L’avvento del supporto elettronico non ha mutato solo la fisionomia delle collezioni delle biblioteche di università, in costante e perenne tensione dall’analogico verso il digitale, e le modalità di erogare i servizi agli utenti.
Nuovi ruoli emergono e si affiancano a quelli tradizionalmente legati alla figura del bibliotecario: i catalogatori diventano esperti creatori e gestori di metadati, man mano che i ben noti formati di catalogazione MARC vengono sostituiti da DC, PREMIS, SCORM, MPEG-7, METS, OAIS ecc., i collection development librarians diventano esperti nella negoziazione dei contratti per l’acquisto delle risorse elettroniche e nuove e complesse funzioni e competenze vengono sviluppate anche tra i bibliotecari per la gestione dei link resolvers, dei metamotori per la ricerca integrata e dei sistemi di Electronic Resource Management (ERM), per la creazione e manutenzione dei siti e dei portali di biblioteche, per il management delle university presses e, da ultimo, ma non per ultimo, per la gestione dei depositi istituzionali.
Questi ultimi sono degli archivi aperti utilizzati dalle università o centri di ricerca allo scopo precipuo di depositare, rendere accessibile e preservare la produzione intellettuale accademica prodotta ai fini della ricerca e/o della didattica.
La gestione di un deposito è, pertanto, un compito perfettamente in linea con la tradizionale mission di una biblioteca di università, ma si è rivelata, in questi anni, un’attività estremamente complessa, soprattutto in relazione al problema di riempire di contenuti scientifici e di sfruttare in pieno le enormi potenzialità offerte dagli archivi di questo tipo.
Generalmente un deposito istituzionale nasce sulla base di un progetto specifico, con finanziamenti che riguardano soprattutto la fase di start-up e gruppi di lavoro interamente, o più spesso parzialmente, dedicati al progetto.
Un recente studio portato a termine presso l’Università del Michigan sui depositi istituzionali (IR) attivati o in via di attivazione negli Stati Uniti – Miracle (Making Institutional Repositories a Collaborative Learning Environment) – ha dimostrato che la grandissima maggioranza degli archivi di questo tipo viene gestita dalle biblioteche, o dai sistemi bibliotecari, delle università, che i responsabili della loro gestione sono nel 74% dei casi i direttori di biblioteca e che una gran parte del personale degli staff che lavorano attivamente sui depositi istituzionali ha un profilo professionale da bibliotecario (metadata boys, bibliotecari di reference, bibliotecari addetti allo sviluppo delle collezioni, bibliotecari coinvolti nelle attività di formazione agli utenti ecc.).
La media delle persone coinvolte nelle attività di gestione dei depositi è di 7,2 unità.
Nelle fasi di pianificazione e progettazione dell’attivazione di un nuovo deposito si rivela fondamentale, invece, il coinvolgimento di alcune unità appartenenti al corpo docente, il cui ruolo però è di tipo prevalentemente politico (fund raising, sponsorizzazione all’interno delle facoltà, marketing e advocacy a favore del deposito). Anche nel Regno Unito, grazie soprattutto ai cospicui finanziamenti del Joint of Information System Committee (JISC), i depositi istituzionali sono ormai una realtà consolidata, con 112 archivi pienamente attivi alla data di gennaio 2008 [1].
Proprio nel Regno Unito, precorrendo i tempi, i responsabili degli archivi istituzionali hanno dato vita a maggio 2007 a una nuova associazione: lo UK Council of Research Repositories (UKCoRR), che apparentemente è molto lontano dal mondo dei bibliotecari, ma in realtà è composto in modo prevalente da questi ultimi.
La nuova comunità professionale risponde all’esigenza di dare visibilità a una figura professionale emergente – quella del manager o amministratore di un deposito istituzionale, appunto – e di condividere pratiche, problematiche ed esperienze sul campo ancora più che di scambiarsi riflessioni teoriche.
E in Italia?
Secondo la Directory of Open Access Repositories, sempre alla data di gennaio 2008, si contano nel nostro paese 27 depositi istituzionali già attivati e funzionanti con una notevole molteplicità e quantità di materiale archiviato (da un minimo di 30 documenti a un massimo di 209.037) [2]e finalità differenti (alcuni dedicati solo alla ricerca, altri alla didattica).
Due depositi vengono utilizzati per mantenere l’anagrafe locale della ricerca: Polaris, Università di Trento e AIR – Archivio istituzionale della ricerca dell’Università degli studi di Milano). Di gran lunga inferiore, invece, rispetto a quanto emerge dal progetto Miracle, il numero delle persone attivamente coinvolte nell’implementazione e complessiva gestione di un deposito in Italia.
Manca ancora una consapevolezza ben definita del ruolo significativamente rilevante che possono giocare i bibliotecari nelle varie fasi della gestione di un deposito (dalla progettazione all’implementazione e alla manutenzione). La strada del cambiamento, però, è aperta anche in Italia.
Di certo i depositi istituzionali rappresentano un’ulteriore sfida da affrontare per i bibliotecari impegnati a vario titolo nella gestione delle biblioteche digitali, ma si concretizzano anche in un’opportunità per rivitalizzare un ruolo fino a pochi anni fa sbiadito e messo in crisi dalla carenza di risorse (umane ed economiche), dalla presenza dominate del corpo docente nelle scelte gestionali, dall’imperante e pervasiva “googlizzazione” della ricerca.
Purché i bibliotecari sappiano adottare metodologie di lavoro collaborative senza mai dimenticare che un deposito è in primo luogo “a set of services” [3] per la ricerca e la didattica.
[1] Il dato è ricavato dalla Directory of Open Access Repositories (OpenDOAR).
[2] Si tratta, comunque, di cifre indicative in quanto in alcuni depositi vengono inseriti solo documenti in full-text, in altri invece le politiche relative al deposito consentono anche il deposito dei soli metadata.
[3] Il riferimento è alla definizione di deposito istituzionale adottata da Clifford Lynch: «In my view, a university-based institutional repository is a set of services that a university offers to the members of its community for the management and dissemination of digital materials created by the institution and its community members», in: Clifford A. Lynch, Institutional repositories: essential infrastructure for scholarship in the digital age, «ARL Bimontly Report» n. 226 (Feb. 2003), p. 1-7; anche a http://www.arl.org/newsltr/226/ir.html.