Ravello, Auditorium Niemeyer
10-11 giugno 2022
con il patrocinio di
Prima sessione: Chi fa cosa in Italia. Quadro normativo, stakeholders, rilevazioni, azioni di sistema
Chair: Alfonso Andria (Presidente del Centro Universitario Europeo per i Beni culturali)
Interventi (ordine alfabetico):
Valorizzare l’eredità culturale come bene comune nell’orizzonte della Convenzione di Faro, Viviana Di Capua (Ricercatore in Istituzioni di diritto pubblico, Università di Napoli Federico II)
Il dibattito contemporaneo sui beni comuni, il cui punto di avvio viene tradizionalmente fatto risalire alla pubblicazione del celebre studio Garret Hardin, The Tragedy of the Commons, ha ricevuto nuova enfasi grazie all’adozione della Convenzione di Faro, che ha riconosciuto alla società civile un ruolo prioritario nei processi di individuazione, conservazione, valorizzazione e gestione dei beni culturali. L’intervento si propone di verificare se la Convenzione ponga i presupposti e le condizioni giuridiche – principi, criteri e strumenti – per considerare e valorizzare il patrimonio culturale come bene comune. A tal fine, la relazione prenderà avvio da una concisa ricostruzione del mai sopito dibattito sui beni comuni, proseguirà lungo la prospettiva che considera la cultura e il sapere umano come nuova forma di risorsa comune e si soffermerà su alcune esperienze applicative della Convenzione, dalle quali è emersa una proficua interazione con le operazioni di rigenerazione territoriale comprendenti interventi su beni culturali (materiali) in stato di degrado o di abbandono che raccontino la storia di una comunità e di un territorio. Per questa via, si cercherà di dimostrare che l’orizzonte applicativo della Convenzione si estenda dalla rigenerazione dei beni materiali fino alla valorizzazione dell’immateriale culturale.
Obiettivo 4 e attuazione della Convenzione di Faro, Paola Dubini (Chair del Gruppo Cultura di ASviS; Professore Associato di Economia aziendale, Università Bocconi)
La convenzione di Faro stimola le comunità e i territori a custodire e tramandare conoscenze, abilità e pratiche specifiche; da questo punto di vista è evidente il legame con l’obiettivo 4 dell’agenda 2030. Tuttavia, l’effettiva possibilità che questo patrimonio si conservi e si trasmetta è fortemente condizionato dalle caratteristiche socio culturali del contesto e dalle economie che possono svilupparsi attorno a questi saperi. Perché questo patrimonio immateriale rimanga elemento distintivo di una comunità e fattore di crescita è necessario che sia visibile e fatto proprio, inserendosi nella contemporaneità. Le biblioteche stanno interrogandosi profondamente su come diventare luoghi di comunità e come attivare in modo efficace e su scala adeguata processi formali e informali di apprendimento. L’intervento riflette su alcune condizioni di funzionamento che permettano le biblioteche di partecipare alla conservazione e alla trasmissione di patrimonio immateriale in modo adeguato.
L’azione delle biblioteche per lo sviluppo sostenibile: fare rete per un uso saggio dell’eredità culturale, Rossana Morriello (Componente di EBLIDA Expert Group European Libraries and Sustainable Development Implementation and Assessment; componente di IFLA ENSULIB Environment Sustainability and Libraries; Bibliotecaria al Politecnico di Torino)
La Convenzione di Faro pone al centro dell’attenzione la necessità di creare reti culturali per preservare, trasmettere e consolidare l’eredità culturale. La Convenzione sottolinea il concetto importante del diritto all’eredità culturale, del diritto dei cittadini di accesso al patrimonio culturale in tutte le sue manifestazioni, come peraltro sancito dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo. Riconosce, inoltre, come tale esigenza possa essere soddisfatta solo con il coinvolgimento delle comunità, ovvero costruendo comunità consapevoli e motivate che si identifichino con il bene comune e riconoscano il valore del patrimonio culturale come fondamento dell’identità e risorsa per lo sviluppo sostenibile. L’elemento fondamentale per costruire le comunità patrimoniali è la conoscenza. Solo la conoscenza del valore dell’eredità culturale può muovere le comunità all’azione e innescare il cambiamento. Tuttavia, tale conoscenza non è ancora sufficientemente diffusa, non solo tra i cittadini ma anche tra gli stessi operatori culturali. L’intervento presenterà a riguardo i primi risultati di un questionario sull’Agenda 2030 promosso dall’AIB e indirizzato alle biblioteche sul territorio nazionale, dai quali emerge la necessità imprescindibile di percorsi di formazione e istruzione e di rafforzamento delle reti di relazioni. Le biblioteche sono istituzioni diffuse capillarmente e punti nevralgici per propagare la consapevolezza tra i cittadini, ma per farlo non possono prescindere dal consolidare le linee sinergiche di interazione.
Patrimonio culturale e dialogo tra generazioni, Anna Papa (Professore ordinario di Diritto pubblico, Università di Napoli Parthenope)
Il patrimonio culturale e il paesaggio hanno sempre rappresentato e ancora rappresentano elementi importanti di rappresentazione dell’identità della comunità nazionale nella sua unicità e nelle tante declinazioni territoriali che essa rappresenta. Di questo la legislazione, a partire dagli Stati preunitari, ha sempre preso atto, dando vita ad un sistema di tutela – e più di recente – di valorizzazione del patrimonio stesso e dei suoi singoli beni. Punto alto di questo sistema di tutela è rappresentato dall’art. 9 della Costituzione, nel quale si affida alla Repubblica il compito di tutelare il paesaggio e il patrimonio storico artistico della Nazione. Anche a livello internazionale si è registrata una crescente attenzione – pur con criticità non marginali – alla tutela dei beni culturali e al ruolo che essi hanno nella rappresentazione della cultura di una comunità. In questo contesto si inserisce la Convenzione di Faro, che bene esprime il valore di “eredità” del patrimonio culturale e la continuità tra generazioni che esso vuole rappresentare. Il tema del rapporto tra generazioni è oggi di grande attualità, nella riflessione giuridica ma anche in quella politica e di opinione pubblica. Ed appare significativo che la costituzionalizzazione dell’interesse delle future generazioni abbia trovato collocazione proprio nell’art. 9 Cost., in seguito alla recente riforma costituzionale del febbraio 2022. Proprio tale riforma ha tuttavia reso evidente come occorre procedere ad un nuovo bilanciamento tra gli elementi del nuovo art. 9: in primo luogo tra generazione presente e generazioni future; in secondo luogo, tra ambiente, patrimonio culturale e paesaggio, la cui linea evolutiva non appare pienamente coincidente. In questa riflessione, la Convenzione di Faro – pur con qualche difficoltà interpretativa derivante dalla legge italiana di ratifica – concorre a fornire alcuni importanti criteri alle future scelte e alla ricerca di nuovi equilibri.
Rigenerare per valorizzare. Principi e strumenti della rigenerazione del patrimonio culturale, Carmen Vitale (Ricercatore di Diritto Amministrativo, Università di Macerata)
Il tema delle disuguaglianze sociali (anche culturali) già evidente prima della pandemia ha assunto nell’ultimo biennio dimensioni sempre più rilevanti. A fronte delle difficoltà nella fruizione dei servizi culturali anche legate ad una gestione inefficiente del patrimonio culturale, l’ordinamento sovrastatale suggerisce il ricorso forme di valorizzazione più sostenibili che presuppongono un coinvolgimento attivo delle comunità, la ricerca di forme più snelle di collaborazione pubblico privato e la definizione di strumenti per la rigenerazione ed il riuso del patrimonio culturale. In questo contesto la Convenzione di Faro contiene spunti interessanti, rispetto ai quali tuttavia occorrerà valutare la concreta attuazione in ambito nazionale.
In ambito locale, si è chiaramente espressa la tendenza alla ricerca di forme di sperimentazione e innovazione, che specie attraverso il coinvolgimento di soggetti non profit, mirano ad una rigenerazione del patrimonio culturale. La cultura diviene dunque il motore di politiche di innovazione e sviluppo (il c.d. welfare culturale) che possono, se opportunamente indirizzate, contribuire a ridurre le disuguaglianze territoriali e sociali.
Dalla lunga battaglia per la ratifica della Convenzione Faro all’applicazione dei suoi principi in azioni concrete, Giuliano Volpe (Professore Ordinario di Archeologia, Università di Bari; Presidente della Federazione delle Consulte universitarie di Archeologia)
Nella relazione si ripercorrono alcune tappe del percorso di ratifica della Convenzione di Faro da parte del Parlamento italiano e dell’azione che in tal senso ha svolto il Consiglio superiore ‘beni culturali e paesaggistici’ del MiBACT ora MiC, durante la presidenza del relatore, a partire dalla questione, centrale e nient’affatto ‘accademica’, della traduzione di “cultural heritage”.
Si fanno cenni alle varie forme di resistenza e opposizione e, al contrario, ai fermenti presenti nella società.
Si propone pertanto di puntare, nell’applicazione dei principi della Convenzione di Faro non già con misure top down, ma grazie a un’azione bottom up, dal basso, valorizzando le tante realtà attive in ogni territorio d’Italia.
Discussione
Ore 13.30-14.30: Light lunch (a pagamento con la possibilità di acquistarlo in fase di registrazione)
Seconda sessione: Comunità patrimoniali, comunità professionali(focus sulle biblioteche)
Chair: Rosa Maiello (Presidente dell’Associazione italiana biblioteche; Direttore della Biblioteca dell’Università di Napoli Parthenope)
Interventi (ordine alfabetico):
La documentazione di fonte pubblica e la costruzione dell’eredità culturale: il ruolo delle Biblioteche, Laura Ballestra (Coordinatore del Gruppo di studio AIB sulla Documentazione di fonte pubblica; Direttore della Biblioteca della LIUC Università Cattaneo)
L’eredità culturale di una comunità, di ogni comunità, è un elemento dinamico, che per essere salvaguardato deve essere continuamente ricostruito, perché in primo luogo a cambiare sono la comunità stessa e la sua identità. Le biblioteche sono state negli ultimi secoli, e sono ancora oggi, una delle istituzioni in cui questa rielaborazione avviene attraverso l’organizzazione delle conoscenze reificate in documenti. Il confronto con le pubblicazioni può contribuire a far sì che si sviluppi un’identità comunitaria plurale e che si produca la reale e dinamica eredità culturale di una specifica comunità. Solo a partire da un’identità plurale sarà possibile per tutti leggere le tracce del passato in modo complesso. L’identità oggi non può che essere identità locale, nazionale, europea e mondiale, mentre categorie del passato, un “noi” e un “loro”, vengono costantemente a ridefinirsi a seguito dei fenomeni migratori, della globalizzazione, dell’affermazione di quei principi di integrazione, sostenibilità e inclusione espressi da tante voci, anche dagli SDGs. Tra tutte le pubblicazioni, i documenti prodotti dalle istituzioni pubbliche rivestono un ruolo particolare. Si argomenterà sul perché queste pubblicazioni sono così rilevanti nel promuovere un’identità plurale e sul perché il ruolo delle biblioteche non possa limitarsi a proporre e conservare questi documenti, ma debba essere proattivo da un lato verso le istituzioni produttrici, perché continuino a pubblicarle e a conservarle, dall’altro nel promuoverne l’uso attraverso azioni di educazione all’information literacy dei cittadini.
Biblioteche pubbliche fra memoria e contemporaneità; la Convenzione di Faro e l’Agenda per lo sviluppo sostenibile, Cecilia Cognigni (Coordinatore della Commissione AIB Biblioteche pubbliche; Responsabile Servizi al pubblico, Attività culturali, Qualità e sviluppo delle Biblioteche civiche torinesi)
La Convenzione di Faro e l’Agenda per lo sviluppo sostenibile dell’ONU, sono due strumenti fondamentali per pianificare e programmare i servizi e le attività delle Biblioteche pubbliche. Anche la recente revisione dell’articolo 9 della Costituzione offre l’opportunità ai servizi bibliotecari di dare visibilità al ruolo che possono e debbono svolgere per garantire la tutela e la valorizzazione dei beni culturali e ambientali, sottolineando quanto sia importante far crescere la consapevolezza e il riconoscimento delle responsabilità individuali e collettive nei confronti dell’eredità culturale, per garantire lo sviluppo umano e la qualità della vita, come recita appunto la Convenzione di Faro. Il rapporto con i luoghi e le comunità che li abitano rappresenta per questo un punto di radicamento territoriale dell’azione delle biblioteche pubbliche in tutto il paese, pur nelle difficoltà che le biblioteche stanno incontrando nel post Covid, difronte ai cambiamenti dei comportamenti delle persone e all’emergere di nuovi bisogni. Rigenerare le comunità e i territori può diventare la chiave strategica per una ripresa dell’azione culturale delle biblioteche pubbliche in un contesto in cui memoria e contemporaneità sono legate a doppio filo. Quali azioni possono essere messe in campo? Quali attività possono essere programmate? Quali i partner di progetto?
Piranesi multimediale: strumenti e nuove opportunità del digitale per la conoscenza del patrimonio culturale, Maria Cristina Misiti (già dirigente MiC; studiosa di bibliografia, storia del libro, grafica e collezionismo) e Maria Giulia Rinaldi (Storica dell’arte e collaboratrice dell’Istituto Centrale per la Grafica, MIC)
In partnership con la Reale Accademia San Fernando di Madrid in occasione dell’anno piranesiano 2020 un team di studiosi coordinati da Maria Cristina Misiti e Giovanna Scaloni ha preparato e costruito un Libro interamente in formato digitale (visibile sul web al link www.piranesimultimediale.it). Non si tratta di un e-book ma di un prodotto che segue il tracciato di un libro suddiviso in capitoli, consentendo plurime connessioni trasversali ad altre risorse digitali e infinite possibilità di apertura di ipertesti, documenti, immagini ad alta definizione, video, elaborazioni grafiche. Piranesimultimediale sarebbe il primo progetto a essere realizzato in Italia con un software assolutamente innovativo, ma potrebbe costituire un progetto pilota anche per collezioni museali e/o bibliografiche ed altri progetti di risorse digitali. Il prodotto multimediale che è stato presentato in varie occasioni accademiche ha sollevato una grande attenzione nel mondo scientifico e della comunicazione ed è destinato, una volta pubblicato, a una grande e agile diffusione nazionale e internazionale. Un libro non è solo nelle sue pagine e un museo non è tutto nelle sue stanze: la trasformazione digitale è un’opportunità per estendere contenuti e irraggiare cultura. Il passaggio del libro al regno del digitale non sarà semplicemente una sostituzione di pixel all’inchiostro tipografico, ma certamente è destinato a mutare, con ogni probabilità, il modo in cui leggiamo, scriviamo e mettiamo in circolazione i testi e le immagini. Piranesi multimediale più che un libro è una biblioteca virtuale che concentra più forme comunicative e che consentirà al lettore non solo di conoscere e studiare «le opere del grande incisore», ma anche di approfondire storia e retroscena, creando mappe visuali con avvenimenti, personaggi e idee scoprendo relazioni altrimenti nascoste fra campi del sapere.
La Convenzione di Faro nel dibattito parlamentare, Flavia Piccoli Nardelli (Deputato della Repubblica – Commissione Cultura Istruzione Ricerca)
Partecipazione delle comunità, autorità condivise e “co-curation” nelle pratiche di Public History digitale, Serge Noiret (Presidente dell’Associazione italiana per la Public History)
La Convenzione di Faro del Consiglio d’Europa (2005) e le sue ricadute sulla gestione del patrimonio storico aveva sottolineato l’importanza dell’impegno diretto del pubblico, favorendo così, anche in ambito patrimoniale, la diffusione delle pratiche di Public History. Nata negli anni ’70 del Novecento, dal lavoro pionieristico degli storici americani e britannici, la Public History possiede come principali caratteristiche, l’apertura interdisciplinario del lavoro dei professionisti della storia e dei beni culturali (MAB) alle comunità disposte a contribuire al racconto della loro storia. Si sono così recuperati memorie e documenti personali e valorizzato un patrimonio culturale e storico ereditario, materiale ed intangibile. Diversi progetti multimediali nazionali ed internazionali di Public History sono nati nel 21° secolo con il diretto contributo della cittadinanza. Gli storici professionisti influenzati dai movimenti di base e dall’attivismo culturale, sociale e politico delle comunità territorisli, hanno quindi instillato un’etica più democratica nella pratica storica, gettando le basi per fare emergere una storia pubblica favorita dal digitale.
Queste nuove modalità di partecipazione popolare e comunitaria, non si sono limitate alla conservazione e alla valorizzazione di patrimoni esistenti nei loro territori, ma hanno permesso la creazione di nuovi patrimoni generati direttamente dalle comunità stesse e che costituiscono una loro eredità comune e ne sottolineano gli aspetti culturali e storici insieme al ruolo delle memorie collettive e delle costruzioni identitarie.
Di questo ha preso atto la Convezione di Faro: valorizzare la propria storia come bene comune è parte integrante dei diritti inalienabili dell’umanità come dei singoli individui e delle loro comunità. Il diritto all’accesso alla propria storia (il patrimonio ne è parte integrante) è centrale nell’ermeneutica della Public History. Fare storia e promuovere i patrimoni ereditari, si pratica in contatto diretto con le comunità di appartenenza.
Faro ha così reso di dominio pubblico in Europa, quello che era emerso negli anni ’70 come una nuova etica professionale del fare storia in pubblico e con il pubblico, legata a forme diverse di autorità condivisa. Nelle realizzazioni e nei progetti di Public History, si creano le occasioni di condivisione della propria conoscenza scientifica di storico e di professionista dei MAB con i pubblici con i quali si lavora. La dimensione digitale di queste pratiche, introdotta con il Web 2.0 partecipativo e dal web 3.0 semantico con la « co-curation » dei metadati, ha ampiamente favorito il rapporto con quelle comunità patrimoniali individuate dalla Convenzione.
Il mio intervento incrocerà così due dei temi principali della conferenza, ovvero il ruolo dei MAB come infrastrutture di una conoscenza partecipata e come perni culturali delle comunità e come, in quel quadro, la rivoluzione digitale abbia favorito la creazione, la tutela e l’accesso ad una produzione partecipativa di nuove fonti e di nuova conoscenza. Per fare ciò dividerò il mio intervento in due parti.
La prima, più metodologica, affronterà il processo di democratizzazione della storia che passa attraverso la condivisione delle autorità professionali con le comunità che partecipano direttamente alle forme di narrazione della loro storia, mentre la seconda parte del mio intervento illustrerà quei metodi alla luce di esempi di progetti di public history digitale e di co-curation dei dati, dall’archetipo dell’archivio digitale inventato e pubblico, il 9/11.DigitalArchive (2002) ai progetti internazionali sulla memoria della pandemia di Covid-19 (2022), non dimenticando i progetti pionieristici italiani nati nel 21° secolo.
Biblioteca e territorio: una ricerca di identità fra eredità culturale e progetto di futuro, Giovanni Solimine (Sapienza Università di Roma; Presidente della Fondazione Maria e Goffredo Bellonci)
L’intervento cerca di delineare il percorso attraverso il quale cercare di ridefinire l’identità che le biblioteche pubbliche potrebbero darsi, alla luce della eredità culturale che i rispettivi territori trasmettono e del progetto di futuro in cui le comunità che le abitano potrebbero riconoscersi. A questo scopo sono utili i riferimenti etici, culturali e politici offerti dalla Convenzione di Faro e alcune riflessioni che animano il dibattito pubblico nell’attuale fase di straniamento post-Covid e di transizione verso una società che dovrebbe rinnovare i valori su cui fondare la convivenza umana. Al centro di questa impostazione c’è il tempo della inclusione sociale e della partecipazione dei cittadini alla vita culturale della comunità.
Il tema viene affrontato da una pluralità di prospettive, a partire dal concetto di “benessere” messo a fuoco da economisti come Amartya Sen, dalle politiche di welfare, dalla crisi del modello urbano, messo in discussione dall’ondata pandemica e, prima ancora, dalla pervasività della rete.
Il compito di ricucire le lacerazioni sociali che caratterizzano tante parti del nostro Paese non è agevole, come dimostrano anche i dati del recente rapporto BES dell’Istat, da cui emerge un forte calo dell’uso delle biblioteche e della partecipazione culturale fuori casa.
Per rivitalizzare il ruolo delle biblioteche pubbliche va ridefinita la loro dimensione ‘civica’: una biblioteca deve essere incardinata in uno specifico contesto locale, ma da quel luogo osservare l’universo.
Una biblioteca capace di rapportarsi all’ecosistema di cui è parte si alimenta mediante il tessuto infrastrutturale che innerva i territori e che determina le condizioni della qualità della vita. Decisivo risulta il mix fra il soddisfacimento di bisogni formativi e di apprendimento, di curiosità culturali, di impegno intelligente del tempo libero, di stimolo allo sviluppo della creatività, unitamente a una forte azione a favore dell’inclusione sociale e del dialogo interetnico e interculturale.
Una biblioteca inserita in una rete di presìdi culturali di prossimità può uscire dallo stato di marginalità in cui è attualmente relegata, coprendo quella zona di confine tra lo studio, la ricerca, la sperimentazione, l’intrattenimento e il divertimento che va sotto l’etichetta di learning by doing, una nuova forma di sapere e una nuova modalità di apprendimento.
Il rapporto biblioteche-inclusione in relazione agli utenti con bisogni speciali, Paul Gabriele Weston (Scuola Vaticana di Biblioteconomia)
La recente emergenza planetaria ha messo tutti noi di fronte a una verità ovvia, ma che evidentemente in tanti casi preferivamo ignorare: nonostante il progresso e i risultati straordinari della scienza e della tecnologia, rimaniamo esseri fragili. L’isolamento forzato del Covid, la rarefazione dei rapporti interpersonali anche tra familiari, la scomparsa di alcuni tra i nostri anziani, le difficoltà economiche causate dalla chiusura di cantieri, fabbriche, esercizi commerciali e attività turistiche e ricreative, hanno causato – direttamente o indirettamente – l’impennarsi dei fenomeni di autolesionismo, delle violenze domestiche, della povertà, della vergogna di ricorrere per la prima volta ai sussidi alimentari distribuiti dalle associazioni caritatevoli. La situazione è stata particolarmente drammatica per coloro – bambini, adolescenti e adulti – che sono resi vulnerabili da difficoltà di tipo cognitivo e relazionale e per le persone prive di fissa dimora. Il giornalista Domenico Iannaccone ha fornito una testimonianza diretta della tragica situazione in cui le restrizioni e la pandemia hanno precipitato gli attori del Teatro Patologico di Dario D’Ambrosi, una iniziativa ormai più che decennale mirante a fare incontrare il teatro e la malattia mentale. Il film-documentario “L’Odissea”, nel quale le vicende del racconto omerico si intrecciano con le esistenze degli attori chiamati a rappresentarlo sulla scena, mette a nudo le insicurezze, gli sforzi e la difficoltà di realizzare nel contesto della pandemia una performance teatrale così ambiziosa. Le biblioteche, come le altre istituzioni a carattere culturale, in quel periodo sono state costrette alla chiusura e quando hanno potuto riattivare, almeno in parte, i loro servizi, lo hanno dovuto fare nel rispetto di direttive che, se da un lato hanno consentito di salvaguardare la salute del personale e degli utenti, dall’altro lato hanno di fatto impedito loro di svolgere quella funzione di tutela sociale, che, combinandosi con il compito di rispondere ai bisogni di natura culturale, hanno fatto della biblioteca pubblica un soggetto sempre più centrale nella vita della comunità nella quale essa opera. È evidente che, anche nel nostro Paese, le biblioteche costituiscono un presidio civico al quale spetta il compito di promuovere il benessere e di innalzare la qualità della vita delle persone, perseguendo, oltre al diritto universale di accesso alla conoscenza, quello della democrazia e dell’inclusione. In questo senso l’azione svolta dalle biblioteche è in linea con una delle esigenze poste a preambolo della Convenzione di Faro: “rimarcando il valore ed il potenziale del patrimonio culturale adeguatamente gestito come risorsa sia per lo sviluppo sostenibile che per la qualità della vita, in una società in costante evoluzione”. Sono tante le attività che le biblioteche – specialmente quelle pubbliche – hanno realizzato nel lungo inverno della pandemia per fornire un supporto ai lettori e un conforto ai cittadini: letture partecipate, podcast, mostre virtuali, gaming, concerti e performance teatrali, attività sportive virtuali e così via. La necessità di far vivere la biblioteca anche nel momento in cui le sue sale erano deserte e i suoi libri immobili sugli scaffali ha sollecitato la fantasia dei bibliotecari, che si sono avvalsi del digitale e della multimedialità per attivare nuovi servizi e creare nuovi ponti. È arrivato il momento di estendere queste forme di vicinanza a quei cittadini, grandi e piccini che a motivo delle loro condizioni hanno bisogni speciali.
Il presente contributo, partendo da un’altra delle esigenze espresse nel medesimo Preambolo – “riconoscendo la necessità di mettere la persona e i valori umani al centro di un’idea allargata e interdisciplinare di patrimonio culturale” -, intende riflettere sul modo e sugli strumenti grazie ai quali le biblioteche possano dispiegare le proprie potenzialità “riconoscendo che ogni persona ha il diritto, nel rispetto dei diritti e delle libertà altrui, ad interessarsi al patrimonio culturale di propria scelta, in quanto parte del diritto di partecipare liberamente alla vita culturale, diritto custodito nella Dichiarazione universale delle Nazioni Unite dei diritti dell’uomo (1948) e garantito dal Patto Internazionale sui Diritti Economici, Sociali e Culturali (1966)” e facendo sì che sia progressivamente, ma decisamente perseguito l’obiettivo “di coinvolgere ogni individuo nel processo continuo di definizione e di gestione del patrimonio culturale”.
Una sezione dell’IFLA si occupa di “Library services to people with special needs”, con l’obiettivo di costituire un forum internazionale per discutere idee, condividere esperienze e sviluppare strumenti miranti a promuovere e migliorare l’efficacia di servizi dedicati a gruppi di utenti con esigenze speciali. Tra questi ultimi l’IFLA ricorda coloro che sono negli ospedali, nelle case di riposo o nelle carceri, coloro che sono privi di fissa dimora, persone con disabilità fisiche, sordi o sordo-ciechi, alle prese con la dislessia o con disagi di natura relazionale o cognitiva. Ciascuno di questi gruppi presenta caratteristiche tali da rendere necessarie specifiche forme di attenzione. Li accomuna il fatto di richiedere tuttavia servizi la cui erogazione necessita di pratiche particolari e di competenze diverse da quelle di cui, in generale, sono in possesso gli operatori delle biblioteche.
Non pochi sono stati in questi anni in Italia i progetti inclusivi avviati da biblioteche, individualmente o in forma consortile, anche grazie alla collaborazione di fondazioni e di associazioni del terzo settore. La partecipazione di qualche progetto al Premio intitolato a Maria Antonietta Abenante e una ricerca sul web ha permesso una prima ricognizione, che, per quanto sommaria, permette di identificare caratteristiche e modalità di svolgimento comuni a tutti i progetti.
La prima evidenza è rappresentata dalla sinergia che si è venuta a creare tra gli operatori delle biblioteche e i rappresentanti delle associazioni. La disponibilità, l’entusiasmo e la competenza professionale dei bibliotecari non sono sufficienti a garantire che siano messe in atto le strategie più opportune e che si sappiano utilizzare nel modo più efficace gli strumenti che la tecnologia mette a disposizione. Allo stesso tempo l’affiancamento che occorre garantire richiede quasi sempre un impegno temporale maggiore di quello che i bibliotecari sono in grado di offrire nel loro lavoro quotidiano. Un secondo elemento che appare comune ai pochi progetti che è stato possibile individuare è rappresentato dal fatto che essi sono stati realizzati in biblioteche di medie o addirittura piccole dimensioni, riconducibili tuttavia sia alla tipologia delle biblioteche di pubblica lettura, che a quelle facenti parte di reti di ateneo. In tutti i casi i risultati conseguiti sono stati ritenuti rilevanti e certamente meritevoli di essere divulgati, per invogliare altre realtà ad attuare iniziative simili o, più semplicemente, per dimostrare che progetti mirati, condotti con metodo ed assiduità e che prevedano anche una parte dedicata alla formazione del personale della biblioteca sono pienamente realizzabili.
Allo scopo di condividere la riflessione su tematiche di così grande impatto etico ed umano con il mondo bibliotecario nel nostro Paese, di fare emergere e far conoscere le iniziative in corso, che saranno certamente assai più numerose di quelle che è stato possibile rilevare nel corso di questa prima ricognizione, di elaborare delle linee guida e un elenco di buone pratiche da sottoporre ad una review nazionale e per avviare qualche progetto pilota al fine di valutare efficacia e fattibilità delle soluzioni proposte, il CNRP dell’AIB in data 2 marzo 2022 ha approvato la costituzione di un Gruppo di studio la cui denominazione dovrà essere concordata tra i partecipanti.
A partire dall’illustrazione di alcune realizzazioni esemplari, la presentazione proporrà una prima traccia (certamente rivedibile) del percorso che attende il Gruppo di studio.
Discussione
11 giugno 2022
Terza sessione:Trasformazione digitale sostenibile.Tutela,Accesso, Riuso.
Chair: Stefano Ruffo (Coordinatore della Commissione Biblioteche della CRUI; Professore Ordinario di Fisica della materia, SISSA di Trieste)
Interventi (ordine alfabetico):
SDGs e transizione digitale: il ruolo delle European Alliances, Alessandro Arienzo (Coordinatore della rete universitaria europea AURORA; Professore Associato di Storia delle dottrine politiche, Università di Napoli Federico II)
Tra i Partenariati per l’eccellenza, le Università Europee (EUN – European Universities Network) sono l’iniziativa chiave del programma Erasmus+ per il raggiungimento dello Spazio Europeo dell’Istruzione superiore come forma di cooperazione strategica a lungo termine tra le università europee. Dalla sua attuazione nel 2019, l’Iniziativa ha visto nascere 41 alleanze universitarie che raggruppano 284 istituti di istruzione superiore in tutta l’Unione europea e nei paesi partecipanti al programma Erasmus+. L’obiettivo di questo programma è dar vita a campus interuniversitari europei basati su una offerta didattica condivisa, su strategie di sviluppo sostenibile comune, sulla condivisione di infrastrutture e risorse tecnologiche e digitali. La gran parte dei progetti presentati e accolti dalla Commissione mostrano il rilievo degli obiettivi di sviluppo sostenibile (SDGs) nell’orientare le comuni politiche verso la ricerca e l’istruzione. Mostrano anche la necessità, affinché questo accada, che si sviluppino iniziative pilota per la costituzione di infrastrutture digitali necessarie al coordinamento, alla condivisione, al networking di docenti, ricercatori, studenti e stakeholders. Le capacità di cogliere le sfide tecnologiche poste da una crescente integrazione/internazionalizzazione delle attività degli atenei diventano, in altri termini, il prerequisito per la diffusione e l’integrazione degli obiettivi di sviluppo sostenibile nelle politiche di ricerca, sviluppo, innovazione e impatto sociale degli atenei europei. Nel mio contributo intendo presentare alcune delle esperienze maturate a partire dal 2019 nell’ambito delle European Universities per indicare sia le prospettive più rilevanti, che le sfide e i limiti di queste esperienze.
Sostenibilità e trasformazione digitale, Giovanni Bergamin (Coordinatore dell’Osservatorio AIB Biblioteche e sviluppo sostenibile)
Il patrimonio culturale digitale è formato da una parte dagli interventi di digitalizzazione – intesa qui come conversione da analogico a digitale – e, dall’altra, dalla presenza sempre più rilevante del digitale come unica forma di pubblicazione delle risorse culturali.
In generale mentre la discussione sul digitale come nuova dimensione o infosfera (Floridi) sembra avere un buon numero di partecipanti, non altrettanto accade per le tematiche della conservazione del digitale nel lungo periodo. Qui in molti casi sembra manchi la consapevolezza che stiamo parlando di risorse essenziali per la comprensione del nostro presente e del nostro futuro.
Il diritto al patrimonio culturale: gli strumenti Creative Commons per promuovere e valorizzare l’accesso e la condivisione dell’eredità culturale, Deborah De Angelis (Chapter Lead di Creative Commons Italia e referente italiano di Creative Commons Global Network Council; studio legale DDA)
Il riconoscimento di un diritto al patrimonio culturale (eredità culturale) e l’individuazione di una responsabilità individuale e collettiva nei confronti di tale eredità, in termini anche di conservazione digitale della stessa, sono principi statuiti dalla Convenzione di Faro, ma al contempo anche alla base del movimento open access e open culture fin dalle sue origini. L’esigenza di raggiungere tali obiettivi ha spinto la comunità internazionale ad ideare strumenti standardizzati in grado di agevolare ed incrementare tale processo. Gli strumenti CC sono, infatti, un mezzo chiave del cambiamento, in grado di rispondere all’esigenza di tutela, valorizzazione e accesso al patrimonio culturale soprattutto in un’ottica volta alla creazione di un ecosistema digitale equo e sostenibile in tutto il mondo.
Trasformazione digitale e Open Science: il ruolo delle università, Roberto Delle Donne (Coordinatore dell’Osservatorio CRUI sulla Scienza aperta; Professore ordinario di Storia medioevale, Università di Napoli Federico II)
La trasformazione e la sostenibilità digitale passano dall’intelligenza (non artificiale) delle persone, Gianni Penzo Doria (Dirigente alle Attività istituzionali del Rettore dell’Università degli Studi dell’Insubria e Responsabile scientifico di Procedamus e di Umanesimo Manageriale)
Esiste una terra di mezzo tra intelligenza naturale e intelligenza artificiale? Quali sono i costi – finanziari, economici e sociali – dell’applicazione dell’AI al mondo dei beni culturali e, più in generale, alla nostra società?
L’intervento si chiuderà con un apologo sul dovere di continuare a essere umani nel mondo e nelle organizzazioni, soprattutto in quelle a legame debole.