Intervento al seminario promosso dall’Associazione Bianchi Bandinelli e dall’Assotecnici e tenuto a Roma, il 7 giugno 2004, sul tema La riforma del Ministero per i beni e le attività culturali
Siamo al penultimo atto della riforma che colpisce il ministero,dico colpisce,
perchè ormai ogni due anni, quasi come un castigo, arrivano cambiamenti
che tendono a peggiorare piuttosto che a migliorare l'amministrazione dei beni
culturali in Italia. Alla costituzione del nuovo ministero ( con il decr.legisl.
8 gennaio 2004 n.3) segue ora il regolamento di organizzazione dell'amministrazione
centrale ( capo I), degli organi consultivi centrali (capoII), dell'amministrazione
periferica (capoIII), per la quale verranno predisposti, come ultimo atto, i
singoli regolamenti degli istituti e di tutte le strutture tecniche periferiche.
Così, alla fine, calerà il sipario su una situazione ormai seriamente
compromessa: in futuro non sarà compito nè facile nè rapido
ripristinare i principi e i valori fondamentali della tutela dei beni culturali,
riportare gli interessi pubblici in primo piano, ridare nuova fiducia alle professionalità
tecniche nello svolgimento del loro lavoro.
Attualmente la costruzione burocratica,ingigantita, del ministero peserà
come un macigno sul funzionamento e mortificherà sempre di più
gli istituti e le strutture scientifiche sul territorio.
Per il settore delle biblioteche (ed archivi) è vero che si è
ottenuto, nel decreto di riforma del ministero, di istituire il dipartimento
apposito ( e ciò è avvenuto a seguito dei pareri favorevoli delle
commissioni parlamentari e delle richieste del mondo della cultura) per evitare
che biblioteche ed archivi andassero sommersi nell'unico dipartimento dei beni
culturali, ma il rischio d'essere marginali, per i due settori è rimasto
sempre in agguato e si manifesta ora di nuovo nel regolamento.
Già la denominazione assegnata nel decreto 3/2004, quella cioè
di "dipartimento per i beni archivistici e librari" ( mentre l'altro
dipartimento è intitolato ai "beni culturali e paessaggistici"),
fa nascere qualche dubbio: ma i beni archivistici e librari sono o non sono
anch'essi beni culturali? Dubbio che il regolamento non ha risolto.
Era sicuramente più corretto definire tutti i beni come beni culturali
e poi differenziarli in storico artistici, architettonici....,come è
stato fatto nel "Codice dei beni culturali e del paesaggio"( Decr.Legisl.22
gennaio 2004, n.41). Ma questa, che potrebbe apparire in fondo una questione
marginale, mette tuttavia in luce un atteggiamento costante degli organi politici
e legislativi del ministero: quando trattano di beni librari e biblioteche sembrano
ispirati sempre o dalla fretta o dal disinteresse.
Non possono essere perciò che una magra consolazione le parole del ministro
Urbani, nell'audizione sul decreto alla Commisione cultura del Senato, quando,
in risposta alle osservazioni dell'opposizione sul rischio di una funzione minore
per archivi e biblioteche, ha detto che tale rischio non riguarda il settore
delle biblioteche, "atteso il prestigio internazionale di queste ultime".
( vedi resoconto parlamentare). Come questo prestigio internazionale possa essere
mantenuto, grazie al regolamento di organizzazione del ministero, non è
facile comprendere dal momento che il settore dei beni librari e delle biblioteche
sono una davvero debole presenza in questo regolamento , che non va mai oltre
un livello generale e generico di riferimento al settore. Sembra quindi, a leggere
l'articolato, che non sia emersa la necessità di conoscere in modo approfondito
le specificità e i compiti che, a livello nazionale,dovrebbero essere
posti in evidenza nel delineare l'organizzazione del ministero.
Penso ai servizi bibliografici e bibliotecari nazionali, inseriti la prima volta
in dirittura finale nel decreto 368/1998, dopo una battaglia delle associazioni
professionali, fatta nella speranza di sviluppare intorno a questi servizi una
più ampia trattazione nei regolamenti successivi. Speranza che finora
è andata delusa.
Si trattava in sostanza di definire e far emergere i compiti e le funzioni
delle biblioteche,in particolare delle due biblioteche nazionali centrali di
Firenze e Roma in relazione all'esigenza, ormai matura nel settore, di istituire
piuttosto una Biblioteca italiana nazionale, articolando tra le due esistenti
i compiti che sono propri di tutte le biblioteche nazionali nel mondo, per raggiungere
finalmente una gestione più efficiente ed adeguata ai tempi di grande
sviluppo tecnologico che stiamo vivendo.
Riassumo i compiti più volte ricordati e noti ormai anche ai non addetti
ai lavori e che sono oggetto di esame attento nelle legislazioni di altri paesi
europei (ad esempio in Francia):
Inoltre con molta leggerezza , a mio parere, è stato affrontato nel
regolamento il ruolo degli istituti centrali creando tra questi una non giustificata
discriminazione.
E' da osservare che agli istituti centrali, tutti indisintamente, sono confermati,
nel decreto 3 /2004 che ha rinnovato il ministero, i compiti già previsti
nel DPR 805/75, dove in particolare sono evidenziati i compiti comuni di ricerca,
nel campo della catalogazione e conservazione, possibilmente da svolgere concordemente.
Inoltre all'Istituto centrale per la patologia del libro e all'Istituto centrale
del restauro è stata data, con il decreto 368/98, la possibilità
di istituire scuole di alta formazione e di studio (per le quali per altro non
si è ancora arrivati ad una definitiva regolamentazione).
Su questa base normativa è ora intervenuto il regolamento che ha posto
nell'ambito del dipartimento per la ricerca,l'innovazione e l'organizzazione
gli istituti centrali del restauro, dell'opificio delle pietre dure, della patologia
del libro, del catalogo e documentazione.La motivazione indicata nel testo è
la seguente: perchè questi istituti hanno " funzioni di alta formazione
e ricerca".
Questa scelta presenta, a mio parere, dei rischi che vanno valutati: può
voler dire che, se questi sono gli istituti che fanno ricerca, gli altri posssono
essere automaticamente declassati, perché molto disinvoltamente si è
deciso che essi non svolgono compiti di ricerca, nonostante il richiamo al Dpr
805/75. Per ora comunque questa scelta riguarda soprattutto l'ICCU, visto che
l'Istituto centrale per gli archivi deve ancora nascere. I due istituti non
sono neanche nominati in questo regolamento e dovranno quindi attendere quelli
successivi per conoscere la loro sorte.
Una riflessione maggiore è a mio parere necessaria per mettere a confronto
opinioni diverse e motivate.(Vale la pena ricordare,ad esempio, che non a caso
l'ICCU figura da molti anni nel rilevamento degli istituti di ricerca svolto
ogni anno dal CNR e dall'ISTAT.)
Il dibattito dovrebbe pertanto aprirsi non solo tra i bibliotecari , dei quali
comunque mi piacerebbe sentire chiara e forte la voce, per discutere sull'opportunità
o meno di separare gli istituti centrali,o sull'ipotesi, preferita da alcuni,
di tenere l'ICCU e il costituendo istituto centrale per gli archivi ancorati
al settore specifico. In questo caso dovrebbero afferire al dipartimento per
i beni archivistici e librari, privilegiando il rapporto di scambio e di arricchimento
che verrrebbe loro da uno stretto legame con archivi e biblioteche.
Infine altro argomento non meno importante, sul quale far sentire la nostra
voce, è quello della necessità, sia che gli istituti siano uniti
o separati,di confermare e rafforzare l'autonomia della quale già godono
e di meglio evidenziare i compiti di studio, di ricerca nelle specifiche materie
di competenza, compiti che vanno a tutto vantaggio dell'intera opera di diffusione
di standard e di linee di indirizzo spettante al ministero.
Un altro problema emerge per le biblioteche: poiche il coordinamento sul territorio è anche una necessità per le biblioteche pubbliche statali per i molteplici programmi di cooperazione ed accordi esistenti e futuri con le Regioni e gli altri enti ed istituzioni territoriali, resta il dubbio se questa funzione possa essere compresa nell'ambito dei compiti dei comitati regionali di coordinamento o debba essere ricondotta al direttore generale di settore o al capo dipartimento. I comitati regionali, a leggere l'articolato, esprimono pareri a richiesta del direttore regionale su ogni questione di carattere generale concernente la materia dei beni culturali ed è quindi più probabile che possano intervenire solo su tematiche intersettoriali e su progetti comuni riferiti alle diverse tipologie di beni culturali.
Gli altri motivi di preoccupazione, se si guarda alla costruzione piramidale del ministero, sono di carattere generale e accomunano le biblioteche agli altri settori: solo alla prova dei fatti potremo vedere l'esito dell'appesantimento gerarchico con il quale tutte le strutture tecnico-scientifiche dovranno fare i conti. Il rischio naturalmente è quello di peggiorare in lentezza, in difficoltà e in ostacoli il lavoro quotidiano. I livelli gerarchicamente sovraordinati ai quali riferirsi sono, come abbiamo visto aumentati: il direttore generale, il direttore generale di staff, il capo dipartimento. C'è anche il pericolo che competenze ed attività di questi organismi entrino in conflitto tra loro con conseguenze sempre più dannose per il funzionamento complesivo dell'amministrazione. Nessuno più, mi sembra, conservi il ricordo lontano della struttura agile e prevalentemente tecnica che si immaginava per il ministero, al momento della sua prima istituzione con il DPR 805/75, voluto da Spadolini.
Infine, a dimostrazione che tutti i punti di riferimento tecnici stanno per venire meno con questo regolamento, è significativa l'operazione condotta sul Consiglio superiore per i beni culturali e paessaggistici e soprattutto sui Comitati tecnico scientifici: sono state ridotte nel numero le presenze tecniche, prevalgono i membri designati sugli eletti, i pareri in massima parte sono espressi solo e se c'è la richiesta del Ministro o dei capi dipartimento, alle riunioni dei comitati partecipano i capi di dipartimento, i direttori generali, i direttori regionali. Chi altro ancora è necessario per far sentire più "liberi" di esprimersi i membri dei comitati? Si prefigurano, quindi, veri e propri consigli del re.
Cosa fare per l'immediato: non credo sia possinbile ottenere cambiamenti di
rilievo, ma è possibile tenere desta l'attenzione e monitorare le situazioni
che si determineranno con questa riforma.
Il lavoro significativo deve svolgersi parallelamente e deve condurre alla costruzione,
da qui a due anni, di una proposta significativa di modifica della gestione
dei beni culturali, proposta di alto valore culturale, che deve essere condivisa
non solo dagli addetti ai lavori, ma deve raggiungere e convincere soprattutto
le forze politiche, le forze sindacali , gli ambienti della cultura,e i cittadini
di questo nostro paese.
Alcuni segnali positivi già da qualche tempo dovrebbero farci ben sperare:
appare infatti una maggiore consapevolezza sulle esigenze del patrimonio culturale
pubblico ed un'attenzione non superficiale è rivolta da larghi strati
dell'opinione pubblica ai problemi della tutela e dell'organizzazione dei beni
culturali.