Partiamo subito dalla parola "edutainment" e cerchiamo di togliere di mezzo quelle vaghezze proprie dei neologismi; è il solito guaio di quando si utilizzano le definizioni anglosassoni. Però va riconosciuto: gli americani hanno inventato dei valori d'uso, e di conseguenza delle parole per definire questi nuovi approcci.
L'edutainment è un concetto forte che trova la sua radice etimologica nel rapporto che c'è tra educazione e gioco, educational e entertainment. È in questa interazione tra il processo educativo e la spettacolarità ludica che è possibile trovare una chiave per interpretare uno degli sviluppi più interessanti della multimedialità.
Il principio attivo che sta alla base del fattore gioco è infatti quello che potremmo definire, per altri versi, come cooperazione educativa, condivisione coniugata a creatività. Gran parte del sistema editoriale elettronico, dal CD-ROM alla rete telematica, trova nell'edutainment una linea di fortissima tendenza. Questo accade perché le nuove generazioni in rapporto con un sistema multimediale riescono a entrare in stretta relazione con questo prodotto attraverso la sensorialità.
È questo il dato che inizia a farci rendere conto che in questo rapporto accade un virtuoso corto circuito tra processo cognitivo e processo percettivo. È su questo che si gioca la grande scommessa non solo editoriale del prossimo futuro, ma quella decisamente più ampia che riguarda l’evoluzione culturale della nostra specie. È un’affermazione forte, senza dubbio, ma è proprio di modificazione degli assetti culturali della nostra civiltà che si tratta.
Questo significa superare certe segmentazioni, certe barriere erette rispetto alla distribuzione delle conoscenze. Fino a 50 anni fa il primo problema era l'analfabetismo: in questo paese era un dato reale con cui si doveva fare i conti ma oggi, dopo le stagioni della scolarità di massa, ci troviamo di fronte ad un problema diverso. Il mass-media televisivo satura d’informazioni, ma allo stesso tempo ha livellato le coscienze e la disponibilità della gente a leggere e a riflettere. Si consumano immagini senza digerirle, si rischia ancor più dell’obesità la costipazione. Infocostispati.
Oggi riscontriamo in Italia un bassissimo tasso di lettura, i giornali si leggono pochissimo, siamo il terzultimo paese in Europa per la lettura dei giornali, non parliamo poi della lettura di libri. Questo accade proprio perché la televisione è facile, ci offre tantissimo senza sforzo, interviene ed entra direttamente nelle case e nelle teste degli italiani. Questo esiste dappertutto ma da noi è più accentuato, esiste un "caso Italia", e riguarda proprio il paradosso televisivo: il gioco al rialzo tra sistema radiotelevisivo pubblico e quello privato. Il gioco dell'audience ha pervaso la coscienza diffusa nel paese, si è fatta e si fa troppa televisione.
Verso la società cognitiva
Ma c’è un modo per uscirne: attraverso la multimedialità e la telematica è possibile ristabilire un equilibrio all'interno del sistema culturale, proprio perché si tende a mettere in relazione un approccio dinamico con le conoscenze, con la cultura, con i processi didattici, sollecitando la sensorialità.
Rispetto ai giovani e ai giovanissimi questo tipo di istanza va interpretata e incentivata, per accogliere la loro spinta automatica, filogenetica, di apprendimento attraverso i sensi, attraverso cioè la loro domanda di "mondo" attraverso le percezioni.
Intervenire su questa attitudine cercando di costruire architetture cognitive, attraverso progetti di conoscenza ipertestuale è la grande scommessa che produrrà, ed io sono ottimista in questo, ricchezza. E questo accadrà sempre di più nei prossimi anni, quando prenderà piede quella cosiddetta "industria dei contenuti" che intende essere la società cognitiva di cui parlava Delors qualche anno fa in Comunità Europea.
È un segnale di tendenza fortissimo: "verso la società cognitiva". Cosa significa? Rendiamoci conto che il passaggio da un sistema industriale dove la produzione di ricchezza era fondata esclusivamente attraverso la produzione e la distribuzione di merci e manufatti a un sistema fondato sull’immaterialità delle risorse informative è tutt’altro che utopistico. Si pensi solo a quanto profitto circola intorno al mercato pubblicitario, cinematografico e televisivo. Possiamo quindi riuscire ad intuire che è possibile produrre ricchezza attraverso la produzione e la distribuzione di informazioni e di elaborazioni della conoscenza.
È possibile questo? Secondo me sì. È possibile se iniziamo a concepire realmente le reti telematiche come un medium non solo di scambio comunicativo ma come ambiente di nuova produzione cognitiva, dalla gestione delle memorie all’educazione permanente.
Siamo in una fase di transizione, almeno fino a quando non si troverà il modo per guadagnare in rete. Il grande nodo che va sciolto è infatti quello che riguarda il protocollo di transazione economica dentro le reti, ossia la firma digitale per il commercio on line. Non si produrrà ricchezza dentro le reti telematiche fin quando non vi circolerà denaro (digitale s’intende). Dobbiamo auspicare che questo accada, è necessario. Sarrebbe un errore adagiarsi su quei buoni sentimenti che idealizzano la libertà di Internet come zona protetta dal mercato, come limbo delle anime belle. No, non è così. La rete è come il mondo: c'è il bene e il male, c'è la complessità.
La rete come nuovo ambiente educativo
Qui va aperta una seconda riflessione che è tutt’altro che periferica se proprio ci va di pensare alla rete come mondo: riguarda l'educazione on line. Il sistema educativo deve cominciare a contemplare la rete come un ambiente, come un mondo secondo, alla stessa stregua di come viene inteso lo spazio-tempo ordinario di questa stanza, o come quello di una classe o di una piazza. Conosciamo lo spazio-tempo fisico, ma bisogna cominciare a concepire che dentro la rete, sì, "dentro", può accadere socialità, interscambio, interrelazione, vita.
Lo so che a qualcuno non entra in testa questo paradosso: che cosa c’entra la rete telefonica, quel cavo attraverso cui passano le connessioni telematiche, con lo spazio e il tempo? E chi lo ha mai detto che ci deve passare vita?
Se iniziamo però ad entrare in una disponibilità psicologica che ci permetta di affrontare questi paradossi e se iniziamo a sottrarre alla tecnologia l’idea meccanicistica di tecnologia, possiamo realmente concepire l'ambiente telematico come un luogo di comunicazione reale, come un luogo di nuova relazione produttiva e sociale.
E quando dico reale intendo quel valore che troppo spesso, quando si parla di virtuale, si fraintende: la realtà non è solo fisica, può essere anche elettronica. E poi un buon modo per concepire la virtualità è quella di valutarla come una "realtà aumentata", qualcosa di più, non di meno.
Uno degli aspetti che io auspico fortemente è che all'interno del sistema educativo si possa iniziare a considerare le reti e il multimedia nel suo complesso come un’opportunità di scambio di reale comunicazione interpersonale, come un nuovo ambiente educativo tout court. In questo senso è importante procedere sperimentando il rapporto che c'è tra educazione e gioco, inventando cioé nuove forme di cooperazione educativa attraverso la telematica, utilizzando non solo sistemi di video-conferenza ma inventando veri e propri giochi da condividere nel web.
C’è da fare un grandissimo lavoro, un impegno che in primo luogo risiede all'interno del corpo insegnante che vive però un grande disagio. Questo nasce principalmente dalla crisi di una forma mentis, per cui solo il fatto di poter accettare che dentro una rete telematica possa passare "vita" produce inquietudine.
Il futuro è come il paradiso
Uno dei punti cardine dell’intera questione è quindi quello che riguarda la relazione del corpo con questi nuovi ambienti digitali; è qui infatti che si registra la principale contraddizione: come coniugare la fisicità con l’immaterialità dell’elettronica?
Da anni il mondo della sperimentazione nelle arti elettroniche ha creato dei precedenti che svolgono la funzione di "ponti", opportunità per avvicinare le sensibilità al "nuovo sentire" determinato dalle tecnologie della comunicazione. Si tratta di approcci che per anni sono rimasti relegati nell’ambito della ricerca artistica ma che ora si stanno diffondendo nel corso delle cose, in una contemporaneità sempre pervasa dall’elettronica. Ciò che oggi stiamo scoprendo è che quest’interazione tra mondo fisico e mondo digitale fa parte della realtà verso la quale si fa sempre pù necessario un adeguamento, una trasformazione culturale e psicologica.
Iniziamo quindi ad interrogarci sulle modalità di apprendimento e a scoprire che insieme all’intelligenza cognitiva va sollecitata quella percettiva, e che la cosiddetta "mente bicamerale", ovvero la serrata relazione tra l’emisfero sinistro del cervello, quello cui è affidata la funzione di decodificare le impressioni, e quello destro, atto a raccogliere qualsiasi input, rumore od odore che sia, è una delle questioni più intriganti poste dall’avvento del multimedia interattivo.
Mi spiego: navigando in un ipermedia combiniamo attività complesse, come la lettura, con l’automatismo dei colpi d’occhio e degli ascolti. Il gioco libero delle sinapsi viene sollecitato da stimoli sensoriali che, combinati con quelli più strutturati simbolicamente come il riconoscimento alfabetico, alimentano la nostra intelligenza percettiva.
Il dato importante sta proprio nel fatto di dare spazio alla sensorialità, ed è per questo che i giovani e i giovanissimi hanno una predisposizione fortissima all’utilizzo dei nuovi media. Le tecnologie interattive cambiano quindi le procedure di elaborazione psicologica, semplificandole. Howard Reinghold, parlando delle Realtà Virtuali, diceva: sono un microscopio per la mente. E’ opportuno quindi considerarle tecnologie cognitive: per intenderci, il libro lo è, in cinquecento anni ha cambiato la mente dell’uomo occidentale. Le tecnologie cognitive hanno interrogato il nostro corpo e la nostra mente: ci siamo infatti resi conto che attraverso la scrittura e la tecnologia a stampa il nostro modo di stare al mondo poteva essere più complesso, in grado cioè di gestire una sempre più ampia gamma di competenze.
Ma come in tutte le rivoluzioni tecnologiche, come accadde già con l’avvento della stampa che negò progressivamente la diffusione orale delle culture imponendo l’aristocrazia della scrittura e della lettura, c’è il grave rischio della disparità socio-culturale.
La tecnocrazia è infatti il vero pericolo. Il problema sta nel non lasciarla sola a governare le sorti dell’offerta tecnologica nel mercato. Uno dei modi per fare questo è quello di elevare la domanda: immaginando, inventando dei nuovi valori d’uso delle tenologie di comunicazione.
A far vincere la tecnocrazia rischiano di essere quindi proprio quegli umanisti arroccati sulle proprie torri d’avorio, aggrappati alle tende delle proprie certezze relative, come certi insegnanti, o certi intellettuali, che sostengono interesse per il futuro ma in fondo tendono a non affrontarlo perché sanno che significa rimettersi in discussione.
Dopotutto il futuro è come il paradiso: tutti lo vogliono ma non vogliono andarci troppo presto.
I mille miliardi di Berlinguer
Il mondo della scuola è la soglia, la linea d’ombra di questa transizione. Non si può più tergiversare con l’emergente sensibilità multimediale delle nuove generazioni. Ecco quindi che finalmente l’istituzione Ministero Pubblica Istruzione ha attivato un "Programma Tecnologie Didattiche" che prevede la spesa di mille miliardi per tre anni. Nella scuola si inizia a spostare un'onda fortissima che all'interno dello scenario europeo ha una valenza incredibile, e l’azione di Berlinguer è da rilevare come una delle più avanzate in Europa in tal senso.
La multimedialità non può essere concepita solo come ausilio didattico, ti cambia: sposta l'asse cognitivo perché navigare è uno straordinario training, proprio perchè ti allena ad imparare a imparare.
Navigare nel web poi significa costruirsi delle mappe in progress, viaggi tracciando la tua topografia cognitiva. Dall'utilizzo dei motori di ricerca per le ricerche concatenate, al chatting per la comunicazione sincrona, ai MUD (Multi User Dungeons o Dimensions), che sono dei giochi di ruolo di sottile simulazione interattiva, emergono aspetti sempre più interessanti sul rapporto inedito che c’è tra comunicazione e cultura.
Pensate solo al rapporto tra scrittura e oralità (relazione che Walter Ong ha investigato da tempo) e a quanto sia determinante riconoscere che nel chatting o nelle pratiche di e-mail l'uso della parola venga concepito in una soluzione ibrida: è scritta con un ritmo, una scansione propria dell’oralità.
L’agire nel web si coniuga con la visione: quando iniziamo a stabilire un principio attivo con le immagini del web accade qualcosa che non è paragonabile né al testo e né alla televisione. E questo è quello che auspico: che venga a nascere e a crescere una sensibilità, un’attitudine percettiva e cognitiva allo stesso tempo, che possa concepire la dimensione del web come un luogo dove si agisce nella visione, in un’avventura immersiva. Cliccando nell’ipertesto on line penetri nella struttura informativa, la abiti, agisci vedendo, consumando immagini e informazioni.
Fin quando la trasmissione dei dati sarà lenta non avremo però dei salti di qualità, ma fra qualche anno cominceremo a concepire qualcosa come il video-streaming, con real-audio ad ottima definizione, e allora si potrà parlre d’immersione sensoriale nel web. Questo non significa ritornare però al grande imbuto televisivo, perché l'elemento fondamentale qui è l'interattività.
Derrick De Kerckhove, l’erede di McLuhan, afferma che grazie all’interattività si stabilisce un "punto di vita", nel senso che entriamo in relazione con qualcosa, utilizzando il mouse e accettando che quella freccina e quel cursore siamo "noi". Apriamo ambienti, clicchiamo gli hot-spot, superando così un'idea del punto di vista prospettico, fondato dentro la cornice mentale dell'uomo rinascimentale, che tra tecnologia, stampa e prospettiva ha costruito una visione del mondo strutturata che oggi viene però relativizzata. Nella destrutturazione c’è un'espansione di coscienza percettiva straordinaria, una spinta di intelligenza fondata sulla flessibilità.
Questa è la grande scommessa della società cognitiva futura.
Carlo Infante, Torino, e-mail: infante@idra.it