Benvenuto e Ringraziamenti
Buongiorno e benvenuti a tutti.
Mi presento: sono Margherita Rubino, lavoro da oltre 35 anni in una biblioteca civica in provincia di Brindisi, Latiano, sono Referente del Gruppo di Studio “Professione e Lavoro” dell’AIB-Puglia, e sono iscritta all’AIB da oltre 30 anni.
Oggi il mio compito qui è quello di rappresentare il gruppo di lavoro pugliese che opera in linea con il programma dell’“Osservatorio Lavoro e Professione” dell’AIB, di moderare il nostro incontro, dando la parola ai nostri relatori nonché di presentare il quadro in cui si inserisce il tema che dà il titolo a questo incontro.
Devo iniziare naturalmente con dei ringraziamenti.
Ringrazio, in primo luogo, il Responsabile della Biblioteca che ci ospita, la dott.ssa Lucia Favia e la provincia di Bari, la Regione Puglia, tutti i componenti dell’OLAVEP, in primis la Coordinatrice Rachele Arena, infaticabile e imbattibile stakanovista, il rappresentante del CEN nazionale, Maria Abenante, silenziosa ma ancora più infaticabile di Rachele, il Presidente l’AIB-Puglia e tutto il CER presente.
Ringrazio i relatori presenti e innanzitutto ringrazio tutti voi partecipanti perché ci date la possibilità di approfondire un argomento che non è certamente facile da affrontare.
L’incontro in Puglia
Dico subito che nel mese di settembre, nell’incontro OLAVEP che si è tenuto a Napoli, ci siamo subito candidati a realizzare uno dei tre incontri nazionali previsti per il 2013 nella nostra regione perché volevamo tenere desta l’attenzione in tutta la regione sul SISTEMA BIBLIOTECHE, un’attenzione che ci vede impegnati da anni, in particolare dal 2005, da quando la Regione Puglia ha investito per le biblioteche diversi milioni di euro provenienti da fondi europei (Accordo di Programma Quadro -APQ). Attenzione proseguita con la costituzione e il funzionamento dei Sistemi Ambientali e Culturali (Programma Pluriennale di Attuazione FESR 2007-2010) e successivamente con il Programma Operativo FESR 2007-2013, la discussione sulla nuova legge regionale per i beni culturali e il tentativo in atto di creare un sistema MAB Puglia.
L’incontro poteva essere un’occasione per presentare i primi dati sullo stato dell’arte delle biblioteche pugliesi a seguito del Censimento, appositamente commissionato dalla Regione Puglia e coordinato dalla nostra stessa Associazione, che si è concluso qualche mese fa ed ha censito 449 biblioteche suddivise in:
Provincia |
Tot. biblioteche |
Popolazione |
comuni |
Bibl. comunali |
Bari | 141 | 1.246.742 | 41 | 29 |
BAT | 24 | 391.770 | 10 | 10 |
Brindisi | 42 | 400.504 | 20 | 17 |
Foggia | 80 | 625.657 | 61 | 31 |
Lecce | 111 | 801.170 | 97 | 73 |
Taranto | 51 | 584.229 | 29 | 23 |
TOTALE | 449 | 4.050.072 |
Il gruppo di lavoro nazionale ha proposto di trasformare questo incontro in un approfondimento sul problema delle esternalizzazioni dei servizi bibliotecari.
Affronteremo, insieme al problema delle esternalizzazione, anche altri argomenti cari all’OLAVEP e al gruppo di lavoro: il riconoscimento professionale e i profili professionali.
Prima di entrare nel cuore di questi argomenti ho il piacere di passare la parola ai rappresentanti istituzionali per i saluti.
In primis, al nostro Presidente AIB della sezione Puglia Waldemaro Morgese.
Ringraziamo il dott. Waldemaro Morgese e acquisiamo la sua relazione agli atti.
A questo punto dovremmo passare la parola al rappresentante regionale, al vice-Presidente della Regione Puglia nonché Assessore ai Beni Culturali, Angela Barbanente, che mi dicono arriverà più tardi per via di impegni istituzionali. Noi pugliesi siamo orgogliosi dell’Assessore Barbanente perché conosciamo le sue battaglie per la salvaguardia del nostro territorio. Una donna che concepisce la cultura come elemento essenziale per costruire una società migliore: più giusta, più sicura, più libera e più ricca.
Spesso ci sentiamo dire, quando chiediamo investimenti e disponibilità finanziarie, che il settore culturale è marginale rispetto agli altri, che con la cultura non si mangia: una frase non solo stupida, ma sbagliata perché solo ripartendo da quello che abbiamo e che ci rende unici al mondo potremo tornare a crescere. La cultura permea le nostre vite in ogni aspetto, perché produce pensiero, identità, cittadinanza. La Regione Puglia sta portando avanti una politica incentrata sull’importanza dell’investimento nel campo della cultura, sta cercando di far passare una visione di sviluppo tesa a dimostrare che investire nella cultura e nella salvaguardia dell’ambiente e del paesaggio serve a creare occupazione, sviluppare un tessuto sociale solidale e attivo. Pensiamo ai processi di riqualificazione urbana attivati e finalizzati al recupero di spazi aperti e fruibili ove stimolare la creatività e socialità dei territori, pensiamo agli interventi per rivitalizzare le città, garantire diritti di cittadinanza e consentire alle comunità di tornare ad essere luoghi di produzione culturale.
Se le biblioteche, per dirla con le parole di Antonella Agnoli, sono “Piazze del Sapere”, luogo pubblico per eccellenza, fortemente radicate sul territorio, dove le persone hanno accesso a un bene che per molti può essere fondamentale, che non è semplicemente il libro, il testo in sé, ma è un’atmosfera, un luogo di dialogo, un modo di stare insieme, di consultare, di curiosare, di passare del tempo, allora bisogna continuare ad investire su questa istituzione, riconoscerla fondamentale, servizio essenziale per lo sviluppo e la crescita di una società autenticamente democratica (vi rammento che i servizi culturali non sono considerati “servizi essenziali”).
Al Vice-Presidente della Regione avremmo voluto chiedere di utilizzare l’esistenza delle biblioteche nei Comuni quale requisito di accesso o comunque di valutazione nell’erogazione di qualsiasi forma di finanziamento perché oggi, il rischio è quello che, con la crisi economica, la riduzione delle spese, il blocco del turn over, i servizi bibliotecari possano chiudere.
Speriamo di poter avanzare queste richieste più tardi alla prof.ssa Barbanente, speriamo di non trovare governatori sordi, speriamo di poterle sussurrare con tutta la nostra forza che rivendicare la centralità della cultura (quello che i bibliotecari fanno quotidianamente) significa chiedere di governare tenendo il cittadino e la comunità al centro di ogni loro agire.
Nell’attesa del rappresentante regionale passo la parola al prof. Valerio Sebastiano che sostituisce il prof. Giuliano Volpe – Rettore dell’Università di Foggia – che dal 2011 coordina la Commissione biblioteche (istituita nel 1999) della CRUI – Conferenza dei Rettori delle Università Italiane – un’associazione privata che ha il compito di porsi come sede istituzionale di confronto e sviluppo del sistema delle biblioteche universitarie, per favorirne la crescita e rappresentarne le esigenze.
Ciò che noi chiediamo è un governo che sappia puntare sulla centralità delle competenze, sulla formazione universitaria, sugli investimenti degli istituti culturali, sulla creatività e sull’innovazione.[…]
Dopo questo intervento, tutto incentrato sulla crisi dei sistemi di formazione, sui tagli/riduzione dei costi che hanno portato a comprimere i servizi offerti agli studenti al fine di non aumentare le tasse universitarie ma anche sullo sforzo che il mondo universitario compie per non abbassare le sue proposte formative, è giunto il momento di entrare nel vivo delle tematiche di questo incontro.
Come sapete lo statuto delle professioni non regolamentate è entrato in vigore il 10 febbraio 2013, è stata infatti pubblicata in Gazzetta Ufficiale 26 gennaio 2013, n. 22 , la Legge 14 gennaio 2013, n. 4.
La legge n. 4/2013, come abbiamo ascoltato dalle parole del Presidente Morgese, introduce il principio del libero esercizio della professione fondato sull’autonomia, sulle competenze e sull’indipendenza di giudizio intellettuale e tecnica del professionista. È una legge che consente al professionista di scegliere la forma in cui esercitare la propria professione riconoscendo l’esercizio di questa sia in forma individuale, che associata o societaria o nella forma di lavoro dipendente.
All’interno di questa legge, un ruolo importante è assunto dalle associazioni professionali che (all’articolo 2 della legge 4/2013) sono chiamate a promuovere forme di garanzia a tutela dell’utente attraverso forme di attestazione della professionalità delle prestazioni.
Alcuni parlano di una sorta di “bollino blu” per i professionisti facenti parte di un’associazione professionale.
Non si prevede, tuttavia, alcun obbligo di partecipazione a queste associazioni da parte del professionista, di cui la legge vuole promuovere l’autoregolamentazione volontaria e il raggiungimento di standard professionali qualificati in base alle norme tecniche Uni Iso.
La legge è in linea con le regole della comunità europea in materia di libera circolazione dei beni, capitali e servizi, tra i quali anche l’esercizio delle professioni.
Le direttive europee distinguono tra ATTIVITA’ e PROFESSIONE. Le attività sono i contenuti delle professioni. La giurisprudenza europea regolamenta ogni singola attività. Per ogni attività stabilisce i requisiti di accesso e le modalità del suo esercizio. Per ogni attività è prevista una specializzazione. Per ogni attività c’è un titolo di funzione.
Chi può attestare questi percorsi di formazione? e quindi, chi può Certificare i nostri saperi, le nostre competenze? se non l?AIB!
Maria Abenante, nostra rappresentante nel CEN nazionale, sempre attiva nell’associazione e asso portante per tutti noi, ci introdurrà nel mondo delle opportunità e potenzialità dell’AIB dopo la legge n. 4/2013.
Ringraziamo Maria Abenante, il cui intervento verrà pubblicato sul nostro sito, ed entriamo nel cuore del problema.
Premessa introduttiva
L’esternalizzazione dei servizi è argomento di pura attualità perché da anni assistiamo ad una tendenza sempre più diffusa verso pratiche di outsourcing nella gestione dei servizi pubblici locali.
Esternalizzare un servizio in biblioteca o la biblioteca nel suo insieme vuol dire affidare la gestione ad un soggetto esterno, un soggetto che deve dare idonee garanzie di affidabilità e serietà e mettere a disposizione risorse professionali in possesso di adeguati requisiti.
Esternalizzare è sinonimo di terziarizzare: trasferire funzioni e servizi interni all’azienda a un fornitore esterno. Questo termine “esternalizzazione” è entrato a far parte della P.A. da quando si parla di aziendalizzazione delle amministrazioni pubbliche e da quando sono state adottate/introdotte metodologie gestionali orientate all’efficienza e all’economicità delle gestioni pubbliche, da quando si è prestata attenzione alla qualità dei servizi.
Oggi l’esternalizzazione è quasi una necessità: le norme che regolano i servizi pubblici individuano la gestione in economia come residuale rispetto alle altre forme di gestione.
Siamo costretti ad esternalizzare perché nella pubblica Amministrazione è bloccato il turn over, le spese del personale incidono direttamente sul patto di stabilità, il personale diminuisce ed il rischio è quello di chiudere i servizi, al contrario la voce di spesa per gli appalti non appare come voce “spesa per il personale” per cui gli enti pubblici possono continuare a lavorare anche in presenza di una spending review che blocca le assunzioni e limita le spese per il personale, e possono sopperire al blocco del turn over.
L’esperienza pugliese, nel campo delle esternalizzazioni, è molto scarsa.
Alcuni dati. Su 183 biblioteche civiche (comunali) censite, solo 24 risultano aver ricorso a esternalizzazioni
Provincia | Tot. biblioteche | Bibl. comunali | Esternalizzate |
Bari | 141 | 29 | 2 (Modugno e Cassano Murge) |
BAT | 24 | 10 | 4 (Trani, Bisceglie, Trinitapoli, Barletta, Spinazzola) |
Brindisi | 42 | 17 | 5 (Erchie, Ostuni, San Vito, San Pietro V.co, Carovigno) |
Foggia | 80 | 31 | 1 (San Severo) |
Lecce | 111 | 73 | 9 (Andrano, Castro, Giuggianello, Sannicola, Tiggiano, Ruffano, Leverano, Maglie, Melpignano) |
Taranto | 51 | 23 | 3 (Laterza, Maruggio, Avetrana) |
TOTALE | 183 | 24 |
I dati in nostro possesso al momento non ci permettono di capire quali sono i servizi esternalizzati, se tutta la biblioteca o solo alcuni servizi. Si tratta di dati esigui, il personale appartenente a forme di esternalizzazione è minimo, 1 o 2 persone al massimo. È ovvio che questo dipende dalla grandezza delle biblioteche, sempre molto piccole e quindi biblioteche “monoposto”. Questi dati, seppur grezzi, bastano già per farci venire dei dubbi.
Il termine “outsourcing” viene utilizzato genericamente per indicare ogni qualvolta si ricorre al mercato, sia nei casi di gestione totale (in cui l’ente delega totalmente una sua funzione seppur sulla base di una proposta tecnica-progettuale) e sia nei casi di affidamento di una parte del servizio, spesso ad una sola persona. Capite bene che in questo ultimo caso la situazione diventa delicata. Il servizio, pur affidato all’esterno può assumere caratteri che nulla ha a che fare con un sistema di esternalizzazione puro perché può nascondere altre forme di lavoro: collaborazione professionale, lavoro autonomo o ancora più grave di lavoro parasubordinato.
Comunque sia, il problema della gestione dei servizi pubblici, si inquadra all’interno di nuove strategie orientate alla sussidiarietà orizzontale, basati sull’idea che i pubblici poteri non debbano necessariamente provvedere alla gestione diretta dei pubblici servizi, ma possano avvalersi, laddove possibile, delle risorse rinvenibili nel mercato o nella società civile.
Il problema della gestione dei servizi pubblici è un problema molto tormentato che si trascina da anni e che nella nostra legislazione non è ancora del tutto concluso (si è passati dalla legge 142/90 all’adozione di un Testo Unico del 2000 che, avrebbe dovuto segnare un punto di stabilità ma che già l’anno successivo venne modificato e poi radicalmente riformato dalla legge 326/2003, dalla sentenza della Corte Costituzionale del 2004 con la quale venne dichiarato incostituzionale l’art. 113 bis all’articolo 23-bis della legge 133/2008 relativo alla privatizzazione dei servizi pubblici locali a rilevanza economica, sino ad arrivare al referendum del 2011 sull’abrogazione dell’art. 23-bis e alla sua riproposta parziale sino ad arrivare all’attuale sentenza del 2012).
Non è questa l’occasione per parlare di questo travagliato percorso che apre le porte al problema delle liberalizzazioni dirette a ripristinare nel settore economico la libertà di iniziativa privata eliminando, o riducendo, i condizionamenti pubblici esistenti. Il dato certo è che le attuali norme in materia di gestione dei servizi pubblici tendono alla ricerca di forme innovative di collaborazione e coordinamento tra il pubblico e il privato, guidate da criteri di efficienza ed economicità.
Non esiste un modello gestionale migliore degli altri, ma ognuno è consigliabile a seconda degli obiettivi di medio-lungo termine che la struttura o l’ente preposto alla sua gestione si pone.
Il problema è come gestire, dall’inizio alla fine, la scelta di un’esternalizzazione.
Non posso nascondervi che nel momento in cui sono venuta a conoscenza del tema che oggi stiamo trattando, una domanda precisa è iniziata a martellarmi nella mente: Perché si esternalizza?
Per snellire l’organizzazione della P.A.?
Per esigenze di razionalizzazione produttiva?
Per migliorare la qualità dei servizi?
Si esternalizza perché i costi connessi alla gestione diretta sono insostenibili?
E cosa succede quando si riducono i costi? quali garanzie? a discapito o favore di chi?
Si esternalizza perché l’intervento pubblico in economia è troppo imbevuto da corruzione? O si esternalizza per facilitare la corruzione?
Si esternalizza perché in questo modo i servizi divengono estranei ai vincoli del diritto amministrativo e quindi alcune operazioni sono più agevoli?
Sicuramente si ma è vero anche che l’esternalizzazione può essere un modo per ripensare i nostri servizi, per offrire una migliore qualità dei servizi ai cittadini/utenti, per non chiudere i nostri servizi.
Nella gestione dei servizi pubblici c’è una forte necessità di superare la scarsa efficienza ed economicità degli strumenti gestionali classici della Pubblica Amministrazione, che soffrono di un’endemica rigidità decisionale, sono per lo più ancorati a logiche burocratiche poco orientate alla qualità del servizio e alla responsabilizzazione della classe dirigente.
C’è una necessità di introdurre sistemi di controllo di gestione in grado di garantire un corretto monitoraggio dei costi e dei ricavi. C’è una necessità di stimolare nuovi stakeholder a investire in forme di mecenatismo legate alla prestazione di servizi.
MARIA DETTORI – sociologa, esperta in politiche pubbliche e culturali, ci condurrà all’interno del mondo delle esternalizzazioni. La dott.ssa Dettori – Consulente in programmazione e progettazione dei servizi, Già Dirigente Settore Servizi al Cittadino (Servizi Sociali, Pubblica Istruzione, Sport, Cultura e Turismo) della città di Trani in Puglia, esperta in Progettazione in ambito europeo – affronterà il problema dalla parte della Pubblica Amministrazione: quali prospettive o criticità? Quali le buone pratiche?
A lei la parola.
Tutti auspichiamo un comportamento nella gestione delle esternalizzazione così come ce l’ ha prospettato la dott.ssa Dettori. Ciò che si evince è che l’esternalizzazione, quindi, è una scelta delicata per le sue complesse implicazioni e possibili conseguenze positive o negative. Una scelta che non va delegata nei suoi contenuti tecnici agli uffici amministrativi dell’ente ma gestita da personale competente, possibilmente all’interno della stessa biblioteca.
Tante le domande che nascono, ci chiediamo:
Quanto la Qualità dei servizi e la soddisfazione dell’utenza sono resi compatibili con le scelte di fondo e le risorse economiche che la P.A. mette a disposizione? Quanto dipendono i bisogni pubblici dallo stato di salute economica del fornitore e quanto dalla professionalità delle aziende? Quanto incide il potere degli organi politici rispetto a quello manageriale nella formulazione delle gare? Quali sono i costi-benefici, le opportunità-minacce, le prospettive e le criticità e le buone pratiche dell’esternalizzazione dalla parte delle cooperative e delle società?
Di questo ci parlerà la dott.ssa Gigliola Marsala, che in questa occasione rappresenta se stessa in quanto responsabile della cooperativa CAEB nonché responsabile dell’ASPIDI, l’Associazione per la Promozione delle Imprese di Documentazione e Informazione. Un’associazione che promuove, tutela e valorizza le imprese private che operano nel campo del trattamento dell’informazione e che si caratterizzano per il grado di affidabilità e qualità dei servizi resi, per la corretta applicazione della normativa del lavoro, societaria e fiscale.
Correttezza, trasparenza e liceità sono comportamenti professionali importanti per la garanzia del lavoro che in tempo di crisi è di per sé precario e flessibile.
Ascoltiamo la voce delle aziende.
“No al massimo ribasso nelle gare d’appalto”, campagna dell’AIB, ribadito con forza da Gigliola Marsala, a favore dell’offerta economicamente più vantaggiosa. La scelta di procedere, nelle gare per la gestione dei servizi culturali, alla valutazione del criterio dell’offerta economica più vantaggiosa e della proposta di offerta di servizi qualitativamente più favorevole oltre che consentire un confronto concorrenziale sulla base di elementi qualitativi è sancito, per i “servizi per il pubblico” dagli artt. 115 e 117 del Codice per i Beni Culturali.
Questo perché trattasi di servizi dati in “concessione” e non “in appalto”.
Come vediamo, da questo intervento si aprono nuovi orizzonti che necessiterebbero di un altro incontro: Qual è la differenza tra “valorizzazione” e “tutela” dei beni culturali? Quale differenza tra “Concessione” e “appalto”? Quale la linea di confine tra “servizi per il pubblico” e “servizi aggiuntivi”, o ancora tra “servizi strumentali e “servizi propri di una biblioteca”?
Diamo per data la conoscenza e per un maggiore approfondimento rinviamo alla lettura della deliberazione, citata da Gigliola, n. 57 che l’AVCP ha emesso il 06.10.2010 e a diverse sentenze emesse dai TAR..
La dott.ssa Marsala si è soffermata anche sulla necessità di accompagnare le offerte economiche con appropriate giustificazioni che generalmente vengono richieste solo in caso di offerte anormalmente basse; ha chiesto maggiore chiarezza nelle griglie di valutazione per l’attribuzione dei punteggi nella valutazione delle offerte tecniche progettuali, ed una comparazione delle offerte economiche basate sul prezzo e non sui ribassi. Ci ha dimostrato come alcuni documenti richiesti per verificare la regolarità contributiva e il rispetto dei CCNL non bastano per valutare la reale correttezza aziendale nel rispettare le norme in materia di lavoro.
Il momento di stesura di tutti i documenti di gara (bando, capitolato d’oneri, disciplinare e atti connessi) è un momento delicatissimo, essi costituiscono la lex specialis della gara e sono vincolanti in modo inderogabile per tutti i soggetti interessati. Da essi inizia un buon avvio del servizio.
Valentina Bondesan, rappresenta la Fondazione per Leggere – Biblioteche sud ovest di Milano. Si tratta di una fondazione di partecipazione, una gestione combinata, che coinvolge 58 soggetti pubblici – Amministrazioni Comunali-, nata nel 2006 e che ha la sua sede centrale ad Abiategrasso, in provincia di Milano. La fondazione, nata, originariamente, con l’obiettivo di promuovere ed educare i cittadini alla lettura, oggi rappresenta anche un nuovo modo di gestione centralizzata dei servizi bibliotecari di una vasta area territoriale.
È anche questa una forma di esternalizzazione molto interessante, si tratta della possibilità di gestione diretta di servizi pubblici locali privi di rilevanza economica, in particolare dei servizi culturali, tramite affidamento a soggetti terzi, prevista dall’art. 113bis del D. Lgs. 267/2000.
Nelle fondazioni, il fondatore non concorre alla gestione dell’ente, che viene gestito da amministratori, che hanno il compito di applicare ed eseguire l’atto di fondazione.
I rapporti tra gli enti locali ed i soggetti erogatori dei servizi vengono regolati da contratti di servizio (comma 5 dell’articolo 113 bis).
Il contratto di servizio è un primo elementare approccio alla logica della “governance” dei servizi pubblici locali. È nel contratto di servizio che vengono fissati gli standars quantitativi e qualitativi dei servizi offerti all’utenza, la disciplina delle tariffe, i servizi accessori, e soprattutto adeguati strumenti di verifica del raggiungimento degli standars previsti. La logica cui risponde un buon contratto di servizio è quella del mantenimento del controllo pubblico sull’erogazione del servizio.
Accanto al contratto di servizio il legislatore ha previsto la carta dei servizi – art. 11 del dlgs n. 286/1999: “I servizi pubblici nazionali e locali sono erogati con modalità che promuovono il miglioramento della qualità e assicurano la tutela dei cittadini e degli utenti e la loro partecipazione, nelle forme, anche associative, riconosciute dalla legge, alle inerenti procedure di valutazione e definizione degli standard qualitativi.”
La caducazione della norma – art. 113 bis – per effetto della dichiarazione di incostituzionalità non ha determinato per gli enti locali l’impossibilità di utilizzare i modelli giuridici ivi disciplinati per la gestione dei servizi pubblici locali privi di rilevanza economica, potendo sopperire alla carenza legislativa mediante l’autonomia normativa ed organizzativa riconosciuta loro dalla Costituzione.
Le fondazioni partecipate dall’ente locale costituiscono una ipotesi atipica di fondazione, in quanto non espressamente disciplinata dal codice civile, esse si presentano come una via di mezzo tra associazione e fondazione.
Ascoltiamo quindi l’esperienza che ci porta Valentina Bondesan.
Più che della gestione di un servizio bibliotecario attraverso l’istituto della Fondazione, Valentina Bondesan ci ha illustrato le modalità utilizzate dalla fondazione per garantire il funzionamento di alcuni servizi o di biblioteche pubbliche. Forme di esternalizzazioni attente alla salvaguardia dei posti di lavoro e delle competenze formatesi negli anni all’interno dei servizi.
Conclusioni
Terminate le relazioni e concluso il dibattito, abbiamo da chiederci: Cosa è venuto fuori? Dal mio punto di vista la necessità di una maggiore e concreta “governance” pubblica.
In un processo spinto di esternalizzazione di servizi da parte degli enti pubblici lamentiamo una carente organizzazione del “governo” pubblico. Una volta esternalizzati i servizi non possono essere considerati un’entità “astratta”, un’entità “altra” dall’ente committente. Con l’esternalizzazione gli enti, da soggetti direttamente gestori ed erogatori di servizi diventano soggetti regolatori di servizi gestiti da una molteplicità di operatori esterni, dal privato sociale alle società di capitali partecipate, dalla gestione in house all’affidamento ad aziende terze. In questo passaggio l’ente pubblico assume il ruolo di holding (controllore).
Abbiamo appreso, ma già ne eravamo consapevoli, che ogni scelta gestionale deve essere subordinata ad una previa verifica di condizioni di mercato e di concorrenzialità praticabile, nonché da una attenta analisi delle particolari condizioni e caratteristiche del servizio stesso.
Alla base di una esternalizzazione, qualunque sia la motivazione, è opportuno partire da un’ottica di servizio, di centralità dell’utenza, da un’idea precisa di servizio misurabile quantitativamente e qualitativamente, valutabile secondo processi sistematici che consentano di verificare l’efficienza e l’efficacia delle attività e di dare un giudizio sul loro valore sulla base di alcuni criteri predefiniti nella propria mission.
Quindi svolgere una seria attività prodromica: Misurare (come fase iniziale di un processo di valutazione), a partire dall’analisi dei bisogni della comunità – confrontare (con riferimento alla stessa struttura ma anche a standard o ad altre strutture) – Valutare e solo dopo decidere. La necessità di operare una preventiva “analisi strategica iniziale” attraverso la quale individuare con chiarezza e precisione le attività che possono essere affidate alla gestione di terzi, è già un primo passo positivo. Definire le aspettative, prestare attenzione, soprattutto, al costo che in quel momento si sostiene per lo svolgimento delle attività che s’intende esternalizzare e quello che si sosterrebbe affidando le stesse alla gestione di terzi, è il secondo passo. Una volta valutata la reale convenienza dell’esternalizzazione del servizio bisogna definire i criteri di scelta del fornitore, e la formula istituzionale più adatta per il tipo di servizio.
Ancora una volta insisto nel non dimenticare che il ruolo dell’Amministrazione non si risolve nel momento dell’affidamento, ma continua, in quella che viene definita “fase esecutiva”, nella gestione del contratto di servizio, nel monitoraggio e nella valutazione finale dei servizi. L’Amministrazione pubblica, non deve mai dimenticare che la sua funzione principale è quella di perseguire sempre un interesse pubblico ed ogni singola azione deve essere giustificata dal perseguimento di tale interesse, un interesse generale.
La logica non può non essere che quella della qualità continua da gestire attraverso accorgimenti tipici del project management.
Vi ringrazio per l’attenta partecipazione.