[AIB] AIB notizie 20 (2008), n. 1
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Le prestazioni proprie delle biblioteche sono esenti dall’applicazione dell’IVA

Nerio Agostini

Il d.P.R. n. 633/1972 [1] che disciplina l’applicazione dell’imposta sul valore aggiunto (IVA) riporta all’art. 10, al punto 22, le operazioni esenti dall’imposta:
«le prestazioni proprie delle biblioteche, discoteche e simili e quelle inerenti alla visita di musei, gallerie, pinacoteche, monumenti, ville, palazzi, parchi, giardini botanici e zoologici e simili».
Letteralmente, quindi, “le prestazioni proprie delle biblioteche” sono delle “operazioni esenti” dall’applicazione dell’IVA.
Non vi è alcun dubbio di sorta e non vi dovrebbe essere alcuna disquisizione di merito.
Questa prescrizione, nel tempo, non sempre è stata rispettata perché le cooperative, in quanto fornitori terzi, hanno spesso fatturato con IVA ogni tipo di prestazione alle biblioteche.
Tale prassi non ha alcun fondamento giuridico, ma è invece noto a tutti che nella gestione dei bilanci aziendali l’IVA ha un peso non indifferente ed è questo, nella sostanza, il motivo di interesse per cui le cooperative hanno fatto questa scelta.

La discussione si è recentemente aperta a seguito della risoluzione n. 135/E del 6 dicembre 2006 dell’Agenzia delle entrate [2], emessa a seguito di una istanza di interpello [3] avente per oggetto: IVA – Affidamento del servizio di biblioteca comunale.
Dal testo dell’interpello leggiamo il quesito posto:
«La società cooperativa ... è risultata aggiudicataria dell’appalto indetto dal Comune di ... avente ad oggetto la gestione del servizio di biblioteca comunale che è svolta in base alle indicazioni e al coordinamento del responsabile comunale del servizio cultura e consiste nelle seguenti attività: “informazione, orientamento e prestito libri, gestione e conservazione del patrimonio librario, gestione amministrativa, promozione e valorizzazione del servizio bibliotecario, collaborazione alle iniziative promosse dall’Assessorato alla cultura”.
La società interpellante chiede di conoscere se l’attività di gestione della biblioteca da essa resa nei confronti del Comune di ... possa configurarsi quale operazione esente da IVA ai sensi dell’art. 10, n. 22), del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633».
Dal testo della risoluzione leggiamo la risposta:
«In merito all’ambito applicativo dell’anzidetta disposizione l’Amministrazione finanziaria ha più volte chiarito (risoluzioni n. 4 del 18 gennaio 1999 e n. 30 del 23 aprile 1998), con riferimento alle prestazioni inerenti la visita di musei e di mostre, che essa ha valenza oggettiva, in quanto le prestazioni in essa contemplate sono esenti dall’IVA a prescindere dal soggetto che le effettua. La stessa natura oggettiva deve riconoscersi alla disposizione in argomento con riferimento alle prestazioni proprie delle biblioteche, discoteche e simili, atteso che la formulazione della norma delimita l’ambito di applicazione dell’esenzione alle prestazioni “proprie” delle biblioteche discoteche e simili, senza alcun riferimento ai soggetti che rendono la prestazione e a quelli destinatari delle stesse. Dalla natura “oggettiva” della disposizione in argomento consegue che non rileva la natura giuridica del soggetto esecutore del servizio, come non risulta determinante il soggetto a cui viene fornita la prestazione. Pertanto, l’esenzione, di cui al n. 22) dell’articolo 10 del d.P.R. n. 633 del 1972, come altre analoghe disposizioni contenute nello stesso articolo 10, si applica sia nell’eventualità che le prestazioni vengano rese direttamente che indirettamente attraverso l’affidamento delle stesse a terzi».

Al fine dell’individuazione delle “prestazioni proprie delle biblioteche” la risoluzione n. 135/E in questione richiama le disposizioni contenute nel d. lgs. 42/2000 [4] e, in particolare, il comma 2 dell’articolo 101, lettera b), secondo il quale per biblioteca si intende
«una struttura permanente che raccoglie e conserva un insieme organizzato di libri, materiali e informazioni, comunque editi o pubblicati su qualunque supporto, e ne assicura la consultazione al fine di promuovere la lettura e lo studio».
Il testo della risoluzione aggiunge quindi:
«In relazione a quanto ora sostenuto, possono definirsi prestazioni proprie, cioè tipiche, delle biblioteche: la raccolta, la catalogazione, la conservazione, l’archiviazione e la consultazione, anche su supporto informatico, di libri o di altro materiale utile per finalità di studio e ricerca. Non rientrano, invece, nell’ambito della norma esentativa in argomento le attività che hanno ad oggetto operazioni diverse da quelle indicate. Quanto sopra premesso, si ritiene che non tutte le prestazioni rese dall’affidataria cooperativa relative alla gestione della biblioteca, così come descritte nell’istanza, possono essere considerate in via generale prestazioni riconducibili tra quelle “proprie delle biblioteche” come sopra elencate».

La definizione letterale non lascia alcun dubbio su quali siano o non siano le prestazioni tipiche delle biblioteche secondo l’Agenzia delle entrate e sul fatto che esse siano esenti dall’IVA. Ma chi ha dato titolo alla Agenzia di limitare le prestazioni tipiche delle biblioteche o meglio a non inserire tra queste ad esempio la promozione e valorizzazione del servizio bibliotecario (compreso nell’oggetto dell’interpello) e tutto ciò che concerne oggi le attività di fruizione, prestito compreso?
Certo, si appella al Codice dei beni culturali ignorando che questo è fortemente carente nella definizione della biblioteca, anzi appare persino obsoleta [5] perché ne limita la mission alla “consultazione”. Qui c’è da chiedersi perché l’AIB, con i suoi organismi nazionali, non sia intervenuta, per quel che è noto, per ottenere un aggiornamento di tale definizione.
In questo contesto va comunque ribadito il concetto della gerarchia delle norme per effetto della quale solo l’autonomia regolamentare e gestionale del singolo ente può definire quali sono le “prestazioni tipiche della propria biblioteca” perché l’autonomia locale e del singolo ente è oggi collocata a rango costituzionale dalla modifica del Titolo V della Costituzione [6]: concetto ribadito anche nelle ultime sentenze della Corte costituzionale in cui si dichiarano illegittimi in tale ambito persino gli interventi restrittivi o impositivi delle leggi finanziarie. A maggior ragione non può avere potere limitante un parere di un’Agenzia ministeriale.
Ancora più limitante e priva di ogni ragionevole aggancio alla normativa è la risoluzione n. 131/E del 6 giugno 2007 [7] della medesima Agenzia. Tale risoluzione si riferisce a un interpello sugli “archivi”con esternalizzazione di interventi di “restauro, disinfezione e disinfestazione, condizionamento, manutenzione, inventariazione anche informatizzata, riproduzione e digitalizzazione del materiale documentario”.

L’Agenzia, elaborando un parallelismo con le biblioteche, dichiara nel testo della risoluzione:
«In sostanza “le prestazioni proprie delle biblioteche, discoteche e simili”, qualora vengano affidate a terzi, possono fruire dell’esenzione dall’IVA solo se configurano nell’insieme una gestione globale delle predette strutture. Ciò posto, si ritiene che i corrispettivi dovuti per gli anzidetti servizi (n. d. r. citati nell’interpello) affidati distintamente a terzi non possano beneficiare del regime di esenzione dall’IVA (...)».
Ciò è totalmente arbitrario, ma ha di fatto ridato spazio, da parte di alcuni soggetti terzi, alla interpretazione per cui l’IVA si deve applicare alle attività delle biblioteche date in appalto.

Si ribadisce, ciò non è assolutamente previsto dal d.P.R. n. 633/1972 che nell’art. 10 in questione non fa alcun riferimento a una differenziazione tra la gestione della singola prestazione e la gestione della globalità delle prestazioni.
Esso, infatti, riporta testualmente solo quanto segue: «10. Operazioni esenti dall’imposta.
Sono esenti dall’imposta:
(...) 22) le prestazioni proprie delle biblioteche, discoteche e simili e quelle inerenti alla visita di musei, gallerie, pinacoteche, monumenti, ville, palazzi, parchi, giardini botanici e zoologici e simili».

Altra considerazione riguarda la natura dell’istituto dell’interpello, male interpretata dai più ed erroneamente considerata alla stregua di una circolare o di una direttiva. Testualmente la legge n. 212/2000 [8] che tratta l’argomento dichiara in modo chiaro e netto:
«Art. 11. (Interpello del contribuente)
1. Ciascun contribuente può inoltrare per iscritto all’amministrazione finanziaria, che risponde entro centoventi giorni, circostanziate e specifiche istanze di interpello concernenti l’applicazione delle disposizioni tributarie a casi concreti e personali, qualora vi siano obiettive condizioni di incertezza sulla corretta interpretazione delle disposizioni stesse. (...)
2. La risposta dell’amministrazione finanziaria, scritta e motivata, vincola con esclusivo riferimento alla questione oggetto dell’istanza di interpello, e limitatamente al richiedente».

Pertanto, nei casi specifici sopra esaminati, solo coloro che hanno posto il quesito sono vincolati al rispetto e non, per analogia, anche tutti i soggetti terzi gestori di attività delle biblioteche.
Anzi secondo la dottrina e la giurisprudenza il parere non è nemmeno vincolante per chi fa l’interpello. La Corte costituzionale [9] afferma infatti: «il parere è vincolante solo per l’Amministrazione (n. d. r. l’Agenzia) e non anche per il contribuente, il quale resta libero di disattenderlo».
Il valore del parere, o persino di una circolare, inoltre, non è nemmeno oggetto di valenza giuridica a cui si possa fare eventualmente ricorso in sede di giurisdizione amministrativa così come stabilito dalla Corte di Cassazione [10].
Certo, la libera interpretazione dei pareri dell’Agenzia delle entrate, per analogia di contenuti, può far comodo a molti gestori, ma non è corretta dal punto di vista gestionale e soprattutto non è rispettosa della legge al punto da considerarsi una illegittimità.

Vale, sempre, sino a prova contraria, il principio-obbligo dell’applicazione e del rispetto della legge per cui gli enti proprietari delle biblioteche e i soggetti a cui vengono affidate in appalto delle attività della biblioteca sono tenuti a ottemperare il d.P.R. n. 633/1972 che, si ribadisce ancora una volta, è chiarissimo e non pone limite alcuno: “le prestazioni proprie delle biblioteche” sono delle “operazioni esenti” dall’applicazione dell’IVA.


[1] Decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633: Istituzione e disciplina dell’imposta sul valore aggiunto (GU n. 292 del 11 novembre 1972, suppl. ordinario).
[2] Agenzia delle entrate, Direzione centrale Normativa e contenzioso.
[3] Con riferimento all’art. 11 della legge 27 luglio 2000, n. 212: Disposizioni in materia di statuto dei diritti del contribuente.
[4] Decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, recante il Codice dei beni culturali e del paesaggio.
[5] Cfr. Luca Bellingeri, Il Codice e le biblioteche, «Bollettino AIB», 45 (2005), 1, p. 53-54.
[6] Legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3: Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione. Legge 5 giugno 2003, n. 131: Disposizioni per l’adeguamento dell’ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3.
[7] Istanza di interpello art. 11 legge 27 luglio 2000, n. 212 – Ministero per i beni e le attività culturali, Direzione generale per gli archivi – IVA – Esenzione – Articolo 10, n. 22 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 - Archivi.
[8] Legge 27 luglio 2000, n. 212, cit.
[9] Corte costituzionale, sentenza n. 191 del 14 giugno 2007.
[10] Corte di Cassazione, Sezioni unite civili, sentenza n. 23031 del 2 novembre 2007.


AGOSTINI, Nerio. Le prestazioni proprie delle biblioteche sono esenti dall’applicazione dell’IVA. «AIB notizie», 20 (2008), n. 1, p. 16 - 18.

Copyright AIB 2008-01, ultimo aggiornamento 2008-01-21 a cura di Zaira Maroccia
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