AIB. Sezione Veneto. Congressi
"17. Seminario Angela Vinay"
bibliotECONOMIA
conservare il futuro
Gerardo Bianco, Presidente dell'Associazione Italiana Istituti Culturali Italiani
Innanzi tutto voglio esprimere vivo apprezzamento per questa iniziativa che indubbiamente
tocca una questione centrale che è quella della conservazione di ciò
che è il passato e il presente per il futuro, bella la formula Conservare
il futuro. Sembrerebbe una illogica formulazione, ma credo che le cose stiano
esattamente nell' impostazione che voi avete dato.
Ritengo che ieri il nostro rappresentante, Fabio Severino, abbia già illustrato
quella che è la funzione, il ruolo dell'Associazione degli Istituti Culturali
Italiani, che rappresenta oltre 70 Istituzioni fra le più rilevanti del
Paese, come si può desumere dai nostri annuari che ne documentano l'attività.
Si tratta di associazioni che conservano la loro forte identità attraverso
i patrimoni che hanno acquisito, sorte spesso in relazione a vicende territoriali
ben precise, cronologicamente localizzate nell'immediato dopoguerra quando personaggi
importanti della politica, e anche della cultura, e iniziative locali hanno dato
vita a queste associazioni. L'AICI, nasce dall'esigenza di coordinare queste iniziative,
naturalmente rispettandone il ruolo, senza l'idea di uniformare, ma cercando di
raccordare e anche di difendere, soprattutto nel rapporto con il Governo, con
il Ministero, con le Regioni, alcune delle funzioni che queste Associazioni svolgono.
Devo dire, nella mia breve esperienza di Presidente dell'Associazione, che i rapporti
con il MIBAC, anche per la qualità dei funzionari nel tempo preposti a
queste funzioni, sono stati piuttosto positivi. Paradossalmente proprio le organizzazioni
private, quelle che dovrebbero avere una maggiore cura e attenzione nei confronti
delle Istituzioni che insistono sul territorio, hanno finito per essere più
sorde. Ricordo un episodio avvenuto tre anni fa. Fu chiesto un appuntamento al
pur dinamico, anzi dinamicissimo, Presidente della Confindustria per cercare di
chiarire la nostra funzione; questo appuntamento non è stato ancora accordato.
Potrei proseguire con altri esempi di questo genere. A differenza del cosiddetto
'pubblico', che molte volte si trascina una fama non positiva, ma che ha risposto
alle nostre esigenze con prontezza, almeno nella disponibilità, meno finanziaria,
ma sicuramente più organizzativa, il 'privato' resta sostanzialmente assente
malgrado la legge 342/2000 e il DM 8 ottobre 2002 che potrebbe renderlo protagonista
della vita culturale del paese.
Comunque quello che va ribadito è che queste Associazioni svolgono un ruolo di grandissimo rilievo, non di supplenza, ma di integrazione a quello pubblico. Noi abbiamo proposto di recente una nuova Conferenza sulle Istituzioni Culturali - l'ultima si celebrò proprio qui a Venezia - con un obiettivo ben preciso, che è quello di una valutazione del contributo che queste Associazioni danno allo sviluppo, mi si passi la parola, anche economico del Paese. Credo che sempre più appaia oggi chiaro che non soltanto il patrimonio, enorme, imponente, che è presente nelle Associazioni, non soltanto la quantità di beni librari, archivistici, che sono proprietà delle Istituzioni, ma l'effetto che l'attività culturale di queste Associazioni ha sullo sviluppo economico del Paese, finisce per essere sempre più valutato e considerato. Non so se vi è capitato di leggere, qualche settimana fa, uno studio, mi pare di una Università del Nord, nel quale si indicava che se in Calabria ci fosse lo stesso grado di lettura che c'è in Lombardia o nelle regioni del Nord, lo sviluppo economico potrebbe fare un salto di 20 punti. Si tratta di un'indagine statistica effettuata su campionature, dal punto di vista scientifico ben calibrate, formula utilizzata soprattutto negli Stati Uniti d'America, e che ha un fondamento di carattere scientifico difficilmente contestabile. Essa ci fornisce un dato: elevare il tasso culturale, il tasso di lettura, significa determinare processi di sviluppo economico. La vittoria della nostra squadra di calcio nel campionato mondiale sembrerebbe che abbia avuto un impatto sullo sviluppo: potete immaginare quale impatto sullo sviluppo economico di un paese potrebbe determinare la sua elevazione culturale.
Questo ruolo viene svolto con grande dinamicità proprio dalle nostre
Istituzioni culturali. Chi ne conosce le singole storie lo sa bene. Faccio solo
un riferimento all'Associazione che presiedo, l'Associazione Nazionale per gli
Interessi del Mezzogiorno d'Italia, un'antica Associazione nata nel 1910 a seguito
del terremoto di Messina e Reggio Calabria. Essa fu promossa da filantropi del
Nord e del Centro che si occupavano del Mezzogiorno, personalità quali
A. Fogazzaro, L. Fianchetti, U. Zanotti Bianco, Gallarati Scotti, in collaborazione
con grandi meridionalisti come Villari, Fortunato, Salvemini nel particolare
momento in cui il Paese e tutta l'Europa prendevano coscienza delle conseguenze
del terribile evento. La Biblioteca dell'Associazione possiede un ricco patrimonio
documentario, con vere rarità bibliografiche, ed è specializzata
nella storia del Mezzogiorno. Oggi questa Istituzione, che forse pochi conoscono,
è punto di riferimento per gli studiosi stranieri.
E il dinamismo, di cui parlavo poc'anzi, di queste Associazioni si riflette
anche sulla produzione e sulla crescita culturale. Esse infatti insistendo su
di un territorio particolare e mantenendo con esso forti legami di appartenenza,
conservandone la documentazione lì prodotta - pensiamo ai molti archivi
personali - permettendone la fruizione, portano ad una dimensione più
elevata queste testimonianze e memorie locali, collocandole al di fuori del
mero uso provinciale e dando loro dignità scientifica. E cito un altro
esempio che riguarda la Lucania. L'archivio di Giustino Fortunato, grande personalità
del primo Novecento, utilizzato localmente per produrre racconti pubblicati
per il mercato locale, quindi all'interno di un circuito molto marginale; recuperato
dalla nostra Associazione è divenuto oggetto di studio da parte di giovani
ricercatori. La stessa cosa potremmo dire per alcuni archivi personali che erano
dispersi; penso all'archivio di Manlio Rossi Doria, personalità notevole,
fra i fondatori della cultura agraria del nostro Paese, le cui carte disperse
venivano utilizzate talvolta per articoli che comparivano sulla stampa locale;
recuperate e riordinate, sono diventate oggetto di studio e di ricerca. Anche
quanto detto è esempio di integrazione fra pubblico e privato e di dinamismo
nelle relazioni tra cultura nazionale e locale.
Leggo nella vostra premessa che viene ripresa una proposta che è stata
fatta nel passato da Settis, che per altro è anche socio della nostra
Associazione. A questo proposito perdonate un'altra digressione: nel Museo di
Reggio Calabria sono depositati da circa un secolo i Pinakes di Locri Epizefiri,
circa seimila tavolette, risultato di una delle ricerche più importanti
iniziata dal grande archeologo Paolo Orsi e proseguita da Paola Zancani, documenti
importantissimi che ricostruiscono la storia della Magna Grecia in maniera anche
diversa da quella che oggi è la vulgata della stessa. Quello che voglio
sottolineare è che questi reperti, distribuiti sul territorio della Magna
Grecia, non sono stati studiati se non in maniera sommaria. La Società
Magna Grecia, un'Istituzione privata, li ha recuperati e da oltre dieci anni
sta lavorando con volontari per la loro descrizione e catalogazione, restituendo
allo storico, come ha detto un grande studioso di questa materia, Giovanni Pugliese
Caratelli, una delle nostre grandi figure della cultura antica, una ricerca
che in qualche misura induce a riconsiderare la lettura delle migrazioni dei
popoli del Mediterraneo.
Dicevo della citazione di Settis, nella premessa a questo Seminario, in merito
alla ripresa, da parte del nuovo governo, della proposta che fu di Argan e di
Beppe Chiarante di unificare l'Università con i Beni Culturali. Per la
verità su questo punto non sono molto d'accordo e per una serie di ragioni.
Ho vissuto il periodo nel quale i Beni Culturali rientravano nell'ambito di
intervento del Ministero della Pubblica Istruzione e da questo, per vari motivi,
erano considerati elemento secondario. Il vero problema è un altro: si
tratta di vincere le 'separatezze' e in qualche maniera di ricollegare i Beni
Culturali con la ricerca scientifica, oltre che con lUniversità,
proprio attraverso gli Istituti di cultura. E questo già lo facciamo
come Istituzioni culturali, essendo in relazione con le Università per
l'elaborazione, per la preparazione personale, per la formazione dei ricercatori,
che è uno degli aspetti essenziali della nostra azione. Se la cosa si
potesse realizzare in termini più strutturati e sistematici avremmo un
grande positivo risultato sotto questo punto di vista.
Ed è l'obiettivo che ci poniamo con la Conferenza Nazionale degli Istituti
di cultura che dovrebbe essere organizzata entro il 2007. Abbiamo bisogno di
mantenere vivo il dibattito per risolvere un' altra questione essenziale, che
è quella delle risorse economiche. C'è un detto popolare delle
nostre parti che dice "Senza soldi non si cantano messe", adesso con l'euro
è diventato persino più difficile. Abbiamo visto diminuire le
risorse del 16%, abbiamo visto l'orientamento delle Fondazioni bancarie rivolgersi
verso le attività di volontariato e meno verso quelle culturali.
Per la conservazione del futuro noi facciamo la nostra parte. Abbiamo valutato
i nostri beni, un patrimonio che potremmo quantificare in parecchie centinaia
di milioni di Euro, centinaia gli archivi personali che sono stati riordinati
e crediamo che lo sviluppo maggiore noi lo stiamo dando alla crescita di quella
cultura. Se fosse possibile coinvolgere un po' più il privato sarebbe
una cosa importante, sarebbe un grande guadagno. Il rischio che corriamo è
che le discussioni, le analisi molto sofisticate e anche approfondite che emergono
dalle nostre riunioni, restino solo all'interno di tali riunioni con scarsa
eco al di fuori. Così come ho avuto difficoltà nell'intessere
relazioni con le massime istituzioni economiche e organizzative dell'imprenditoria,
altrettanto è avvenuto nel suscitare l'attenzione da parte dei mass media:
silenzio assoluto della televisione, qualche attenzione in più da parte
della carta stampata.
Anche questa è una battaglia che va vinta facendo capire che la nostra
azione è rivolta a coltivare il passato nel presente per "conservare
il futuro" e sicuramente per mantenere forte una tradizione civile e culturale
che, se dovesse decadere, priverebbe l'Italia della sua anima.
Grazie
Copyright AIB 2007-09, ultimo
aggiornamento 2007-10-02 a cura di Marcello Busato e Giovanna
Frigimelica
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