Non è infrequente avere notizia di piccoli enti locali che devono trovare una soluzione per garantire l’esistenza e l’apertura al pubblico della propria biblioteca. Gli elementi che determinano il dramma della scelta sono generalmente la carenza di risorse finanziarie e/o professionali.
In questo contesto, la modalità gestionale [1] che può garantire la sopravvivenza del servizio, entro limiti dignitosi di qualità di erogazione, è la sua appartenenza a un “sistema cooperativo territoriale”.
La forma di “gestione associata” è prevista dal Testo unico sull’ordinamento degli enti locali [2] e dalle varie leggi regionali sulle biblioteche (anche se tutte da aggiornare rispetto alla modifica del Titolo V della Costituzione [3] e del Codice dei beni culturali [4].
L’esperienza italiana, oramai trentennale, ha dimostrato che la forma associativa garantisce economie di scala e forti sinergie tra le biblioteche cooperanti che permettono risultati positivi soprattutto in termini di:
I punti di interesse cooperativo possono essere innumerevoli e possono, inoltre, favorire lo sviluppo di attività per necessità tradizionalmente trascurate nelle biblioteche di piccola dimensione o nelle OPL (One person library) quali l’analisi dei bisogni e della domanda, la verifica del livello di gradimento e di soddisfazione degli utenti.
Il problema dei problemi è spesso la mancanza della figura professionale del bibliotecario nella dotazione organica del piccolo ente. A questa “grave carenza” può essere data una corretta risposta attivando la presenza del bibliotecario attraverso:
Il Sistema provvederà a fornire il personale, assumendolo con le medesime modalità sopra citate [7].
In tutti i casi indicati vi è, per scelta determinata, la garanzia della presenza in biblioteca di personale di adeguata professionalità, quale condizione necessaria e indispensabile a garantire la qualità del servizio da erogare ai cittadini, e contemporaneamente la volontà di non ricorrere a forme di lavoro “atipico” o forme di “sfruttamento” professionale sottopagato e senza riconoscimenti dei più elementari diritti dei lavoratori.
Ovviamente al bibliotecario in questione deve essere riconosciuto il “livello” retributivo minimo pari “almeno” a quello corrispondente alla Cat. C, prevista per i “tecnici”, dal CCNL dei dipendenti delle autonomie locali e/o di Federculture.
Tale impostazione metodologica per assicurare personale di adeguata preparazione professionale e il suo riconoscimento retributivo, con adeguato progetto gestionale, può essere garantita anche nel caso in cui l’ente non sia collocato in ambito cooperativo e adotti la soluzione dell’affidamento a terzi [8]. In questo caso è “obbligatorio” affidare le attività e i servizi della biblioteca basandosi sull’offerta complessivamente più vantaggiosa e non sull’offerta economica più bassa, seguendo quanto riportato nelle Linee guida AIB.
Una buona “disciplina dell’affidamento” deve consentire non solo di selezionare, tra le diverse aziende operanti nel mercato, quella in grado di offrire i servizi migliori ai costi più contenuti ma, soprattutto, di poter controllare facilmente la corrispondenza tra il servizio realmente offerto e quello previsto da contratto e di poter agevolmente ed efficacemente allineare le due variabili.
Certamente quanto detto non è sempre scontato, ma richiede al management degli enti e ai “direttori/coordinatori” dei sistemi bibliotecari consapevolezza delle possibilità positive, conoscenza di mezzi, strumenti, opzioni, possibilità alternative, conoscenza delle esperienze in campo, dimestichezza con la legislazione e capacità di programmazione a breve e lungo termine.
«[…] Con testardaggine continuo a vedere per le biblioteche un futuro ricco di possibilità e di crescita, però bisogna cambiare, cambiare davvero, modelli, servizi, logiche organizzative ecc.» [9].
nerioago@libero.it