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Al XIV Congresso dell'Associazione italiana biblioteche, svoltosi nell'ottobre 1962, una relazione del dott. Renato Pagetti, oggi direttore della Biblioteca civica di Milano, sul tema «L'Ente regione e le biblioteche degli Enti locali: considerazioni sull'art. 117 della Costituzione» poneva alcuni seri interrogativi circa la sorte che sarebbe stata riservata a quelle biblioteche quando si procedesse all'attuazione dell'ordinamento regionale, come voluto dall'art. 117 della nostra Costituzione. Questo, infatti, comprende «i musei e biblioteche di enti locali» tra le materie per le quali «La Regione emana... norme legislative nei limiti dei principi fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato, sempreché le norme stesse non siano in contrasto con l'interesse nazionale e con quello di altre Regioni» (1).
Secondo il voto espresso da quel Congresso a conclusione della discussione sull'argomento, il Consiglio direttivo dell'Associazione Italiana Biblioteche nel gennaio 1963 nominò un'apposita Commissione la quale doveva approfondire lo studio compiuto dal Pagetti per presentare al prossimo Congresso le proposte adeguate a tutelare l'avvenire delle biblioteche degli enti locali in armonia con le esigenze del mondo attuale. La Commissione, composta come è riferito in altra parte del presente documento, aveva già compiuto nel febbraio 1964 un primo ciclo dei suoi lavori con la stesura del documento stesso, che poteva così essere presentato e discusso nel maggio di quell'anno al XV Congresso dal quale fu approvato a larghissima maggioranza.
Fin dall'inizio il compito della Commissione era risultato tutt'altro che facile per mancanza, soprattutto, in materia di biblioteche[p. II]
degli enti locali, di quei «principi fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato» che il Costituente ha posto come limiti del potere legislativo delle Regioni. Su quelle biblioteche, infatti, alle quali non fanno esplicito cenno neppure la Legge comunale e provinciale e il Testo unico per la finanza locale - in queste le biblioteche, per quanto si riferisce all'obbligatorietà delle spese che le riguardano, debbono ritenersi comprese tra le «istituzioni» comunali o provinciali - non esistono norme di carattere generale che ne stabiliscano i «compiti istituzionali e i principi generali di ordinamento e funzionamento». Esse, che, pure, secondo i più aggiornati rilievi, assommano ad oltre seicento, vivono ciascuna una vita a sé stante, disciplinata, tutto al più, dal regolamento dettato dall'amministrazione proprietaria, assai spesso antiquato ed anacronistico. Se l'azione delle Soprintendenze bibliografiche, poste dallo Stato in ogni regione a tutela soprattutto del patrimonio librario di pregio, è stata indirizzata in questi ultimi anni anche a modernizzare e coordinare l'attività delle biblioteche degli enti locali, i risultati sono, tuttavia, scarsi, e, soprattutto quell'azione non ha ancora portato a una disciplina legislativa unitaria in materia: ed esse si presentano tuttora in condizioni svariatissime da luogo a luogo e alquanto attardate rispetto alle esigenze attuali di cultura e di studio. Per cui se, in sostituzione di quei «principi fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato», le Regioni volessero assumere a guida della loro attività legislativa in materia la «consuetudine» - cui si riconosce talvolta valore di legge - si rischierebbe di cristallizzare una situazione assolutamente inadeguata, come tutti sono pronti a riconoscere, ai bisogni di un Paese proteso verso il progresso sociale ed umano di tutti i suoi cittadini.
Ad una realtà che mal si presta, dunque, ad inquadrare l'eventuale futura azione legislativa delle Regioni in materia di biblio teche, la Commissione, che non poteva per ovvie ragioni e data l'imminenza dell'attuazione dell'ordinamento regionale, suggerire l'utopistica e puramente teorica soluzione di un testo di legge, ha ritenuto di sostituire un modello, che se può far l'effetto, a prima vista, d'essere una costruzione ideale perché troppo si discosta dalla realtà odierna, è tuttavia, a ben considerare, l'evoluzione naturale di premesse già da tempo poste. Con la legge 24 aprile 1941, n. 393 - la quale, purtroppo, per le vicende belliche e per il dissesto del dopoguerra, ha avuto così scarsa applicazione - si mirava a potenziare nei comuni capoluoghi di provincia una
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biblioteca pubblica efficiente e moderna; e nell'ultimo decennio l'istituzione e lo sviluppo del servizio nazionale di lettura sono stati e si vogliono imperniati, normalmente, su quelle biblioteche stesse con l'ausilio delle altre (quasi tutte dipendenti da enti locali) esistenti in ciascuna circoscrizione provinciale. Logica conseguenza appare, perciò, l'attribuire, come fa il presente documento, alle biblioteche degli enti locali la fondamentale funzione di assicurare ordinatamente ed efficientemente in tutto il Paese quel servizio di pubblica lettura reclamato dalla società moderna, al quale risultano ormai impari le «biblioteche popolari». Né deve darsi adito al timore, manifestato da qualcuno nel corso delle discussioni, che questo principio posto a fondamento istituzionale delle biblioteche degli enti locali rappresenti un declassamento per esse, moltissime delle quali, anzi, ne saranno vitalizzate; né con esso si vuole arrivare ad un appiattimento e a una standardizzazione da cui tutto venga travolto degli antichi ordinamenti e strutture, poiché i giusti contemperamenti nell'attuazione pratica dovranno salvaguardare particolari situazioni e le tradizioni che meritino rispetto.D'altra parte, quando s'è d'accordo, come ormai sembra che sia d'accordo la maggioranza dei bibliotecari italiani, che il ruolo svolto in Italia fino a qualche tempo fa dalla «biblioteca popolare» debba esser trasferito alla «biblioteca pubblica» di tipo anglosassone («Public Library»), l'esempio di come debba essere organizzata e debba funzionare la biblioteca di questo tipo è fornito da altri paesi che non vogliamo pedissequamente seguire, ma solo tenere presenti nel trasformare, coi dovuti adattamenti, la nostra realtà troppo arretrata: e il primo insegnamento che ci viene da quell'esempio è, appunto, che un servizio pubblico da svolgere capillarmente su tutto il territorio del Paese non può essere affidato che alle autorità locali. A rifiutare l'esperienza altrui non può valere la considerazione d'una nostra situazione così diversa per le vicende storiche formative delle biblioteche italiane e per la povertà di mezzi e di personale di cui esse soffrono. Poiché le vicende storiche fanno parte del passato e ad esse si deve guardare solo perché, onorevoli e gloriose come sono quelle italiane nel campo culturale, dobbiamo sentire il dovere d'esserne degni rinnovandole nel presente e nel futuro; e, a tale effetto, si deve tener presente, piuttosto, la funzione della «biblioteca pubblica» che nessuno può negare sia la medesima in Italia ed altrove, quella, cioè, di offrire a tutti i cittadini quel benessere della civiltà e della cultura, che tanto
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dipende dall'abitudinario contatto con il libro e dalla lettura attraverso, anche e soprattutto, le pubbliche biblioteche. Per quanto, poi, riguarda i mezzi finanziari e il personale, oggi tanto inadeguati nella misura i primi, e nel contingente e nella preparazione professionale il secondo, a far fronte ad un così ampio programma di sviluppo delle biblioteche degli enti locali, c'è da dire che prima vanno formulate le programmazioni secondo determinate esigenze, e poi vanno procurati i mezzi necessari, e non che quelle devono essere contenute nei limiti dei mezzi disponibili. Del resto il documento ha tenuto presenti - e ciò lo pone senza dubbio su un piano assai più realistico di quanto altrimenti non sarebbe stato - gli studi che, contemporaneamente alla sua formulazione, gli Organi di Governo andavano compiendo intorno a quella programmazione economica, che - è notizia proprio di questi giorni - è già stata approvata dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri. Nell'ambito di questo grandioso piano di sviluppo del nostro Paese in tutti i settori, il Ministro competente ha richiesto, per il servizio nazionale di lettura soltanto (a parte, cioè, le necessità delle biblioteche di conservazione, di studio e di ricerca) un finanziamento che, aumentando gradatamente negli anni, va da 1.216 miliardi di lire nel 1965 a 2.887 miliardi nel 1970. Può darsi che le richieste vengano accolte dal Parlamento solo in parte; ma se l'Italia vorrà veramente battere la strada delle riforme sociali per la quale sembra essersi incamminata, non c'è dubbio che non potranno esser negati i mezzi necessari ad attuare il programma di sviluppo delle «biblioteche pubbliche» delineato nel nostro documento, presupposto integrante essenziale di quel progresso civile, che la programmazione economica stessa ha posto tra i suoi fondamentali obiettivi.
Quale il valore e l'efficacia del documento che presentiamo, e che, emanazione di un'Associazione professionale privata, vuole oltrepassare la cerchia dei suoi adepti per suggerire nuove idee agli uomini di cultura e di studio, per indicare nuove strade ai sociologhi, per dettare principi ad amministratori e legislatori?
Ci sorregge la fiducia che con questo suo primo atto pubblico l'Associazione Italiana Biblioteche possa inserirsi in una tradizione già viva in altri Paesi, dove la voce delle rispettive associazioni di bibliotecari è determinante a indirizzare la politica e l'organizzazione delle biblioteche: è la voce di tutti coloro, che, particolarmente competenti nella materia, sono liberamente riuniti per studiare
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e discutere, sia in commissioni, congressi e convegni, sia sull'organo periodico che l'Associazione pubblica regolarmente, i problemi delle biblioteche italiane; ed è una voce sorretta dal costante interessamento ed appoggio della Direzione generale delle Accademie e Biblioteche del Ministero della Pubblica Istruzione, cui siamo grati dell'ausilio concessoci per la pubblicazione di questo documento.
Per tali ragioni, ordinamento regionale o no, il documento ha già di per se stesso un precipuo e incontrastabile valore: quello di rappresentare la volontà di indirizzo, nella particolare materia, della maggioranza dei bibliotecari italiani dai quali, attraverso gli organi rappresentativi dell'Associazione, ha avuto origine, formulazione e approvazione. Essi, e specialmente quelli degli enti locali, molto possono fare per affermarne l'autorità e il prestigio, poiché sulla stampa locale, nei continui contatti con le popolazioni delle rispettive località, con gli amministratori, con gli uomini politici e di cultura, avranno innumerevoli occasioni di esporne e diffonderne i concetti: sì che la fisionomia e le caratteristiche delle biblioteche degli Enti locali, nella maggiore disponibilità di mezzi che ad esse la programmazione economica sembra voglia assicurare, vengano sempre più ad improntarsi al modello che il documento propone, anche prima e indipendentemente dall'attuazione dell'ordinamento regionale. E noi riteniamo che, in ossequio al costume democratico che regola la vita pubblica del nostro Paese ed è a fondamento anche della nostra Associazione, tutti vorranno farlo, senza discostarsi mai ufficialmente, neppure coloro che hanno mostrato di non essere completamente d'accordo, da un linguaggio adottato dalla maggioranza dei bibliotecari italiani.
Nei confronti dell'ordinamento regionale, poi, il documento, così com'è, non può avere, certo, efficacia di legge; ma questo effetto potrà raggiungere se quello schema di Legge quadro, predisposto dalla Commissione, nel quale sono trasferiti per sommi capi i principi proposti nel documento stesso, verrà accolto dal Ministero della Pubblica Istruzione, cui è stato già presentato, perché il legislatore lo faccia proprio nel momento dell'elaborazione e dell'approvazione delle Leggi per l'istituzione delle Regioni a Statuto ordinario.
Roma, 4 febbraio 1965.
Il Presidente
dell'Associazione Italiana Biblioteche
Ettore Apollonj
Nota
Tratto da: Associazione italiana biblioteche, La biblioteca pubblica in Italia: compiti istituzionali e principi generali di ordinamento e di funzionamento, Roma: AIB, 1965, p. I-V.
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