La mattina del 10 marzo 2007 è morto Luigi Crocetti. Luigi è stato bibliotecario della Biblioteca nazionale centrale di Firenze, responsabile del Servizio beni librari della Regione Toscana e Direttore del Vieusseux; è stato Presidente dell’AIB (1982-1987) e soprattutto un maestro della biblioteconomia italiana, a cui ha dato contenuti moderni nel confronto e nell’adattamento alla realtà italiana degli strumenti del lavoro quotidiano tipici della biblioteconomia internazionale: dalla traduzione delle ISBD, delle AACR2, della Dewey, ai temi della conservazione e della cooperazione. Luigi ha dimostrato con la sua storia, il suo operato e i suoi scritti che il bibliotecario è un professionista che padroneggia pienamente le tematiche e le tecniche bibliotecarie, ma prima ancora è un intellettuale che coltiva vasti interessi che gli consentono di porre le tematiche biblioteconomiche nel contesto della conoscenza e delle vicende culturali. In questo Luigi ha proseguito e rinnovato la grande tradizione dei bibliotecari italiani.
L’AIB gli esprime gratitudine e lo ricorda come uno dei suoi presidenti più prestigiosi.
Silvia Alessandri e Albarosa Fagiolini
Luigi Crocetti in BNI
Alberto Cheti
La montagna incantata: in ricordo di Luigi Crocetti
Laura Desideri
Testimonianza
Alberto Petrucciani
Luigi Crocetti e qualche libro
Giambattista Tirelli
Luigi Crocetti: i bibliotecari bresciani lo ricordano a un mese dal suo definitivo congedo
Silvia Alessandri e Albarosa Fagiolini
Luigi Crocetti in BNI
È all’indomani della pubblicazione della prima traduzione integrale italiana di DDC20 (Dewey decimal classification), da lui diretta con la collaborazione di Daniele Danesi, che Luigi Crocetti fa alla redazione della Bibliografia nazionale italiana (BNI) la proposta che segnerà una svolta fondamentale nella vita professionale della nostra agenzia bibliografica: Luigi propone allo staff della BNI di collaborare alla traduzione di DDC21, appena uscita negli Stati Uniti, consapevole dell’importanza dell’esperienza maturata in anni di pratica quotidiana e della profonda conoscenza della specificità della produzione nazionale italiana da parte dei catalogatori della Bibliografia nazionale.
Siamo nel 1997 e inizia così un’avventura durata dieci anni, di grande crescita professionale e umana: lavorare fianco a fianco con un bibliotecario che, con straordinaria modestia e grandi doti di umanità, sa unire cultura e competenza tecnica, minuziosa precisione e ironica leggerezza, è un’esperienza che trasformerà profondamente il nostro modo di lavorare e non solo quello.
È dunque nel 1997 che inizia il lavoro comune di Luigi Crocetti e delle “ragazze” della BNI (come lui ci chiamava, anche se fra noi era presente un “ragazzo” e l’anagrafe avrebbe portato a definizioni meno benevole): lungi dall’essere un lavoro di routine, l’edizione italiana rappresenta da subito una sfida per la BNI che si cimenta per la prima volta in un lavoro fatto di insidie terminologiche e di scelte classificatorie.
Ma anche per Luigi è un impegno particolare, che lo vede nuovamente nella Biblioteca nazionale, in cui ha trascorso tanta parte della sua vita professionale, a coordinare il lavoro di tredici persone, per fortuna abituate a lavorare in equipe, e portarlo a termine in tempi relativamente brevi. Lo sorregge da un lato la convinzione che l’apporto della BNI, col suo bagaglio di esperienza applicativa, sia indispensabile per rendere la traduzione più legata alla tradizione italiana, e dall’altro il generoso desiderio di formare un gruppo di bibliotecari a cui “passare il testimone” per le edizioni future.
Prima tappa è la presentazione delle novità della nuova edizione fatta a Siena il 14 dicembre 1998: con Crocetti partiamo alla volta di Siena in una sorta di “gita scolastica”, fatta di incoraggiamenti e bonarie “prese in giro” delle nostre paure.
A partire da quella data inizia una frequentazione quotidiana, fatta di colloqui individuali e collettivi, di scambio d’idee, di discussioni e decisioni su aspetti specifici del lavoro.
La conoscenza si trasforma in amicizia e Luigi, con la sua straordinaria capacità di ascolto e la pacatezza ironica dei suoi ragionamenti trova spazio per tutti e una chiave d’accesso per le personalità di ciascuno.
Passano i mesi e ognuno di noi lavora sul suo computer, spesso a casa, comunque fuori dalle ore di lavoro, e quando si comincia a pensare di riunire in un’unica base dati il lavoro di tutti si prende coscienza dei problemi da risolvere. Luigi neppure allora si perde d’animo e inizia una collaborazione più stretta a tre (Luigi, Albarosa e Silvia), indirizzata soprattutto alla revisione dell’Indice relativo, la parte più penalizzata nella riunione dei singoli pezzi.
Questa collaborazione dura alcuni mesi, fino all’uscita dell’edizione italiana, e comprende anche un viaggio a Trento per affrontare e risolvere i problemi di trasformazione della base dati in versione stampabile insieme al tipografo, che con grande difficoltà (e altri viaggi, questa volta da Trento a Firenze) riuscirà a portare a termine il suo compito.
Proprio nel viaggio di ritorno da Trento nasce l’idea di tradurre anche l’edizione ridotta, DDC13, compito che si assumeranno Silvia e Albarosa e che fra varie vicissitudini sfocerà nella pubblicazione di DDC14 nel settembre scorso.
Sempre in quei giorni, Luigi chiede ad Albarosa di lavorare insieme alla nuova edizione di Classificazione decimale Dewey, nella collezione ET Enciclopedia tascabile dell’AIB.
Anche la collaborazione con tutto il gruppo della Bibliografia nazionale continua, e vede una nuova trasferta collettiva, il 19 e 20 settembre 2000, a Roma, dove l’AIB organizza un seminario di studio proprio sull’edizione italiana di DDC21. Da questa giornata sarà tratta la pubblicazione Dewey da 20 a 21 che inaugurerà la collana AIB Formazione (ed è giusto ricordare che nella stessa collana, cinque anni dopo, uscirà Dewey: da 21 a 22, che contiene le relazioni del nuovo seminario, tenuto a Firenze il 6 ottobre 2005, su DDC22 fra cui il breve e importante saggio di Luigi, Tradurre Dewey, che fa il punto sulle profonde ragioni per cui è giusto fornire al mondo bibliotecario un’edizione “nazionale” fedele allo standard ma adattata alla realtà italiana).
Contemporaneamente Federica Paradisi traduce la Guida pratica alla Classificazione decimale Dewey e anche in questo caso Luigi è sempre presente, con le sue revisioni puntuali e i suoi suggerimenti preziosi, un vero maestro che mentre impartisce i suoi insegnamenti, ringrazia per quello che sta imparando.
E infine, anche in quella che doveva essere l’ultima stagione della sua vita, Luigi non farà mancare il contributo della sua esperienza e della sua intelligenza ai lavori per il Nuovo soggettario, a partire dallo Studio di fattibilità, e parteciperà, purtroppo a distanza, alla giornata di presentazione di questo importante strumento, nel Salone dei cinquecento di Palazzo Vecchio, l’8 febbraio 2007. Sarà proprio a conclusione di questa giornata che l’editore andrà a trovarlo per consegnarli, a nome della BNCF tutta, una copia del volume.
Al termine di questo breve ricordo, ci piace concludere con una frase detta da Luigi ormai molti anni fa ma sempre vera, che ci sostiene e ci ha sostenuto anche negli inevitabili momenti di sconforto, quando nel nostro quotidiano ci dibattiamo fra mancanza di nuove risorse economiche e di nuovi giovani colleghi a cui trasmettere la ricchezza della nostra esperienza professionale, fatta anche di incontri come quelli che abbiamo cercato di raccontare: «Cosa resta da fare ai bibliotecari? Molte cose, molte cose come forse non mai […]. Il lavoro che ci spetta è dunque faticoso, remunerante e bellissimo».
Alberto Cheti
La montagna incantata
in ricordo di Luigi Crocetti
Io me ne intendo abbastanza di lui, ho imparato molto fra quelli di “lassù”; dalla pianura sono stato cacciato qui in alto, tanto che stava quasi per mancarmi il fiato; tuttavia dal mio posto ai piedi della colonna ho goduto una vista abbastanza bella […].
Ho sognato della condizione umana e della sua convivenza cortese, intelligente e rispettosa, dietro la quale, nel tempio, si svolge l’orribile pasto cruento.
(Thomas Mann, La montagna incantata)
Come è possibile restaurare il prestigio e l’integrità della vocazione dello studioso, del pensatore, del maestro?
(George Steiner, Una certa idea di Europa)
A Castelnuovo Garfagnana, nell’ottobre del 1981, Luigi Crocetti teneva un corso di aggiornamento per bibliotecari sulla catalogazione: sei giorni, mattina e pomeriggio, su RICA, ISBD, DDC. Io e Andrea Castagnini gli facevamo da spalla, tenendo alcune lezioni e seguendo le esercitazioni. Ho di fronte a me il foglio un po’ ingiallito del programma di quel corso.
Dai caratteri malfermi e disuniti della macchina da scrivere emergono nitidi e ben scolpiti i segni forti che Crocetti aveva allora impresso alla formazione professionale: serietà e rigore nello studio, imprescindibilità della documentazione, spirito critico e lavoro comune.
Questi segni li ritrovo negli appunti di una riunione che i bibliotecari dell’Empolese Valdelsa e del Valdarno inferiore ebbero con Crocetti il 14 dicembre 1979, presso la Biblioteca comunale di Empoli, per programmare i loro incontri periodici: «Carattere degli incontri, riunioni di lavoro, scambio di esperienze, di problemi, per trovare risposte comuni. Risposte che richiedono da parte nostra un approfondimento e un’adeguata documentazione, per soluzioni non puramente empiriche, ma che scaturiscano dal maggior livello possibile di elaborazione e informazione intorno ai problemi».
A Castelnuovo Garfagnana, nell’ottobre del 1981, era in pieno svolgimento la prima fase di un programma di interventi formativi della Regione Toscana diretti, in particolare, alle zone montane.
La formazione era, infatti, propedeutica all’istituzione e al funzionamento dei sistemi bibliotecari e le Comunità montane offrivano un terreno favorevole.
Così, l’anno successivo fu la volta del Casentino, poi nel 1983 del Mugello. Castelnuovo Garfagnana, Poppi, Borgo San Lorenzo: nelle tappe di quel pellegrinaggio, oltre a Crocetti, ritrovavo Andrea Castagnini, Massimo Rolle, Franco Neri, Mauro Guerrini, Pier Luigi Niccolai e tanti altri colleghi. “Lassù” andavamo non per svolgere una prestazione professionale, ma perché ci sentivamo parte di un movimento, membri di una comunità solidale.
A Castelnuovo Garfagnana, nell’ottobre del 1981, la sera prima di addormentarmi leggevo i Principi di catalogazione e regole italiane di Diego Maltese, in un esemplare sgualcito dall’alluvione del ’66. A Poppi, invece, avevo portato con me il librone di tela rossa del manuale del PRECIS.
Qualche tempo prima che si verificassero questi microscopici fatti, della minima importanza, era accaduto un episodio, anch’esso per sé trascurabile: Crocetti aveva mosso alcuni rilievi critici alla piccola dispensa sull’indicizzazione a catena che gli avevo sottoposto, soprattutto perché non teneva conto della vasta letteratura in inglese sull’argomento, di cui per altro era ben fornita la biblioteca del Servizio regionale beni librari.
Insomma, stavo imparando la lezione.
A Castelnuovo Garfagnana, nell’ottobre del 1981, ero stato promosso docente: una promozione sul campo, un premio fedeltà.
Sfogliando a ritroso il quaderno degli appunti, mi ritrovo ancora a Castelnuovo, nel giugno dello stesso anno, a una lezione di Crocetti sulla Classificazione decimale Dewey, mentre si svolgeva il primo modulo del corso.
In quell’anno, ebbi almeno altre tre opportunità di frequentare la scuola di Luigi Crocetti: il seminario sulla classe 900 a Fiesole, nell’ambito dei seminari “DDC classe per classe”, un’altra lezione sulla DDC a Pisa e il seminario sull’indicizzazione a catena al Mercato ortofrutticolo di Novoli.
Il 22 dicembre 1980, Crocetti, Maltese e Danesi tennero alla Biblioteca comunale di Scandicci un seminario sull’indicizzazione per soggetto.
Crocetti declinava i significati del termine “indice”, consultando le voci di enciclopedie e dizionari: un modo a lui consueto di ancorare al significato delle parole la riflessione sull’origine e la natura delle cose, comprese le pratiche della professione bibliotecaria.
Maltese trattò con larghezza di vedute, ma anche con precisione tecnica, il tema dell’analisi concettuale dei documenti: un’anteprima, per me, dei temi di cui mi sarei occupato così a lungo negli anni futuri.
Dell’intervento di Danesi sull’indicizzazione a catena ho registrato, nel quaderno, un esempio di classificazione, relativo al “commercio delle pelli d’orso”, la cui analisi produceva una chilometrica catena: quasi un segno di riconoscimento di quella sua competenza nell’indicizzazione e nella classificazione di cui allora beneficiammo in molti.
Saranno questi stessi docenti a inaugurare a Roma, due anni dopo, la fortunata serie dei seminari sull’analisi concettuale dei documenti.
Il 1980 fu anche l’anno del corso residenziale a Camaldoli sugli enti collettivi nelle RICA e di quello di Empoli sulla Classificazione decimale Dewey, che lo precedette di qualche mese e lo annunciò: entrambi tenuti da Crocetti, entrambi sollecitati dalla gioiosa e sapiente intraprendenza di Franco Neri.
Crocetti era venuto altre volte alla Biblioteca comunale di Empoli a parlare di soggettazione e di classificazione. Tuttavia, non ricordo di aver partecipato, durante il mio noviziato, a un’esperienza formativa che, al pari di quel corso dell’aprile 1980 a Empoli, abbia corrisposto ai requisiti del magistero di Crocetti: lo studio e la pratica, la documentazione e l’informazione, la riflessione critica e la condivisione nel lavoro comune. Ho conservato anche l’immagine viva di lui che, spiegando la classificazione della letteratura, cita l’Ulisse di Joyce o le Fiabe italiane di Calvino, trasmettendoci la sensazione che quei numeri di classificazione altro non fossero che innumerevoli “soglie” di un mondo di significati: per usare un’espressione non mia, egli aveva davvero il dono di «invitare gli altri al significato».
La piccola rubrica del mio quaderno di appunti intitolata “politica bibliotecaria e politica culturale” inizia con la conferenza di Crocetti (seguita dall’intervento di Gian Luigi Betti) a San Gimignano la sera del 16 novembre del 1979 – ormai a un passo dal mio ingresso nella professione – sulla biblioteca pubblica.
Per descriverne la funzione di biblioteca di base, capace di preoccuparsi di tutti i livelli di interesse di una comunità, Crocetti citò (da Blasinghame e Lynch, Design for diversity: alternatives to standards for public libraries, successivamente pubblicato in italiano in Le biblioteche: quaderni di lavoro, della Regione Toscana, n. 1) l’aneddoto del capo della polizia di una cittadina americana fotografato mentre accompagna la sua giovane figlia a scuola, tenendo in mano un sacchetto di plastica con un pesce rosso dentro: quell’immagine divenne un’allegoria ricorrente nei nostri discorsi di quegli anni sulla biblioteca pubblica.
A Castelnuovo Garfagnana, nell’ottobre del 1981, ebbi modo di conversare con Crocetti di tante cose: la sua casa in campagna, i suoi figli (che avrei conosciuto solo il giorno del suo funerale), la musica (Andrea Castagnini, oltre che un valente bibliotecario e un caro amico, era già allora un promettente tenore), i funghi (ma non ci accordò il permesso di una breve gita al parco dell’Orecchiella)… Li rivedo, Crocetti e Betti, seduti a un tavolino del bar dell’albergo che ci ospitava, parlare e prendere appunti, intenti a riscrivere il testo della nuova legge toscana sulle biblioteche; mentre, in disparte, guardo scorrere in televisione le immagini dell’assassinio di Sadat.
Verso la fine del corso, durante una passeggiata pomeridiana, Crocetti mi invitò a far parte del gruppo EIDE, che da qualche tempo aveva iniziato a occuparsi dell’edizione italiana della Classificazione decimale Dewey. Mi avrebbe affidato il compito di studiare l’Indice relativo, visto il mio interesse per l’indicizzazione a catena.
Ero visibilmente contento e preoccupato al tempo stesso.
Crocetti mi rassicurò e aggiunse, con una discrezione piena di affetto: di fronte ai fatti seri della vita, questo è quasi un gioco. Luigi (ora posso chiamarlo per nome) sapeva che la morte aveva iniziato a compiere le sue marachelle nel piccolo campo della mia vita: qualche mese prima, come nel sogno di Giovanni Castorp, un giovane bello, coi folti capelli biondi gettati da un lato e ricadentigli sulla fronte e sulle tempie, fattosi improvvisamente serio in volto, mi aveva indicato il tempio dove si svolgono i sacrifici umani. Il lavoro sul Dewey italiano non fu certo un gioco, ma quelle parole di Luigi mi svelarono un altro significato della montagna: fin dal primo giorno di corso, ben più che un’esperienza formativa, essa era stata per me un “sanatorio”.
Accanto a un tale beniamino della vita, ebbi allora il lieto presentimento che quella avventura del corpo e dello spirito sarebbe durata a lungo anche “laggiù”, nella pianura.
Per ricostruire il tracciato dell’insegnamento di Luigi Crocetti devo risalire alla mia prima esperienza professionale, nel 1979, quando mi fu affidato, insieme a Simona Di Marco, l’incarico di catalogare la libreria del collezionista inglese Federick Stibbert, creatore della casa museo che oggi porta il suo nome.
Le prime istruzioni di Crocetti, allora Soprintendente bibliografico del Servizio regionale per i beni librari, riguardarono i criteri dello standard ISBD(M) (insieme a qualche riferimento alle AACR2), con un ampio uso dell’area delle note per la descrizione dell’esemplare: dalla legatura agli ex libris, dalle note di possesso a firme, dediche, appunti manoscritti, oltre alla segnalazione di etichette di librai e legatori, frequentemente apposte sulle sguardie dei volumi.
Partendo da questi dati, la ricerca si estese all’archivio delle “Giustificazioni di cassa”, dove erano conservate le fatture degli acquisti librari e degli interventi di restauro e di rilegatura presentate a Stibbert dai vari fornitori. Anche questi dati – nominativi dei librai, dei legatori e relativi costi – furono riportati nel campo delle note, arricchendo la documentazione sui singoli pezzi della raccolta e sulle procedure per la sua costruzione.
Chiunque abbia conosciuto Luigi Crocetti può immaginare come queste lezioni di metodo, fondate su una solida base filologica e culturale, siano state impartite all’insegna della più grande semplicità, senza alcuno sfoggio di tecnicismo o di erudizione. Dietro ai concetti di punteggiatura normalizzata, di aree, di punti, di virgole e di barre, si intravedevano i contenuti sottesi a quel linguaggio, e quindi il senso profondo della cultura del libro, fatta di autori, editori, illustratori, librai, legatori, ma anche di provenienze, di inchiostri, di tracce.
Più tardi, quando ho dovuto affrontare, in qualità di responsabile della biblioteca del Gabinetto Vieusseux, la catalogazione delle biblioteche private di autori del Novecento, conservate nelle due sedi di Palazzo Strozzi e Palazzo Corsini-Suarez, ho fatto tesoro di quell’esperienza giovanile, consapevole di avere avuto un maestro d’eccezione. Esaminando i libri di Ugo Ojetti, carichi di dediche, postille e di materiali allegati – dai ritagli di giornale alla pubblicità editoriale – abbiamo elaborato, ancora una volta insieme, criteri di descrizione dell’esemplare, stabilendo un ordine di citazione per le varie note e un linguaggio uniforme; non dimenticando di indicizzare i nomi di dedicatori, intestatari di ex libris, possessori, postillatori.
Così è stato messo il primo mattone di una grande base dati, oggi disponibile in rete, dove convivono, insieme alle collezioni della biblioteca generale, le numerose biblioteche d’autore arrivate al Vieusseux dagli anni Settanta: da quella già citata alla biblioteca di Luigi Dallapiccola, Carlo Betocchi, Ettore Allodoli, Bino Sanminiatelli, Oreste Macrì, Emilio Cecchi, Giuseppe De Robertis, per ricordare solo le più importanti.
L’attenzione di Crocetti per gli “archivi culturali” di personalità del secolo appena trascorso, in concomitanza alle iniziative ferraresi di “Conservare il 900” inaugurate nel 2000, produce una serie di interventi, lucidi e appassionati, che denunciano i limiti dei «canonici confini tra archivio e biblioteca», insieme alle «insufficienze di una semplice indicizzazione secondo i normali standard e codici, fatti per mettere a disposizione i documenti posseduti, ma non pensati per la ricostruzione di una personalità».
Si devono cercare «tutte le tessere che servano a ricostruire il mosaico» – carte, libri e oggetti fisici in generale – «e in un mosaico nessuna tessera ha meno valore dell’altra; libri e carte sono da porre sullo stesso piano; ciò che dobbiamo fare è disegnarne una mappa». Queste le raccomandazioni di Luigi Crocetti negli ultimi anni di vita, mentre è impegnato nella traduzione del bel libro di Tanselle, Letteratura e manufatti.
Se le biblioteche vengono richiamate a rappresentare «l’unità e la continuità storica della cultura», continuando a esercitare le loro funzioni, anche nel confronto con gli “strumenti moderni”, al bibliotecario delle collezioni storiche si ricorda la sua “cultura di servizio”, che nel linguaggio crocettiano diventa la sua “missione”: «molto spesso il cambiamento non si realizza facendo cose diverse da quelle che si sono sempre fatte, ma continuando a farle con coscienza diversa.
Conservare, descrivere, catalogare, indicizzare seguiteranno a essere il nocciolo del mestiere; la cura del patrimonio non dipenderà dall’eccezionalità dei suoi pezzi componenti, ma dal semplice loro essere insostituibili, com’è di tutti i documenti; il bibliotecario sarà il primo studioso dei documenti che costudisce, perché il loro studio da lui condotto sarà il miglior servizio agli studiosi esterni, spianerà loro la strada».
Alberto Petrucciani
Luigi Crocetti e qualche libro
Di Luigi Crocetti tanti di noi serbano una quantità di bellissimi ricordi, collettivi o privati, di un discorso o una parola, parlati o scritti, o di un sorriso o uno sguardo. Tra i tanti, tengo a registrarne qui tre o quattro, tutti legati a qualche libro.
Credo di averlo conosciuto proprio a proposito di un libro, nello studio di via Modena, alla Soprintendenza regionale: ero andato a ringraziarlo della spontanea (e munifica: oggi non pare neanche vero) offerta di pubblicare nella collana della Regione Toscana la mia tesi di specializzazione, naturalmente da rivedere, sul catalogo per autore.
Gliene aveva parlato, mi pare, Maltese. Mentre mi faceva vedere la Biblioteca, da ragazzetto infatuato della biblioteconomia anglosassone (mi è passata ma c’è voluto del tempo) mi ricordo di aver fatto un commento idiota su a cosa potessero servire, lì, i libri di storia letteraria e di consultazione di Renato Piattoli. Mi rispose qualcosa di molto semplice e preciso, al solito: il resto l’avrei poi capito da solo, quando avessi voluto capirlo. Sulle bozze del libro mi avvertì discretamente di un bello strafalcione (era un commento su un punto di una delle ISBD, fatto sull’edizione italiana e non ricontrollato sull’originale, che diceva altra cosa) e soppresse, senza sentire ragioni, i dovutissimi ringraziamenti a lui, al suo ufficio e alla Biblioteca, dove avevo compiuto parecchi raid che duravano una giornata, dall’apertura alla chiusura, ma valevano mesi di lavoro in una biblioteca meno generosa.
Devo a lui anche l’esperienza dell’organizzazione scientifica del Congresso dell’AIB di Villasimius (“I servizi della biblioteca e l’utente”, ottobre 1984), in cui mi aveva inserito senza badare al fatto che nell’Associazione non conoscessi ancora quasi nessuno (salvo alcuni colleghi genovesi), e viceversa. Un Congresso in cui parecchi relatori erano debuttanti o quasi, su temi in gran parte mai toccati prima, da noi, ma incoraggiati dalla sua disarmante fiducia.
Almeno per me, il primo Congresso AIB non si scorda mai...
Qualche anno dopo ho avuto il piacere di collaborare io a fare un libro per lui: la raccolta di un gruppo di suoi scritti particolarmente significativi, Il nuovo in biblioteca, offertagli dall’AIB nel 1994, per i suoi sessantacinque anni.
Un libro che tanti di noi tengono a portata di mano: anche se si tratta di scritti quasi tutti già editi, sarebbero altrimenti dispersi in sedi a volte praticamente irreperibili. Di curarlo anche nei particolari, con sapienza e affetto, si chiese naturalmente a Rossella Dini, ma ricordo che ne mettemmo a punto insieme il piano, cercando di sposare l’esigenza di organicità con quella di rimettere in circolo piccoli gioielli solo apparentemente extravaganti. Rossella poi, naturalmente (se posso riusare ancora un avverbio di Crocetti per occasione analoga), non volle che vi comparisse il suo nome, nemmeno per la bibliografia, e del resto la sua mano era perfettamente visibile senza bisogno di dichiararla.
L’offerta doveva essere firmata, per tutti, solo dal nostro Presidente, Tommaso Giordano, pochi giorni prima del termine del suo mandato e del compleanno che si festeggiava. Nel mondo non sempre, si sa, le cose vanno come ci si aspetta: nonostante la notevole pubblicità data all’iniziativa, la lista dei sottoscrittori comprende soltanto un centinaio di amici e colleghi ed estimatori.
Happy few involontari.
Per finire, una collana di libri, l’Enciclopedia tascabile, nata in una riunione che facemmo a Milano, lui ed io per conto dell’AIB, con gli amici dell’Editrice Bibliografica. Lì il precedente progetto un po’ anonimo di una collana di “Tascabili dell’AIB” diventò la nostra ET.
La parola “enciclopedia”, se ricordo bene, è di Giuliano Vigini, accolta inizialmente da noi con molto scetticismo e poi abbracciata come una scommessa un po’ sconsiderata, che si è convinti di perdere prima di cominciare. Già che scommessa doveva essere, che fosse fucsia, scartando i colori più tradizionali delle altre prove grafiche (che un improbabile futuro storico dell’editoria professionale potrà consultare nell’archivio dell’AIB).
Alla presentazione dei primi tre volumetti, a Firenze (in Marucelliana? o era il Vieusseux?), Luigi mi disse, più o meno, che chissà se ne sarebbero mai usciti degli altri. Siamo ormai al numero ventotto, con ritmi variabili ma mai interrotti, e titoli che vanno da solidi fondamentali come Consultazione e Catalogazione a una “scommessa nella scommessa” come Sopraccoperta.
Ma da quel ‘92 in poi, quando capitava di incontrarsi e parlarne, non mancava mai un cenno di complicità al pensiero di come quella creatura così piccolina e precaria si fosse mostrata capace, col favore della sorte, di durare e di piacere. Nell’ultimo messaggio che mi ha scritto, pochi giorni prima del Natale scorso, mi ricordava che gli era diventato molto difficile pensarci.
A Milano, in una sala del centro Stelline dove si erano riuniti numerosi bibliotecari e bibliotecarie – e non solo – interessati alla presentazione pubblica della raccolta di Studi e testimonianze offerti a Luigi Crocetti in occasione del suo 75° compleanno (Luigi Crocetti nacque nel 1929 nella teramana Giulianova, nel nord abruzzese attaccato all’Adriatico e – sia concessa nella circostanza la consapevole e forzata sottolineatura geografica – in quasi marchigiana prossimità a Recanati) il festeggiato rispose all’affettuoso saluto di Piero Innocenti – glielo aveva rivolto a nome degli amici e dell’intera comunità professionale italiana – con l’ennesima manifestazione di stupita modestia: pensava di non aver fatto tanto da meritare una così ampia e sentita riconoscenza.
Poi, in conclusione del suo breve e commosso ringraziamento, infilò la mano nella tasca della giacca ed estrasse un foglietto. Ne lesse il contenuto quale restituzione d’augurio. Si trattava di una poesia di Friedrich Hölderlin.
La mia memoria s’è dolorosamente indebolita – non sono del tutto certo che non mi tradisca – ma credo fosse una delle liriche dell’ultimo periodo della difficilissima vita del poeta, una delle numerose ispirate al susseguirsi delle stagioni, alla primavera in questo caso.
Quando germoglia ai prati un nuovo incanto,
davvero molta gioia c’è negli uomini.
Ho cercato di recuperarla. Sono convinto sia questa (ma se anche non lo fosse, non tradirebbe la sostanza di quanto fu pronunciato):
quando ancora la vita si fa bella,
e ai monti dove gli alberi verdeggiano
si mostrano più chiare brezze e nubi,
Vanno lungo la riva lieti e soli;
quiete, piacere, gioia d’esser sani.
Né un riso d’amicizia anche è lontano.
In questo ricordo stanno esemplarmente quelli che mi sono sempre apparsi fra i più caratteristici e identificanti dei suoi tratti personali: innanzitutto la naturale predisposizione a considerare i rapporti con gli altri come occasione di mutuo arricchimento spirituale, e dunque quella disponibilità a donarsi che ha quale corollario l’attitudine all’ascolto, quell’autentica umiltà tipica degli uomini veramente grandi, nei quali l’assenza di sussiego è l’altra faccia del sapienziale sapere di non sapere; quindi la straordinaria cultura, innanzitutto letteraria, permeante la sua visione del mondo e ogni riflessione, anche la più tecnica o relativa a questioni minute, e resa operante nel costante e fiducioso sforzo di affrontare i problemi riconducendo il particolare al generale, le scelte contingenti ai principii.
Il primo tratto personale ha certo a che fare anche col suo impegno nell’AIB – ne è stato presidente dal 1981 al 1987 – e con il lavoro per favorire la crescita professionale dei bibliotecari italiani dando fiducia ai giovani, contribuendo all’abbattimento degli steccati che li rendevano prigionieri di una tradizione biblioteconomica per lo più asfittica e provinciale, eccessivamente piegata sulla seppur gloriosa tradizione degli studi bibliologici.
Non a caso, quando nel 1994, per festeggiarne il 65° compleanno, “una folta schiera di amici e colleghi” sollecitò l’AIB a pubblicare una selezione dei suoi scritti, questi furono raccolti sotto il titolo Il nuovo in biblioteca. È il medesimo titolo del discorso di apertura del convegno “Poiesis: nuove tecnologie nel lavoro culturale”, dove l’autore afferma: «se ci sono persone prive del senso dell’inalterabilità delle cose, prive dell’attaccamento all’inalterabilità, queste dovrebbero essere i bibliotecari, perlomeno i degni del nome: a cominciare dalla sottile coscienza che un giorno non può passare senza che qualcosa – magari d’invisibile – sia accaduto». Sì, il nuovo.
E nella Presentazione di quel libro, firmata da Tommaso Giordano, vi è un ritratto di Luigi Crocetti, abbozzato con veloce maestria e trasparente amorevolezza, che anche qui sarebbe degno di lettura (assai più di questo mio faticoso contributo).
La stessa iniziativa che ora ci riunisce ha a che fare col fecondo ruolo svolto da Luigi, teso «ad orientare, direttamente o indirettamente, la coscienza professionale e le scelte di politica bibliotecaria». I promotori l’hanno proprio intesa come esplicita testimonianza di «gratitudine per gli insegnamenti e l’affetto da lui donati, con passione e infinita gentilezza, anche alla comunità professionale bresciana» (così è detto nell’annuncio passato nella Lista RBB della Rete bibliotecaria bresciana).
Forte, e galvanizzante, è stato qui l’effetto della pubblica e ripetuta fiducia manifestata dall’allora Presidente dell’AIB verso una generazione di bibliotecarie e bibliotecari che a metà degli anni ‘80, ricca di speranze e giovanili entusiasmi, cominciava a farsi carico della gestione delle biblioteche comunali in sviluppo.
Nondimeno, direttamente e indirettamente appunto, ha influito sulla formazione di un nucleo di operatori che nella riflessione intorno alle questioni catalografiche, e nella concreta attività descrittiva e di indicizzazione, ha dato il meglio di sé, contribuendo al raggiungimento di risultati importanti, ben rappresentati, da un lato, dal catalogo unico provinciale e, d’altro lato, dall’apporto teorico al dibattito, non solo nazionale, intorno al rinnovamento degli strumenti a servizio della standardizzazione, a loro volta funzionali all’accrescimento dell’efficacia e dell’efficienza della ricerca documentaria comunque motivata.
Per questi colleghi hanno particolare senso, credo, le parole contenute nel messaggio mandato nella mailing list della Rete bibliotecaria bresciana, sottolineanti che saremmo venuti «al San Carlino innanzitutto col cuore, col sentimento di chi è consapevole di una perdita umana non risarcibile, ma nondimeno con l’intelligenza di avere avuto un lascito intellettuale che potrà continuare a dare frutti copiosi proprio tramite nostro».
Mauro Guerrini, sempre in occasione del 75° compleanno di Crocetti, in un articolo dal confidenziale titolo A Luigi, ebbe a scrivere: «ha contribuito moltissimo all’affermazione in Italia di standard, norme e strumenti indispensabili del lavoro catalografico e del bagaglio del bibliotecario quali le ISBD, le AACR e la Dewey, che ha tradotto in italiano, o ne ha ispirato la traduzione, distinguendosi per la cura editoriale e per la resa puntuale dei concetti in termini appropriati e stilisticamente impeccabili, come parte dell’interesse originario e costante per la lingua italiana.
Nell’intenso lavoro di traduttore Luigi ha coniato numerose espressioni che oggi usiamo comunemente (per esempio, titolo proprio, formulazione di responsabilità)».
Per il suo apporto alla diffusione della Dewey non sono mancati i riconoscimenti internazionali, di cui sono prova le parole di cordoglio apparse in 025.431: The Dewey blog.
Dalle cassette degli strumenti di lavoro continueremo insomma a estrarre, e impiegare quotidianamente, attrezzi dovuti al suo qualificato impegno multiforme.
Poi – e penso ora a me stesso – quanti esiti chiarificatori sono venuti dalla sua memorabile definizione,
concettuale e pratica, dei caratteri precipui della biblioteca pubblica: mirabile e densa sistemazione perfettamente declinata, lo si può ben dire, in italiano, in occasione dell’apertura del convegno tenuto alle Stelline nel 1991 e intitolata icasticamente Pubblica.
Sull’altro aspetto della sua personalità che merita particolare evidenza, ancora Mauro Guerrini ha richiamato l’attenzione in conclusione dell’omaggio già citato: «Luigi ha dimostrato con la sua storia, il suo operato e i suoi scritti che il bibliotecario è un professionista che padroneggia pienamente le tematiche e le tecniche bibliotecarie, ma prima ancora è una persona che coltiva vasti interessi che gli consentono di porre le tematiche biblioteconomiche nel contesto della conoscenza e delle vicende culturali».
A tale proposito mi sia concessa una testimonianza personale.
Gli feci pervenire copia del libro Arte e devozione nello splendore della pietra, di Renata Massa e da me curato, sugli artigiani e artisti bresciani, molti dei quali rezzatesi, che fra il XVII e il XVIII secolo crearono altari per la Chiesa impegnata nella prolungata battaglia controriformista.
Mi rispose con una lettera in cartamano – la scrittura in elegante corsivo a caratteri piccolissimi, evidentemente uscita da una stilografica caricata d’inchiostro nero – dove, dopo non formali ringraziamenti, diceva: «imparerò qualcosa sui marmorini. Sono così contento quando un bibliotecario non si occupa solo di biblioteconomia!». Chiudeva con l’esclamativo.
Forse qualcuno dei presenti ricorderà una delle tante rigorose recensioni stese da Crocetti per «Biblioteche oggi». Mi riferisco a quella dedicata a Soglie, l’importante libro di Gérard Genette che si occupa, come efficacemente spiega il complemento del titolo, dei “dintorni del testo”, di quegli elementi che vengono posti sotto l’unificante insieme definito “paratesto”.
Lì traspaiono le competenze filologiche del recensore, e nondimeno l’intuizione dell’importanza che Soglie avrebbe potuto avere per il lavoro catalografico nonostante il suo essere opera estranea alla riflessione biblioteconomica (allotria, avrebbe forse detto Crocetti).
Ma ciò che più interessa ai nostri fini è quanto in un passaggio esplicitamente dice: «Croce amava cercare la migliore filosofia nelle pagine di artisti e scrittori, filosofi non professionisti; i bibliotecari potrebbero mettersi a cercare la migliore biblioteconomia nelle opere di critica e storia letteraria; e in un caso come questo troverebbero qualcosa, meglio che in certi strumenti professionali che non concepiscono neppure la differenza tra titolo d’insieme di un’opera e titolo di serie».
L’invito è a rifuggire la tracotanza dell’autarchia disciplinare, a guardare alla complessità delle problematiche del sistema socioculturale nel quale bibliotecari e biblioteche sono immersi.
Potrei continuare le citazioni. Ma è bene, per tutti immagino, che mi fermi qui, e che altri colleghi arricchiscano i ricordi e il tributo di gratitudine che dobbiamo a chi c’è stato ed è caro.
Non voglio tuttavia concludere senza rammentare almeno le straordinarie competenze da lui maturate nel campo della conservazione e, fra le ultime fatiche, la bella traduzione, per l’editrice fiorentina Le lettere, di Literature and artifacts di G. Thomas Tanselle: Letteratura e manufatti.
Di conservazione fu costretto a occuparsi alla BNCF, dopo la devastante alluvione del 1966.
All’intreccio tra vicende degli oggetti bibliografici e varianti testuali ebbe invece permanente attenzione, in ragione della sua formazione intellettuale.
La circostanza obbliga infine al penoso scambio di ruoli.
AMICIZIA
Non è un alto spirito remoto all’amicizia
Con umiltà
A me tocca riandare al poeta amato – all’Hölderlin che si firma “altro”, forse pacificato; chissà – per ribadire parole di amicizia, che se profonda sappiamo desidera con tutto il cuore l’attributo “indistruttibile”:
Se l’uomo si conosce all’intimo valore
ci si può in letizia dire amici.
Più è la vita all’uomo conosciuta,
più allo spirito appare interessante.
e le armonie sono gradite agli uomini;
l’intimità hanno cara (ne vivono la loro
formazione); anche questo fu dato a tutti gli uomini.
Scardanelli
La consuetudine con una persona come Luigi Crocetti, per noi che siamo stati suoi amici fin da tempi molto lontani (anche se non, per motivi anagrafici, dall’inizio), ci porta a vedere la nostra esperienza come l’origine di tutto: e lo è sicuramente per noi, per la nostra vita professionale.
Luigi è stato sempre presente, in un modo o in un altro.
Ora che non c’è più ci rendiamo conto che quella esperienza, il suo impatto, erano troppo più ampi rispetto al nostro angolo ristretto: ha permeato tutto il mondo bibliotecario italiano per più di trent’anni. Con la sua tipica calma, equilibrio e cultura è stato il nostro maestro, ma il maestro non di una sola generazione, ma di tante generazioni di bibliotecari, piccoli e grandi, qui e altrove.
La nostra generazione è quella degli anni ’70: quella dell’entusiasmo per la delega alle regioni, per le nuove biblioteche pubbliche, della Toscana come laboratorio di idee, di iniziative e di imprese. Il gruppo di giovani che si formò allora (non farò i nomi, perché sicuramente dimenticherei qualcuno) nella sua varietà e diversità, ha ricevuto da Luigi formazione, ispirazione, spinte a fare e a impegnarsi, palestre nelle quali esercitarsi ad altissimo livello (le traduzioni AACR2 e DDC e mille altre).
Lo stile no, quello era inimitabile, irraggiungibile; la lucidità nel giudizio sulle cose e le persone, nemmeno quello: era tutto suo.
Finito il periodo d’oro, nel 1986, Luigi decise di andare in pensione, troppo presto, purtroppo; la crisi successiva delle biblioteche toscane, il disastro, l’eclissi, testimoniano di quanto fosse importante la sua presenza e la sua direzione.
Non ci abbandonò, perché credo che non ci sia stato pensionamento più operoso e fruttuoso. Quanti corsi e seminari abbiamo fatto insieme, su e giù per l’Italia: dalla curiosa invenzione dell’analisi concettuale a Dewey; ci dividevamo i compiti, lui il centrocampista riflessivo che dettava il passaggio illuminante, io l’ala veloce e un po’ scavezzacollo che inventava sempre qualcosa di imprevedibile. Il dopocorso interessante e divertente e istruttivo più del corso stesso. Sì, ci divertivamo anche, e per giunta ci pagavano.
C’erano anche discussioni, differenze di opinione, dettate anche dalle differenze caratteriali e culturali. Il dissidio sull’uso di thesaurus (io) o tesauro (lui); le infinite diatribe su minime questioni lessicali nella traduzione del Dewey. Gli anni del Dewey sono stati i più difficili e duri, “un lavoro di miniera” dicevamo, quelli in cui abbiamo costruito qualcosa insieme, in perfetta armonia, pur a distanza, io a Scandicci e Luigi in via del Campuccio. Lo andavo a trovare per prendere i dischetti della traduzione che dovevo elaborare e indicizzare.
Sempre preciso, puntuale, instancabile.
Ironico: è stato lui il primo a chiamarmi Diddì, dalle mie iniziali e io, che sono sempre stato allergico a diminutivi e vezzeggiativi, ho accettato di buon grado perché nell’attribuzione del soprannome esprimeva tutta l’amicizia, l’affetto e la simpatia che voleva far trapelare.