L’AIB, in occasione della conversione in Legge del DL n. 91/2013, ha presentato alcuni emendamenti ai senatori del VII Commissione permanente “Istruzione pubblica e Beni culturali”.
Le proposte di emendamento al testo sono disponibili anche come file PDF.
EMENDAMENTO 1
Si propone che all’art. 4 siano aggiunti i seguenti due commi:
5. Il Fondo per il diritto di prestito pubblico istituito con il D.L. 262/2006, convertito in Legge 286/2006 (art. 2 commi 132 e 133) è assegnato al Centro per il Libro e la Lettura e destinato al sostegno degli interventi di promozione della lettura e di sostegno all’attività delle biblioteche pubbliche, definiti di concerto con gli aventi diritto.
6. La lett. b) dell’art. 2 comma 4 della Legge 27 luglio 2011 n. 128 è abrogata.
MOTIVAZIONI
La legge 27 luglio 2011 n. 128 recante “Nuova disciplina del prezzo dei libri” ha modificato la disciplina previgente (Legge 7 marzo 2001, n. 62) equiparando biblioteche, archivi, musei pubblici, istituzioni scolastiche di ogni ordine e grado, università al “consumatore finale” (art. 2 comma 4 lett. b). In virtù dell’entrata in vigore della norma (cd. “Legge Levi”, dal nome del suo primo firmatario) la vendita di libri a tali istituti è consentita con sconti fino a una percentuale massima del 20 per cento sul prezzo fissato dall’editore. In particolare, l’equiparazione delle biblioteche al “consumatore finale” è concettualmente errata perché nega la funzione di promozione della lettura e di diffusione dei prodotti editoriali che rappresenta un elemento fondamentale della funzione culturale e sociale delle biblioteche di tutto il mondo. La previsione normativa sembra lasciar trasparire che per il legislatore esista una dinamica concorrenziale fra biblioteche e librerie e che, per sostenere le seconde, si debbano necessariamente restringere i margini di azione delle prime.
L’AIB ritiene che le biblioteche debbano essere escluse dall’applicazione dei limiti di sconto poiché essi riducono la loro capacità di promuovere la lettura. I servizi delle biblioteche, infatti, contribuiscono a radicare nei cittadini la passione per i libri e le abitudini di lettura, contribuendo ad allargare la base sociale dei lettori, prerequisito imprescindibile per rafforzare il mercato librario e per tutelare tutti gli attori della filiera del libro. La modifica alla Legge 128/2011 nel senso indicato rappresenta il riconoscimento del ruolo delle biblioteche senza pregiudizio nei confronti di una norma il cui obiettivo dichiarato consiste nel “contribuire allo sviluppo del settore librario, al sostegno della creatività letteraria, allo sviluppo del libro e della lettura, alla diffusione della cultura, alla tutela del pluralismo dell’informazione”.
Per queste ragioni l’AIB chiede di modificare l’art. 2 della Legge 128, reintroducendo l’esenzione prevista a favore di biblioteche, archivi e musei pubblici dalla Legge 7 marzo 2001, n. 62, art. 11 comma 3 lett. i-bis.
EMENDAMENTO 2
Si propone che all’art. 3 siano aggiunti i seguenti due commi:
3. Al comma 3. dell’art. 114 del D.Lgs. 42/2004 recante il Codice dei beni culturali e del paesaggio, dopo le parole: “I soggetti che, ai sensi dell’art. 115,” si aggiungono le seguenti: “in forma diretta o indiretta”.
4. All’art. 114 del D.Lgs. 42/2004 recante il Codice dei beni culturali e del paesaggio si aggiunge il seguente comma:
“4. Le regioni, nell’ambito delle proprie competenze costituzionali e nelle forme previste dai rispettivi statuti, adottano forme di riconoscimento e accreditamento di istituti e luoghi della cultura di cui all’art. 101, nel rispetto dei livelli di qualità della valorizzazione di cui al presente articolo.”
MOTIVAZIONI
A oltre dieci anni dall’adozione del D.M. 10 maggio 2001 contenente i criteri tecnico-scientifici e gli standard di funzionamento e gestione dei musei, la Commissione Beni e Attività culturali della Conferenza delle Regioni e Province autonome, di concerto con il Ministero Beni e Attività Culturali ha avviato nel 2012 un tavolo di lavoro congiunto con l’obiettivo di dar seguito alla previsione dell’art. 114 del Codice dei Beni culturali – che prescrive la fissazione da parte di MiBAC, Regioni e altri enti territoriali, con il concorso delle università, di “livelli minimi di qualità della valorizzazione”. I lavori di studio e redazione di bozze sono stati svolti nel corso del 2013 da tre gruppi (formati da tecnici del MiBAC e delle Regioni, con il concorso delle associazioni professionali di settore) rispettivamente dedicati a “Musei e parchi archeologici”, “Archivi e biblioteche”, “Integrazione delle politiche di valorizzazione territoriale”. I lavori dei gruppi hanno potuto utilizzare (aggiornandoli) i documenti preparatori del D.M. 2001 nonché i corposi risultati della c.d. “commissione Montella” che tra 2006 e 2008 ha predisposto gli atti per l’applicazione dell’art. 114, non approdando purtroppo a una loro formalizzazione in sede politica. Gli attuali documenti in corso di predisposizione (di cui si prevede la trasmissione agli organi politici Stato-Regioni entro il corrente 2013) tengono anche conto delle delibere CIVIT in tema di servizi pubblici, e delle rinnovate linee guida ministeriali sulle “carte dei servizi”, nonché degli sviluppi in ambito professionale promossi soprattutto dal coordinamento MAB (Musei Biblioteche Archivi) creato da A.I.B., A.N.A.I. e ICOM Italia.
La proposta di inserimento delle parole “in forma diretta o indiretta” al c. 3 dell’art. 114 del Codice è motivata dalla volontà di esplicitare e di rafforzare, senza lasciare dubbi interpretativi, la necessità di applicazione – a prescindere dalla forma gestionale localmente adottata – dei “livelli minimi” previsti dallo stesso art. 114 ai commi 1 e 2.
La proposta di inserimento – allo stesso art. 114 – del comma 4 come sopra esposto è motivata dall’opportunità che l’applicazione dei “livelli minimi di qualità” previsti dal 114 sia mediata e adattata alle specificità territoriali da parte delle Regioni, che sole hanno capacità di analisi e programmazione in grado di assicurare una reale e concreta applicazione degli standard. Processi di accreditamento e riconoscimento a livello regionale – eventualmente correlabili all’erogazione di risorse contributive – possono essere una forma giuridicamente non troppo rigida (“certificatoria” e non “autorizzatoria”) per incentivare lo sviluppo di servizi di qualità per la fruizione allargata di beni culturali. Le esperienze già consolidate in varie regioni sul riconoscimento degli istituti e sistemi museali confermano la praticabilità ed efficacia di questo modello.
EMENDAMENTO 3
Si propone che all’art. 3 siano aggiunti i seguenti due commi:
5. All’articolo 107, comma 1, del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, le parole “possono consentire” sono sostituite dalla parola “consentono”; le parole “fatte salve le disposizioni di cui al comma 2 e quelle in materia di diritto d’autore” sono sostituite dalle seguenti: “previa verifica dell’assenza di specifiche ragioni ostative, quali ad esempio motivate esigenze di tutela dell’integrità del bene o della sua destinazione d’uso, o il rispetto delle norme in materia di sicurezza pubblica, riservatezza e trattamento dei dati personali, diritto d’autore”[1].
6. All’articolo 108, comma 3, del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, dopo le parole “per motivi di studio,” sono aggiunte le parole “o per finalità didattiche o di documentazione scientifica a carattere non commerciale,”; è aggiunto, in fine, il seguente periodo: “Qualora abbiano ottenuto la riproduzione con propri mezzi e spese, sono tenuti a consegnarne una copia all’amministrazione concedente, che mantiene ogni diritto di utilizzazione su tale riproduzione, su qualunque supporto e in qualsiasi formato [2].
MOTIVAZIONE
La legge Ronchey, poi incorporata nel Codice dei beni culturali, ha introdotto un diritto esclusivo degli istituti culturali sulla riproduzione dei beni facenti parte delle loro collezioni (artt. 107 e 108 del D.Lgs. 42/2004), che ha limitato la possibilità per i ricercatori di acquisire riproduzioni con proprie attrezzature, specialmente nel caso in cui i servizi di riproduzione siano stati affidati dall’istituto in outsourcing con precise clausole di esclusiva. Anche quando lo stesso studioso sia autorizzato a scattare le foto, una circolare ministeriale (Circolare del MIBAC, n. 21 del 17 giugno 2005) relativa agli archivi e velocemente ripresa come modello in altre sedi ha previsto l’imposizione di tariffe sulla riproduzione. Questo, mentre il quadro normativo complessivamente delineato dal Codice dei beni culturali e del paesaggio prevede esplicitamente la gratuità delle riproduzioni richieste dagli utenti per finalità culturali ad esclusione del solo ed eventuale rimborso delle spese sostenute dall’amministrazione.
Per quanto attiene alla pubblicazione di tali riproduzioni, le prassi burocratiche di concessione della relativa autorizzazione comportano tempi e oneri che di fatto limitano tale possibilità, tanto più nel caso di edizioni digitali o distribuite on line. Sono oltretutto procedure che hanno un costo di gestione significativo per l’istituto senza che vi si possa scorgere alcun vantaggio.
Si innesca così un circolo vizioso di decrescita della fruizione del patrimonio culturale che, ostacolando la ricerca, limita le opportunità di valorizzazione anche economica che deriverebbero da una migliore diffusione della conoscenza dei beni culturali presenti nelle raccolte di tali istituti.
È quindi estremamente auspicabile una riforma che preveda la libera riproducibilità dei beni culturali per finalità di ricerca e documentazione, fatte salve le esigenze di tutela e conservazione, oltreché quelle relative a eventuali diritti di terze parti.
Tale riforma sarebbe, tra l’altro, pienamente coerente con la recentissima Direttiva 2013/37/UE che riforma la Direttiva del 2003 sul riuso dell’informazione del settore pubblico. La riforma infatti estende il suo raggio d’azione alle biblioteche, agli archivi e ai musei pubblici e afferma il principio che le raccolte presenti in questi istituti devono essere liberamente riproducibili e riusabili a scopo commerciale e non commerciale, fatti salvi eventuali diritti d’autore, e che eventuali accordi di esclusiva stipulati dall’istituto con singoli gestori delle attività di riproduzione devono avere durata limitata nel tempo ed essere giustificati dall’obiettivo del finanziamento di progetti di digitalizzazione o comunque volti al potenziamento dei servizi erogati, ivi compresi l’accesso e il riuso.
[1] Con questo emendamento si chiarisce che la riproduzione di beni culturali in possesso di soggetti pubblici deve essere generalmente consentita eccetto nei casi in cui verificabili ragioni di particolare rilevanza inducano a negare il consenso alla riproduzione.
[2] Con questo emendamento si afferma il principio della gratuità dell’autorizzazione alla riproduzione di beni culturali per utilizzazioni non commerciali di particolare rilevanza ai fini della libertà della ricerca e dell’insegnamento, salvo il rimborso dei costi marginali della riproduzione stessa. Inoltre, si afferma il diritto dell’istituzione concedente di ottenere copia della riproduzione, se effettuata dall’utente e non dall’istituzione concedente, e di poterla liberamente riutilizzare in ogni modo.