Si è svolto dal 27 al 29 marzo, nella splendida cornice delle colline fiesolane, il 10° Fiesole Collection Development Retreat, un appuntamento internazionale irrinunciabile per chi in biblioteca si ccupa dello sviluppo delle collezioni, così come per chi lavora nel campo editoriale.
Peraltro quest’anno ricorreva il cinquantesimo anniversario della Casalini libri, fondata da Mario Casalini nel 1958.
Il tema affrontato da questa decima edizione del convegno, intitolato “Scholarly communication on the network: collecting and collaborating where our users live”, era quello del complesso rapporto tra biblioteche e utenti nell’era digitale e di come le biblioteche possano soddisfare le esigenze sempre più articolate delle nuove generazioni, quelle degli studiosi, ma anche quelle dei giovani che stanno per affacciarsi al mondo universitario – la Google Generation o Net Gen o Millennium Gen –, ripensando completamente i canali attraverso i quali gli utenti finali accedono all’informazione, dal momento che profondi sono i cambiamenti in atto nel modo di produrre, veicolare e fruire l’informazione stessa.
La prima sessione della conferenza era appunto dedicata a questi temi: users on the network. Dopo un excursus storico di Elisabeth Chapman sulle tematiche affrontate nei vari retreats, il primo intervento, quello di Sarah Thomas, direttore di Oxford University Library Services, ha condotto i presenti in una riflessione comparativa sui servizi e le collezioni tra biblioteche statunitensi e biblioteche del Regno Unito.
La Thomas, infatti, ha lavorato per una decina di anni presso la Cornell University Library. La differenza più macroscopica tra Cornell e Oxford University Library è decisamente legata a una differente percezione di come le collezioni devono e possono essere rese accessibili agli utenti finali, in relazione ai differenti usi e costumi sociali che devono essere il parametro fondamentale sul quale regolare i propri servizi (orari di apertura, politiche di circolazione, politiche di digitalizzazione ecc.).
Elisabeth Niggemann, direttore della Biblioteca nazionale tedesca, ha parlato degli sviluppi del progetto europeo The European Digital Library [1], lanciato per iniziativa di ben sei capi di Stato europei e coordinato dalla Biblioteca nazionale tedesca, con l’obiettivo di dare ampia visibilità e accesso alle ricche collezioni delle biblioteche nazionali europee.
Di notevole impatto l’intervento di Leigh Watson Healy della società di consulenza Outsell. La Healy ha discusso dei nuovi canali di lavoro e studio utilizzati dai ricercatori, ma anche dai professionisti in generale, canali che in qualche modo lasciano ai margini le biblioteche e le loro collezioni, ma che vanno studiati per capire dove si trovano quotidianamente gli utenti e come le biblioteche possono inserirsi proficuamente nel flusso comunicativo – workflow, researchflow o leanflow – dei propri utenti in rete. Wiki, forum, piattaforme interattive per la pubblicazione di contenuti scientifici peer-reviewed e non (Nature Precedings), comunità professionali che si incontrano in rete, si scambiano e votano pareri professionali (Sermo).
Le modalità innovative offerte dagli strumenti del Web 2.0 per produrre contenuti digitali stanno cambiando rapidamente la struttura stessa dell’informazione e sovvertono i tradizionali canali di comunicazioni scientifica. Biblioteche e editori dovranno tenerne conto.
Google anche [2].
Il relatore successivo Geoffrey Bilder, direttore delle Iniziative strategiche di CrossRef, ha impressionato la platea con una riflessione particolarmente approfondita sul problema della relazione tra informazione e fiducia (trust).
Tutto ciò che avviene in rete nel campo editoriale scientifico, infatti, è collegato a un concetto di fiducia. Per gli editori il problema principale è quello di guadagnare la fiducia dei propri autori, per gli autori è essenziale stabilire e mantenere un rapporto fiduciario con i propri pari e con i lettori.
Al fine di sostenere questa esigenza, CrossRef ha lanciato nel 2007 un nuovo progetto denominato Version of record, basato sull’identificativo DOI, che dovrebbe consentire di identificare immediatamente la versione di un documento, evitando anche il proliferare di versioni non autorizzate.
Il pomeriggio della prima giornata è stato dedicato all’Open Access (OA). Nella sessione si sono alternati come relatori un editore, Michael Mabe, CEO dell’Associazione editori STM, il direttore scientifico della rivista «Portal», Charles Lowry, e due bibliotecarie di eccezione quali Ingered Rabow dell’Università di Lund e Paola Gargiulo del Caspur.
Le ottiche sull’OA sono apparse immediatamente contrapposte.
Mabe, infatti, ha ribadito che la strada verso l’accesso aperto deve essere comunque sostenuta dagli enti finanziatori e che gli editori dell’Associazione STM sono contrari alle politiche di deposito (mandates) non finanziate. Mabe ha così implicitamente anche criticato la recente legge emanata negli Stati Uniti a dicembre 2007 che obbliga il direttore dei National Institutes of Health (NIH) a richiedere l’archiviazione di tutti gli articoli scientifici finanziati dal NIH in PubMed Central immediatamente dopo che questi siano stati accettati per la pubblicazione e, comunque, non oltre un periodo di 12 mesi dalla pubblicazione dell’articolo.
Mabe ha anche rivendicato il ruolo importante degli editori nel garantire, tramite il meccanismo del peer-review, la qualità delle pubblicazioni scientifiche.
Charles Lowry ha una personale esperienza editoriale che lo ha portato ad abbandonare il comitato scientifico del «Journal of academic librarianship», rivista pubblicata dall’Elsevier, per fondare una nuova rivista in campo LIS: «Portal: libraries and the academy».
Partendo da questo tipo di esperienza, Lowry ha argomentato che è possibile e auspicabile creare un’editoria sostenibile che contenga i costi, grazie anche alle economie di scala che il formato digitale consente di realizzare, mantenendo nel contempo un sistema di peer review che garantisca la qualità scientifica dei contenuti.
L’Open Access è una delle possibili soluzioni per contenere i costi crescenti delle pubblicazioni scientifiche e apre nuovi orizzonti anche nel campo delle discipline umanistiche, che lamentano scarsi finanziamenti esterni.
In questo settore, infatti, accade sovente che le monografie scientifiche non riescano a essere pubblicate perché non raggiungono la soglia minima economicamente sostenibile.
Ingered Rabow, bibliotecaria svedese presso l’Università di Lund, ha presentato un quadro dettagliato degli sviluppi dell’Open Access nei paesi nordici (Danimarca, Finlandia, Norvegia, Svezia, Islanda) sulla base di un rapporto pubblicato nel 2007, commissionato nell’ambito del progetto Nordbib, dal titolo: Open Access in the Nordic country: a state of the art report.
Il numero di iniziative Open Access nei paesi nordici è davvero consistente, molti progetti sono di livello nazionale e sostenuti economicamente da fondi pubblici.
In Finlandia, ad esempio, esiste un coordinamento nazionale dei repositories nell’ambito del progetto OA-JES (2006-2007), e si sta progettando una piattaforma nazionale centrale con software D-Space. Esiste, inoltre, un gruppo di lavoro dedicato all’Open Access: il Finish Open Access Working Group. In Svezia lo Svedish Research Council ha finanziato nel corso del 2007 diciassette differenti progetti nel campo dell’OA, tra i quali vale la pena di menzionare OpenAccess.se, che vede tra i partner la Biblioteca nazionale svedese.
La Svezia è attivamente coinvolta inoltre, grazie all’Università di Lund, in alcuni importanti progetti dalla visibilità internazionale come DOAJ, la directory degli periodici Open Acces, e Journal-Info, un database di 18.000 titoli che elabora analisi comparative e ranking delle riviste per aiutare gli studiosi a scegliere consapevolmente le riviste nella quali pubblicare.
Paola Gargiulo ha posto il problema dei repositories, suggerendo alcune efficaci strategie per riempirli di contenuti: integrazione con bibliografie e anagrafi della ricerca, ingestione via batch di dati, notificazioni (RSS feeds e alerts), analisi statistiche e citazionali, semplificazione delle interfacce utilizzate dagli autori per il deposito, supporto agli autori nelle operazioni di archiviazione e nelle complesse problematiche di copyright, miglioramento delle funzioni dei protocolli di interoperabilità, degli strumenti di information retrieval e delle applicazioni di web semantico.
Secondo la Gargiulo, i curatori dei depositi istituzionali dovrebbero concentrarsi molto di più nell’analisi del workflow adottato dalle differenti comunità di ricerca, per proporre poi soluzioni personalizzate che aiutino gli autori a lavorare in rete e a depositare il loro contenuto scientifico negli archivi aperti.
La sessione del 29 marzo si è aperta con la splendida relazione di un editore “illuminato”, Herman Pabbruwe, CEO di Brill.
Pabbruwe ha parlato in modo aperto del rapporto tra editori e biblioteche che dovrebbe essere di piena collaborazione, del ruolo che sta cambiando per i primi come per le seconde, più in teoria, in realtà, che in pratica, dato che in molteplici casi sia gli editori che le biblioteche restano ancora colpevolmente ancorati a schemi tradizionali. In generale, ha osservato Pabbruwe, il mercato editoriale si muove lentamente, molto più lentamente di quanto non facciano i consumatori/utenti, sempre più produttori e fruitori instancabili di contenuti digitali.
Nell’era post-analogica è necessario inventare quotidianamente nuove strategie, essere creativi, ma soprattutto offrire servizi innovativi sulla base di un contenuto scientifico che con il tempo potrà essere sempre più ad accesso aperto, ricercabile e interoperabile.
Su questo contenuto (content is the king) e questo valore aggiunto dovranno lavorare editori e bibliotecari nei prossimi anni.
Anche gli ultimi due interventi sono stati particolarmente apprezzati dai partecipanti al convegno. Carico di energia quello di David Nicholas, direttore del Centre for Information Behaviour and the Evaluation of Research (CIBER), che ha parlato di un nuovo recente studio condotto dal suo centro di ricerche sull’uso degli e-books in ambito accademico, un’indagine ad ampio spettro che ha coinvolto ben 127 università in Gran Bretagna, finanziata dal JISC National Ebooks Observatory.
L’indagine ha messo in luce aspetti peculiari e inusitati nel comportamento di ricerca degli utenti delle biblioteche digitali, sfatando miti e demolendo stereotipi, come ad esempio quello che gli umanisti siano poco inclini a utilizzare materiale in formato elettronico.
Le statistiche d’uso, infatti, confermano come soprattutto i filosofi siano grandi fruitori di contenuti digitali, almeno per ciò che riguarda gli e-books. A ciascun lettore il suo documento digitale.
Di conservazione cartacea condivisa si parlava nell’ultimo intervento del convegno, quello di Clare Jenkins. La Jenkins è stata fino a settembre 2007 direttore del UK Research Reserve (UKRR) Project, coordinato dalla British Library.
L’idea del progetto riguarda le copie cartacee di periodici: la British Library conserverà in collaborazione con altre biblioteche di ricerca in Gran Bretagna un set di titoli selezionati tra quelli meno utilizzati, permettendo così la loro dismissione da parte delle biblioteche che partecipano al progetto.
Una revisione coordinata, quindi, che permetterà di conservare una sola “ultima copia” dei titoli individuati per lo scarto. Naturalmente anche il servizio di document delivery verrà ripensato e coordinato sulla base del già esistente British Library Document Supply Service.
Nel primo decennio del secondo millennio i temi che riguardano lo sviluppo delle collezioni, quelle digitali così come quelle cartacee, si intersecano e diventano piattaforma comune di scambi e di opinioni.
Le problematiche sono tutte condivise e condivisibili. L’individuazione delle best practices, il rafforzamento della cooperazione a tutti i livelli, la sinergia tra editori e biblioteche, gli studi sul comportamento di ricerca degli utenti diventano, pertanto, la chiave per uno sviluppo consapevole delle raccolte.
Un sincero ringraziamento va a Casalini libri e all’Istituto universitario europeo per la squisita ospitalità.
maria.cassella@unito.it
[1] A marzo 2008 è stato pubblicato il rapporto finale dell’EDL Project, disponibile all’indirizzo http://www.edlproject.eu/outcomes.php.
[2] Secondo la Healy, infatti, il primato indiscusso di Google potrebbe essere messo in crisi da strumenti del Web 2.0 come Facebook.