L'intervento che vi propongo vuole essere una presentazione del punto di vista di un gruppo di professionisti numeroso che si situa nel più ampio panorama delle professioni dedicate alla cultura, alla documentazione e all'organizzazione delle informazioni: parlo dei bibliotecari ma anche dei documentalisti, degli archivisti, degli esperti di knowledge management, e poi degli storici dell'arte, dei museologi, conservatori di beni culturali, esperti di didattica museale, degli archeologi, dei manager ed economisti della cultura, degli organizzatori e promotori di eventi e manifestazioni in ambito culturale.
Un arcipelago di professioni, dunque, anche con connotazioni, formazione, esperienze e competenze profondamente diversificate tra loro; accomunate dal fatto di interagire nel vastissimo (e per l'Italia particolarmente importante, originale e peculiare) mondo dei beni, dei servizi e delle attività culturali. Volutamente cito "beni, attività e servizi" perché contrariamente ad una pubblicistica un po' superficiale ma spesso ancora dominante, questi professionisti non sono solo i conservatori cocciuti e fuori dalle logiche della modernità del patrimonio culturale: ma sempre più spesso e sempre più con rilevanza anche economica ed imprenditoriale sono impegnati a valorizzare, promuovere, divulgare. Insomma professionisti a contatto con il pubblico più vasto, da un lato, cui offrono quotidianamente una mole eccezionale di servizi (si pensi alle migliaia di biblioteche pubbliche, ai grandi e piccoli musei, alle mostre); e dall'altro a contatto con il mercato e le imprese (si pensi al circuito delle sponsorizzazioni, all'utilizzo anche commerciale dei beni culturali, alle imprese che fanno cultura, ecc.)
Queste professioni sono accomunate in Italia dalla mancanza di qualsiasi forma di regolamentazione. In ciò stanno insieme professioni antiche e consolidate (come i bibliotecari, gli archivisti, gli archeologi) che pure in quasi tutto il mondo hanno trovato riconoscimento legislativo e sociale; e professioni nuove, come quelle di chi interagisce con la cultura anche in termini di opportunità economica.
Eppure, non senza una certa retorica in ogni occasione non si manca di proclamare l'importanza dei beni culturali in Italia, anche per valorizzare la spiccata vocazione turistica del nostro paese: beni culturali come risorsa economica, come patrimonio nazionale di inestimabile valore, come fattore di crescita sociale, come opportunità infine di numerosi e qualificati nuovi posti di lavoro.
Ma non basta considerare la cultura come un'opportunità economica (anzi, la riduzione a questo rischia di svalutare il nostro patrimonio storico artistico a riserva aurea da consumare per ripianare un po' di deficit pubblico).
Occorre invece che i contenuti delle professioni della cultura e della documentazione siano conosciuti, definiti, certificati e si traducano da un lato in percorsi formativi aggiornati e validi, e dall'altro in garanzie certe di alta qualità dei servizi offerti ai cittadini.
Tradizionalmente, una buona parte di questi diversi professionisti si situa in ambito lavorativo pubblico, come dipendenti di amministrazioni centrali o locali. In questi casi, almeno in teoria, l'obbligo costituzionale del concorso pubblico per l'accesso dovrebbe fornire garanzie sulla professionalità. Tuttavia, anche senza voler parlare di fenomeni di malcostume che hanno investito tanti concorsi pubblici, in realtà anche nella migliore delle situazioni la professionalità non è garantita perché non è definita e riconosciuta, per cui ogni amministrazione alle prese con processi di selezione e assunzione del personale è libera di inventarsi criteri, punteggi, prove di ogni tipo spesso avulse anche da minime considerazioni di buon senso. Come se si potesse pensare che una biblioteca, o un museo magari di primaria importanza potessero essere gestiti da persone senza adeguata e specifica preparazione.
Quindi, anche nell'ancor numeroso gruppo dei dipendenti pubblici l'esigenza di una certificazione della propria professionalità è assolutamente sentita.
Ma anche nell'ambito della cultura i processi di innovazione delle forme di gestione del servizio sono ormai diventati importanti, anche sulla scorta del testo unico sugli enti locali (D.lgs. 267/2000, art. 113 bis) che prevede ormai come residuale la gestione diretta, "in economia", dei servizi anche senza rilevanza economica (come quelli di ambito culturale) e quindi promuove l'esternalizzazione degli stessi. In questi casi si prefigura di affidare la gestione degli istituti culturali a fondazioni, aziende speciali, associazioni, e quella di servizi specifici anche ad aziende a carattere imprenditoriale.
Sono particolarmente sviluppate, poi, cooperative e aziende di servizio che agiscono nell'ambito della catalogazione e valorizzazione dei beni culturali, nonché della formazione e aggiornamento professionale.
Infine, sono sempre più diffusi contratti di lavoro "atipici" o forme di libera professione o contratti consulenziali. In tutte queste situazioni è ancora più evidente la necessità per chi lavora, di tutela e riconoscimento della propria professionalità; per chi offre lavoro, di garanzia metodologica e deontologica; per i clienti-utenti del servizio, di qualità e convenienza delle prestazioni offerte.
Le professionalità sono diverse, ma questo tipo di diritti e doveri è comune: chi frequenti una biblioteca, o chi affronti il problema della gestione di un centro di documentazione, i visitatori di un museo o gli studenti accompagnati in incontri didattici devono avere la garanzia che chi offre loro questo tipo di prodotti o prestazioni è un professionista riconosciuto, certificato e aggiornato. Solo così la vocazione culturale e turistica del nostro paese (motivo che ritorna costantemente nel senso comune e nella pubblicistica) potrà essere sviluppata in modo compiuto e non dilettantesco e frammentario. Anche nei casi non infrequenti in cui intervenga l'utilizzo del volontariato e delle organizzazioni no-profit: sia in passato, con l'utilizzo del servizio civile alternativo alla leva militare, sia oggi con l'applicazione della legge sul volontariato sociale, si è diffuso l'impiego di personale volontario (in forme più o meno istituzionalizzate) nell'ambito dei servizi culturali. Un impiego a volte improprio di sostituzione segno evidente, ancora una volta, della mancanza di precisa definizione delle figure professionali da utilizzare a cui invece la normativa vigente dà precise connotazioni di utilità sociale aggiuntiva alla "normalità" dei servizi, e di opportunità formative per chi vi è coinvolto: è evidente come tali condizioni possano realizzarsi solo sotto la guida di personale professionalmente preparato a tutti gli effetti affidatario del servizio stesso.
Le conoscenze specifiche di tutte queste professioni vengono tenute in vita, aggiornate e tramandate dalle molte libere associazioni che si sono costituite, senza aiuti e finanziamenti pubblici. Alcune hanno una lunga tradizione storica (l'Associazione Italiana Biblioteche è nata nel 1930), un numero di soci di assoluto rilievo, hanno codici deontologici, in alcuna casi hanno costituito albi di diritto privato, in cui possono entrare i soci iscritti da almeno tre anni, che possano dimostrare un curriculum formativo e un'esperienza professionale pluriennale in grado di certificarne le competenze specifiche.
Tutti assieme intendiamo costruire un percorso comune di riconoscimento, che valorizzi alcune specificità del settore. Senza però considerarci come "unici professionisti incompresi": anzi ben consapevoli che la soluzione al "nostro" problema può stare solo nell'alleanza metodologica e strategica con tanti altri professionisti.
L'ampio (anche se non sempre chiaro) decentramento di funzioni che il titolo V della Costituzione oggi prescrive anche nell'ambito dei beni e servizi culturali, fa sì inoltre che non si possa più pensare a un quadro normativo rigido e monolitico, quanto piuttosto a regole di fondo condivise, a linee guida moderne e innovative, e applicazioni flessibili nell'ampia e variegata realtà delle autonomie locali.
E' con questa certezza che partecipiamo oggi a questi "stati generali" e che proseguiremo insieme a tutti voi nell'impegno per un nuovo e moderno sistema di riconoscimento delle professioni in Italia.