«Bibliotime», anno I, numero 3 (novembre 1998)
Biblioteche in gioco?
Riflessioni sui videogiochi in biblioteca
Del resto non è da oggi che la biblioteca si confronta con oggetti diversi dal libro: pensiamo ai dischi musicali o ai film. Questo allargarsi dell'attenzione ha però curiosamente enfatizzato il concetto di "informazione", valutando le risorse informatiche con l'informazione quale unico criterio. È in fondo un po' come se le biblioteche si trasformassero tutte improvvisamente in biblioteche specializzate: specializzate in informazione.
In questo contesto occorre collocare la piccola indagine personale (ovviamente tutt'altro che esaustiva) sull'acquisizione, da parte delle biblioteche pubbliche italiane e statunitensi (in cui pensavo ci fosse più tranquilla apertura, come spesso accade in questo campo) [1] e sull'organizzazione, sia on-line che off-line, dell'utilizzo dei videogame. Indagine che mi ha portato con somma sorpresa a scoprire che, qui come là, in questo campo il buio è totale. Ed è sorprendente quanto le motivazioni, nella diversità delle lingue, si assomiglino: chi vuole giocare coi videogiochi deve andare nelle arcade/sale giochi, non in biblioteca; il tempo a disposizione su Internet è troppo scarso (mediamente il tempo consentito per l'utilizzo individuale è di mezz'ora) e, pur in assenza di divieti formali, dissuade i videogiocatori che potrebbero essere interessati; l'acquisto di CD-ROM è limitato ad opere di consultazione o ad "educational" per bambini; il costo - motivazione immancabile - di questi giochi è troppo alto per le risorse della biblioteca.
Ci sono però alcuni elementi che fanno dubitare della correttezza di tutte queste affermazioni. Una diuturna convivenza con i videogiochi - sia per motivi personali che professionali [2] - unita all'altrettanto quotidiana esperienza in una piccola biblioteca pubblica [3] che inizia ad interessarsi alla realtà dei CD-ROM e di Internet, mi hanno portato a riflettere sulla possibilità/necessità da parte della biblioteca pubblica di aprirsi anche ai videogame, sia nella loro dimensione "locale" che "on-line". Per partire comunque dal concreto, comincerò con l'esaminare le difficoltà riscontrate dai bibliotecari e sopra riportate.Ma esistono anche altri tipi di videogiochi, ad esempio quelli raggruppati sotto la definizione adventure: storie interattive in cui al giocatore spetta risolvere degli enigmi per poter far proseguire la vicenda. Se volessimo paragonarli a qualcosa che in biblioteca c'è già, potremmo riferirci ad essi (ma comunque impropriamente) come a dei libri-game multimediali. Del libro-game hanno infatti l'interattività, arricchita dal poter seguire la storia attraverso un'animazione (o in alcuni casi con sequenze filmate) e un commento sonoro. Forse con maggiore proprietà potremmo paragonarli a film (più spesso d'animazione) interattivi.
Per fare qualche esempio è possibile prendere in considerazione Blade Runner [4], o Monkey Island 3 [5] (non a caso premiato all'ultima Fiera del libro per ragazzi di Bologna), o ancora Final Fantasy VII [6], etc. La periferica necessaria per usare questi tipo di giochi è il mouse (escluso FFVII, per la sua origine per PlayStation Sony), non è semplicissimo "morire subito" (in alcuni è addirittura impossibile) e il gioco ha bisogno di tempi lunghi e di calme riflessioni per essere "risolto".
Come si può intuire subito da queste caratteristiche, questo tipo di videogioco è assolutamente antiredditizio all'interno di una sala giochi, tanto più che ha bisogno di attenzione e assenza di disturbo esterno per poter essere fruito, proprio la stessa cosa di un libro in una biblioteca: non a caso del resto gli adventure sono i discendenti dei giochi completamente testuali fatti per i primi PC. Insomma, le sale giochi non hanno assolutamente adventure tra i giochi che mettono a disposizione del loro pubblico. Ergo, almeno per questo tipo di videogiochi, cade l'obiezione in oggetto.
La durata media di una partita multiplayer dei primi è di qualche minuto (è incredibile quanto velocemente si può essere uccisi, specialmente da qualcuno più giovane e dai riflessi più rapidi - e magari con una connessione più veloce); più lunga invece quella dei secondi, ma in mezz'ora è comunque possibile mediamente completare almeno una "missione". Ciò che probabilmente dissuade i possibili videogiocatori non è tanto la limitazione del tempo, ma piuttosto il fatto stesso che la biblioteca non possieda videogiochi e non permetta l'installazione di quelli posseduti dagli utenti [10].
E' vero che esistono anche giochi di ruolo completamente basati su Internet, ma per questi ci sono davvero problemi di orari, senza contare il fatto che, con la creazione di reti dedicate gratuite per il multiplayer da parte dei produttori di software videoludico, questo tipo di gioco è ormai abbastanza fuori moda.
Per illustrare questa situazione riprendo le parole di Miranda Sacchi della Provincia di Milano, intervistata su "La Stampa" da Mirella Serri:
Forse l'unica forma artisticamente riuscita di ipertesto narrativo è la creazione di testi collettivi sfruttando la connettività della rete, che però, se estremamente gratificante nell'atto della creazione, non sempre lo è altrettanto in quello della fruizione/lettura, che del resto rimane un momento secondario rispetto all'ambizione di una scrittura universale. Scrittura universale che invece gli ipertesti realizzati, e distribuiti commercialmente, escludevano preventivamente frustrando la promessa d'interattività. Se escludiamo pertanto le opere di non-fiction (in cui l'ipertesto è diventato consolidata e proficua forma di esposizione, anche per la possibilità di richiamare elementi multimediali non "posticci"), l'ipertesto come forma di narrativa elettronica è stato un insuccesso.
Anche perché, in realtà, un'altra forma di narrativa elettronica stava prendendo piede. Solo che non si trattava di una narrativa "scritta" ma piuttosto "animata" o anche "filmata" (anche se con esempi meno convincenti). Come si è già detto, questa nuova "narrativa animata" più che ad un libro si avvicina ad un film, ma con tutte le caratteristiche promesse dall'ipertesto. Non a caso il culmine attuale dell'evoluzione del videogioco come forma narrativa ipertestuale è Blade Runner [13], in cui sono presenti almeno quattro trame principali tra cui il giocatore, giocando, sceglie in base ai propri gusti (pro o contro i replicanti) e alle proprie capacità (i riflessi necessari per sparare per primo contro un aggressore o per acchiappare un criminale in fuga), il tutto presentato in maniera che il giocatore abbia comunque sempre la percezione di una storia lineare.
Giocare con Blade Runner concede all'utente una forma d'identificazione inedita sia al lettore che allo spettatore cinematografico: se i personaggi sono visibili - come accade per il film - e perciò l'autoriconoscimento con il protagonista è minore rispetto a quello possibile per il lettore, il giocatore può modificare la storia (o perlomeno averne la concreta illusione) arrivando così ad un grado di coinvolgimento addirittura superiore che nella lettura, non rinunciando tuttavia agli "effetti visivi" (intendendo con questa espressione sia i veri e propri effetti speciali che quell'aspetto del cinema che si designa come "fotografia"). Negli "sparatutto in soggettiva" (come Doom [14], ad esempio) si arriva addirittura - a scapito tuttavia della profondità della trama - ad un'autoidentificazione perfetta del giocatore col protagonista del gioco, dato che il giocatore ha l'illusione di vedere il mondo attraverso i suoi occhi.
Senza contare che i costi potrebbero in questo caso anche diminuire prevedendo delle entrate. Se infatti il prestito (ove si voglia istituire un servizio di tal genere) deve essere gratuito, non deve necessariamente esserlo l'utilizzo di computer della biblioteca a scopo ludico, sia in locale, sia a maggior ragione in rete. Prevedendo tariffe per questi servizi sarebbe possibile recuperare parte dei costi e, anche considerandone la necessaria modestia a livello individuale, il recupero di fondi complessivo per la biblioteca potrebbe essere non indifferente.
In realtà il problema maggiore potrebbe essere il fatto che un servizio del genere - nell'ambiente della biblioteca - va progettato ex-novo, con la necessità di trovare personale con specifiche competenze o di aggiornare adeguatamente quello esistente. Cosa però che potrebbe essere ricongiunta all'aggiornamento sul "reference elettronico". Questo senza necessariamente trasformare la biblioteca in "ludoteca", come la presenza di film non la trasforma in "videoteca". Semplicemente occorre che i bibliotecari siano maggiormente attenti a questo aspetto della produzione editoriale, richiedendo sia aggiornamenti formativi alle istituzioni sia materiale informativo alle aziende. Viceversa la politica dello struzzo - facciamo finta che queste cose non esistano e, se esistono, si possono trovare da un'altra parte - rischia di allontanare ancora di più (di quanto già non faccia la scuola) la biblioteca da uno dei suoi pubblici principali e per molti versi più difficile: quello degli adolescenti, che invece avrebbe bisogno di essere seguito molto più attentamente.Francesco Mazzetta, Biblioteca Comunale di Fiorenzuola D'Arda, e-mail <pol860@agonet.it>
Note
[1] Indagine condotta sulla lista di discussione per le biblioteche pubbliche PUBLIB del Berkeley Digital Library SunSITE. All'indirizzo Internet <http://sunsite.berkeley.edu/PubLib/> si trovano le istruzioni per l'iscrizione. [2] Articoli dell'autore sui videogiochi si possono trovare con una certa regolarità sul settimanale "Il Mucchio Selvaggio" e su "Alias", supplemento settimanale del quotidiano "Il Manifesto". [3] La Biblioteca Comunale di Fiorenzuola d'Arda (Pc), con un patrimonio di circa 45.000 volumi, 90 riviste in abbonamento, 2.000 famiglie iscritte al prestito, 1 PC a disposizione del pubblico per visionare i circa 30 CD-ROM e floppy posseduti (tra cui due videogiochi) e per il servizio Internet. La Biblioteca è presente su Internet con un suo sito: <http://www.agonet.it/fiorenzuola/biblioteca/> e con un indirizzo di posta elettronica: <biblio.fiorenzuola@agonet.it>.«Bibliotime», anno I, numero 3 (novembre 1998)