Su «Alias» del 17 dicembre 2005, il sottoscritto sosteneva: «Le dimensioni dell’industria del videogioco [...] dimostrano [...] che si tratta di un’industria culturale vitale e sempre più estesa.
Ma paradossalmente sono pochi gli istituti culturali che si preoccupano di studiare, di conservare, di garantire la fruizione ai posteri dei suoi prodotti. Come è avvenuto per il cinema, rischiamo di perdere letteralmente o virtualmente (non essere più in grado di “leggerli”) documenti importantissimi per la cultura della nostra epoca […] e permettiamo che le iniziative di recupero e di conservazione siano affidate unicamente all’iniziativa commerciale e non – come invece accade per libri, musica, film – a istituti culturali pubblici, più o meno statali, a tale finalità costituiti» [1] .
Nonostante norme farraginose e non lungimiranti relative al diritto d’autore applicate all’ambito digitale, cosa di cui è consapevole anche chi si occupa di giurisprudenza – lo dimostra l’articolo Prospettive di rinnovamento della legge sul diritto d’autore, del presidente del comitato consultivo per il diritto d’autore Giuseppe Corasaniti, pubblicato su «DigItalia» (2006), n. 2 –, l’esigenza di aprire le raccolte delle biblioteche ai videogiochi e agli strumenti per fruirne trova oggi clamorosa conferma nel fascicolo di settembre/ottobre 2006 (42, n. 5) di «Library technology reports», la rivista di ALA Techsource dedicata a «expert guides to library systems and services».
Tale numero monografico, realizzato da Jenny Levine, ha per titolo: Gaming & libraries: intersection of services.
Il capitolo numero uno della pubblicazione si apre col titolo Why gaming? (Perché giocare?) e il primo paragrafo con But they’re not books! (Ma non sono libri!).
In maniera approfondita e ricca di esemplificazioni, la Levine dimostra come il videogioco non sia una mera attività ludica – e quindi inadatta a una biblioteca – ma al contrario come esso abbia una significativa componente di “contenuto” che coinvolge direttamente la mission della biblioteca, ovvero l’information literacy, a tutti i livelli, dall’apprendimento della lettura al training in complesse attività di recupero e gestione dell’informazione.
La Levine, dopo aver giustificato la presenza dei videogiochi in biblioteca, passa in rassegna esperienze di promozione di una loro fruizione consapevole e socializzata. In sostanza quello che la Levine sottolinea è l’importanza dei videogiochi nella funzione educativa e comunitaria rivestita dalla biblioteca. Imprescindibili riferimenti bibliografici a questo discorso sono i volumi: Tutto quello che fa male ti fa bene. Perché la televisione, i videogiochi e il cinema ci rendono più intelligenti di Steven Johnson (Mondadori, 2006) e What video games teach us about learning and literacy di James Paul Gee (Palgrave Macmillian, 2003).
Ma ci sono altri aspetti della questione, non meno importanti: la conservazione (sia del supporto, sia della possibilità della sua fruizione) e il trattamento catalografico.
Rimandando a un successivo intervento il tema del trattamento catalografico, ci limitiamo a suggerire qui alcune possibili considerazioni per quanto riguarda il tema della conservazione.
Il saggio forse più interessante e completo in materia è quello di Andrea Babich Il retrogaming e la preservazione digitale dei videogames nel volume Per una cultura dei videogames, a cura di Matteo Bittanti (Unicopli, 2002-2004).
In esso Babich illustra la cultura “spontanea” del retrogaming, ovvero della spinta da parte degli utenti a trovare soluzioni che permettano ai giochi prodotti per hardware non più in commercio, di essere fruiti sulle macchine contemporanee – normalmente i pc –. Babich fa osservare come tale cultura abbia «valicato la semplice dimensione nostalgica, imponendosi un rigore che l’ha avvicinata sensibilmente al filone di studi statunitense della digital preservation» (p. 197).
La trattazione culmina nella descrizione del MAME – Multiple Arcade Machine Emulator –, un programma open source e freeware che permette di emulare (cioè di far “credere” al software di operare all’interno del suo hardware originale) sui pc contemporanei oltre 3400 giochi (che diventano 6300 contando anche varianti regionali, prototipi ecc.), rispondendo contemporaneamente ai principi della Task Force on Archivino of Digital Information (TFADI).
Il progetto di MAME (creato in origine dall’italiano Nicola Salmoria) compie nel 2007 il suo decimo anno: per tale occasione, sul magazine «Videogiochi» di febbraio-marzo, n. 24, un articolo non firmato (ma presumibilmente attribuibile allo stesso Babich che figura nell’elenco dei collaboratori) compie una sorta di consuntivo del percorso compiuto.
Il problema rimane che gli archivi dei videogiochi esistono unicamente su Internet che, per la sua volatilità, non è certamente l’ambiente migliore per applicare una corretta inventariazione e catalogazione.
In questo contesto si inserisce il sito di OldGamesItalia (OGI) che, tra le priorità, si è posto il compito di dare visibilità e coerenza al retrogaming, creando una sorta di enciclopedia dei giochi collegata alle biblioteche che – sul territorio nazionale italiano – sono interessate al discorso sia possedendo videogiochi nei propri cataloghi, sia ponendo attenzione al discorso critico sul fenomeno, sia utilizzando il videogioco per realizzare promozione, ad esempio delle mediateche.
È significativo il paragrafo conclusivo del Manifesto, II.3, relativo al progetto che riportiamo integralmente:
«Un istituto a tutela della storia del videogioco
Se opere di letteratura, cinema, musica e d’altri campi di creazione dell’intelletto umano sono raccolte e preservate in archivi e biblioteche, perché non dovrebbe essere altrettanto per videogiochi, computer e console?
Capita a volte che essi siano non solo geniali, ma espressione di una tensione emotiva che costituisce il motore della promozione artistica. E quindi degni d’essere salvaguardati. Ma da chi?
Esiste un diffuso collezionismo privato, ma non è sufficiente a colmare questa lacuna. Esistono diversi siti Internet che s’industriano a tale scopo: i già citati Liberated Games, Legal Abandonware e Remain in Play, ma anche Hall of Light, International Arcade Museum, Mobygames ecc. Ma essi, al pari di OldGamesItalia, costituiscono degli archivi o musei virtuali.
Quello di cui c’è bisogno è un istituto che raccolga fisicamente software e hardware del passato, rendendolo accessibile a chi vi è interessato. Così come avviene con le biblioteche per i libri. Un istituto che cataloghi e archivi videogiochi, computer e console, al fine di tutelare una piccola – ma completa – parte della memoria storica del mondo in cui viviamo.
Sebbene la fondazione di un siffatto istituto sembri al momento un orizzonte poco realistico, muovere alcuni passi in questa direzione è il terzo obiettivo di OldGamesItalia.»
In questo senso OldGamesItalia chiede a tutte le biblioteche sul territorio nazionale di comunicare allo scrivente (biblioteca@comune.fiorenzuola.pc.it oppure st2wok@yahoo.it) o a uno dei responsabili di OldGamesItalia, Paolo Benedetti (beren.ogi@gmail.com), il proprio interesse nel campo videoludico (possesso di videogiochi, presenza di sezioni – di critica, di storia ecc. – a essi dedicate, attività di promozione a essi relative) in modo che nell’apposita sezione del sito da allestirsi ci sia un elenco anagrafico con tutte le informazioni disponibili per gli interessati.
È inoltre in corso di studio la possibilità di un collegamento a partire dal sito ai singoli cataloghi (o in alternativa a un metacatalogo come MAI), per poter indirizzare immediatamente lo studioso videoludico dal sito di OGI alla biblioteca che possiede la risorsa oggetto dell’interesse.
Auspicabile in questo senso è il supporto dell’AIB per diffondere tale iniziativa, la cui utilità non è unicamente a favore di appassionati e studiosi di videogiochi, ma delle biblioteche stesse in modo che chi gestisce, o ha intenzione di gestire, questo tipo di materiale possa condividere informazioni, esperienze, strategie.
Tale condivisione è già in fieri, in quanto l’”istituto di tutela del videogioco”, auspicato nel Manifesto di OldGamesItalia, inizierebbe a rendere possibile una sistematizzazione della riflessione sulla conservazione del videogioco come patrimonio culturale digitale e della sua fruibilità e, di conseguenza, della riflessione sullo stesso fenomeno videoludico tout-court, fino a oggi eccessivamente in balia di improvvisazioni ermeneutiche, in alcuni casi anche geniali ma poco utili al fine della comprensione del fenomeno “reale”, sempre più immanente nella vita quotidiana di chiunque.
Si prevede di dare informazione su queste stesse pagine sull’avanzamento di tale progetto, sulla raccolta delle informazioni pervenute dalle biblioteche e sullo stato di costruzione della apposita sezione del sito che, assieme all’informazione sulle “biblioteche videoludiche”, prevede anche la realizzazione di una bibliografia (almeno in italiano e in inglese, ma sono benvenuti contributi di chi abbia familiarità con altre lingue) di testi di critica videoludica, bibliografia oggi assente in lingua italiana e non presente in forma compiuta neppure in lingua inglese.
francescomazzetta@fastwebnet.it
[1] Tornano a nuova vita i videogiochi di una volta, attualmente disponibile all’URL: http://ossessionicontaminazioni.splinder.com/post/6919419. Altri interventi sul tema: Francesco Mazzetta, Biblioteche in gioco? , «Bibliotime», 1 (1998), n. 3, http://didattica.spbo.unibo.it/bibliotime/num-i-3/mazzetta.htm; Francesco Mazzetta, Biblioteche in gioco 2, «Bibliotime», 4 (2001), n. 1, http://didattica.spbo.unibo.it/bibliotime/num-iv-1/mazzetta.htm, quest’ultimo con il resoconto di un’esperienza di gestione bibliotecaria dei videogiochi.