«Bibliotime», anno VI, numero 3 (novembre 2003)


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Tipologie



A chi oggi si affacci sullo scenario professionale, appare difficile stabilire se la classica ripartizione "per tipologie" delle biblioteche sia legata a evenienze di carattere storico-amministrativo, se discenda da necessità funzionali o più squisitamente "utenziali", o se invece non sia soltanto una maniera per incasellare, in termini spesso approssimativi e sommari, il complesso universo bibliotecario e documentale. La questione, a ben guardare, non è né peregrina né meramente nominalistica, specie se si considera il caso italiano, che fra tutti è il più anomalo, essendo i tipi di biblioteche presenti nel nostro paese difficilmente etichettabili secondo canoniche divisioni categoriali.

Una conferma di questa impressione viene dall'ultimo numero della rivista "Economia della Cultura", interamente dedicato alla situazione bibliotecaria della penisola [1]; si tratta di un evento di notevole rilievo, perché per la prima volta un periodico che di norma si occupa di argomenti altri rispetto a quelli di nostro interesse, si è invece rivolto al mondo delle biblioteche, gettando nuova luce su quel "mosaico complesso" che sono le biblioteche italiane.

E che quella nostrana sia una realtà particolarmente articolata e dispersa è un'evidenza che è ben presente a chiunque operi nell'ambiente bibliotecario, o che guardi ad esso in modo disincanto e scevro da pregiudizi: una realtà così eterodossa e disomogenea da mandare in crisi quella perfetta congruenza tipologica che tanto spesso s'incontra nei manuali di biblioteconomia (e che altrettanto spesso si traduce in una domanda "di rito" nei concorsi per bibliotecari), e che per contro dà vita a una pluralità di situazioni che è assai difficile inquadrare in maniera definita.

Non è dunque un caso se le analisi che emergono dal fascicolo in questione dimostrano, fra le molte altre cose, che la canonica suddivisione tipologica (secondo cui le biblioteche si possono distinguere in nazionali, universitarie, pubbliche, scolastiche, speciali...) si attaglia con notevole difficoltà al contesto italiano, non essendovi quasi mai una corrispondenza univoca e diretta fra la categoria "a priori" e la sua reale manifestazione bibliotecaria, fra il termine e il concetto che esso esprime, fra il contenitore e il contenuto.

L'esempio più evidente riguarda la nozione di biblioteca pubblica, che nel mondo anglosassone ha assunto una denotazione assai precisa - e riconosciuta a livello internazionale - mentre in Italia essa è stata declinata in termini assai diversi, se è vero che l'aggettivo "pubblica" è stata inserito nella dizione che fin dall'origine ha caratterizzato le biblioteche appartenenti allo stato, chiamate prima "biblioteche pubbliche governative" e poi "biblioteche pubbliche statali". Tali biblioteche, assai ricche di storia e di tradizione, si sono connotate in modo naturale per un ruolo rivolto alla conservazione e alla trasmissione dell'eredità culturale [2], esprimendo dunque una mission assai distante dall'idea di public library intesa come "il centro informativo locale che rende prontamente disponibile per i suoi utenti ogni genere di conoscenza e informazione" [3].

E' noto peraltro che il concetto e il termine di biblioteca pubblica abbiano stentato ad affermarsi nel nostro paese, se è vero che solo nell'ultimo decennio, "in conseguenza delle varie riforme dell'amministrazione locale con l'introduzione di nuove forme di erogazione dei servizi [...] si è potuto assistere alla nascita di nuove biblioteche locali" [4]: anche se queste ultime mantengono una natura per così dire ibrida, non solo trattandosi di strutture "di appartenenza fondamentelmente locale ma istituite, almeno in alcuni casi, con la partecipazione dell'amministrazione statale" [5], ma anche perché, in diverse situazioni, si trovano ad essere depositarie di una cospicua eredità storica (pensiamo, per fare qualche esempio legato all'Emilia-Romagna, alla Biblioteca Panizzi di Reggio Emilia, alla Malatestiana di Cesena, alla Classense di Ravenna, alla Gambalunga di Rimini), e sono quindi indotte a esplicare il ruolo - duplice e in apparenza concorrente - di biblioteca pubblica e biblioteca di conservazione.

Il quadro determinato da questa ambiguità tipologica e lessicale è completo se si considera che sono ufficialmente definite "universitarie" un gruppo di biblioteche afferenti non già alle università ma allo stato (anch'esse dunque "biblioteche pubbliche statali", dipendenti dal Ministero per i beni e le attività culturali); la singolare conseguenza di tale situazione è che si è costretti a designare le biblioteche presenti negli atenei italiani non già come come biblioteche universitarie (che sarebbe la denominazione più logica), ma biblioteche "di università", "delle università" o, sul modello anglosassone, "biblioteche accademiche".

Se dunque una tipologizzazione di tipo convenzionale difficilmente si attaglia alla realtà italiana, altrettanto complessa e dagli esiti incerti appare una categorizzazione di natura funzionale, legata a quelli che sono i ruoli più specifici di queste biblioteche: in una parola, tutto ciò che nel mondo anglosassone viene indicato con il termine libriarianship, e cioè non la biblioteconomia intesa sotto il profilo disciplinare e teoretico ma la sua incarnazione fattuale, la sua attività sul campo, le diverse competenze che le biblioteche e i bibliotecari dispiegano al servizio di una utenza specifica e nel quadro di una determinata di mission [6].

In Italia, in altri termini, è possibile riconoscere una public librarianship analoga a quella che si è manifestata nei paesi anglosassoni, e che si è poi consolidata nei diversi Manifesti e Linee guida per le biblioteche pubbliche [7]? analogamente, è possibile parlare di una vera e propria academic librarianship in una realtà, qual è quella delle nostre biblioteche di università, in cui la cui "polverizzazione" non sempre è compensata da un'adeguata "cooperazione" [8]? E se la school librarianship appare interamente da costruire con sforzi e finanziamenti adeguati [9], da inventare ex novo sarebbe invece una nuova competenza funzionale, che potremmo chiamare national librarianship, e che dovrebbe esser volta a far emergere, definire e risolvere i problemi propri di quella tipologia tutta italiana che è rappresentata dalle biblioteche nazionali.

Al giorno d'oggi ovviamente sono numerosi gli stimoli alla creazione o al rafforzamento di queste "biblioteconomie tipologiche", se è vero che, negli ultimi anni, il quadro professionale, operativo e disciplinare del nostro paese appare profondamente mutato: non è un caso, scrive Giovanni Di Domenico, se "anche nel nostro paese sempre più stretto stia diventando il rapporto tra elaborazione biblioteconomica, esercizio della professione bibliotecaria e attività di servizio delle biblioteche"; difatti, prosegue l'autore,

vanno rimarcati alcuni fenomeni connessi a questi processi: il considerevole aumento del numero dei bibliotecari che intervengono ai convegni, scrivono articoli, dibattono pubblicamente i loro problemi e le loro proposte; l'ampliarsi e il consolidarsi delle sedi e delle occasioni di elaborazione e di confronto, molto spesso riservate a specifici aspetti dell'attività professionale; il fiorire di una produzione scientifico/divulgativa più articolata che in precedenza, insieme con un mercato editoriale, certo di nicchia, ma piuttosto vivace; un accenno di migliore visibilità della professione bibliotecaria; il moltiplicarsi delle iniziative di formazione; la crescita stessa dell'Associazione italiana biblioteche e il suo tentativo di caratterizzarsi sempre di più soprattutto come associazione di professionisti. Sono fenomeni largamente supportati da uno sfruttamento intensivo delle nuove opportunità offerte dalle tecnologie di rete: penso ovviamente all'uso della posta elettronica, dei forum, della lista di discussione AIB-CUR, dei siti professionali e dei periodici elettronici [10].

Si tratta di una realtà a cui un apporto determinante è stato fornito da un'editoria periodica focalizzata su temi di specifico interesse professionale, e che ha contribuito non poco a far emergere le anomalie che per tanto tempo hanno caratterizzato la nostra realtà bibliotecaria, offrendo allo stesso tempo una serie di strumenti professionali e operativi volti a definire, per dir così, un approccio tipologico più canonico e lineare.

Ed è un solco in cui è inserito anche "Bibliotime", i cui aspetti di rivista di servizio, ma anche di dibattito e approfondimento disciplinare, sono emersi con forza nei sei anni della sua esistenza, e che anche in questo numero si manifestano in maniera assai specifica. E' infatti significativo che il presente numero si connoti per una pluralità di contributi che fanno riferimento alle tradizionali tipologie bibliotecarie (ma in questo caso sarebbe più corretto dire biblioteconomiche): a partire dai due articoli di apertura, che rappresentano un ampliamento a livello internazionale del panorama bibliotecario, e in particolare nella direzione delle biblioteche pubbliche. Il primo è firmato da Barbara Clubb, presidente della Public Library Section dell'IFLA, ed è la ricostruzione (punteggiata da interessanti approfondimenti teorici) della genesi e della realizzazione delle Linee guida IFLA/Unesco per lo sviluppo [11]; mentre il secondo è uno spaccato della realtà delle biblioteche pubbliche danesi, caratterizzato (come scrive il suo autore, Borge Sondergard, anch'egli componente della Public Library Section dell'IFLA) da molte luci e anche da qualche ombra, e che costituisce un punto di vista decisamente interessante sulle tematiche della cooperazione - e a volte della competizione - tra le istituzioni bibliotecarie.

Ma anche le biblioteche accademiche sono presenti, per quanto non in forma diretta come realtà documentarie autonome, ma per il loro ruolo di supporto e, vorremmo dire, di piattaforma operativa delle nuova modalità che caratterizzano l'odierna comunicazione scientifica, e che si basano sulle riviste elettroniche ad accesso aperto e sugli open archives, come testimoniano gli articoli di Antonella De Robbio e Valentina Comba. Last but not least, le biblioteche pubbliche statali nella loro versione "universitaria", che hanno la loro adeguata rappresentazione grazie al contributo di Francesco Guido, il quale dà conto di una dettagliata analisi sull'utenza condotta presso la Biblioteca Universitaria di Genova [12]; trasversale alle diverse tipologie è infine l'articolo di Marina Buzzi e Martha Iglesias, che approfondiscono un discorso di grande rilevanza nell'attuale contesto professionale, e cioè quello relativo ai problemi di copyright per le attività document delivery.

Dunque una pluralità di tematiche, legate alle singole realtà bibliotecarie, ma tutte congiunte da quella funzione univoca e onnicomprensiva che consiste nell'offerta di servizi sempre più vantaggiosi ed efficaci, a testimonianza, se ancora ve ne fosse bisogno, che per tutte le tipologie "l'utente è re, regina, principe o principessa" [13].


Michele Santoro


Note

[1] "Economia della cultura. Rivista trimestrale dell'Associazione per l'Economia della Cultura", 13 (2003), 3.

[2] Al riguardo si vedano, all'interno del fascicolo citato, gli interventi di Riccardo Ridi, Un mosaico complesso: le biblioteche italiane, p. 279-286; Paolo Traniello, La biblioteca pubblica in Italia: una nozione solo apparentemente semplice, p. 287-292; Giuseppe Vitiello, Una nazione con troppe biblioteche nazionali, p. 301-312.

[3] Manifesto IFLA/Unesco sulle biblioteche pubbliche, in Il servizio bibliotecario pubblico: linee guida IFLA/Unesco per lo sviluppo, preparate dal gruppo di lavoro presieduto da Philip Gill per la Section of Public Libraries dell'IFLA. Edizione italiana a cura della Commissione nazionale Biblioteche pubbliche dell'AIB, Roma, Associazione Italiana Biblioteche, 2002, p. 99.

[4] Paolo Traniello, cit., p. 291.

[5] Ibid.

[6] Sulla differenza fra un approccio "applicativo" (librarianship) e uno disciplinare e teorico (library and information science) ci siamo già soffermati in Biblioteconomie, "Bibliotime", 3 (2000), 3, <http://www.spbo.unibo.it/bibliotime/num-iii-3/editoria.htm>.

[7] Al riguardo si rinvia, nel fascicolo citato di "Economia della Cultura", a Elena Boretti, Il difficile equilibrio fra conservazione e fruizione dei documenti, p. 293-299.

[8] Si veda, nel fascicolo citato, il contributo di Graziano Ruffini, Le biblioteche delle università fra cooperazione e polverizzazione, p. 313-320.

[9] Cfr. Luisa Marquardt, Il tassello assente: biblioteche e bibliotecari scolastici, p. 321-328.

[10] Giovanni Di Domenico, Problemi e prospettive della biblioteconomia in Italia, "Bibliotime", 4 (2001), 2, <http://www.spbo.unibo.it/bibliotime/num-iv-2/didomeni.htm>.

[11] La cui traduzione italiana è stata realizzata di recente con il titolo di Il servizio bibliotecario pubblico: linee guida IFLA/Unesco per lo sviluppo, preparate dal gruppo di lavoro presieduto da Philip Gill per la Section of Public Libraries dell'IFLA. Edizione italiana a cura della Commissione nazionale Biblioteche pubbliche dell'AIB. Roma, Associazione Italiana Biblioteche, 2002.

[12] Difatti questa biblioteca, nel proprio sito web, è qualificata come "Biblioteca Pubblica Statale della Liguria del Ministero per i Beni e le Attività Culturali" (http://www.csb-scpo.unige.it/bug/).

[13] Barbara Clubb, Il servizio bibliotecario pubblico: linee guida IFLA/Unesco per lo sviluppo, in questo numero all'indirizzo <http://www.spbo.unibo.it/bibliotime/num-vi-3/clubb.htm>.



«Bibliotime», anno VI, numero 3 (novembra 2003)


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