Teresa Grimaldi (coordinatrice), Carlo Bianchini, Pino Buizza, Andrea Fabbrizzi, Stefano Gambari, M. Chiara Giunti, Stefano Tartaglia.
14 novembre 2006
La Commissione Catalogazione e Indicizzazione dell'AIB, Associazione Italiana delle Biblioteche, ha esaminato i documenti della Commissione RICA "Parte II, Opere e espressioni" [PDF 608 k] "Parte III, Responsabilità" [PDF 536 k] ed esprime le seguenti osservazioni, nell'intento di contribuire positivamente al processo di revisione delle RICA.
La lettura completa della Parte II e della Parte III, nella versione del 21 luglio 2006, offre una panoramica più completa delle consistenti novità introdotte dalle nuove norme in corso di elaborazione da parte della Commissione RICA.
L'innovazione più rilevante per la Parte II, Opere ed espressioni è l'introduzione di un articolato e fondamentale capitolo di definizioni, sulla cui necessità la Commissione AIB si era espressa nei propri documenti precedenti, che consente di rendere più chiara la lettura generale e specifica delle norme proposte, e di valutare il quadro interpretativo generale.
Tra i chiarimenti più importanti, va segnalata la definizione di opera, che riprende quella di FRBR e la estende, passando dal concetto piuttosto limitato di "contenuto intellettuale o artistico" a quello di «creazione intellettuale o artistica rappresentata da un testo, una musica o un'altra forma di espressione (un balletto, un film, ecc.) o da un oggetto materiale o un manufatto (un disegno, una scultura, ecc.)».
Particolarmente rilevante la decisione di estendere la definizione di opera anche alle opere in una sola unità (ad esempio i manoscritti) o «destinate a essere completate in un numero determinato di parti separate e quelle pubblicate senza un termine definito», ossia le opere in più volumi e i periodici, le collezioni, le pubblicazioni ad integrazione, le serie televisive ecc.
In generale è l'approccio alla rappresentazione dell'opera e dell'espressione che costituisce l'aspetto più innovativo delle nuove norme, perché si istituisce una relazione biunivoca tra un'opera e il suo titolo uniforme; questo assunto permette di stabilire inizialmente che il titolo uniforme è il dispositivo per l'identificazione dell'opera, e non anche dell'espressione (cfr § 1), come era in una versione provvisoria distribuita in precedenza. Il titolo uniforme per definizione "identifica" univocamente un'opera. La scelta di identificare l'opera è coraggiosa, fondamentale e soprattutto irrinunciabile, perché costituisce il presupposto logico necessario della costituzione dell'anagrafe delle opere.
Proprio perché viene dato particolare rilievo alla funzione di identificazione delle opere, il primo capitolo è dedicato ai titoli uniformi delle opere.
Come segnala la stessa Commissione RICA, i documenti diffusi in luglio 2006 sono pur sempre provvisori (in particolare la Parte III), e saranno integrati con la pubblicazione di una Introduzione e la presentazione dei principi adottati.
Ma ci sono altri problemi di carattere teorico che sollecitano risposte da parte di tutta la professione, e che il futuro lavoro della Commissione RICA potrà certamente contribuire a chiarire. Anche per questo si spera che il presente documento della Commissione AIB possa contribuire alla rettifica di alcune imprecisioni e all'elaborazione di alcuni problemi di carattere teorico che rimangono tuttora aperti.
Si auspica in particolare che le nuove norme italiane sappiano delineare un modello di catalogo capace di contemplare meglio di quanto non sia stato fatto fino ad oggi, anche a livello internazionale, la funzione bibliografica del catalogo. Se è vero che non si può assolutamente prescindere dalle modalità operative concrete (in termini di norme in vigore, di programmi di elaborazione e di standard catalografici internazionali) con le quali i cataloghi oggi sono realizzati, è altrettanto vero che l'alternativa tra il raccogliere e il riorganizzare in modo aggiornato la tradizione consolidata fino ad oggi e il cercare di guardare al futuro costruendo un codice per i cataloghi che verranno è soltanto in apparenza un'alternativa.
La prima riflessione teorica riguarda la definizione dell'opera: senz'altro condivisibile è la considerazione dell'opera come una entità reale, come "contenuto espresso" (Ranganathan) da un originatore in un sistema semiotico, frutto di una attività intellettuale di carattere creativo e rappresentato da una espressione rappresentativa, quella originale, che ha come attributo, nel caso delle opere testuali a stampa -- sono queste il referente privilegiato del documento -- la lingua dell'espressione originale. Tuttavia si suggerisce di specificare meglio o di eliminare il termine 'oggetto' dalla definizione: senza qualifica, infatti, il termine include anche gli oggetti naturali (minerali, fossili, piante, reperti zoologici ecc.), ovvero oggetti totalmente privi della componente creativa che costituisce l'opera e che probabilmente esulano dall'ambito delle nuove RICA. Gli oggetti prodotti dall'uomo, in forma artigianale o seriale, sono in realtà già inclusi nel concetto di "manu facto".
Ugualmente, andrebbe eliminato il paragrafo 0.1.3, in cui sembra essere presente una concezione di opera teoricamente antitetica a quella definita in § 0.1.1: infatti dal § 0.1.3 si potrebbe inferire che alcune opere possano essere non-opere, dato che si legge che un'opera -- che in 0.1.1.A è definita come «... una creazione intellettuale o artistica rappresentata da un testo o un'altra forma di espressione ...» -- può consistere anche «... nel risultato di attività intellettuali, artistiche o d'altro genere differenti dalla concezione e composizione di un testo (o di una musica, di un'opera grafica, ecc.) ma che costituisce evidentemente l'oggetto della pubblicazione, come indicano il suo titolo ed eventuali altri elementi della sua presentazione». Il riferimento al titolo o ad altri elementi presenti nella pubblicazione costituiscono considerazioni spurie e descrittive rispetto ai criteri sostanziali e costitutivi in base a cui si definisce e si identifica un'opera. E sono proprio queste considerazioni che introducono il concetto di raccolta -- § 0.1.4 -- il cui statuto di opera sembra basato sulla forma editoriale della raccolta invece che sulla sua origine creativa: infatti il § 0.1.4.A recita che «Una raccolta di due o più opere preesistenti (o di loro parti o brani), di autori diversi o anonime, riunite in una pubblicazione, si considera come un'opera se ha un titolo d'insieme che la identifichi nel suo complesso».
La Commissione AIB invita a riesaminare il concetto di raccolta: tale concetto in realtà potrebbe risultare superfluo e rientrare nel concetto generale di opera, previo ripristino del carattere creativo dell'opera. L'opera, quando è tale, ha un carattere creativo, dice o cerca di dire qualcosa di originale; nella raccolta la parte creativa non è la pubblicazione -- non potrebbe esserlo assolutamente -- ma l'idea di raccogliere certe opere invece che altre, di dare o trovare un filo conduttore comune a una serie di testi prima scollegati. Ad es., una raccolta di opere letterarie sul tema dell'ombra, "dice" effettivamente qualcosa di nuovo sull'ombra, che potrebbe essere anche semplicemente l'idea che l'ombra può davvero essere un tema di interesse per i lettori contemporanei, di interesse tale da farne, ad esempio, una pubblicazione. Anche in una raccolta c'è una sequenza narrativa, nella quale il "raccoglitore" parla con parole di altri ma realizza un "testo" proprio (che non coincide con la somma dei testi, ma con la loro scelta), svelando, anche attraverso una particolare sequenza, ciò che quei testi hanno significato e significano per lui. È per questo che è impropria e artificiosa la distinzione tra raccolte con titolo proprio e raccolte senza titolo proprio, perchè l'originalità sta nell'idea della raccolta, non nella modalità editoriale con la quale la raccolta si materializza e viene presentata.
La seconda riflessione teorica riguarda la definizione di espressione (§ 0.2.1): oltre all'opportunità di ribadire che, in base alla definizione di opera, l'espressione originale dell'opera coincide con l'opera, andrebbe forse meglio ponderata la questione se l'entità espressione debba essere considerata come un'entità individuale (ciò che non sarebbe corretto dal punto di vista delle opere testuali di carattere letterario) o una classe unitaria di espressioni(considerate come equivalenti dalla tradizione dei testi manoscritti e dalla bibliografia testuale). Lascia inoltre perplessi la prescrizione di identificare come distinte solo le realizzazioni o famiglie di realizzazioni affini -- anche se non identiche -- «che siano praticamente e utilmente identificabili»: se si può essere d'accordo sulla valutazione della utilità nel rinviare alle singole biblioteche la politica di indicizzazione delle espressioni, non si condivide la rinuncia, in nome della praticità, al ruolo informativo dei cataloghi delle biblioteche, che richiede una analisi bibliografica puntuale e precisa: una politica di cooperazione indicizzatoria e informativa potrebbe dare risultati attendibili senza eccessivi costi.
Un altro problema di carattere generale è relativo al concetto di titolo uniforme. Desta infatti qualche dubbio l'alternanza nelle norme di dispositivi con nome simile ma di natura profondamente diversa: il titolo uniforme e il titolo uniforme collettivo. Il titolo uniforme è un dispositivo di natura identificativa a livello di opera, il titolo uniforme collettivo ha natura classificatoria a livello di manifestazione (o di pubblicazione; vedi § 1.5.1.A), e ha valore residuale, ovvero si impiega per raccolte di opere prive di titolo identificativo e/o tradizionale (§ 1.5.1.B). In conclusione, la perplessità sulla natura del titolo uniforme collettivo è molto forte: sembra si tratti del vecchio meccanismo catalografico di raggruppamento delle edizioni. Sinora abbiamo raggruppato descrizioni di pubblicazioni, ora forse si tratta di relazionare le diverse entità letterarie, concettuali e semantiche suscettibili di ricerca, ognuna quindi da indicizzare autonomamente.
Ancora a proposito di titoli uniformi, va rilevato che esistono anche i titoli uniformi con «aggiunte convenzionali» (§ 1.4), che si riferiscono alle espressioni di un'opera ma anche alle pubblicazioni (cfr § 1.4 lettere b e c). Si crea così una certa confusione terminologica, perché il titolo uniforme è definito come uno strumento di identificazione dell'opera, ma la locuzione viene impiegata anche per espressioni e pubblicazioni. Allo stesso modo, al § 1.0.2, nello stabilire la funzione del titolo uniforme si ricorre al termine 'edizione' inteso tanto al livello dell'espressione che a quello della manifestazione.
Ha un aspetto problematico anche l'impiego di qualificazioni, ossia le "aggiunte convenzionali" al titolo uniforme, in particolare laddove sia previsto in modo facoltativo. A prescindere dal livello logico al quale si applica il titolo uniforme (che nell'attuale redazione non è dunque ancora solo quello dell'opera, secondo il dettato di § 1.0.3) il titolo uniforme è definito in modo funzionale, perché serve a identificare a fini catalografici. Sembra contraddittoria la precisazione «l'impiego di aggiunte convenzionali al titolo uniforme è facoltativo» (§ 1.0.5), perché andrebbe meglio chiarito che è facoltativa solo se il titolo nella forma adottata è già identificativo. In questo caso, in realtà, le qualificazioni sarebbero da definire più correttamente 'inutilì e non facoltative; se invece il titolo uniforme non è identificativo, allora o non è un titolo uniforme oppure deve essere qualificato.
Per definire i criteri di scelta del titolo uniforme le nuove norme ricorrono a due espressioni (opera "comunemente conosciuta" § 1.1 e "generalmente nota" § 1.1.1) che sono, sul piano linguistico, sostanzialmente equivalenti. Nel testo delle nuove RICA però la locuzione 'comunemente conosciuta' è definita molto chiaramente in base al criterio bibliografico (§ 1.2 «si determina sulla base del titolo che compare nelle pubblicazioni dell'opera stessa nella lingua originale»). Il secondo concetto (opera "generalmente nota", § 1.1.1.A; opere "note con titoli tradizionali" al § 1.1.2), che andrebbe preferibilmente denotato con una locuzione più nettamente distinta rispetto alla prima, sembra invece ispirato a un criterio "extra-bibliografico", ed è refrattario a qualsiasi tentativo di definizione -- probabilmente anche perché lo stesso titolo uniforme è definito "a fini catalografici" --. Il titolo tradizionale o convenzionale sembra essere il titolo "non bibliografico" per eccellenza, ma presenta una difficoltà fondamentale che non sembra possibile superare, ossia non risponde al canone di accertabilità, come avviene per il "comunemente conosciuto". Il problema è apparentemente insolubile.
In questo quadro, la formulazione del § 1.1.2.6 ("correntemente usato") contribuisce ad aumentare il grado di incertezza. Infatti non è chiaro se ci sono differenze, e quali, rispetto ai criteri espressi con le formule 'comunemente' e 'generalmente'. In effetti, 'correntemente' non fa riferimento a nessuno dei due fondamentali criteri adottati in precedenza (la prevalenza delle edizioni, o criterio bibliografico, e il criterio "extra-bibliografico" ossia basato su fonti diverse dal numero e dalla prevalenza delle edizioni); tale diversità di approccio in effetti è confermata dall'ultimo periodo del paragrafo, che determina l'obbligo -- per le intestazioni uniformi di trattati, concordati, convenzioni e accordi internazionali -- di rinvio dalle forme in cui «siano conosciuti o pubblicati».
§ 0.1.1.C e § 0.1.4.C. Qui si stabilisce che le espressioni generiche non costituiscono un titolo d'insieme idoneo a identificare una raccolta come opera. In questo caso è evidente che la presentazione editoriale determina il trattamento, anzi la classificazione di un'opera come tale o meno. Da questa posizione deriva poi un diverso trattamento della "raccolta" quando ha un titolo generico o ha un titolo adatto a identificarla. Il principio dovrebbe essere quello di riconoscere se un'opera è tale (ossia ha carattere creativo), non di verificare se l'opera si presenta con un titolo generico o no. La pubblicazione non deve necessariamente avere un titolo identificativo, perché la funzione identificativa spetta allo specifico dispositivo predisposto a fini catalografici, ossia il titolo uniforme.
§ 1.1.1.1.A. L'indicazione «I punti si omettono nei casi dubbi» avrebbe bisogno di una esemplificazione, dal momento che il criterio di trascrizione adottato sembra invece improntato al rispetto filologico. Inoltre, da quale necessitàè dettata l'omissione degli spazi, dato che a livello di ordinamento la sigla, con o senza punti o spazi, è considerata un'unica parola?
§ 1.1.2.2.A. La designazione tradizionale o convenzionale è il titolo uniforme, in quanto titolo della prevalenza delle edizioni, anche se non corrisponde al titolo del manoscritto o del documento, cioè uguale a § 1.1.1.A (come risulta dal commento dell'esempio). Cosa significa «che non è propriamente il titolo»? Si intende il titolo originale, ossia il titolo della prima manifestazione della prima espressione dell'opera?
§ 1.1.3.1.C. Il dettato relativo al titolo uniforme delle opere greche classiche e bizantine introduce un'eccezione che non sembra del tutto giustificata, se confrontata con un criterio estremamente chiaro e definito per tutti gli altri casi, ossia la scelta tra la linguaoriginale e la lingua italiana. In particolare, suona strana la conseguenza che si possa adottare una forma traslitterata, ad esempio, per un titolo in arabo o in aramaico, e che invece si ritenga di fatto "inadeguata" la forma greca traslitterata per sostituirla con la forma latina (che forse in passato sarebbe risultata "più familiare" all'orecchio di un ipotetico utente). In questo modo si perde coerenza e chiarezza della norma generale e si "penalizza" la sola lingua greca.
§ 1.4.2. L'introduzione di categorie riguardanti «mezzo o forma di realizzazione diverso da quello originale» (audioregistrazioni, risorse elettroniche, videoregistrazioni ecc.) ripropone il problema della non sufficiente chiarezza delle entità oggetto della indicizzazione e della uniformità dei dispositivi di indicizzazione: perché indicizzare autonomamente le audioregistrazioni e non anche -- e con lo stesso dispositivo -- le traduzioni, le versioni, ecc.? Inoltre, a prescindere dal problema esposto, si suggerisce di abbandonare l'indicazione formale 'risorse elettroniche', al fine di evitare ogni possibile confusione con le risorse elettroniche digital born eventualmente descritte nello stesso catalogo; si potrebbe adottare a tale scopo il termine 'digitalizzazioni' che risulta costruito sull'analogia con videoregistrazioni e audioregistrazioni, e che è disponibile anche nella letteratura professionale italiana proprio per indicare il processo di derivazione di risorse elettroniche da un originale analogico.
La recente riflessione biblioteconomica sulla natura comunicazionale dell'opera ha mostrato che la tipizzazione delle diverse espressioni di una stessa opera deve essere basata su una classificazione dei testi (come equivalenti, derivati o modificati rispetto alla forma originale) che rispecchi la vita delle opere come artefatti culturali in continuo cambiamento all'interno dei modi e delle forme di evoluzione e stabilizzazione di un preciso canone: se un'opera entra nel canone, allora i suoi testi significativi possono derivare l'uno dall'altro e mutare.
Quale criterio classificatorio sia stato adottato dal documento RICA (nella gamma che va dalla concreta e specifica identità testuale alla più astratta e sfumata identità del contenuto semantico) non è chiaro: né è sufficiententemente discriminativo fondare il riconoscimento dell'opera nelle sue varie espressioni sulla constatazione della permanenza, nelle espressioni, della "natura e carattere" dell'opera. Certo l'operazione è alquanto problematica, ed è non solo praticamente ma anche teoricamente incerta in quanto fa parte della natura dell'opera la sua variabilità, a causa della mutabilità temporale e culturale delle forme di interpretazione e ricezione del significato e del significante dell'artefatto originario; tuttavia sarebbe opportuno che per giustificare il grado di variazione consentito tra i vari testi dell'opera si facessero riferimenti più espliciti sia ai canoni riconosciuti nei domini scientifico-disciplinari dei vari artefatti, sia alle più generali convenzioni culturali che ridefiniscono senza sosta quei canoni e quei domini. Se è vero che la complessità dello statuto dell'opera non può essere determinata dal catalogatore, è altrettanto vero che questi non può fermarsi ad effettuare solo considerazioni di carattere formale e determinare la presunta permanenza di "natura e carattere" dell'opera nelle varie forme di revisione, tradizione, versione, ecc., sulla base dei dati di presentazione presenti nella pubblicazione, in primis il titolo e le formulazioni di responsabilità: indicazioni peraltro valevoli limitatamente al settore delle opere testuali a stampa.
A questo punto, tutte la tassonomia predisposta ai § 2 e § 3 assume carattere semplicemente prescrittivo e si espone al rischio di non fornire al catalogatore sufficienti elementi di valutazione per gli inevitabili casi dubbi che si presenteranno. Ecco alcuni esempi:
In ogni caso, l'assunzione delle riproduzioni come espressione della stessa opera livella i vari codici artistici ed espressivi, e produce una patente contraddizione con la definizione dell'opera data preliminarmente: cioè che essa coincide con la sua espressione originaria. Come può, alla luce di questa assunzione, la riproduzione della Battaglia di San Romano essere considerata espressione della stessa opera, coincidente nella sua espressione originaria con un dipinto? È necessaria una più approfondita riflessione sui diversi linguaggi dell'arte e degli artefatti e, di conseguenza, sulla natura dell'opera. È tuttavia evidente che la interpretazione della riproduzione come espressione dell'opera si fonda sulla assunzione che il tipo di relazione tra originale e riproduzione è l'equivalenza del contenuto intellettuale: se non si definisce semioticamente il carattere dell'opera si va incontro a questi fraintendimenti. In ogni caso, se la prima instanziazione dell'opera è in un particolare codice linguistico (discorsivo, musicale, pittorico, ecc.), allora le occorrenze in codici diversi da quell'originale sono altre opere.
Si ritiene, inoltre, che sarebbe opportuno un paragrafo sull'individuazione delle stesse espressioni della stessa opera, nell'ambito del quale si potrebbe sviluppare il problema delle relazioni bibliografiche orizzontali: quando una espressione della stessa opera è equivalente ad un'altra espressione della stessa opera? È evidente che si tratta del problema tradizionale dell'edizione, ancora eluso. L'assenza delle relazioni bibliografiche orizzontali sembra riproporre la struttura catalografica tradizionale, quella in cui si connettono record di manifestazioni ad un titolo uniforme, senza una efficace identificazione e indicazione del tipo di relazione tra le varie espressioni della stessa opera. Il catalogo deve mostrare non solo genericamente le varie espressioni della stessa opera, ma deve collocare insieme le espressioni equivalenti.
In FRBR in senso stretto ogni cambiamento nel contenuto artistico e intellettuale, ogni testo rivisto o modificato, costituisce una nuova espressione. Ancora, nel definire la manifestazione, FRBR ribadisce che ad ogni cambiamento nel contenuto artistico e intellettuale siamo in presenza di una nuova manifestazione che ingloba una nuova espressione. Tale gerarchia, fondata solo sul passaggio logico dal livello astratto a quello fisico, definisce una situazione informativa che non è quella desiderata dall'utente. Questo concetto di manifestazione contrasta con il concetto di edizione stabilito dalla Bibliografia: noi sappiamo che le diverse emissioni e stati di una edizione possono divergere nell'ambito della stessa edizione. È quindi necessario che accanto ad una concezione di espressione a livello generale (efficace per distinguere versioni di un'opera identificabili, come traduzioni o particolari redazioni e revisioni del testo) si delinei una concezione più specifica, che identifichi l'espressione come la classe di tutti i testi varianti equivalenti emessi dalla stessa composizione.
Per questo, più che una casistica puntigliosa e una precettistica puntuale, e quindi forse più che di un codice, ciò di cui la comunità bibliografico- bibliotecaria oggi ha bisogno è una politica cooperativa di indicizzazione delle opere, basata non più su considerazioni "ai fini catalografici", ma su considerazioni critico- interpretative elaborate nell'ambito del particolare dominio semantico di appartenenza dell'opera, rispetto al quale un catalogo potrebbe valere come archivio informativo autorevole.
Del resto la precettistica è complicata ed anche di difficile interpretazione e applicazione. Si veda per tutte la sfumatura tra le seguenti condizioni testuali: quella per cui § 3.1.a «le stesure o redazioni rielaborate, dovute allo stesso autore, che siano comunemente identificate con titoli differenti» sono opere distinte; mentre si stabilisce che l'opera non cambia sia in § 3.1.c nel caso «[del]le versioni aggiornate o rielaborate che conservano il titolo dell'opera e l'eventuale indicazione del suo autore» sia in § 3.1.a nel caso «[del]le edizioni con titoli diversi ma senza differenze rilevanti di contenuto o forma». Permane quindi l'incertezza tra i criteri di giustificazione bibliografico- editoriale, di tradizione letteraria e di ricezione culturale: il primo criterio dovrebbe tuttavia essere applicato alla indicizzazione delle manifestazioni, e non delle opere.
Lo statuto delle opere normative, giuridiche, ecc. (definite in 3.6 testi ufficiali piuttosto che opere di carattere normativo ...) è invece stabilito, correttamente, in relazione a criteri di identità e veridicità interni all'ambito normativo e giuridico di riferimento.
A proposito delle opere in altri codici linguistici (come i dipinti, le sculture ecc.) va forse approfondita la considerazione che opera e testo coincidono, che il testo ideale coincide con il testo materiale, per cui è opportuno classificare le varie forme di fruizione dell'originale sulla base di principi rispettosi della specificità della costituzione strutturale e delle forme di comunicazione, ricezione e fruizione di questi specifici tipi di artefatti.
Il processo che dovrebbe portare il lettore -- nel quadro di un catalogo per autore e titolo -- ad individuare un'opera e da questa ad individuare una specifica espressione (originaria o derivata) e la relativa pubblicazione (manifestazione) che la testimonia, si inverte completamente. La pubblicazione, come fenomeno fisico, è la base per l'individuazione non delle opere, ma di un'opera principale e di "altre opere secondarie", o anche "subordinate", in un approccio esattamente simmetrico all'approccio del catalogo per autore e titolo a schede, nel quale era necessario, per ragioni di economia, individuare un solo punto di accesso (l'intestazione principale) rispetto alla molteplicità dei possibili accessi da parte dell'utente, ed era altrettanto necessario istituire, dagli altri possibili accessi, rinvii all'accesso principale. Tale simmetria si spinge al punto di riesumare la famigerata "regola del tre" (anche se in versione edulcorata, perché facoltativa; cfr § 4.3.2.b e § 4.4.1) e di ricorrere al dispositivo spurio del titolo uniforme collettivo.
La regola del tre, nella vecchia versione per l'entità 'autore', ha già ampiamente dimostrato i suoi limiti all'interno del catalogo in linea, dove anche l'authority file più ridotto della biblioteca più piccola, consente di superarla istituendo -- anche oltre il terzo -- tutti i legami che il catalogatore ritiene "opportuni" in relazione sia alla tipologia della biblioteca e del catalogo che in relazione alle categorie degli utenti.
L'individuazione di una opera "principale" introduce per necessità criteri di individuazione formali che non valorizzano ma sacrificano le potenzialità e le ambizioni del catalogo in linea del futuro, nel quale la produzione di archivi anagrafici delle entità di FRBR (mediante dispositivi di accesso controllato per le opere e le espressioni, per persone ed enti ecc.) si completa con l'istituzione della trama di relazioni che sussistono tra le entità. Esattamente come ora la regola del tre per gli autori risulta superata in regrazie alla pronta disponibilità di una anagrafe degli autori che consente di istituire -- con un dispendio di energie minimo -- le relazioni tra la descrizione catalografica e numerose entità con responsabilità di qualsiasi tipo, nel prossimo catalogo in linea un'anagrafe completa delle opere consentirà -- con uno sforzo altrettanto ridotto -- di istituire i legami tra le descrizioni catalografiche e le entità opere non solo «principali o da considerare come tali» ma qualsiasi contributo aggiuntivo o componente, in quanto opera tout court.
Se non si aspira a creare un catalogo che elabori una mappa dell'universo bibliografico in tutte le sue componenti e non solo nella prospettiva delle pubblicazioni, non si può superare la concezione del catalogo- inventario di pubblicazioni e si giunge, per necessità imposta dal ricorso alla presentazione formale del frontespizio, anche al paradosso di scegliere come opera principale "la prima opera che capita" -- come avviene in effetti in 4.4.1.c) -- o di tenere conto della prevalenza nel contenuto solo quando i «criteri [formali] indicati non sono applicabili o non sono sufficienti».
Se non si vuole rinunciare comunque alla pregiudiziale di individuare a tutti i costi un'opera prevalente, sarebbe forse preferibile a questo punto recuperare nel suo significato più pieno la centralità dell'utente come criterio di orientamento funzionale del catalogo, e prevedere piuttosto che il catalogatore scelga non in base a una sempre troppo aleatoria e oscura "evidenza" formale ma in base al vantaggio dell'utente (questo sì ben determinato e accertabile nella realtà quotidiana di ogni catalogatore).
Infine, si specifica che i rilievi qui effettuati vanno integrati con le riflessioni critiche espresse nel documento dalla Commissione AIB "Osservazioni sui documenti della Commissione RICA Titoli uniformi e Intestazioni uniformi per le edizioni della Bibbia", del 21 giugno 2006.
La sequenza dei paragrafi non è coerente e alcune prescrizioni sono ripetitive. Sarebbe opportuno dichiarare preliminarmente le responsabilità in relazione alla entità verso cui viene esercitata (nei confronti dell'opera, dell'espressione, ecc.), e il carattere e il ruolo del relativo tipo di responsabilità. Inoltre, a proposito delle responsabilità nei confronti dell'opera e espressione il § 0.1.4 risulta poco chiaro e spurio: che cosa sottintende il concetto di responsabilità indiretta? Le responsabilità nei confronti dell'opera e espressione sono di autore, traduttore, curatore dell'edizione del testo, trascrittore, ecc. Le altre forse o non si riferiscono alle opere ed espressioni ma alle pubblicazioni, o non sono funzioni di responsabilità (quale ad es. il dedicatario di una miscellanea). In proposito, il documento accusa la difficoltà di non aver considerato il catalogo nella sua integrità: se si fossero considerate le relazioni di soggetto, la relazione tra l'opera e le persone e gli eventi sarebbero potute essere giustificate in modo coerente e corretto.
§ 0.2.2, Responsabilità d'autore e responsabilità di carattere diverso. A causa dell'assunzione precedentemente operata, quella per cui le raccolte e in genere le aggregazioni di opere sono opere, si è costretti ad ammettere come responsabilità rispetto alle opere tipi diversi da quelli appropriati (concezione, composizione e realizzazione dell'opera), quali la cura e la raccolta di più opere o parti di opere: alla estensione del concetto di opera (segnalata nelle considerazioni precedenti) corrisponde quindi l'estensione del concetto di responsabilità nei confronti dell'opera.
§ 0.2.3, Responsabilità principale, coordinata e secondaria. La distinzione tra responsabilità principale, coordinata e secondaria, si fonda sulla assunzione che si possa definire, nel caso di vari autori, il/i principale/i. Se la distinzione è basata su una diversa responsabilità nei confronti dell'opera o dell'espressione, allora questo paragrafo è superfluo e dovrebbe essere assorbito dal precedente; se invece la distinzione è basata sulla presentazione editoriale diversa dei responsabili, ed è questa a determinare l'individuazione di una intestazione principale, allora il paragrafo va spostato di qui e inserito eventualmente nella parte che tratterà della indicizzazione delle pubblicazioni/manifestazioni. In realtà l'introduzione del concetto di intestazione principale non è motivata e non è chiara la sua funzione: tuttavia che si tratti della intestazione della registrazione bibliografica (relativa quindi alla manifestazione) è confermato dalla nota 5.
Il paragrafo 0.2.5 sembra comunque ripristinare la logica delle attribuzioni delle responsabilità rispetto alle entità bibliografiche di riferimento.
§ 2, Responsabilità per l'opera. Ci si aspetterebbe in prima istanza la definizione di autore, e non, come avviene, una casistica delle condizioni di notorietà del nome o delle forme di identificazione del nome. È di conseguenza eluso il problema della definizione dell'autore ente. Permane la mancanza di chiarezza a proposito dei concetti di intestazione principale e intestazione secondaria delle opere: a proposito di quest'ultima non si comprende quale sia la collocazione, nell'intestazione, dell'espressione esplicativa «Attribuzione a ...». Le responsabilità secondarie sembrano riferite alla registrazione bibliografica della pubblicazione e non a quella dell'opera.
§ 3.1.B. L'identificazione primaria dell'autore dell'opera avviene attraverso i dati della pubblicazione: si conferma la particolare rilevanza accordata al criterio bibliografico- editoriale rispetto a quello della tradizione citazionale. In ogni caso § 3.1.B, e § 3.1.C posizione, e sono pertinenti alla Parte I.
§ 3.2.1.1, Definizione di autore principale. L'individuazione dell'autore principale, che coincide con quello presentato come principale, dà luogo ad una casistica complicata perché condizionata da considerazioni delle situazioni bibliografico- descrittive delle pubblicazioni. L'unicità dell'intestazione fa pensare alla scheda per le pubblicazioni. Permane la malefica regola del tre. Perché l'opera non deve essere indicizzata attraverso tutti i suoi autori? Il sospetto è che si stiano indicizzando pubblicazioni.
Anche il ruolo di co-autori o di responsabili secondari sembra determinato dalla presentazione editoriale: Esempio eclatante il caso del rapporto tra redattore / narratore (§ 3.2.4.1), tra intervistatore / intervistato (§ 3.2.4.2), e tra corrispondenti (§ 3.2.4.3).
§ 3.2.4.5, Immagini e testo. Anche in questo caso la condizione di co-autore o di autore principale è determinata dalla presentazione dei dati nella fonte d'informazione.
§ 3.3, Raccolte e collezioni. La raccolta di due o più opere di autori diversi, pubblicata con un titolo d'insieme (condizione che la identifica come opera), non ha intestazione principale. Qui si pongono due problemi: da una parte non si spiega perché, alla luce del principio generale di indicizzare tutte le opere, non vengono indicizzate quelle contenute nella raccolta; dall'altra c'è una contraddizione negli esempi, laddove il titolo uniforme della raccolta è indicato come intestazione principale: Ancora una volta si sta indicizzando la pubblicazione, che, possedendo un forte elemento di auto-identificazione, un titolo proprio significativo, non ha bisogno di una intestazione principale, che in questa Parte III significa intestazione per autore.
Anche per le raccolte, come per le collezioni, l'indicizzazione per autori e curatori è governata dalla regola del tre e dalla evidenza formale dei dati del frontespizio.
Le stesse osservazioni valgono per il trattamento dei responsabili per le raccolte di uno stesso autore o senza titolo d'insieme (§ 4.4)
Le stesse osservazioni valgono per il trattamento dei responsabili dei contributi aggiuntivi (§ 4.5)
Più coerenti le prescrizioni che riguardano il § 4.3, Responsabilità per le esecuzioni e le rappresentazioni.