AIB. Sezione Veneto. Congressi
"17. Seminario Angela Vinay"
bibliotECONOMIA
conservare il futuro
Fabio Severino, Associazione Istituti Culturali Italiani
Il doppio valore della rete : l'AICI per l'informazione e la sinergia collaborativa [1]
L'AICI - Associazione Istituti Culturali Italiani nasce nel 1992 per iniziativa
di 36 istituzioni tra associazioni, fondazioni e istituti culturali di prestigio
storico e di consolidata attività. La missione istituzionale dell'AICI,
svolta attraverso gli organi associativi, è quella di "tutelare
e valorizzare la funzione delle Istituzioni di cultura, nelle quali la Costituzione
della Repubblica riconosce una componente essenziale della comunità nazionale"
come detta l'art. 2 dello statuto.
I compiti dell'Associazione sono l'essere interprete nelle linee generali degli
interessi delle istituzioni di cultura, sia in sede nazionale che in sede comunitaria
e presso gli organismi internazionali; promuovere, in forma coordinata, iniziative
idonee a razionalizzare e migliorare la gestione dei servizi delle istituzioni
aderenti, valorizzandone le strutture e i patrimoni; organizzarne l'informazione
con lo scopo di documentarne l'attività; promuovere la conoscenza degli
Istituti, delle loro risorse culturali, dei servizi che essi offrono; sostenere
iniziative di qualificazione e di aggiornamento del personale addetto alle istituzioni
di cultura e portare l'innovazione nelle strutture gestionali e nei modelli
organizzativi, favorendo l'adozione delle tecnologie dell'informazione e della
comunicazione e la condivisione di metodologie e standard descrittivi di fondi
archivistici e raccolte bibliografiche, audiovisive e museali; infine, e a maggior
ragione negli ultimi anni, rendere più obiettivi e trasparenti i criteri
di erogazione e i controlli di efficacia della spesa pubblica a favore degli
Istituti.
I suoi soci, ad oggi 80, distribuiti sul tutto il territorio nazionale, svolgono
attività di ricerca, conservazione e promozione nei più diversi
ambiti della produzione culturale. Le principali condizioni per l'adesione sono
esemplari: oltre all'ovvio riconoscimento giuridico, ci sono l'essere costituiti
da almeno 5 anni; l'accertata attività di ricerca scientifica svolta
con continuità, che si accompagni anche ad eventuali attività
formative; il rilievo del patrimonio documentario posseduto e la fruibilità
al pubblico in maniera permanente; la pubblicazione di monografie, di fonti,
di atti di convegni, di periodici, ecc.; l'organizzazione periodica di convegni,
mostre o altre manifestazioni di alto valore scientifico e culturale.
L'AICI nasce portando nel proprio DNA il valore e l'opportunità del lavorare
in rete. Ma parlare di reti dei beni culturali ha sempre una doppia valenza:
da una parte, infatti, si può intendere ciò che dei beni culturali
è "consultabile" in rete, dall'altra si pensa alle reti tra
istituzioni che conservano e gestiscono beni culturali. L'AICI sposa questa
doppia accezione di rete: quella che si sviluppa con il precipuo scopo di informare
e quella sorta per favorire la cooperazione e il coordinamento tra enti diversi
- come sono gli Istituti culturali - che svolgono la propria attività
su un terreno comune. Come afferma il sociologo Castells, in Galassia Internet
(2002), "Internet è la base tecnologica della forma organizzativa
nell'età dell'informazione: è il network".
La creazione di una rete tra soggetti che operino in campi affini deve nascere
da esigenze di coordinamento e di interazione emerse con sufficiente chiarezza
e analizzate con il necessario approfondimento. Il fine deve essere poter individuare
gli obiettivi da raggiungere, il modello e le procedure da adottare, nonché
gli impegni che ciascun attore della rete deve assumersi. Se la spinta a coordinarsi
non viene dai bisogni effettivamente avvertiti, ma nasce da suggestioni vaghe,
da impostazioni esterne o da mere considerazioni di natura pratica, è
altamente probabile che la rete che ne risulterà si riveli una mera sovrapposizione,
una forma di comunicazione magari tecnologicamente avanzata, ma priva di una
effettiva vitalità, con scarsa partecipazione dei vari membri. La rete
AICI nasce tra soggetti ricchi di identità dove questo pericolo comunque
è alle porte, da questa stessa problematica però nasce la nostra
forza dialettica, propositiva, costruttiva.
D'altra parte, è anche importante che i bisogni esistenti (di comunicare,
di parlare linguaggi comuni, tra comunità allargate) vengano soddisfatti
dalle opportunità create dalle nuove tecnologie disponibili.
Nella networked society, in cui, a differenza delle società industriali,
la produzione e la capacità di gestione della conoscenza rivestono una
funzione centrale, le tecnologie diventano sempre più pervasive ed ubique,
moltiplicando i luoghi e i dispositivi di accesso, obbligando tutte le istituzioni
e le agenzie sociali e culturali a confrontarsi con la loro presenza e i loro
linguaggi.
Inoltre mentre le tecnologie "basse" costituivano ancora un mezzo,
ossia uno strumento il cui utilizzo è finalizzato ad uno scopo, quelle
"alte", che hanno Internet come leader, rappresentano qualcosa d'altro:
sono in grado di comprendere e favorire una pluralità di attività
comunicative, di strutturare un mondo, che non scegliamo se "utilizzare",
ma, al più, se abitare o non abitare, se prenderne parte o restarne fuori.
Siamo in un luogo virtuale che non solo accoglie contenuti, ma ospita e regola
le pratiche sociali, con conseguenze di portata enorme che si inizia appena
oggi a percepire in relazione ai relativi vantaggi, criticità e contraddizioni.
Se il doppio valore della rete, sia informativo che organizzativo, è
nell'animo dell' AICI, già i primi progetti ne sono la migliore espressione.
Un'esperienza particolarmente ampia e ormai consolidata è quella della
rete nazionale "Archivi del Novecento. La memoria in rete", realizzata
dal Consorzio BAICR Sistema Cultura, fondato nel 1991 da cinque istituti romani
(Fondazione Istituto Gramsci, Fondazione Lelio e Lisli Basso, Istituto dell'Enciclopedia
italiana, Istituto Luigi Sturzo, Società Geografica Italiana). Gli Istituti
coinvolti in questo progetto presentano tutti caratteristiche affini: conservano
un patrimonio archivistico del XX secolo, con documentazione di tipologia varia,
prevalentemente di produzione italiana, riguardante la storia delle idee e della
cultura del Novecento, nonché la storia dei partiti e dei movimenti politici
e sociali.
In primo luogo come momento di riflessione sulle fonti contemporanee, come progetto culturale prima che informatico. Il progetto si delineò in seguito all'indagine condotta negli archivi di numerosi istituzioni culturali italiane che ottenne in realtà due risultati: reperire materiali che servivano alla ricostituzione dei fondi e rilevare lo stato e i contenuti dei patrimoni archivistici delle istituzioni visitate. Fu quest'analisi a far concretizzare l'idea di collegare e integrare la documentazione archivista conservata in luoghi diversi confrontando le zone di confine, le complementarità, le intersecazioni, al fine di costituire un grande archivio virtuale per la storia della cultura e della politica italiana su un arco cronologico ben definito: il Novecento. Un patrimonio che doveva presentarsi alla fine degli ordinamenti e inventariazioni come corpus unitario, sul quale comporre itinerari di ricerca sulle fonti primarie.
Oggi "Archivi del Novecento" (www.archividelnovecento.it) è una rete culturale ed informatica di 55 istituzioni, le banche dati sono tutte consultabili, altri soggetti (come ad esempio banche ed imprese) non inserite nel progetto, utilizzano lo stesso software, GEA. La diffusione sempre maggiore, l'affinamento degli standard di descrizione archivistica, nonché i progressi tecnologici, porteranno al più presto al collegamento con altre reti affini. E GEAWeb, l'interfaccia on line del software di "Archivi del Novecento", permette di consultare la descrizione semplificata dei fondi su Internet. Caratteristica del progetto è l'approccio multimediale, in grado di valorizzare un patrimonio documentario prezioso, complesso e capillarmente diffuso nel nostro Paese. L'architettura dei dati di "Archivi del Novecento" è stata inoltre utilizzata sia per costruire alcune banche dati (per esempio: "Memoria dei giubilei", "Novecento italiano", "Cultura gastronomica italiana", tutte realizzate dal Consorzio BAICR, "Biogea", costruita dalla Fondazione Basso, il portale "Alcide De Gasperi nella storia d'Europa", realizzato dall'Istituto Sturzo), sia per formare altri sistemi di rete tra archivi, come nel caso del recente progetto "Archivi on line" che comprende, oltre ai fondi archivistici del Senato della Repubblica, anche fondi relativi all'attività di gruppo parlamentari o di senatori conservati in istituzioni private, tra cui vi sono istituti membri di "Archivi del Novecento".
Gli Istituti culturali perseguono la conservazione e la divulgazione della memoria.
Con l'evoluzione delle tecnologie ICT, si è sviluppato il passaggio dall'accesso
all'informazione all'accesso ai contenuti, quindi alla biblioteca digitale e
al patrimonio digitalizzato che organizza un insieme di documenti corredandoli
con un sistema di metadati che consentono di codificare, reperire, preservare
e gestire i documenti, la memoria. La direzione nella quale tutto spinge a muoversi,
soprattutto in epoca di continua evoluzione tecnologica, è quella delle
integrazioni fra fonti diverse e, quindi, anche fra reti diverse. Il supermercato
delle separatezze è stato già realizzato da alcune banche dati
che organizzano un insieme coerente di informazioni su fonti diverse intorno
a una serie prescelta di lemmi (come il CD-rom "Novecento italiano"
realizzato dal BAICR).
La descrizione e la rappresentazione dei beni culturali attraverso i sistemi
in rete tendono a restituire una visione d'insieme nella quale le diverse tipologie
sono naturalmente tra loro interconnesse e ciascuna si arricchisce della compresenza
dell'altra. Ogni sistema prevede ovviamente una attiva cooperazione tra gli
attori che ne fanno parte, che si traduce in un regolare scambio di informazioni,
in una condivisione di servizi e di risorse, in un coordinamento delle attività
e, quindi, presuppone un impegno costante nel mantenere i contatti e nel partecipare
alle iniziative che vengono via via prese in comune.
La cultura e le sue risorse
In gran parte sorti o rifioriti in quella fervida stagione di reazione morale
e intellettuale che seguì all'epilogo del fascismo e della guerra, è
lecito affermare che gli istituti culturali hanno "significativamente"
accompagnato la nostra storia repubblicana.
Si aprì agli albori della Repubblica, in un clima di libertà,
un cammino nuovo, fatto di ricerche, di pubblicazioni, di conferenze, di convegni,
di corsi formativi e anche di serrati confronti e di vigorose polemiche che
ha attraversato, ormai, oltre un cinquantennio. È un percorso che ha
indubbiamente influito sulla coscienza civile, sulla consapevolezza politica
e sullo spirito critico del Paese.
Quando nel '92 è stata costituita l'Associazione, sono stati posti alcuni
obiettivi. Essi si riassumono nella comune volontà di cooperazione fra
gli istituti associati - al fine di perseguire meglio, ciascuno, la propria
missione - di coordinamento delle attività e di rapporti con il
governo politico, poiché gli Istituti, almeno per il funzionamento di
base delle strutture, dipendono dall'erogazione della spesa pubblica per la
cultura.
Ci sono stati forti mutamenti nel quadro politico-istituzionale, è sopraggiunta
un'inedita potenziale pluralità tra gli enti erogatori di finanziamenti,
è emersa l'esigenza di rendere accessibili i risultati delle attività
svolte a pubblici molto diversificati (dai committenti di una ricerca, alla
fruizione più allargata dei prodotti e dei servizi offerti dagli istituti).
L'Associazione ha scelto di posizionare la sua identità su quelli che
sono da molti considerati due estremi, mentre in realtà sono due polarità
in tensione dialettica: continuità e innovazione.
Se definita è l'identità degli Istituti, sempre più difficile
appare la soddisfazione degli obiettivi. Circa il 40% delle risorse finanziarie
di cui gli Istituti dispongono è finalizzato al funzionamento delle strutture
e alla gestione corrente. Il restante 60% circa è destinato a specifici
progetti. I fondi comunitari costituiscono il 20% circa dei finanziamenti su
progetto, ma la percentuale tende ad aumentare.
I fondi per la gestione - tendenzialmente in contrazione - vengono
erogati dal Ministero per i beni e le Attività Culturali, o dal Ministero
degli Affari Esteri o dal Ministero dell'Istruzione, dell'Università
e della Ricerca, e dalle singole Regioni. In pochissimi casi gli Istituti dispongono
di risorse per la gestione proveniente dal settore privato. Il mutamento economico
e sociale impone di ribaltare questo equilibrio.
Il fund raising presso i soggetti privati - in termini sia di partnership
per progetti di ricerca, sia di committenza, sia di sponsorizzazione -
è ancora scarso, come pure la richiesta di contributi in servizi a istituzioni
e privati. Eppure deve diventare la via maestra.
Sicuramente in ciò non aiuta la scarsa visibilità immediata sia
dei beni culturali posseduti, sia del tipo di attività scientifica svolta,
spesso di nicchia e percepita come elitista. Per questo il primo passo è
iniziare ad uscire dalla nicchia dell'intellettualismo, non solo anacronistico
quanto controproducente e non proficuo.
Il rapporto con il pubblico si deve trasformare profondamente, non è
più limitato a chi frequenta fisicamente il luogo, a chi coltiva degli
interessi specifici. Anche gli Istituti percepiscono l'esigenza di rivolgersi
ad un "mercato" allargato, non fatto di commercio bensì di
portatori d'interesse, riconosciuti nella collettività intera.
La dimensione ristretta e in qualche modo autoreferenziale in cui gli Istituti
culturali operavano fino agli anni ottanta del Novecento si è andata
progressivamente allargando per comprendere quella parte di cittadinanza che
possiede strumenti di lettura e di critica della realtà pur non appartenendo
al ceto intellettuale o al mondo degli studi e della ricerca. Proprio questo
allargamento della base sociale della cultura e la domanda di spazi per la riflessione
e la comprensione - domanda spesso disattesa dal sistema dei media nel
suo complesso - pone agli operatori culturali nuovi ed importanti interrogativi.
Che la funzione sociale degli Istituti sia tuttora attuale è confermato
da un'incessante attività di costituzione di nuove Fondazioni sia
dedicate alla memoria di singoli personaggi sia come attività altre di
grandi imprese, con il compito di gestire direttamente gli investimenti nella
cultura piuttosto che delegarli completamente attraverso le sponsorizzazioni.
Questa vitalità è da considerarsi positivamente come risposta
concreta alla domanda di luoghi rigorosamente no profit, dotati di un
proprio patrimonio per poter operare e dedicati alla progettualità culturale.
Nonostante il lavoro culturale non eserciti molte attrattive di natura economica
o di affermazione sociale, il clima che i giovani possono respirare in molti
Istituti consente invece la partecipazione individuale ad una rara intelligenza
collettiva, la consapevolezza di poter dare un contributo di idee e di attuazione
a obiettivi condivisi.
Un'applicazione sempre più efficace e penetrante della legge 534/96
- che istituisce una tabella ministeriale per l'assegnazione di sovvenzioni
pubbliche alla cultura - può costituire per gli stessi Istituti,
molti dei quali ad oggi vivono solo di quella, uno stimolo a capire come interpretare
il proprio statuto in un contesto modificato in profondità, rispettando
la propria identità, per comunicare e diffondere conoscenza mantenendo
metodo e rigore scientifico.
A tutti, Istituti e Fondazioni, la Legge chiede comunque di procurarsi autonomamente
le risorse economiche, in modo che i contributi statali siano solo aggiuntivi
rispetto alle altre entrate. Ma il fund raising ancora stenta a decollare,
perché si tratta di avviare un processo di trasformazione di mentalità.
Costruire e praticare una dimensione economica della cultura, a partire da una
radicata tradizione di presenza pervasiva del pubblico, richiede un percorso
complesso e non privo di rischi, in cui si affermino logiche di gestione, valutazione
e comunicazione adatte ai percorsi di produzione e trasmissione dei contenuti
e non mutuati meccanicamente dalle pratiche aziendali. Ma per quanto questo
cammino sia stato intrapreso da molte istituzioni e per quanto l'intervento
dello Stato si possa ridurre, bisognerà pur sempre riconoscere alla libera
produzione di cultura, alla conservazione e valorizzazione di patrimoni di pubblico
interesse, una consistente quota di risorse dello Stato, a patto di verificarne
l'uso in funzione della collettività.
Poiché l'evoluzione in senso economico e gestionale richiede tempo, esperienza e riflessione, un rapporto, dialettico e proficuo con il Ministero per i Beni Culturali, potrebbe configurarsi, non tanto come quello fra controllato e controllore, ma piuttosto come una partnership in cui il Ministero agisca da facilitatore mettendo a fattore comune le esperienze e le oggettive difficoltà, individuando soluzioni e modelli di gestione diversificati, senza intaccare l'autonomia di elaborazione culturale degli Istituti.
Imparare a comunicare
Quando alla fine degli anni Ottanta sono maturati alcuni fattori che toccavano
da vicino gli assetti tradizionali delle istituzioni, quali la diffusione delle
tecnologie, rapidamente sono stati fatti dei progressi. In pochi anni si è
avviata l'informatizzazione delle biblioteche (un patrimonio complessivo di
milioni di volumi), degli archivi storici e delle raccolte museali, si sono
costituite reti in linea e si è espressa una forte progettualità
a livello di ricerca, di produzione editoriale e digitale, di attività
culturali, anche a livello europeo e in stretto rapporto con le Università.
Gli Istituti culturali, soprattutto quelli romani, sono stati gli antesignani
della trasversalità e della convergenza fra le strutture della memoria,
biblioteche e archivi, al fine di valorizzare le relazioni fra contenuti piuttosto
che i diversi supporti materiali dei documenti e le appartenenze amministrative.
In questa ottica è stato fondato il già citato Consorzio Baicr
(Biblioteche Archivi Istituti Culturali di Roma) oggi Baicr Sistema Cultura,
strumento progettuale e attuativo per le applicazioni multimediali ai contenuti
e ai beni culturali.
Le biblioteche degli Istituti culturali sono in gran parte informatizzate, aderiscono
al Servizio Bibliotecario Nazionale e partecipano ai sistemi territoriali assicurando
con il loro apporto la presenza di ampi settori di conoscenza, che spesso potrebbero
essere assenti data la cronica scarsità dei bilanci pubblici per gli
acquisti, soprattutto nelle aree di specializzazione tematica.
Anche i tempi veloci e la rapida evoluzione delle tecnologie costringono ad
un inseguimento dell'attualità che contrasta con i tempi della cultura
e della ricerca, in questo difficile equilibrio molti Istituti cercano una dimensione
che offra al cambiamento una base di riflessione problematica aperta alla sperimentazione
ma anche alla memoria e al passato.
Testi, fotografie, manifesti, pellicole concorrono a documentare un ventaglio
di nodi tematici rappresentativi della vita culturale, politica e sociale, della
storia delle idee e della loro diffusione. Questo materiale è una fonte
inesauribile di ricerca e di produzione culturale ed è proprio nel garantirgli
una circolazione ininterrotta che questo patrimonio resta vivo e continua a
produrre idee e conoscenza. Ma tutto questo mantiene i suoi presupposti a patto
che sia patrimonio pubblico, accessibile a tutti.
Infatti come la dimensione economica, anche quella comunicativa non è
ancora pienamente nelle corde dei luoghi della memoria e del sapere. Tuttavia,
come è emerso in diversi incontri nazionali dedicati al futuro degli
Istituti culturali, si è largamente diffusa la consapevolezza che studiosi
e operatori devono acquisire logiche e strumenti della comunicazione e strategie
interrelazionali per costruire, con la cittadinanza e il circuito dei media,
un rapporto efficace e non episodico. Un fine questo che, considerando i caratteri
della comunicazione giornalistica e mediatica in genere, richiede l'individuazione
di interlocutori affidabili e l'utilizzo di un linguaggio coerente con
l'obiettivo di intercettare l'attenzione del pubblico potenzialmente
interessato.
Anche in questo caso il Ministero per i Beni e le Attività Culturali,
sempre nello spirito di un rapporto dialettico fra pubblico e privato istituzionale,
potrebbe collaborare ad un piano di formazione inteso a creare la condizione
per condividere con l'intero settore sensibilità e strumenti, non
per una comunicazione generica ma per una comunicazione costruita sulla specifica
fisionomia dei contenuti culturali. In questa ottica, gli Istituti condividono
i problemi e le esigenze delle altre strutture della mediazione culturale -
biblioteche, archivi, musei, case editrici e librerie - ed è in
questo scenario più ampio e comune che gli Istituti vanno collocati.
[1] Parti di questo intervento sono tratte da: AICI, Gli Istituti Culturali: una mappa ragionata, Soveria Mannella: Rubettino, 2005; Madel Crasta, Istituti culturali: ruoli e strumenti per le infrastrutture della conoscenza, in "Accademie & Biblioteche d'Italia", n.1-2/2006, Roma: Palombi editore; Lucia Zannino, La rete dei bei culturali, in "Parole Chiave", n.34/2005 Roma: Carocci
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