Il mese di dicembre 2007 resterà una data estremamente significativa per i sostenitori dell’Accesso aperto.
Negli Stati Uniti il presidente Bush ha firmato il giorno dopo Natale una legge (il Consolidated Appropriations Act of 2007: H. R. 2764) che obbliga il direttore dei National Institutes of Health (NIH) a richiedere l’archiviazione di tutti gli articoli scientifici finanziati dal NIH in PubMed Central (PMC) immediatamente dopo che questi siano stati accettati per la pubblicazione e, comunque, non oltre il periodo di 12 mesi dalla pubblicazione dell’articolo. In precedenza, il NIH aveva solo “raccomandato” il deposito in PMC, creando un certo sconcerto tra i sostenitori del movimento dell’Open Access.
La percentuale di articoli archiviati in PMC restava, infatti, decisamente bassa.
Sempre a dicembre 2007 in Europa il Consiglio europeo per la ricerca (ERC - European Research Council), organismo finanziatore europeo fondato nel 2005 sotto l’egida della Commissione europea, ha pubblicato sul proprio sito il documento ERC scientific council guidelines for Open Access, nel quale il Consiglio prende una posizione forte a favore del deposito degli articoli scientifici, stabilendo che i risultati delle ricerche finanziate dall’ERC siano obbligatoriamente depositati in un archivio aperto istituzionale (attualmente sono più di 400 in Europa) o in un archivio aperto disciplinare (PMC, ArXiv, NCSTRL ecc.) entro e non oltre i sei mesi dalla loro pubblicazione.
Il documento ERC raccomanda di adottare politiche ufficiali istituzionali «per mettere a disposizione ad accesso aperto (immediato, permanente, gratuito, a testo pieno online, per tutti i potenziali utenti del mondo collegati in rete) gli articoli referati che illustrano i risultati della ricerca» [1] a favore del deposito negli archivi aperti, consiglia la costituzione di una task force da parte della Commissione europea per sviluppare all’interno del VII Programma quadro una linea di azione concreta sull’Open Access, riafferma l’importanza del movimento dell’Accesso aperto non solo per le discipline scientifiche ma anche per le scienze umane e sociali.
Il documento, inoltre, è in assoluto tra i primi ad affermare l’importanza di rendere accessibili i dati primari della ricerca in archivi aperti di dati (ad esempio GenBank).
Rispetto alle posizioni mandatarie a favore dell’Open Access espresse da altri enti o organismi finanziatori europei (Wellcome Trust, Research Councils, CERN, DFG ecc.) e raccolte sul sito dell’iniziativa Sherpa/Juliet, il documento del Consiglio europeo per la ricerca riveste un significato peculiare per il mondo dell’Accesso aperto, in modo particolare per i sostenitori di quella che, in gergo Open Access, viene definita la “green road” ovvero la strada dell’autoarchiviazione.
Di fatto la pratica del deposito negli archivi, nata in seno ad alcune comunità scientifiche (si pensi all’ormai storica esperienza di ArXiv) per diffondere immediatamente i risultati delle ricerche e accrescerne l’impatto, è un’attività bene accetta e diffusa in alcuni ambiti di ricerca (fisica, economia, informatica), che possono contare su alcuni consolidati archivi disciplinari, ma risulta ancora quasi sconosciuta tra i ricercatori appartenenti ad altri settori disciplinari.
La posizione dell’ERC, quale ente finanziatore paneuropeo, assume pertanto una rilevanza senza precedenti per il movimento dell’Accesso aperto, sia per la composizione del Consiglio, composto da rappresentanti di spicco della comunità scientifica europea (22 in totale, 2 per l’Italia), il cui ruolo è ben conosciuto e affermato nei relativi campi di ricerca, sia per la quota di ricerca finanziata in Europa dall’ERC. In base al VII Programma quadro (FP7), infatti, il Consiglio europeo per la ricerca finanzierà progetti nel periodo 2007-2013 per un ammontare di 7,5 bilioni di euro.
A un mese dalla pubblicazione del documento ERC, anche la European University Association (EUA) ha adottato le raccomandazioni proposte dal suo gruppo di lavoro interno sull’Open Access.
Le raccomandazioni si rivolgono direttamente alla leadership universitaria e alle Conferenze nazionali dei rettori (per l’Italia la CRUI), affinché richiedano il deposito obbligatorio delle pubblicazioni scientifiche peer-reviewed nei propri archivi istituzionali, rispettando, laddove previsto, il periodo di embargo, al fine di massimizzare «la visibilità, l’accessibilità e l’impatto scientifico dei risultati della ricerca».
La linea di azione dell’EUA si caratterizza, da un lato, per l’autorevolezza dell’organismo che l’ha adottata, dall’altro per il fatto di concentrarsi sulle pubblicazioni peer-reviewed e, quindi, sulla qualità e rilevanza scientifica dei documenti archiviati nei depositi.
Ciò non esclude che gli archivi istituzionali possano contenere anche materiale documentario di altro tipo, letteratura grigia, tesi di laurea e di dottorato, working papers, materiale audiovisivo ecc.
Le policy relative alla tipologia di materiale da archiviare possono essere differenti e devono tenere conto di numerose variabili sia interne che esterne, oltre che essere perfettamente allineate con mission e obiettivi programmatici dell’istituzione di appartenenza.
In ogni caso nulla vieta di sfruttare le enormi potenzialità dei depositi istituzionali per creare una rete documentaria locale pienamente ricercabile e accessibile in rete. Essenziale per il successo degli archivi aperti è l’adozione di linee chiare e precise, ma al contempo flessibili, per la definizione delle collezioni e delle comunità di utenti.
maria.cassella@unito.it
[1] La definizione di politica mandataria istituzionale è tratta dalla traduzione curata da Susanna Mornati della pagina di presentazione del Registry of Open Access Repository Material Archiving Policies (ROARMAP), il repertorio che registra le politiche istituzionali favorevoli all’accesso aperto, http://www.aepic.it/docs/OA/dichiarazione_it.html.