimevano il pensiero umano nelle sue permanenze e nelle sue variazioni" [6]. Egli parlò di 'legge del buon vicino' [o vicinato], proprio nella convinzione che il libro del quale uno studioso ha bisogno non è quello conosciuto, quanto quello che si incontra sullo scaffale nei pressi di questo, ed in linea di continuità disciplinare, culturale, sentimentale. Gli interessi per gli aspetti tecnici della biblioteconomia erano inesistenti; catalogava senza regole precise e soprattutto fisse: aveva tutto il calore di una collezione privata, aperta agli specialisti ed ai profani, come era lontana l'idea di fare della biblioteca un istituto. Dopo il trasferimento da Amburgo a Londra, nel 1933, e lo scoppio della guerra, quello che divenne l'Istituto Warburg appariva l'ultimo dei pensieri di una nazione che dovrà sopportare per lungo tempo il peso del conflitto. Per rifarci a Fritz Saxl, collaboratore e direttore dell'Istituto alla morte di Warburg, e ai suoi dubbi circa la sopravvivenza della biblioteca nel 1943, possiamo raccontare come è apparsa ai nostro occhi 56 anni dopo...
Abbiamo cercato di scoprirlo trascorrendo piacevoli ed interessanti giornate in quest'edificio di mattoni nel cuore di Bloomsbury, mentre fuori diluviava nonostante la stagione estiva, ed un'ampia vetrata fumé nella sala di consultazione offriva un suggestivo effetto cinematografico.
La nota che per prima si è rivelata e che caratterizza un po' ogni aspetto, è la grande disponibilità e gentilezza del personale che ci ha accolti e seguiti con grandissima cura durante il soggiorno, portandoci a conoscere un po' tutti gli aspetti dell'Istituto.
I quattro piani - che contengono circa 350.000 volumi, oltre ai 2500 periodici conservati nel sotterraneo - mantengono le divisioni originarie volute da Warburg, anche se con un ordine lievemente variato per problemi di spazio: Immagine (storia dell'arte), Parola (letteratura), Orientamento (filosofia e religione), Azione (magia, scienze, storia sociale, ecc.).
Il libero accesso ad ogni tipo di materiale e la "regola del buon vicinato" rendono unica questa biblioteca di ricerca, vero paradiso per gli studiosi che hanno a disposizione anche piccoli box dove lavorare per giornate intere circondati solo da libri disponibili in ogni momento.
Ma come è possibile proseguire nell'opera così originale di Warburg, senza che egli abbia lasciato nessuno scritto che possa indirizzare l'organizzazione di questa struttura? E' stata una delle varie domande che abbiamo rivolto a Mr. John Perkins, Deputy Librarian e ad Abigail Edwards, Assistant Librarian. Il segreto non sta in nessun trattato di biblioteconomia, ma semplicemente si tramanda a chi entra a far parte dello staff, selezionato direttamente dai responsabili della struttura, sicuri che la scelta ricada su professionisti in grado di fare proprio lo spirito della raccolta.
La gestione degli acquisti e dei cataloghi è, ovviamente, un punto fondamentale: la scelta delle acquisizioni è fatta con estrema cura ed attenzione, mettendo a frutto le competenze di ogni singolo bibliotecario (ed un aspetto affascinante del Warburg è costituito dal fatto che ognuno mantiene propri interessi di studio, che vanno dalla storia dell'arte alla letteratura), analizzando recensioni, bollettini e materiale proveniente da tutto il mondo - molti sono i libri italiani e tedeschi - senza trascurare le richieste degli studiosi, né tantomeno alterare lo spirito originario della raccolta. I doni sono, come spesso accade, fonte di preoccupazione e vengono perciò biblicamente separati in "pecore" e "capri", mentre gli scambi sono strumento molto utile per incrementare in modo intelligente il patrimonio ed andrebbero valorizzati anche nelle altre biblioteche, soprattutto quelle che, come il Warburg [7], hanno una propria pubblicazione da poter offrire.
La fedeltà allo spirito del fondatore non ha impedito di rimanere al passo con le nuove tecnologie, non ultima la catalogazione on-line (il Warburg partecipa allo School of Advanced Study Union Catalogue) - per la quale ci si serve di grosse banche dati, quali l'OCLC, anche tramite rapporti commerciali - ed il recupero del pregresso, che copre ormai l'80% del posseduto. La regola del buon vicinato, per cui si tenta di porre ogni libro accanto ad un altro che possa in qualche modo fornire nuovi spunti, portare avanti la ricerca in corso (con un sistema molto più libero ed intuitivo rispetto, per esempio, alla classificazione Dewey [8]) o, più semplicemente - secondo le parole di Mr. Perkins - "si cerca di mettere i libri in modo utile", può essere utilizzata anche a distanza, grazie ad una particolare funzione dell'opac che consente di "vedere" il libro accanto a quello ricercato.Vale la pena di ricordare anche la collezione di CD-ROM, utilizzabile nella sala di consultazione, che permette ricerche approfondite di tipo letterario ed artistico, tramite la possibilità di usufruire, ad esempio, di concordanze di testi classici.
Altro aspetto importante è la conservazione dei libri, che viene fatta con molta cura e soprattutto in modo sistematico, seguendo una griglia predeterminata che porta ad analizzare fattori quali lo stato della copertina, la fragilità e l'acidità della carta, e sulla quale in seguito viene registrato il tempo impiegato per il restauro, così da avere una mappa completa della situazione, delle urgenze degli interventi, ecc. Gran parte del lavoro sia di restauro, sia di rilegatura di periodici o di libri in brossura viene fatta da personale altamente qualificato nella legatoria all'ultimo piano, ambiente affascinante con presse e macchinari che evocano immagini cinquecentesche... Lì i volumi vengono, appunto, rilegati, pressati, vengono ripristinate le copertine originali e applicate alle carte (provenienti anche dall'Archivio dell'Istituto, che custodisce principalmente materiali e corrispondenze di Warburg, Saxl, Bing, Yates, ecc.) pellicole che permettano di salvaguardarle dall'acidità.
Per concludere questa piccola panoramica, non si può dimenticare la sezione fotografica, una delle più ricche al mondo, con migliaia di riproduzioni - ordinate per soggetto - che testimoniano l'eredità classica nell'arte europea del medioevo e del rinascimento, mantenendo l'omogeneità, o forse sarebbe meglio dire l'osmosi, con la biblioteca, grazie ad un continuo interscambio guidato e favorito dalle sapienti indicazioni del personale addetto.
L'accesso a questo patrimonio, un vero e proprio mondo, è aperto a studiosi e specialisti britannici e stranieri; gli studenti hanno bisogno di una lettera di presentazione: certo Warburg non pensava a questo, ma si sa che talvolta le esigenze organizzative portano a deviare dalle intenzioni originarie; è importante ricordare che la raccolta di questo istituto è rivolta in modo particolare a coloro che si interessano del classicismo in campo artistico e letterario, e quindi principalmente agli studiosi del Medioevo e del Rinascimento.
Durante il nostro soggiorno abbiamo cercato di conoscere e di documentarci anche riguardo altre forme e tipologie di biblioteche londinesi, in modo da avere un panorama abbastanza esauriente dei servizi offerti a tutti i livelli. Vicina, come utenza, al Warburg, è la University College Library, più simile alle biblioteche che troviamo nelle nostre università, aperta principalmente agli studenti, con salette in legno per le singole discipline (corrispondenti in qualche modo alle nostre biblioteche di dipartimento) e con i problemi di spazio che hanno tutti i servizi situati in edifici storici, anche se concepiti fin dall'origine come biblioteche. Sono perciò già sorti magazzini decentrati [9] al fine di ospitare i documenti meno richiesti, dai quali sono fatti arrivare i libri alla sede centrale. A questi magazzini è inoltre possibile accedere direttamente. Le agevolazioni sono tutte all'insegna del liberalismo anglosassone: accesso senza restrizioni ad Internet e possibilità di utilizzare computer per scrittura e stampa in modo del tutto gratuito. Le regole però sono ferree e, quel che più conta, vengono fatte rispettare realmente: per ogni ora di ritardo nella restituzione si paga una penale, e persone sorprese a danneggiare o rubare libri sono stati costretti a pagare fino a tre milioni di lire (entro il giorno successivo!).
Talvolta si possono avere delle difficoltà a trovare libri particolari o ad accedere a strutture, come ad esempio il Warburg se non si è laureati, ed è allora e solo allora (bisogna infatti dimostrare di aver bisogno di materiale che non si è potuto recuperare in altro modo oppure posseduto esclusivamente da loro) che si può ricorrere alla British Library, da poco trasferita dalla mitica sede con la grande sala circolare ideata da Panizzi, a quella nuova sorta all'ombra del bizzarro edificio di St. Pancras Station. Molto si è già scritto a proposito di questa nuova struttura [10], così come su quella di Tolbiac a Parigi: avendole potute visitare entrambe, si ha un po' l'impressione di un livellamento, di una perdita d'identità, forse da un lato inevitabili, poiché tutte queste nuove biblioteche o mediateche tendono a realizzare i principi della attuale biblioteconomia [11], rendendo il più possibile perfetti i servizi, gli accessi ai cataloghi on-line, le postazioni internet per il pubblico, ecc. La funzionalità è certo importante, ma forse le regole di un ipermercato (efficienza, velocità, la sicurezza di trovare gli stessi prodotti in tutti i negozi della stessa catena) non vanno applicate indiscriminatamente ad una biblioteca, alla quale, in fin dei conti, si richiederà sempre - oltre ai libri - "un'atmosfera". Si rischia davvero di portare all'estinzione il "bibliotecario-umanista" [12] - la definizione è nata osservando il personale del Warburg - partecipe della vita culturale del proprio istituto ed interessato alla continua formazione non solo professionale, ma anche umana, sostituendolo con operatori ai quali - talvolta, ma non sempre, loro malgrado - viene richiesto un tipo di servizio sì efficiente, ma asettico, quasi che la "merce libro" (nonostante in biblioteca vi siano poche o nulle transazioni economiche) o altro materiale trattato a livello di magazzino (con stoccaggio, esposizione, proposte alla clientela/utenza) sia omologabile alle più generiche teorie organizzative, tralasciando in modo evidente elementari approcci umani e culturali. Ciò che in Gran Bretagna e negli Stati Uniti emerge a viva forza, è il senso, l'esatta comprensione del perché si svolge un servizio in un dato modo e non in un altro. Questo tipo di approccio, nasce da una continua formazione del personale che, inevitabilmente, dovrà assumere anche i connotati dell'auto-formazione. Per auto-formazione si intende quella culturale, strettamente legata alle materie trattate, la quale potrà essere resa solida solo da uno studio protratto nel tempo e a carico del personale stesso. Oramai si rende indispensabile, in una società condizionata dalla scolarizzazione di massa, l'esistenza di bibliotecari che non abbiano abbandonato ogni legame coi propri studi, perché le domande diventeranno sempre più specifiche, e con esse i consigli richiesti. Se un bravo libraio deve conoscere il proprio prodotto, al fine di soddisfare al meglio la clientela, non si capisce come mai questa regola non debba valere per i bibliotecari. Calore, professionalità, utilità pratica, sconfiggendo gli imbarazzanti fantasmi dei propri retaggi culturali (nel nome appunto di una preparazione duttile e 'aperta', di vasto respiro), sono uno dei modi per "vivere" la biblioteca come il salotto di casa propria e non come in un racconto di George Orwell.
Per concludere la narrazione di quelle che sono state le nostre esperienze ed impressioni londinesi, dobbiamo spendere ancora qualche parola sulle due piccole biblioteche "di quartiere", se così si può dire, che abbiamo visitato: la Camden Town Library e la Regent's Park Library, che fanno parte del sistema delle Camden Libraries, costituito da tredici biblioteche (alcune delle quali sono punti prestito) e da un servizio di biblioteca mobile, strutturato in modo tale che ciascuno abbia la possibilità di trovare documenti ed informazioni riguardanti la propria comunità nel raggio di un miglio [13]. I volumi a disposizione nei punti prestito non sono molti [14] (di fatto occupano una stanza), ma sono quelli sufficienti a soddisfare una prima domanda di lettura, con particolare attenzione ad un settore di volumi a grossi caratteri, per chi ha problemi di vista, ad uno che serva la comunità locale con libri e segnaletica nella propria lingua di origine (arabo, cinese, ecc.), fino al settore ragazzi, sempre molto frequentato ed animato da iniziative di spettacoli, ora di lettura, ecc. La biblioteca offre veramente una miriade di servizi ed è punto di riferimento per tutta la popolazione del quartiere: la possibilità di utilizzare liberamente Internet ha costituito ultimamente un forte richiamo, così come è importante il servizio di "community information" che va dagli elenchi telefonici agli orari del treno, dalle bacheche per gli annunci personali ai corsi, alle consulenze per problemi di alloggio, familiari, sociali, ecc.
I problemi, purtroppo, non mancano nemmeno qui, infatti ultimamente i governi locali hanno diminuito i fondi a disposizione costringendo, di conseguenza, molte biblioteche a chiudere, non senza vigorose proteste dei cittadini, che trovano anche ampio spazio sulle prime pagine dei giornali di quartiere. Nonostante tutto, però, davvero in questa città emerge in pieno lo spirito della "public library" ottocentesca e si comprende perché il mondo anglosassone sia stato e sia tuttora modello per la cultura del libro (in nessun altro luogo si sarebbe potuto ambientare il meraviglioso 84, Charing Cross Road di Helene Hanff) a partire dalle piccole e stipatissime librerie di seconda mano, dalle raffinate librerie antiquarie con la prima edizione dell'Ulisse di Joyce in vetrina, fino alle biblioteche che, pur nella loro diversità per radici storiche, tipo di utenza e dimensioni, si presentano come strutture vitali, frequentate ed apprezzate.
Andrea Menetti e Giovanna Delcorno, e-mail: g.delcorno@posta.alinet.it
Note
Ringraziamo in modo particolare tutto il personale del Warburg Institute e ricordiamo il sito internet della biblioteca: <http://www.sas.ac.uk/Warburg/Default.htm>
Per ciò che riguarda la bibliografia su Aby Warburg, rimandiamo al citato volume di Gombrich e ricordiamo anche il contributo di Salvatore Settis, Warburg continuatus in "Quaderni Storici", 20 (1985) 1-58/a.
[1] Aby Warburg nasce ad Amburgo nel 1866 e vi muore nel 1929. Studioso di arti visive a Bonn, Firenze e Strasburgo. La biblioteca da lui raccolta si trasforma in Istituto nel 1921 e nel 1933 viene trasferita a Londra. Dal 1944 fa parte dell'Università di Londra e nel 1994 entra nel circuito della University's School of Advanced Study.
[2] Lamprecht considerava l'arte come un fattore in grado di indicare le trasformazioni culturali in atto durante un determinato periodo. Ciò che nella sua teoria rappresenta il vero punto di novità, è relativo al fatto che le opere d'arte prese in considerazione non sono affatto le maggiori.
[3] Peter Burke, Sociologia e storia. Bologna, il Mulino, 1980, p. 23.
[4] Silvia Ferretti, Il demone della memoria. Simbolo e tempo storico in Warburg, Cassirer, Panofsky, Casale Monferrato, Marietti, 1984, p. 7.
[5] Ernst Hans Gombrich, Aby Warburg. Una biografia intellettuale. Milano, Feltrinelli, 1983, p. 73.
[6] E. H. Gombrich, cit., p. 280.
[7] Il Warburg pubblica annualmente, a partire dal 1937, il Journal of the Warburg and Courtauld Institutes, oltre a Studies of the Warburg Institute; Warburg Institute Survey and Texts; Warburg Institute Colloquia.
[8] In questa biblioteca i volumi sono disposti per vaste aree tematiche, all'interno delle quali non hanno una posizione determinata (come invece un libro a scaffale aperto, il quale può scivolare avanti per far posto a nuovi acquisti e non per questo muta la propria classificazione), ma possono essere spostati per risultare sempre accanto ad altri che condividano il medesimo approccio disciplinare. Ed è proprio questa ultima caratteristica l'elemento di grande novità rappresentato dalla biblioteca di Warburg: il fatto che tutti i volumi condividano un sistema di pensiero. Pur trattandosi all'origine di una classificazione del tutto personale (in funzione di un'"idea di cultura"), la si può ricondurre all'ambito delle classificazioni a faccette e non a quello gerarchico-enumerativo, al quale invece appartiene la CDD.
[9] Non si tratta di vero e proprio scarto, ma sicuramente è una soluzione che ha punti in comune con quella dei magazzini collettivi, luoghi deputati alla custodia dei documenti che varie biblioteche - in modo particolare quelle universitarie - hanno deciso di eliminare (cfr. Giovanni Solimine, Dalla politica degli acquisti alla gestione delle collezioni - 2, "Biblioteche oggi", 15 (1997) 3, p. 34-40).
[10] Per avere un'idea del dibattito sulle nuove biblioteche si può fare riferimento al n.9, novembre1998, di "Biblioteche Oggi".
[11] Anche se ci si chiede secondo quale principio a Parigi si debba pagare anche solamente per poter accedere ai cataloghi...
[12] Questa è una definizione del tutto personale, che non implica alcuna avversione nei confronti delle nuove tecnologie, né un ripiegamento su vecchi schemi, ma indica semplicemente la necessità di un maggior utilizzo delle risorse umane (cfr. anche l'intervento di F.Wilfrid Lancaster Bibliotecari, tecnologia e servizio per il pubblico, "Biblioteche Oggi", 17 (1999), 4, p. 10-15). Negli Stati Uniti, ad esempio, dove è assente il meccanismo concorsuale, al bibliotecario è richiesta una competenza anche riguardo le materie che andrà a trattare in modo specifico nella struttura di destinazione.
[13] Cfr. lo standard dell'IFLA per le biblioteche pubbliche, che prevedono una biblioteca succursale nel raggio di 1,5 chilometri (cioè circa un miglio) dalla maggior parte dei residenti.
[14] Bisogna tuttavia ricordare che vi sono biblioteche di riferimento più grandi, come la Swiss Cottage Central Library, e non va dimenticato che il sistema ordina più di 40.000 nuovi volumi all'anno.
«Bibliotime», anno II, numero 3 (novembre 1999)