Al Sig. Ministro per i beni e le attività culturali
dott. Alberto Bonisoli
Al Direttore generale Organizzazione
dott.ssa Marina GIUSEPPONE
Al Dirigente del Servizio II – Personale e relazioni sindacali
Direzione generale Organizzazione
dott. Alessandro Benzia
Roma, 16 luglio 2018
I passi compiuti dal Mibac in questi ultimi anni per la qualificazione di quanti, esterni o interni, operano nell’ambito dei beni culturali, possono senz’altro dirsi significativi. Il concorso dei 100 del 2008, i profili professionali del Ministero del 2010, la legge 110 del 2014 e l’istituzione dei relativi elenchi – a quanto pare finalmente in dirittura di arrivo –, il recente “concorsone” dei 500 sono apparse iniziative senz’altro coerenti con l’antico progetto culturale alla base della nascita, nell’ormai lontano 1975, di quello che, nelle intenzioni dei suoi padri, avrebbe dovuto essere il ministero dei competenti, atipico e aperto ai cittadini.
L’alto livello di specializzazione richiesto ai candidati in lizza per un posto, che fosse nei ruoli del personale del Mibac o (in un futuro che si spera ormai prossimo) negli elenchi dei «professionisti competenti a eseguire interventi sui beni culturali» (questa la dizione della già ricordata legge 110/2014), ha trovato pronta una preparatissima platea di giovani (e di meno giovani) ansiosa di poter mettere in campo le proprie competenze al servizio del nostro patrimonio culturale, dopo i lunghi anni di attesa imposti da dissennate politiche occupazionali e di lesina.
Nonostante i periodici tentativi di barattare le capacità acquisite nelle opportune sedi formative con quelle della cosiddetta “esperienza sul campo”, da almeno un decennio sembrava ormai pacifico che, per poter svolgere le delicatissime funzioni di tutela e valorizzazione nelle vesti di funzionario dello Stato, intervenire sui beni da professionista o accedere all’alta formazione, fosse indispensabile poter sommare a una laurea quadriennale o quinquennale un percorso formativo post lauream di durata almeno biennale, oltre alla necessaria esperienza professionale che le nostre associazioni riconoscono e considerano nella piena consapevolezza che le competenze professionali si acquisiscono e si aggiornano lungo l’arco di tutta la vita mediante percorsi articolati che comprendono modalità di apprendimento formale, non formale e informale e i cui risultati, tuttavia, devono essere misurabili e comprovabili, come ci ricordano la Raccomandazione europea del 2012 e le Linee guida CEDEFOP.
La recente ipotesi di accordo tra il Mibac e le organizzazioni sindacali in merito alle «progressioni tra le aree per il triennio 2018-2020» – ovvero, alla promozione a funzionario del personale, spesso assai preparato, oggi impiegato in quella che un tempo era la carriera esecutiva – sembra far tornare indietro di parecchi anni i fogli del calendario. Mentre nei tavoli istituzionali si definivano – in piena coerenza con le garanzie di qualità richieste dalla legge 4/2013 e, per alcuni profili, da apposite norme UNI – i requisiti di ammissione e si stabiliva il «possesso a normativa vigente dei titoli indicati previsti per l’accesso dall’esterno», la bozza di accordo in questione introduce criteri in grado di vanificare completamente il principio appena affermato prevedendo l’equipollenza del titolo post lauream con l’anzianità di servizio pari a 6 anni, svolti in «mansioni attinenti al profilo per cui si concorre o», più genericamente, con l’«anzianità di servizio pari a 10 anni nel Mibac». Si tratta di un criterio inaccettabile e in totale conflitto con la linea che il Ministero ha seguito in questi ultimi anni.
Altrettanto grave appare il fatto che non si faccia alcun riferimento all’attinenza dei titoli di studio posseduti rispetto al profilo cui si concorre per le riqualificazione, in totale contrasto dunque con l’art. 9-bis del Codice dei beni culturali. Merita inoltre sottolineare che, al ventilato abbassamento dei requisiti di accesso al ruolo di funzionario tecnico (che di fatto implicherebbe una rinuncia alle competenze tecnico-scientifiche intese come condizione per l’accesso) nella bozza si accompagnerebbe il contestuale riconoscimento di un elevato numero di punti (fino a 10) all’idoneità conseguita a seguito della procedura di riqualificazione del 2007 che, per alcuni settori (archivisti e bibliotecari in particolare, a differenza di quanto previsto per storici dell’arte, archeologi e architetti), aveva addirittura previsto che si potesse supplire alla mancanza dello stesso requisito della laurea (le specializzazioni non erano un requisito ma un titolo valutabile) con l’anzianità di 8 anni in seconda area. Conseguenza naturale (e foriera di ricadute sulla qualità delle funzioni di tutela e valorizzazione esercitate) fu che in tali profili finirono per convergere le domande di molti colleghi che, pur degnissimi, difettavano (e difettano), di qualsiasi formazione specialistica nei settori in questione.
È molto grave che quell’errore venga oggi riproposto. Così come è inaccettabile il riconoscimento di punteggi molto alti per master annuali, il cui titolo è – nella tabella che accompagna la bozza citata – di fatto equiparato alle specializzazioni biennali. A destare fortissime perplessità è anche l’ipotesi di articolazione delle prove d’esame: 10 o 20 domande a risposta multipla aventi ad oggetto «elementi di diritto pubblico e amministrativo con particolare riferimento alla disciplina del lavoro pubblico, alle responsabilità dei dipendenti pubblici, al procedimento amministrativo; elementi di diritto del patrimonio culturale; Codice dell’Amministrazione Digitale; struttura e organizzazione del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo e una prova orale su materie specifiche dei singoli profili messi a bando». È del tutto evidente che la sola prova orale non è assolutamente sufficiente ad accertare adeguatamente le competenze richieste nelle materie specifiche dei diversi profili. Occorrerebbe una prova scritta con almeno 3 domande a risposta aperta sulle (molteplici) conoscenze tecniche specifiche del singolo profilo. Riguardo alle competenze giuridiche richieste, poi, i funzionari dei beni culturali dovrebbero dimostrare ampia padronanza del diritto dei beni culturali e non solo competenze “elementari”, e andrebbe specificato che tali competenze devono comprendere quella sul riutilizzo dell’informazione del settore pubblico e, ad esempio per i bibliotecari, la legislazione in materia di deposito legale e di diritto d’autore. Nel caso dei funzionari archivisti, sempre a titolo di esempio, non possono inoltre essere “elementari” le competenze richieste in materia di procedimento amministrativo e Codice dell’amministrazione digitale.
La procedura così concepita rappresenterebbe dunque un’evidente disparità di selezione rispetto al concorso dei 100 del 2010 e a quello dei 500 del 2016 – per la quale, ricordiamolo numerosi idonei attendono l’assunzione –, senza contare che, in presenza di uno squilibrio a netto vantaggio dei titoli di servizio rispetto ai titoli formativi e alle prove d’esame, si finirebbe per penalizzare pesantemente il personale interno in possesso dei titoli attualmente richiesti per l’accesso dall’esterno che potrebbero con profitto beneficiare delle nuove procedure di riqualificazione comunque da concepire su basi serie e selettive.
Le nostre associazioni confermano la necessità che il Mibac mantenga alta la qualità dei profili di funzionario destinati a svolgere delicate attività specialistiche di tutela e valorizzazione e, pur rispettando le giuste aspirazioni di carriera del personale interno al Ministero, ribadiscono che l’accesso a tali funzioni sia presidiato con rigore, sulla base di principi coerenti con la normativa nazionale e con la verifica di livelli di competenza corrispondenti ai profili in corso di approvazione, scongiurando la tentazione di ripercorrere scorciatoie troppe volte in passato percorse con esiti tutt’altro che confortanti.
Chiediamo pertanto che la bozza di accordo circolata in questi giorni non venga approvata ritenendo inaccettabile la forma attuale o, in subordine, che l’accordo preveda le seguenti modifiche:
- all’interno dei profili regolati da Ordini professionali oppure ordinati dalla legge 110/2014, non possono prevedersi passaggi d’area verso aree tecniche di funzionario (equivalenti ai profili EQF8) senza rispettare i requisiti di titolo di studio minimi previsti per il livello I dei profili professionali contrattati e in via di firma (Specializzazione, Dottorato, Master post-lauream biennale di II livello);
- i titoli di studio devono essere assolutamente attinenti in termini di materia con il profilo per il quale si concorre;
- i titoli di studio da valutare devono essere inquadrati in una griglia di punteggio che tenga presente una corretta proporzionalità tra i titoli stessi.
Il Presidente ANAI Mariella Guercio |
Il Presidente ASSOTECNICI Andrea Camilli |
Il Presidente AIB Rosa Maiello |