AIB. Sezione Veneto. Congressi
"17. Seminario Angela Vinay"
bibliotECONOMIA
conservare il futuro
Davide Croff, Presidente della Fondazione La Biennale di Venezia
Vorrei sinteticamente riprendere l'interessante tema di oggi, "Consumare il presente
o conservare il futuro", con due premesse. La prima è che non parlerò
di biblioteconomia per due motivi, primo per la mia totale inadeguatezza nell'affrontare,
soprattutto in una sede autorevole come questa, un tema così specialistico,
secondo motivo perché dopo di me parlerà Giorgio Busetto che, oltre
ad essere stato per lungo tempo direttore della Querini Stampalia, oggi si occupa
di conservazione all'interno della Biennale quale direttore dell'ASAC, l'Archivio
Storico delle Arti Contemporanee. Credo che ben più di me egli abbia la
possibilità di affrontare questi temi con competenza e con grande professionalità.
La seconda premessa è che mi trovo assolutamente d'accordo con quanto ha
detto all'inizio Jean Jacques Aillagon circa la presunta dicotomia fra il consumo
del presente e la conservazione del futuro. Anch'io penso che forse questo titolo
sarebbe stato più felice se si fosse detto "Consumare il presente e conservare
il futuro", perché i due momenti, queste due affermazioni sono secondo
me pienamente e totalmente complementari. Come e in che misura? Qui io darò
una mia lettura assolutamente personale, forse non del tutto attinente a questo
convegno e a questa sede, ma tale da nascere evidentemente dalla mia esperienza.
Conservare il futuro per chi si occupa di cultura a mio parere vuol dire sostanzialmente progettare il futuro, quindi avere una capacità di visione, di innovazione, di volontà di accettare rischi e provocazioni nel costruire la propria attività, quale che sia il settore culturale all'interno del quale tale attività si sviluppa: questo costituisce un po' l'anima e il punto centrale dell'attività di chi appunto si occupa di cultura. Io lo vedo all'interno della mia esperienza in Biennale: lo sforzo più grande è sempre quello di cercare di capire cosa e come si può fare per essere capaci di dare continuità, da un lato, ad una tradizione ricchissima quale è quella di molte, direi di tutte le istituzioni culturali del nostro Paese, avendo però nello stesso tempo la capacità di mettersi continuamente in discussione, di ripensare se stessi, di progettare nuove visioni e iniziative, sapendo che questo comporta anche dei rischi, di sbagliare, di esporsi ad una critica spesse volte anche molto puntuta e negativa; e tuttavia credo che tale capacità, tale volontà di proiettarsi verso un futuro incerto, ma da costruire senza pregiudizi e con la consapevolezza che ogni giorno dobbiamo rimetterci in discussione, sia il modo con cui si possa veramente conservare il futuro.
Per quanto concerne invece il consumo del presente, lo interpreto utilizzando
un modo, un verbo un po' diverso: per me consumare il presente può voler
dire, fra le altre cose, gestire il presente. E perciò oggi è diverso
dal passato, perché ci dobbiamo confrontare con una serie di profondi mutamenti,
con riferimento a due aspetti fondamentali.
Il primo: la domanda di cultura sta cambiando, sia quantitativamente e sia qualitativamente.
Quantitativamente perché in un mondo sempre più globalizzato la
cultura sta spesso diventando una domanda di massa che vede affacciarsi al mondo
della cultura dei soggetti che mai avremo pensato si sarebbero affacciati in modo
così forte, così significativo e quindi a costoro bisogna dare una
risposta quantitativamente adeguata. Ma soprattutto qualitativamente, perché
l'innovazione cui faceva riferimento prima Jean-Jacques Aillagon è un elemento
che trasversalizza anche il mondo della cultura e certamente le risposte che chi
gestisce cultura deve dare non possono non tener conto anche di questa innovazione
in generale, di quella tecnologica in particolare: pensiamo solo a cosa voglia
dire la multimedialità, i supporti attraverso i quali si rende fruibile
al pubblico il prodotto culturale. Ecco dunque che la domanda di cultura richiede
una diversa taratura dell'offerta e quindi delle capacità gestionali che
passano anche attraverso una molto maggior attenzione ai temi dell'organizzazione,
perchè oggi se si vuole rendere effettivamente fruibile il prodotto culturale
ad una domanda che, come abbiamo detto, è qualitativamente e quantitativamente
diversa, bisogna essere in grado di avere delle strutture organizzative idonee
adeguate alle necessità da soddisfare. Se non ci sono queste strutture
organizzative, quale che sia il prodotto culturale offerto, anche di altissima
qualità, esso tende a disperdersi, a perdere la sua efficacia comunicativa
perché non è collocato all'interno di un sistema di offerta adeguato.
Faccio un esempio banale per capirci: una bellissima mostra di arte contemporanea
ai Giardini della Biennale può perdere la sua efficacia e il suo significato
se inserita in un contesto organizzativo inadeguato che in realtà rende
di fatto poco fruibile, o fruibile con disagi tali da rendere poi disperso il
messaggio che la stessa mostra vuole dare.
Il secondo elemento di cui tenere conto è stato prima anche evocato dall'onorevole Gerardo Bianco, è quello della ricerca di risorse. Non c'è dubbio che oggi chi fa cultura si trova di fronte a un problema, soprattutto in Italia, assolutamente drammatico. Il nostro Paese che da sempre, e secondo me giustamente, ha ritenuto che la cultura, essendo anche un servizio di valore sociale, dovesse essere finanziata dalla mano pubblica, spesso al cento per cento. Oggi questo non può più esistere, per mille motivi, fra i quali il principale, e dirimente, è quello che le risorse pubbliche disponibili si stanno riducendo in modo significativo e quindi è chiaro che chi per primo ne paga il prezzo è la cultura. E questa è una tendenza che noi dobbiamo pensare potrà solo aggravarsi negli anni prossimi. Certamente la finanziaria di Tremonti è stata feroce nei confronti del mondo della cultura, ma non possiamo pensare che questo poi possa venire in qualche maniera rimediato a lungo termine, perché la carenza di risorse è un dato strutturale. Quindi ecco che l'esigenza di sostenere finanziariamente tale settore è uno dei temi forti su cui chiunque si occupi di cultura deve confrontarsi. Nel nostro Paese, al di là degli strumenti di cui disponiamo per sollecitare e convogliare risorse private, in ausilio, non in sostituzione, a quelle pubbliche sempre più scarse, l'apporto privato alla cultura è una sensibilità che è ancora lontana dall'essere formata. I paesi anglosassoni, e credo anche alcuni paesi mediterranei come la Francia, hanno fatto molta più strada di noi, hanno, oltre che strumenti normativi e legislativi decisamente più completi, forti, chiari, comprensibili, una sensibilità diffusa in base alla quale c'è una disponibilità del privato che, non per puro mecenatismo, ma per una corretta visione di un rapporto fra cultura ed economia che certamente è essenziale per la cultura ma è anche utile per l'economia, è disponibile a mettere a disposizione risorse private.
Dicevo che in Italia c'è da fare un lungo cammino e a questo proposito richiamo qui il lavoro svolto da una Commissione nominata congiuntamente dai Ministri Rutelli e Padoa Schioppa, avendo qui la dr.ssa Antonia Pasqua Recchia che insieme ad altri esperti ne ha fatto parte. La Commissione è stata istituita proprio per cominciare a studiare e fare proposte con riferimento al tema del rapporto fra economia e cultura, anche per razionalizzare la normativa che regola i contributi privati e soprattutto per cercare di approfondire questa tematica del come si possa in modo progressivo sviluppare una mentalità più positiva in questo senso. In questa Commissione che ha lavorato brevemente ma intensamente negli ultimi mesi è emerso chiaramente come questo tema sia assolutamente fondamentale, e come su di esso vi siano grandi esigenze, grandi attese e anche grandi sensibilità; fra le cose che abbiamo fatto è stata quella di diffondere il documento prodotto fra i cosiddetti addetti ai lavori, coloro che a vario titolo si occupano di cultura e abbiamo avuto una risposta assolutamente incredibile, non solo in termini di apprezzamento per l'iniziativa, ma in termini di suggerimenti e proposte che testimoniano l'importanza dell'argomento.
In conclusione, credo che chi si occupa di cultura, in qualsiasi campo sia esso impegnato, oltre ad avere appunto davanti a sé quello che io definisco sempre il core business che, parafrasando il titolo del nostro incontro potrebbe essere inteso proprio come la conservazione, o meglio la progettazione del futuro, debba anche occuparsi di gestire nel modo migliore il presente. E qui si aprirebbero poi altri temi che evidentemente ci porterebbero lontano, fra questi quello del cosiddetto management culturale, quale è il profilo di chi oggi deve occuparsi, o può occuparsi di cultura e come questo profilo possa essere in parte anche diverso da quello che ha caratterizzato gli operatori di cultura del passato proprio alla luce di tutte le che cose che qui, seppur in breve sintesi, abbiamo accennato. Così come un altro tema che si proporrebbe e che meriterebbe, secondo me, grande attenzione è quello del rapporto fra economia e cultura non solo inteso come modo per ottenere a favore della cultura risorse private, ma inteso come un rapporto più strutturale, e cioè, soprattutto in paesi come l'Italia dove l'eredità culturale è assolutamente unica e straordinaria, quanto la valorizzazione del momento culturale abbia un significato anche economico, per lo sviluppo del Paese. Io credo che su questo ci sarebbe davvero da lavorare molto. Vi ringrazio per l'attenzione.
Copyright AIB 2007-08, ultimo
aggiornamento 2007-09-22 a cura di Marcello Busato e Giovanna
Frigimelica
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